Chess and I: click here for the homepage. A closely related subject: On player-friendly piece design (graphics / symbols / set of pieces).
§1 Compound or hybrid pieces: too many names
The queen is a rook-bishop hybrid, but is a standard chess piece: its position is well-established and its name is uncontroversial. The presence of the queen is probably the most important and distinctive feature of modern western/international chess, as opposed to the other members of the large family of historical chess games: post-medieval western chess was called ajedrez de la dama, Spanish for "chess of the queen", or scacchi alla rabbiosa... (Well, it's not about names: the term regina or queen has always existed, alongside with other names, in the European history of the game, but before about 1490 the queen's movement was completely different.) Anyway, let's focus on heterodox chess compound/hybrid pieces, also known as (compound/hybrid) fairy pieces.
A lot of heterodox variants, such as Seirawan Chess, Illescas Dragon Chess, and Capablanca/Gothic Chess, have one or more other hybrids beside the standard queen, the most important and typical being the knight-rook and the knight-bishop. Unfortunately, there is no consensus on their names.
Since 1617, when these hybrids were first introduced, a lot of different names have been proposed. Almost all proposals fall into two categories:
government, aristocracy, military, hierarchy terms;
animal terms (mostly real, sometimes mythological).
At present, the most widespread names are chancel(l)or for the knight-rook, and archbishop for the knight-bishop.
Nonetheless, such an important modern variant as Seirawan Chess, in its official guidelines, imposes animal names and identities to the two hybrids: in the official version of Seirawan Chess, the knight-rook is an elephant, and the knight-bishop is a hawk. Not only are they called these names, but they should have the appearance of these animals!
This choice is infelicitous for more than one reason. In particular, it's astonishing that the name and identity of an elephant is used for a piece that is anything but a bishop. -- We know that the bishop derives from the elephant of the old versions of the game, has always been an elephant in most members of the chess family, and is still called an elephant in a lot of languages, including Russian! Also alfil, alfiere etc. (names of the chess bishop in several languages) derive from the Arabic word for the elephant.
It's curious that, when Seirawan Chess was launched as one among some new variants playable on Chess Dot Com (October 2022), several users wrote forum comments such as the following: "Please give us a piece set that uses elephant and hawk icons for Seirawan Chess", "The hawk and elephant definitely need a redesign to actually look like what they're named after". At the beginning, only the very good unambiguous and self-explanatory compound symbols, shared with many other variants, were available. But, after that, the animal icons were introduced too, and were even made the default choice for Seirawan Chess.
(Here's a practical suggestion: in the Chess Dot Com menu Settings > Themes & Colors > Piece theme, choose "Classic" or "Alpha". They are not the most beautiful, but are [still?] without the Seirawan animals, nor do they display unitary symbols for so-called chancel(l)or and archbishop.)
§2 A simple and radical solution: no self-standing names
When self-standing names for hybrid pieces are really needed (technical reasons, one-letter abbreviations, etc.), let's stick to chancel(l)or and archbishop. In all other cases, we can make without them. Note that
chancel(l)or has 3 syllables, knight-rook only 2;
archbishop and knight-bishop both have 3 syllables;
amazon has 3 syllables, knight-queen only 2.
As for abbreviations, NR, NB, NQ and the like (with or without a plus sign) will be alright for most human uses. Being so short and easy, such abbreviations can replace the full names in virtually any kind of informal writing.
Getting rid of complicated and controversial words and symbols could be interesting and useful: heterodox chess will look much more serious and attractive to the eye of the typical or average standard chess player, who might get curious or interested in variants but is not willing to become a variant geek or expert. They may deem it unnecessary to deal with confusing or ambiguous vocabulary. It may be discouraging. They are probably right.
§3 In italiano: per un cavallalfiere la mia donna!... tutto il mio regno per questa cavórra?
Dichiaro preventivamente la mia greve ignoranza riguardo a un'eventuale tradizione autorevole di scacchi eterodossi in lingua italiana. So che esistono delle pubblicazioni, ma non mi sono curato di cercarle. Ho comunque il sospetto che, per le principali varianti moderne e attuali degli scacchi eterodossi, l'italiano sia una lingua molto marginale. La mia conoscenza degli scacchi eterodossi è fondata quasi esclusivamente su fonti internettiane, principalmente in inglese.
Nei paragrafi che seguono, vado esprimendo soprattutto preferenze personali, anche con libere e fantasiose coniazioni.
