Le metafore della memoria:

 dalla tavoletta di cera all'archivio digitale

#TRA ANTICO E MODERNO


Le metafore della memoria:

 dalla tavoletta di cera all’archivio digitale

di Anna Pullara


Dai versi intramontabili di Lucio Battisti in Mi ritorni in mente che ascoltiamo in radio alle espressioni estemporanee che usiamo quotidianamente, come ho cancellato questo ricordo oppure come ho un vuoto di memoria, non possiamo non affermare che le metafore fanno parte a tutti gli effetti della nostra vita e pervadono i nostri meccanismi cognitivi e decisionali, prescindendo dalla consapevolezza del parlante che ne fa uso. Proprio le metafore che riguardano la sfera semantica della memoria e dell’oblio hanno attraversato i secoli ed è possibile tracciare un interessante excursus diacronico che le vede protagoniste poiché nelle loro evoluzioni e peculiarità cristallizzano un momento storico ben preciso.

I meccanismi che sottendono l’attività mnemonica hanno da sempre incuriosito l’essere umano, che per indole è spinto dal desiderio di conoscere i processi più complessi di ciò che lo riguarda. In particolare, tale arcano, proprio perché misterioso e soggettivo, è sempre stato avvolto da un velo di curiosità e di occulto: non era affatto facile comprendere le modalità di memoria e oblio, meccanismi sconosciuti e complessi, così comuni ma anche tanto personali. 

Bisogna risalire alla Grecia del V secolo a. C. quando i filosofi Platone e Aristotele si interrogarono sulla natura della memorizzazione, sul perché della dimenticanza e, in generale, sul problema della percezione e su come questa diventasse conoscenza. La prima immagine proposta è quella platonica che descrive la mente come una tavoletta di cera: si tratta di una metafora suggestiva che ha avuto larga fortuna nel pensiero antico e che, come vedremo, sarà poi, nel corso dei secoli, paragonata al libro e infine a una macchina, come i computer contemporanei. Per il filosofo ateniese la mente era paragonata a una superficie impressa (Teeteto 191, c-d) che Mnemosyne (la Memoria, madre delle Muse) aveva donato agli uomini e aveva collocato nell’anima umana; questo blocco di cera era diverso in ogni individuo per quantità e qualità, ma era capace di registrare qualsiasi sollecitazione sensoriale con la quale si trovava a contatto. Platone, inoltre, descrive il processo di conoscenza che si svolge nella mente attraverso diverse metafore: la pressione del sigillo, la deperibilità del materiale cerato e una puntuale opera di riscrittura che permette di allontanare un ricordo precedente. Se l’immagine della plasticità dello stampo implica, a sua volta, la labilità del ricordo e del potenziale mnemonico, è importante anche sottolineare l’insistenza sul concetto di profondità della traccia che determina la facilità o meno di riportare alla luce ciò che apparentemente risulta nell’oblio, cioè assente alla coscienza. L’immagine suggestiva della cera che, se ben liscia e abbondante, permette alle impronte di penetrare in profondità e rimanere per molto tempo nel “cuore” dell’anima ricorre spesso per spiegare la capacità di alcuni ricordi di resistere incolumi al trascorrere inesorabile del tempo. Tale suggestione platonica diventa aristotelica, ma Aristotele modifica alcune caratteristiche dell’immagine metaforica soffermandosi sul rapporto di dipendenza che esiste tra memoria e caratteristiche fisiche dell'individuo: assistiamo, cioè, con Aristotele ad una progressiva intensificazione della parte metaforica perché dalla semplice impressione si passa all’immagine del dipinto. Questa elaborazione grafica operata da Aristotele, che unisce immagini e scrittura, sarà un’anticipazione del passaggio che interesserà la memoria nell’oratoria latina descritta da Quintiliano nella Rhetorica ad Herennium. Nell’opera quintilianea si avrà l’assimilazione delle immagini della memoria alle litterae latine, caratterizzando così il processo di memorizzazione come una struttura narrativa. L’idea della memorizzazione, già affermatasi come modalità di scrittura della mente, ha subito col tempo una prima trasformazione: la scrittura della mente, vista da sempre come superficie cerata, si è adesso trasformata in mente come foglio di papiro, un supporto che permette una composizione grafica più articolata e che consente un ricordo duraturo perché si tratta di un materiale innovativo rispetto allo stampo mnemonico del precedente supporto di cera. Quintiliano, anche in altre sue opere, illustra chiaramente come il cambiamento del processo conoscitivo della memoria durante il transito dalla cultura greca a quella latina comporti un potenziamento delle qualità mnemoniche grazie all’avvento di aiuti artificiali. La memoria, infatti, con l’avvento della scrittura, ha ridimensionato il proprio ruolo divino e, di conseguenza, ha visto coincidere il proprio campo d’azione con l’ars, cioè la tecnica retorica. 

Le metafore che riguardano la mente muovono, quindi, dall’impronta alla scrittura, dalla cera al papiro, fino a giungere all’immagine del libro della memoria, espressione fortemente usata in ambito cristiano. La fortuna del modello metaforico mnemonico della scrittura attraversa la composizione letteraria italiana con Dante in Vita Nova e Commedia e Petrarca nel Secretum. Se in Dante torna l’immagine della mente come tavoletta cerata (Purg. XXXIII, 79-81: «E io: “Sì come cera da suggello, / che la figura impressa non trasmuta, / segnato è or da voi lo mio cervello») e prevale l’immagine della memoria come tesoro interiore (Inf. II, 8-9: «o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, / qui si parrà la tua nobilitate»), in Petrarca è ridondante il tema della lettura della mens dell’autore, di cui è protagonista il maestro Agostino che cerca di rimuovere le memorie malate dell’autore aretino. Vedere la mente come un volume da poter consultare è un’immagine tipica e ricorrente nella produzione petrarchesca, in cui emerge una pluralità di forme simboliche: scrittura, pittura o, ancora, scultura della mente. 


