Delectat varietas:

una miscellanea di studi in memoria di Michele Coccia


#RECENSIONI


Delectat varietas:

una miscellanea di studi in memoria di Michele Coccia

di Eugenia Portelli


ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων (Eraclito, ’Aπόσπασμα 54 / 119)

Il carattere è per l’uomo il suo destino.


 


L’ecletticità, che in sé apparirebbe centrifuga, genitrice di moti direzionali plurimi e talora confusionari, sembra essere invece il fil rouge, il punto fermo – paradossalmente, ma solo in apparenza – di una grande personalità quale quella del Professore Emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ (e, prima ancora, di uno studioso curioso, mai satollo al banchetto della ricerca) Michele Coccia, a cui è stata dedicata in memoria la miscellanea di Studi Delectat varietas, pubblicata a cura di Maria Grazia Iodice e Antonio Marchetta nel 2020.

 

Il titolo della raccolta è una promessa: di varietà, di compositi accostamenti che concorrono al diletto finale del lettore attento e si prefiggono di ricostruire almeno olograficamente la statura di un grande Maestro, talora di profilo, e contrario, frammentariamente, attraverso la discussione di scintille dei suoi interessi così variegati (con contributi, tra gli altri, su Seneca, Petronio, Giovenale, Ennio); talaltra sagomando la sua essenza attraverso le sue azioni concrete, le sue decisioni, le idee che contraddistinguono l’autenticità di ogni essere umano (su questa vena biografica penso al contributo di Giuseppe Parlato).

In questa inevitabile intersezione tra storia e letteratura s’inscrive la figura di Michele Coccia, che ha lasciato dietro di sé (o, meglio, davanti a sé) tracce del proprio spirito, critico, letterario, vieppiù appassionato, intensamente umano: dunque, specularmente, come può ricostruirsi un’esistenza attraverso questa commistione consegnataci dal tempo? Come noi, in definitiva ‘posteri’, possiamo accogliere intimamente gli insegnamenti di grandi Maestri e custodirli e farne tesoro, dopo che essi si siano sedimentati in noi?

Anzitutto, il ricordo mi pare essere lo strumento chiave. Un ricordo privo di giudizio, ma pretto, lucido, quanto più possibile ‘fedele all’originale’, per usare un’espressione cara ai filologi. Un ricordo che può essere espresso attraverso una pletora di possibilità, di cui tale miscellanea è forma prediletta, che ben si attaglia alla poliedricità di Coccia.


Interessante, in modo particolare, risulta il fatto che la raccolta non si apre con la delineazione della figura storica del Professore (che invece si erge, imponente, nel secondo contributo), ma con un episodio da lui vissuto, relativo alla controversa messa in scena del Tieste senecano al Teatro Valle di Roma, sotto la direzione di Squarzina e Gassman, e con l’analisi che egli ne fece in una sua pubblicazione, L’anteprima del Tieste di Seneca (Roma, Teatro Valle, 6 febbraio 1953): lungi dal ricevere consenso unanime, la performance accelerò, con una serie di reazioni quasi chimiche, il fervore accanito di esperti studiosi, fini latinisti, che criticarono pressoché totalmente l’esperimento ‘velleitario’. Il reportage autoptico di Coccia, allora, salta bene all’occhio in controluce, puntuto e attento, nelle note a piè di pagina, nei giudizi puntuali, nella sua scelta di scrivere di una notte del ’53 a circa cinquant’anni di distanza, per evidenziare l’abisso marcato tra due profondità diverse del pur medesimo mondo (Antonio Marchetta, Michele Coccia e il teatro di Seneca).

 

Se la miscellanea si apre con un contributo dove Coccia è deuteragonista, per un ordine inverso e quasi giocoso, al secondo posto si classifica la sua figura storica, come a sottolineare che la sostanza del suo ingenium per nulla deve retrocedere, quanto ad importanza ponderale, dinnanzi alla sua storicità. Storicità attraverso cui ben il Nostro prende forma, inanella esperienze che la realtà del tempo gli offre, incastona il suo essere con prese di posizione talora nette, ma sempre coerenti. Giuseppe Parlato, allora, lascia parlare Michele, non ancora sotto la veste di professore, di erudito, ma come giovane adulto, da convinto studente universitario, che a partire dal ’43 (e attraverso il tumultuoso ’68) matura le sue convinzioni di intellettuale di destra, che mai sono imbevute di banausiche allucinazioni politiche; al contrario, si rivelano pratiche, socialmente impegnate e strenuamente difese, in un momento storico vischioso ed impietoso, quale quello che scaturisce dalla Seconda Guerra Mondiale e si estende sino ai nostri giorni. Negli scontri universitari, nel contrasto con gli anglo-americani nel 1944-45 e, per converso, nel contatto con Almirante si delinea una coerenza basale, che giunge a maturazione nel corso del tempo e che sostanzia la sua ‘politica culturale’, dove l’engagement sociopolitico dell’uomo dotto non può essere elemento accessorio o piacevole passatempo, ma requisito etico imprescindibile dalla conoscenza di cui egli è vessillifero. L’intellettuale non deve e non può rimanere inerte di fronte ad un mondo che reclama energie sempre nuove, ardore di conoscenza e acribia filologica tesa alla lettura di un reale immerso nella complessità. E precisamente sotto questa luce Coccia tendeva a volersi rappresentare, nella maniera più autentica possibile: quella di un uomo la cui carpofora scientia potesse fungere da faro per le navigazioni altrui, in mezzo all’oceano di storture del quotidiano (Giuseppe Parlato, Michele Coccia e la lettura della modernità).