Per i più importanti pezzi ibridi o composti, in italiano io dico cavallotorre e cavallalfiere. Termini come cancelliere e arcivescovo, per non parlare delle alternative antiquate o meno comuni, e soprattutto degli incongrui equivalenti animaleschi seirawaniani, mi sembrano fastidiosi e superflui, come si spiega nel testo in inglese qua sopra.
Il cavallotorre, i cavallitorri; il cavall(o)alfiere, i cavall(i)alfieri. E anche: il cavallodonna, i cavallidonne; la torreré, le torriré; il cavalloré, i cavalliré; l'alfiereré, gli alfieriré. Grafia più formale e accurata, col trattino: il cavallo-alfiere, i cavalli-alfieri ecc.; la torre-re ecc. (senza il segno d'accento, se c'è il trattino).
Per diminuire il carico sillabico, si sente l'esigenza d'introdurre forme ridotte, accanto a cavallotorre e cavallalfiere. Non sarò certo io il primo a inventare e proporre neologismi del genere. Dopo lunghe e sofferte rimuginazioni, mi sono convinto che, almeno per un uso informale, siano particolarmente adeguati... cavorra, e... calviero. Ho scelto accuratamente la forma esatta di queste contrazioni lessicali, per evitare fraintendimenti rispetto ai termini scacchistici consueti, anche nel parlato veloce e trascurato. Se adottassimo invece, per esempio, calfiero con la F, il rispettivo plurale sarebbe pericolosamente simile ad alfieri.
La cavórra, le cavórre; il calvièro, i calvièri. Avremo anche, se occorre: la cavònna, le cavònne -- ma in questo caso si può generosamente ammettere l'amazzone (why not?), se siamo in un contesto culturale in cui è sufficientemente noto e ovvio che le amazzoni sono donne cavalcanti: amàżżoni, magari, meglio con la Z sonora.
... Una posteriore aggiunta sui nomi dei pezzi coronati o incoronati, ovvero dei pezzi composti col re (ma si tratta sempre di pezzi non-regali, se non altrimenti specificato). La torreré, per brevità, può diventare una torlé; avremo poi il cavré e l'afré. Se si vuole, infine, inventeremo anche il sirné, ovvero sinequo incoronato o sinequoré (vedi sotto, §4, per sinèquo).
§4 Ancóra in italiano: regalità e... sinicità
Royal, non-royal. Possiamo aver bisogno dei termini regale e non-regale, secondo che un pezzo sia o non sia sottoposto alla legge dello scacco. Almeno a livello informale, come variante più breve e maneggevole, al posto di non-regale possiamo dire civile o laico (molto meglio che plebeo -- e scartiamo in partenza tutte le alternative con più di tre sillabe). Civile, dicono i dizionari, in una delle sue accezioni «si precisa nella contrapposizione a militare, religioso, ecclesiastico, penale o ad altre specificazioni». Quanto a laico, non sempre è coinvolta la dimensione ecclesiale o religiosa: abbiamo anche i membri laici del CSM, mantenere una posizione laica su un argomento, ecc.
Tornando ai nostri scacchi eterodossi: un re regale e un re civile; una donna civile e una donna regale; un cavalloré civile. Anche règio per regale sarebbe certo possibile, ma è meno perspicuo. Invece, l'alternativa reale è ambigua e, perciò, inutilizzabile.
Alcune varianti scacchistiche prevedono (perlopiù come componente di pezzo ibrido -- mi riferisco ovviamente alla bellissima variante Paradigm Chess30, please click here se non la conoscete) il cavallo dello xiàngqí, ovvero degli scacchi cinesi. Lo possiamo chiamare il cavallo cinese; scherzosamente, per brevità... il cinese. Possiamo anche inventare qualcosa come sinèquo; o, più formalmente, il sino-equo, i sino-equi, con o senza trattino (latino equus "cavallo"). Ovviamente, in italiano e in molte altre lingue, non esiste la possibilità di contrapporre scacchisticamente knight e horse.
§5 Sempre in italiano: nomi di varianti
Eravamo ancora nell'autunno del 2002 -- più di ventun anni (!) prima che io mi addentrassi in ben altre esperienze di scacchi eterodossi -- quando, a Pisa, scoprii dal vivo il vivace e bizzarro tourbillon, che a quel tempo mi fu presentato unicamente con questo nome. È lo stesso gioco che si chiama anche bughouse o, in italiano, quadriglia. La parola quadriglia (al plurale) compare perfino nel doppiaggio italiano della fortunata miniserie The Queen's Gambit (La regina degli scacchi), 2020, in corrispondenza di bughouse, appunto, nella traccia audio in inglese. La quadriglia, perché si gioca in quattro. Quando parliamo in italiano, dobbiamo preferire il ricorso a questo termine, già corrente e consolidato.