Eppure già Platone nel Fedro criticava l’uso della scrittura perché, secondo il lungimirante parere del filosofo ateniese, questa pratica non aiuta la memoria, ma, al contrario, la illude di sapere e di conoscere. Possiamo affermare che sarà l’invenzione della stampa a sollevare il problema della memorizzazione, la quantità del ricordo e la selezione di ciò che è degno di essere ricordato. Infatti, mentre nel Medioevo la cultura scritta sopravviveva grazie alla memorizzazione dei dati attraverso l’oralità, il problema si è acuito nell’era digitale e anche la metaforizzazione della mente ne ha risentito inevitabilmente: basti pensare alla mente che, architettonicamente paragonata a un edificio o un contenitore dove riporre ciò che si desidera ricordare, è oggi concettualizzata come un hardware. Con l’avvento della digitalizzazione emerge prorompente il concetto del deposito dei dati, che hanno il pregio di poter esser ripescati all’occorrenza, e ciò sfocia in espressioni che ogni giorno usiamo, come archiviare un ricordo, cancellare/rimuovere un ricordo, ripescare dall’archivio della memoria un’esperienza

Nonostante le analogie con i dati digitali si sprechino, basti pensare alle forme comunemente in uso come accendere/spegnere il cervello o collegare il cervello prima di parlare, è opportuno sottolineare le numerose differenze strutturali tra la memoria tradizionale e il campo della memoria digitale: prima fra tutte la componente psico-fisica che prescinde da un recupero sterile di dati tipico di una memoria temporaneamente in funzione; è infatti proprio l’emotività che qualifica l’essere umano e che ci permette di legare un ricordo a una persona, a un luogo o addirittura a un’emozione provata nel momento in cui viene vissuta, una sensazione così forte da rendere un ricordo indimenticabile nonostante il trascorrere inevitabile del tempo. 

Ci è comunque noto che, in modo analogo a quanto descritto per l’incisione su cera, anche la scrittura presenta un grado di deterioramento notevole e può subire danni irreversibili di qualche tipo nel corso del tempo, si pensi a un incendio o un inchiostro sbiadito, che, a sua volta, è pari a un danno irreparabile che potrebbe avvenire con la rottura di un hard disk o un formato digitale non supportato. La connessione metaforica contemporanea tra memoria e computer sembra, a mio avviso, condividere un doppio binario che nell’uomo è dato dalla dualità mente-corpo e nel computer dalla struttura fisica che ingloba un software.

Non rimane che constatare però come memoria e oblio siano entrambi meccanismi indispensabili per un corretto funzionamento della mente: l’oblio rimane un’operazione necessaria per la memoria in quanto consente di creare spazio affinché la mente costruisca nuovi ricordi ed elabori nuove informazioni che vengono ciclicamente memorizzate dal cervello, diventando parte integrante delle nostre esperienze e conoscenze. La memoria umana viaggia su binari spesso sconosciuti: alcuni ricordi emergono, altri si confondono o spariscono, altri ancora vengono custoditi gelosamente e spesso rimangono impressi proprio come un sigillo sulla cera. Si tratta di un equilibrio soggettivo e delicato, affascinante e misterioso, che ha interessato in modo trasversale discipline che vanno dalla filosofia alla medicina di ogni epoca proprio perché lo studio delle operazioni mnemoniche ci permette di indagare i bisogni conoscitivi dell’uomo. Che le metafore sulla memoria abbiano attraversato i secoli è quindi appurato, ma costituiscono anche la nostra forma mentis, e le espressioni di cui ci serviamo ogni giorno confermano e dimostrano le radici profonde che queste hanno nella nostra cultura.


Mi piace, infine, ricordare una massima di Plutarco che scriveva «La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere perché s’infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità»: al di là della concettualizzazione che qui si sposta dall’archivio, il "vaso”, all’accensione di un dispositivo, come potrebbe essere l’odierno computer, quel che conta ed emerge da questa frase, sempre attuale, è la consapevolezza di quanto preziosa ed indispensabile sia la memoria nella storia dell’uomo. La curiosità che ha spinto studiosi di tutti i tempi ad interrogarsi sulle modalità di memorizzazione nel tentativo di scoprire gli arcani di questo meccanismo risiede proprio nel riconoscere alla memoria un ruolo fondamentale per la vita degli esseri umani; in fondo, il segreto sta proprio in tutto ciò che rimane ed è ricordato perché sarà capace di attraversare il tempo ed è, forse, ciò che spinge ciascuno di noi, ogni giorno, a fare qualcosa che sia degno di memoria: dalla scrittura ad un’azione spontanea che, seppur nel nostro piccolo, ci renderà eterni per chi ci ha conosciuti.





2 maggio 2023

Anna Pullara

Mi sono laureata in Lettere Classiche presso l’Università La Sapienza, dove ho poi conseguito la Laurea Magistrale in Filologia Moderna. Sono appassionata di antichità e arte: ciò mi ha spinto ad intraprendere un nuovo percorso magistrale in Archeologia presso l’Università degli Studi di Palermo.