 

Di tale scientia, peraltro, colpisce la poligenesi, come suggerisce anche un cursorio sguardo sull’indice della miscellanea (riportato integralmente in calce): da Seneca, con la vicenda editoriale del De ira III (di cui il Coccia riconosce omogeneità genetica rispetto ai primi due libri dell’opera) ricostruita da Paolo Schimmenti, a Giovenale, presentato nel caso di uno spinoso problema testuale nella Satira XI (di cui Francesco Ursini, allievo del Professore, propone una convincente emendatio), al pater linguae latinae Ennio e al suo successore Pacuvio (il cui studio in prospettiva tematica è ben propugnato da Maria Elvira Consoli) financo all’impegno attuale, con la menzione dell’esperienza didattica dei corsi di latino base da parte di Alberto De Angelis, che si rivela diretta concretizzazione dell’insegnamento del Maestro, per il quale l’approfondita conoscenza e la conseguente trasmissione della stessa costituiscono la vera ragion d’essere di ogni grande docente.


Dunque, in quello che pare essere a buon diritto un florilegio, uno Στέφανος composito, ogni contributo gareggia con il precedente ed il successivo per restituire alla memoria un frammento di Michele Coccia, con le chiavi di lettura che dall’inizio sono state chiarite: attraverso le sue idee, i suoi insegnamenti e, di certo non ultime per importanza, le sue azioni, che regalavano consistenza al suo ingegno sopraffine e concretizzavano l’estro del suo ‘talento’ intellettuale (per avvalersi di un’immagine biblica di cristiana memoria, a cui il Professore era particolarmente legato). In generale, ogni uomo lascia traccia di sé dacché viene al mondo (quella che Derrida avrebbe definito ‘la traccia dell’Altro’), sicché ognuno di noi interpreta il reale e, dopo averlo rielaborato, lo consegna, mutato, rursus, al mondo: è la regola sottesa all’ermeneutica della vita. E Coccia ha avuto il merito ed il coraggio di lasciare la propria decisa impronta nel mondo e letterario e sociale in cui ha vissuto e in cui l’hanno osservato, ammirati, i suoi allievi, i suoi collaboratori ed amici: un mondo composito e variegato, come la miscellanea che, a ragione, gli è stata dedicata.

Forse, dunque, è proprio con la collatio di tali vestigia intrinsecamente uniche, profondamente personali, che può ricostruirsi la sua aura vitale e nel suo eclettismo – reso logicamente coeso dall’unicità del suo essere e dalla sicurezza delle sue scelte – che può intravvedersi la sua coerenza inconcutibile: tutti i frammenti convergono verso ‘l’originale’ Coccia.

Un moto centripeto, non centrifugo, dunque.

 



Indice del volume

Maria Grazia IODICE, Premessa

Antonio MARCHETTA, Michele Coccia e il teatro di Seneca

Giuseppe PARLATO, Michele Coccia e la lettura della modernità

Aroldo BARBIERI, Il giudizio di Trimalchione su Cicerone e Publilio Siro nel Satyricon

Paolo SCHIMMENTI, Sul De ira di Seneca. L’esilio per maiestas e lo svolgimento di una vicenda editoriale

Francesco URSINI, Vertere solum in Giovenale, Satira XI, v. 49. Una nota testuale

Marcello NOBILI, La presunta ‘Nebenform’ uti in Ver. 10, 4; Heliog. 18, 3; trig. tyr. 1, 2: una tipologia di errori nella tradizione della Historia Augusta

Gianfranco MOSCONI, Storia e letterature antiche nella scuola: tre criteri per la selezione necessaria

Maria Elvira CONSOLI, Perché leggere Ennio (e Pacuvio) oggi?

Alberto DE ANGELIS, L’esperienza didattica dei corsi di latino base tra liceo e università

Eugenia Portelli

Appassionata studentessa di Lettere Classiche presso l’Università di Roma ‘La Sapienza’, nel corso dell’anno accademico 2022-2023 sono stata selezionata per frequentare i Percorsi di Eccellenza della suddetta Università. Amante dell’arte in ogni sua forma, sono particolarmente affascinata dal teatro, dalla musica e dalla letteratura antica, che considero collettrice di frammenti dell’uomo destinati a brillare in eterno e che mi piacerebbe approfondire anche nel mio futuro percorso di Laurea Magistrale.