In quegli stessi mesi (2002), conobbi anche un'altra variante eterodossa -- e nessun'altra, poi. Si tratta di quella che viene variamente chiamata Monster Chess o Super-King Chess; ma a quel tempo non appresi nessun nome, per questo gioco peculiare e asimmetrico. Sulla base dei nomi in inglese, che ho trovato su internet nell'epoca odierna (2024), possiamo dire gli scacchi mostro, gli scacchi monster o, forse meglio, gli scacchi monstrum; oppure superré, scacchi del superré. (Agli scacchi monstrum non si può giocare né su LiChess+PyChess, né su Chess Dot Com; ma li troviamo su GreenChess, e anche su PlayStrategy, che è un'altra piattaforma sul modello di LiChess.)
Come chiamare in italiano il crazyhouse? Si tratta d'una variante minimizzata del bughouse o quadriglia: una quadriglia ridotta a una singola scacchiera, con due soli giocatori. Se la quadriglia si gioca in quattro, pare piuttosto naturale che... la duiglia... si giochi in due. È una mia invenzione personale. Proposte migliori? (Ovviamente trisillabo, düìglia). Non è il caso di tentare un semplice quadriglia in due, perché la quadriglia in due sarà, più legittimamente, il self-partnering bughouse: una vera quadriglia, con due scacchiere e due distinti orologi scacchistici, in cui ciascuno dei due giocatori fa squadra con sé stesso, impegnandosi in entrambe le partite.
Duck Chess: gli scacchi del papero, o i paperoscacchi. In linea con la natura umoristica dell'invalicabile oggetto di gomma gialla, questa difficile e raffinatissima variante merita un nome fittiziamente erudito come appunto paperoscacchi, da cui anche, paperisticamente parlando: attività paperoscacchistica, i più abili paperoscacchisti, ecc. Anche anitroscacchi non sarebbe male.
Capture anything, detto anche Self-capture [allowed]: io la chiamo cattura-quel-che-vuoi. In alternativa, in luogo di cattura possiamo usare mangia, prendi, piglia; in luogo di quel-che-vuoi, son possibili varie espressioni sinonimiche, oppure qualunque-cosa, o pure-i-tuoi. Altro nome legittimo e perspicuo: autocattura consentita/permessa. (Bisogna evitare malintesi e confusioni con varianti caratterizzate dall'obbligo di cattura o dall'obiettivo di prendere tutti i pezzi avversari: perciò, non sono adeguate traduzioni come cattura-tutto o cattura-ogni-cosa.)
Ecco infine qualche altra facile soluzione traduttiva, per i nomi delle varianti che prediligo e pratico: re della collina o re del colle; terzo scacco o tre volte scacco o scacco per tre; pedoni-missile o pedoni-siluro o pedoni-torpèdo; pedoni di lato; scacchi senza arrocco o arrocco vietato; (scacchi con) arrocchi opposti o arrocco omogeneo vietato; (scacchi) paradigma 30 o paradigm 30 (pàradaim trenta); scacchi Seirawan; scacchi del drago di Illescas o semplicemente scacchi Illescas... informalmente, possiamo anche giocare all'igliesdràgo. (Bellissima variante, ma drago vuol dire tutto e niente: scacchi del drago è un nome insopportabile... Si tratta di null'altro che un calviero!) Per concludere davvero, as a very bad beginner o poco più, devo poi menzionare gli scacchi spartani e gli scacchi spartani rispecchiati (Spartan Mirror): per entrambe le varianti, lo schieramento spartano ha i re semi-regali, e vige la regola dello scacco duplice, tutt'altra cosa dal normale scacco doppio (rispettivamente duple vs. double). [Update.] Aggiungo le traduzioni italiane per le mie varianti preferite tra quelle che gioco su GreenChess: scacchi duali deboli; mattequino o mattolallo o lallomatto o (scacchi del) cavallo regale o cavallo regio o equino regio; scacchi perfetti (con i composti equini / di cavallo) o scacchi perfetti equini; scacchi Čigórin/Chigorin; cavalli aumentati/potenziati (simmetrici o asimmetrici); (scacchi del) nottambulo (con due nottambuli per parte); scacchi con simmetria inversa.
§6 Gli scacchi giapponesi in italiano [new, 25-30 January 2025]
[Update, 2025-03-13. Cliccate qui per la nuova pagina con le foto del mio set di shōgi realizzato con cartone e pennarelli, e qui per leggere The day I learned how to play shōgi.]
