Il peso del destino:

Enea e il caleidoscopio della vita

#TRA ANTICO E MODERNO


Il peso del destino:

Enea e il caleidoscopio della vita

di Eugenia Portelli

 

La lingua latina si avvale della vox mediafortuna per esprimere il concetto di sorte, termine che una significativa ed incontestabile trascolorazione semantica ci ha consegnato con una sfumatura di grado positivo: per questo per noi, oggi, ‘essere fortunati’ non può che implicare ‘godere di buona sorte’.

Ciò che la sors echeggiava per gli antichi, tuttavia, non solo non rappresentava necessariamente una proiezione futura rassicurante, ma talora poteva figurare come un quid di ominoso. Dunque, contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare (inevitabilmente viziati dalla semantica moderna), nella letteratura latina la fortuna viene sovente presentata come ciecamente ed esclusivamente fedele alla propria logica (come riferimento icastico valga la Fortunae volucris rota citata nel primo paragrafo del XXXI libro delle Res Gestae di Ammiano Marcellino, ivi dipinta dall’autore mentre signoreggia su una catastrofica realtà evenemenziale), tanto da frapporsi come ostacolo anche alle imprese degli eroi più acclamati, il cui profilo si staglia adamantino sullo sfondo memoriale di un popolo (come quello romano, nel caso che si proporrà in seguito).

Il carattere sardonicamente imprevedibile di questo destino, che dovrebbe attagliarsi all’individuo, eppure appare ad esso indecifrabile, labirintico nel suo avanzare, obbliga in qualche modo il singolo civis a rimanere al proprio posto, ad adempiere agli obblighi, ottemperare alle scadenze. Una logica funzionale soprattutto se contestualizzata nel periodo di maggiore ambiguità della storia istituzionale romana (che è anche il momento in cui scrive Virgilio), id est quello del principato augusteo, che accarezza l’accentramento monarchico, ma non osa proclamarlo.

Riferimento inconcutibile, in tal senso, è costituito da Enea che si erge ad exemplum di quanto carsicamente sussurrato finora: la sua prima apparizione, de facto, nel poema virgiliano (Aen. I, 92) è dipinta a tinte fosche, in una maniera ben lontana dall’ascendenza eroica che pure, per collegamento immediato e naturale, dovrebbe investirlo dai precedenti protagonisti dell’epica omerica (scilicet Achille e Odisseo): Enea è, su una nave, stretto dalla opprimente morsa di una tempesta e specularmente burrascosi sono i suoi sentimenti; le parole che per prime pronuncia, difatti, maledicono la vita, invidiano i morti (O terque quaterque beati / quis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis / contigit oppetere! [Aen. I, 94-96]). Ma la personale volontà di Enea guerreggia con la sua realtà destinale ultima in maniera continuativa nel corso del poema, opponendo una resistenza che non si esaurisce, offrendo lacrime e dolore ad un futuro che non può vedere, nella sua (poco eroica, ma certamente umana) cecità.

Dipoi, è nella solida affermazione del Nostro nel quarto libro del poema virgiliano (Italiam non sponte sequor [Aen. IV, 361]) che s’iscrive tutta la drammaticità dell’Eneide, nella sua rimozione quasi freudiana, soffocata e costante, della sua volontà, dei suoi pensieri, dei suoi dubbi. Ne consegue, pertanto, che al sussurrato sprone ai compagni di farsi forza (nella nave in tempesta de quo ante), corrisponda, simultaneo ed ultroneo, il verso di Aen. I, 209 premit altum corde dolorem: la repressione, la rimozione (profonda, con altum quasi in ipallage rispetto al verbo premo, ma qui riferito all’oggetto) di un forte sentimento. Qui geminano le basi della futura Roma: nello scarto, nel residuale lacerto di un monadico grido di strazio, che, tuttavia, rimane inascoltato. Si potrebbe quasi dire: altae moenia Romae in dolore conduntur.

È il prezzo da pagare, il compenso che la magnificenza della storia reclama a Roma. Dal sangue troiano la stirpe romana, dal sangue fraterno il futuro glorioso. La verticalità della repressione, nel suo movimento teso verso il basso ribolle, ribelle, nella tragedia individuale: nel pianto di Amata, nelle tabentes genae di Turno (Aen. XII, 221), nell'amore ferito di Didone e in quello speculare di Enea, che, giammai oblito d’Elissa, deve (debet, il verbo del fato, della fortuna) tendere dove i destini indicano, e cioè in Italia, perché è il suo fato che lo ordina, la sua sors drammaticamente personale, la cui comprensione è preclusa persino a lui stesso, ma che gli ricorda con insistenza martellante: hic amor, hic patria est (Aen. IV, 347).


E anche se ad Enea, così puntuale esecutore di un futuro che non ha costruito da sé (esattamente l’opposto del self-made man), sfugge il significato ultimo del suo eterno peregrinare, che infine porterà alla nascita dell’Urbe, regina del mondo, questo nulla detrae alla desolazione del suo pianto, all’inevitabile sofferenza relativa al soffocamento pulsionale. Tutt’al più, ne ravviva la pietas, l’eterno spirito di sacrificio, in virtù di cose più grandi, che ad un uomo, per quanto eroico, talora non è dato sapere.

Dunque, è possibile affermare che noi oggi deteniamo il più totale controllo sulla nostra fortuna? È più credibile, forse, che, nell’universo di possibilità che la realtà ci offre, possiamo sentirci responsabili di trasceglierne alcune. Tuttavia, noi come Enea, siamo talora portati verso lidi lontani, inediti, inattesi, che mai avremmo potuto immaginare.

Nel caleidoscopio della vita, lo sapevano gli antichi forse meglio di noi, timoniere insieme ad ognuno delle rotte della propria vita è la fortuna, non in toto afferrabile e, proprio per questo, stupendo imprevisto, straordinario ‘a parte’, quasi ‘nonostante’ noi e il nostro apparente disorientamento.

D’altronde, neppure Enea si dirigeva in Italia sua sponte.

Eugenia Portelli

Appassionata studentessa di Lettere Classiche presso l’Università di Roma ‘La Sapienza’, nel corso dell’anno accademico 2022-2023 sono stata selezionata per frequentare i Percorsi di Eccellenza della suddetta Università. Amante dell’arte in ogni sua forma, sono particolarmente affascinata dal teatro, dalla musica e dalla letteratura antica, che considero collettrice di frammenti dell’uomo destinati a brillare in eterno e che mi piacerebbe approfondire anche nel mio futuro percorso di Laurea Magistrale.