§6.1 Scacchi giapponesi, parte 1ª di 3: introduzione, simboli, colori
(Per le mie scelte lessicali, andate alla sottosezione §6.2.)
Gli scacchi giapponesi (shōgi, o shogi per farla più facile) sono un gioco bellissimo e molto impegnativo. Non sapevo le regole. Ma infine, pochi giorni or sono -- martedì 21! --, ho deciso di studiarle e le ho imparate.
Qui non si tratta di scacchi occidentali eterodossi, ma siamo sempre nell'ambito dei giochi della grande famiglia degli scacchi, scaturiti tutti dall'originario gioco indiano caturaṅga (o chaturanga, per semplificare -- ma la consonante iniziale è non-aspirata).
Mi capitò un po' per caso, tanti anni fa, ancora largamente minorenne, d'imparar le regole degli scacchi cinesi (in cinese xiàngqí). Invece, il gioco giapponese mi era rimasto estraneo fino a ora. Negli anni recenti, tante volte in qualche modo mi capitava di trovarlo fra le mie letture, fra i miei contatti, in mezzo alle mie curiosità; ma la sua complessità e la sua stravaganza mi risultavano davvero respingenti.
Mi respingono tuttora (come è ben comprensibile, se parliamo di giochi da giocare e non di contemplazioni estetico-culturali), le tradizionali tessere coi logogrammi -- ideogrammi, sinogrammi --, per mezzo delle quali vengono praticate, localmente e ufficialmente, le diverse varietà nazionali o territoriali dei giochi di scacchi nell'Estremo Oriente, compreso ovviamente il Giappone. Cinesi (e vietnamiti), coreani e giapponesi non usano infatti miniature o statuine, per rappresentare i diversi pezzi, bensì le loro specifiche tessere dotate di iscrizioni. Unicamente per gli scacchi giapponesi, c'è l'ulteriore ostacolo della mancanza di colori distinti per individuare i pezzi del primo e del secondo giocatore. Per una specifica ragione correlata con le regole del gioco (vedi sotto, Posare o paracadutare i pezzi catturati), le tessere sono perfettamente uguali -- letteralmente le medesime -- per entrambi i giocatori, e l'appartenenza all'uno o all'altro schieramento è indicata unicamente dal verso ovvero orientamento delle stesse. (Soltanto il re è diverso, e solo in un minuscolo dettaglio.) Questa caratteristica perlopiù si mantiene anche nelle versioni internazionalizzate o occidentalizzate, fatte per chi non padroneggi il giapponese e il suo sistema di scrittura, e non abbia magari intenzione di fare salti mortali grafici e linguistici per accedere a un gioco logico-strategico che è già molto difficile di per sé. Eppure, se si tratta di giocare su dispositivi digitali, l'assenza dei colori perde completamente la sua motivazione tecnica, rimanendo solo una convenzionale eredità delle tessere fisiche adoperate nelle partite dal vivo. Di conseguenza, è piuttosto ovvio che, per alcune piattaforme di scacchi giapponesi in linea, siano anche stati realizzati adattamenti funzionalmente ottimali in questo senso. (A dire il vero, la cosa si può risolvere agevolmente anche con un tipo leggermente modificato di tessere fisiche capovolgibili, ma non so se qualcuno abbia mai realizzato e praticato questo facile "progetto" che ho ideato. Forse lo farò io, giusto per metter le immagini nella pagina fotografica... [Update, 2025-03-13! Sì: vedi la nuova pagina con le immagini di shōgi e la sezione §5 My own wonderful cardboard tiles for shōgi della pagina The day I learned how to play shōgi.])
Per giocare a shōgi con mezzi informatici, ci sono insomma numerose possibilità e rilevantissime variabili, limitatamente alla visualizzazione e riconoscibilità dei pezzi. Con qualche semplificazione, dovuta anche ai limiti della mia modestissima esperienza, dirò che:
per quanto riguarda l'identificabilità dei singoli pezzi, possiamo avere (a) i tradizionali logogrammi, o (b) i logogrammi con l'aggiunta di segni geometrici corrispondenti alle regole di movimento, o (c) soltanto simboli di tipo principalmente geometrico, correlati con le stesse regole di movemento, o (d) immagini o simboli convenzionali analoghi a quelli che usiamo per gli scacchi occidentali ma senza corrispondenza con questi, e spesso con utili elementi geometrico-mnemonici per tutti i pezzi o almeno per alcuni, o infine (e) simboli del tipo occidentale, con un riferimento piuttosto stretto alle corrispondenze o somiglianze fra i due giochi, magari (di nuovo) con utili elementi geometrico-mnemonici per alcuni pezzi;
rispetto alle convenzioni per distinguere i pezzi del primo giocatore da quelli del secondo, possiamo trovare, secondo i casi, (a) unicamente l'orientamento verso l'alto o verso il basso, che è l'uso tradizionale, oppure (b) colori leggermente diversi, in unione con l'orientamento, che rimane il parametro primario, o infine (c) una vera differenziazione cromatica, come negli altri giochi di scacchi, occidentali o non occidentali -- solo per la tipologia (c), esistono anche dei set in cui non è rispettata l'usuale convenzione del verso o orientamento dei pezzi.
C'è da aggiungere che il colore, perlopiù rosso, può anche contraddistinguere i pezzi promossi, che hanno una specifica rilevanza negli scacchi giapponesi. D'altra parte, anche nelle trasposizioni in digitale abbiamo di solito l'immagine della tessera, sopra la quale compaiono simboli o iscrizioni: ci sono quindi diversi piani sui quali si possono posare i colori, anche con funzioni differenti. La tessera fa da sfondo al simbolo o iscrizione. Non c'è, insomma, nessun reale conflitto fra i due usi dei colori, (1) per distinguere gli schieramenti dei due giocatori e (2) per distinguere i pezzi normali da quelli promossi.
Io amo e ammiro moltissimo LiChess e i progetti derivati e correlati. Tra le molte risorse alle quali si ricorre per giocare agli scacchi giapponesi via internet, ci sono due di questi progetti: PyChess e, specificamente mirato, LiShogi. Gradisco, elogio e raccomando tutte queste piattaforme scacchistiche, per diversi motivi e da molti punti di vista.
Tuttavia, per dirla in breve, posso affermare che, come non faccio parte di nessuna Chiesa, così non aderisco alla religione di PyChess, per quanto concerne la vessata questione delle occidentalizzazioni (da non confondersi con le internazionalizzazioni) dei vari giochi tradizionali localizzati extra-occidentali, come ad esempio lo shōgi.
Delle federazioni e associazioni di shōgi, che esistono qua e là per il mondo, Italia compresa, non ne parliamo nemmeno. Mi sembra d'aver capito che questi enti siano molto rigidi: terminologia giapponese, caratteri giapponesi e tessere tradizionali, senza nessuna concessione.
Io non voglio imparare a riconoscere i pezzi in base ai sinogrammi, ovvero caratteri della scrittura cinese e sino-giapponese. I kanji, come si dice in giapponese. Non è affatto tra le mie priorità: non m'interessa. Desidero giocare a scacchi giapponesi trascurandone espressamente alcuni aspetti esteriori e formali. Anche la parte storico-culturale m'interessa, ma ritengo che questi fattori non debbano interferire con l'effettiva pratica del gioco che, come tutti i giochi di questo tipo, è nella sua essenza un gioco astratto e mentale. Lo shōgi è un raffinato e stimolante esercizio logico-strategico, e un membro singolare e importantissimo della famiglia dei giochi scacchistici, storicamente correlati fra loro. Io ho desiderio di praticarlo con comodi simboli e comodi colori, senza scritture asiatiche e senza parole straniere. Non ho nessun senso di colpa, per questo mio desiderio.
Ne sto parlando in prima persona singolare ma, in realtà, la questione ha decisamente dimensioni collettive e globali: se consideriamo che i giocatori di scacchi, al mondo, superano di molto il mezzo miliardo di persone, quanti saranno i praticanti di giochi scacchistici che siano in qualche misura aperti a una molteplicità di varianti, e che potrebbero provare anche gli scacchi giapponesi se non ci fossero i seri ostacoli e le complicazioni puramente esteriori di cui sto parlando, e che riguardano proprio singolarmente questo gioco? Non so rispondere in termini numerici, ma senz'altro si tratta di cifre sorprendenti.
Bisogna ovviamente partire dalla realtà oggettiva. Nessun dubbio: gli scacchi occidentali/internazionali sono il gioco scacchistico di maggior fama e di maggior successo, e costituiscono perciò il più sicuro punto di riferimento condiviso per coloro che, al mondo, praticano o intendono praticare diversi giochi di questa categoria.
Tornando alle strane preclusioni ideologiche che gravano su alcune pregevolissime piattaforme scacchistiche, vorrei dire espressamente non sono affatto d'accordo col principio per cui le internazionalizzazioni sono permesse, praticate e favorite, ma le occidentalizzazioni dovrebbero essere apertamente ostacolate.
Secondo me, per i giochi scacchistici in digitale, compreso lo shōgi, l'utente dovrebbe avere la più larga libertà nella scelta della propria interfaccia grafica per la visualizzazione di scacchiera e pezzi (naturalmente, queste impostazioni non interferiscono con quelle dell'avversario, se giochiamo su due dispositivi distinti). A parer mio non ci dovrebbero essere preclusioni: le occidentalizzazioni sono utilissime e andrebbero francamente promosse e incoraggiate, così da consentire anche una selezione consapevole tra diverse possibilità di questo tipo, differenziate in qualche significativo dettaglio o nella realizzazione estetica.
Ugualmente legittime sono anche altre combinazioni e interferenze, basate su punti di partenza diversi: ad esempio, infatti, anche per gli scacchi occidentali/internazionali esistono adattamenti esteriori basati su altri giochi localizzati. Ma le dimensioni demografiche sono importanti: è utile e opportuno che, per gli aspetti pratici ed esteriori, siano messe a disposizione le modalità di gioco più comode e amichevoli per i diversi tipi di utenti, con particolare riguardo, prioritariamente, per le categorie di utenti più significative e numerose. Come possiamo perciò trascurare e forse perfino discriminare i giocatori di scacchi occidentali/internazionali, che sono il gruppo più grande? Non mi pare il caso.
Nel concreto, limitatamente agli scacchi giapponesi, quali sono le differenze tra le internazionalizzazioni (consentite) e le occidentalizzazioni (malviste e ostacolate)?
Si tratta sostanzialmente di alcuni degli stessi punti che ho toccato anche, in inglese, nella mia pagina On player-friendly piece design (clicca qui).
Le croci dell'alfiere e del re: si dice, giustamente, che queste croci sono simboli d'origine cristiana, e perciò risultano inopportune negli adattamenti di giochi che appartengono culturalmente a civiltà non cristiane. Dal mio punto di vista è cosa di poco conto, ma sono d'accordo: è meglio che ci si basi sui set di simboli in cui l'alfiere e il re non hanno nessuna croce. I set di questo tipo, anche per gli scacchi occidentali, sono disponibili e utilizzati. Non prevalenti, è vero, ma di certo in espansione per il prossimo futuro: perciò, sostanzialmente, il fatto non sussiste. (Naturalmente, il simbolo di re può o deve restare un simbolo di re, inequivocabile: basta sostituire la croce con un altro simile pinnacolo o piccolo coronamento. Anche per i simboli d'alfiere senza la croce, basta sceglierne qualcuno tra quelli in uso, universalmente riconoscibili.)
La torre, o rocco, o carro, o barca... passando da un nome all'altro, resta esattamente la stessa cosa: non ha proprio nessun bisogno di cambiare disegno o simbolo o miniatura sulla base delle diverse e gratuite convenzioni geografico-linguistiche. È davvero mirabile quanto l'antica e forte torre degli scacchi (quale che sia il suo nome) rimanga sempre la stessa, stabile nel tempo e nello spazio, da una variante all'altra, attraversando i continenti e i secoli. Perché mai il simbolo a forma di torre non dovrebbe andar bene? Non offende nessuno, una torre. Gli imbattibili scacchisti sovietici del secondo Novecento, dall'alto della loro autorità, pretendevano forse che le loro torri fossero a forma di barca? Il simbolo di torre è certo poco pertinente a fronte del rispettivo nome giapponese ma, per esempio, non corrisponde nemmeno a quello inglese!
Si pone poi qualche dilemma, per i simboli dei pezzi giapponesi, rispetto alle promozioni, e specialmente alla promozione dei pezzi forti: è qui poco rilevante il riferimento agli scacchi occidentali, ma c'è invece una divergenza tra le semplici scelte logico-razionali basate sui rapporti fra i pezzi e sulla dinamica dei movimenti, e le scelte influenzate dall'arbitraria e complicata terminologia giapponese.
Infine, è rilevante e sensibile la questione, di cui s'è già parlato, dell'orientamento delle tessere e dell'eventuale colore per distinguere i due schieramenti. Piuttosto incredibilmente, alcuni sostengono in modo aperto che, se i giapponesi giocano tradizionalmente a shōgi senza la distinzione dei colori, ci dobbiamo necessariamente adattare: guarda anche tu, come fanno a Tōkyō e a Kyōto, se il pentagono irregolare ha la punta in su o in giù. Forse il bianco e il nero sono inopportunamente occidentali: che empietà, consentire che il nostro nervo ottico ci faccia distinguere in modo automatico e infallibile un alfiere bianco da un alfiere nero!
Sul piano pratico, ho effettivamente affrontato concrete difficoltà nel tentativo di risolvere questi problemi secondo le mie preferenze. Gli assetti grafici disponibili e selezionabili sulle piattaforme per giocare a scacchi giapponesi sono numerosi ma, tristemente, nessuno di questi soddisfa i requisiti di un individuo razionale e razionalista che sia abituato primariamente agli scacchi occidentali/internazionali. Alcune soluzioni adeguate o quasi perfette esistono, ma si tratta di estensioni da installare a parte, e questo comporta complicazioni tecniche che non sono ancor riuscito a dominare pienamente. (Soluzioni adeguate o quasi perfette dal punto di vista funzionale, che è decisamente quel che conta. Quando numerosi set di simboli con queste caratteristiche saranno a portata di mano, ci dedicheremo a una selezione estetica.)
... Bene. Questa premessa si è mostruosamente espansa. In realtà, volevo solo parlare delle mie scelte terminologiche personali, che soglio adottare quando parlo di scacchi giapponesi con me stesso. Ma mi si sono accavallate le idee, e ho scritto tutto questo. Perciò, ecco che suddivido in sottosezioni le mie frenetiche divagazioni para-nipponiche. Fra poche righe comincia la sottosezione §6.2 ovvero parte 2ª.
Di che cosa parleremo? La potremmo far molto lunga se ci mettessimo a riferire per ogni elemento tassonomie e nomenclature, i più diversi tipi di nomi: giapponesi, giapponesi tradotti, occidentali secondo usi occidentali più o meno affermati e più o meno variabili; e le correlazioni storiche. Ma, no, non dedicheremo molto spazio agli antichi elefanti siamesi o indocinesi che i giapponesi hanno diselefantizzato nella denominazione pur lasciandoli invariati, e ai consiglieri che invece, oltre a cambiar nome, hanno anche cambiato completamente il movimento. Dovrò dire qualcosa sull'elefante briaco (ebbro, brillo, alticcio!), perché è davvero curioso e appassionante, ed è legato al mio interesse per le varianti con due o più pezzi regali per parte (!). Ma l'elefante alticcio non c'è più, dal secolo 16º. Perì, si dileguò, scomparve.
Per tutto il resto, GIYF (i.e. chiedetelo ai motori di ricerca). La Wikipedìa anglofona e altre simili fonti sono molto ricche e, perlopiù, coerenti ed attendibili.
§6.2 Scacchi giapponesi, parte 2ª di 3: le mie proposte lessicali
I due giocatori.
La terminologia giapponese usa altre soluzioni; ma, benché non sia visibile nessun colore, in Occidente è comune chiamare nero il primo giocatore dello shōgi, e bianco il secondo. Va bene, va abbastanza bene. Ma, se dico il primo e il secondo, è ancor più semplice e non è mai ambiguo: evitiamo confusioni col gioco occidentale, dove, al contrario, muove per primo il bianco.
Tutti i pezzi!
Il soldato; oppure, anche pedone. Ma, come per gli scacchi cinesi e per gli scacchi coreani, preferisco distinguere, e dunque dire soldato: non catturano mica in diagonale, tutti questi soldati dell'Asia più lontana. Il soldato nipponico è proprio uguale a quello cinese nel suo stato originario (il movimento cambia, negli scacchi cinesi, per il soldato che ha superato il fiume).
Il re. È il pezzo regale ed è davvero identico al re occidentale, e già proto-indiano, ecc. (Nella terminologia giapponese, sarebbe uno dei diversi generali: variamente etichettato come generale di gioielli e così via.)
La lancia: una torre che muove solo in avanti, solo in verticale. (Il rocco incensato, il carro con l'incenso! Rocco ovvero carro ovvero torre... Chiudo parentesi. Ma sarebbe bello, qualche volta, tornare a dire rocco, come si diceva, anche in Italia, prima che il termine scacchistico torre avesse la meglio -- diciamo ancora arròcco, che deriva da questo vecchio ròcco disusato, e che non ha nessun legame etimologico con la ròcca: è invece da rukh persiano e arabo, e significava originariamente "carro", proprio come, ancora oggi, le corrispondenti parole degli scacchi estremorientali. Chiudo parentesi.)
Il cavallo. Se ho desiderio o necessità di precisare che, sì, salta ippogonalmente, ma va solo in avanti nelle due direzioni quasi verticali (nord-nord-est o nord-nord-ovest, per intenderci), e dunque non è il normale cavallo scacchistico (occidentale ma già proto-indiano ecc.), e nemmeno un cavallo cinese e coreano (sinèquo!, vedi sopra, §4), ma proprio il peculiare cavallo del Sol Levante, allora posso dire... nippèquo, o nippo-èquo. Il nippequo, i nippequi.
L'argento e gli argenti; il dorato e i dorati. Preferisco così, per ragioni estetiche e fonetico-pratiche: non l'oro; e, decisamente, non l'argentato. Si possono certo chiamare, estesamente, generale d'argento e generale d'oro: ma sono nomi lunghi, scomodi, superflui. Come nome generico o complessivo per gli argenti e i dorati, mi sono inventato che ameremo dire un metallo e i metalli. (I generali non va troppo bene: è piuttosto ambiguo, perché in giapponese è un generale pure il re.)
La torre; l'alfiere. Identici ai due pezzi occidentali, come il re. (Alla giapponese, sarebbero rispettivamente il rocco volante e, prosaicamente, il diagonale! Un'aggiunta tardiva, quest'ultimo pezzo, rispetto al sistema originario: e la terminologia tradisce il divario cronologico, per il diagonale -- come per alcuni altri pezzi vari ed eventuali che caratterizzano o caratterizzavano altre varianti più grandi, ma non esistono nel tipo principale di shōgi, che è l'unico di cui andiamo trattando.)
Pezzi deboli promossi, ovvero pro. Possiamo usare pro, anche in funzione di prefisso, come abbreviazione di promosso; usiamolo unicamente per i pezzi promossi con la promozione standard, che sono tutti tranne la torre e l'alfiere. Un soldato pro, o anche un pro-soldato. Posso anche dire un pro, che potrà essere un pro-soldato o una pro-lancia o un pro-cavallo o un pro-argento. Possiamo introdurre pro-metallo come termine collettivo che include il pro-argento e il dorato (il dorato non conosce promozione ma ha invariabilmente il movimento di tutti i pro: lo possiamo considerare un pezzo promosso già in partenza).
Pezzi forti promossi, ovvero incoronati. Negli scacchi giapponesi, la torre e l'alfiere sono i pezzi forti. Preferisco non chiamare pro-torre e pro-alfiere (o torre pro e alfiere pro) le rispettive promozioni, per evitare ambiguità e confusioni. Tutti i pro, come abbiamo detto, muovono come un dorato. Invece, per i pezzi forti, la promozione è un'incoronazione, ovvero ibridazione con re non-regale: la torre e l'alfiere diventano rispettivamente torre (in)coronata e alfiere (in)coronato, cioè torreré e alfiereré, in modo estremamente logico, elegantemente razionale. Ancor più concisamente, se ricorro al mio vocabolario personalissimo e informale (vedi sopra, sezione §3), posso dire: la torlé, le torlé; l'afré, gli afré. Proporrei inoltre di usare gli incoronati o i coronati, come termine generico per entrambi. Per esempio... Il primo (che sarebbe il nero) ha promosso l'altra torre: ora, con questa torreré (o anche torlé), ha tutti e quattro i coronati. (Ne deduciamo che il secondo ovvero bianco non può avere né torre né alfiere, né alcun coronato: vedi qua sotto, Posare o paracadutare i pezzi catturati. Ma l'esempio è improbabile e principiantesco, essendo io un ingenuo principiante.) Elegantemente razionali, dicevo, sono le promozioni dei due pezzi forti -- tutt'altra questione, i nomi! I giapponesi, e non solo loro, chiamano i due coronati dello shōgi con nomi estremisticamente bizzarri, slegati dai nomi e dalle identità dei rispettivi pezzi semplici. Bene. Cercàteli su Google, se v'interessano a tal punto. Io, per me, preferisco una comune terminologia da scacchi eterodossi, perché questi stessi pezzi si ritrovano anche in altri giochi di scacchi (vedi ad esempio gli straordinari scacchi spartani di Steven Streetman, ai quali ho dedicato una lunga pagina -- clicca qui).
Posare o paracadutare i pezzi catturati.
Mirabilmente, incredibilmente, spettacolarmente, il tipo principale di scacchi giapponesi, dal 16º secolo fino a oggi, è un crazyhouse ovvero una duiglia (vedi sopra, sezione §5, per questa mia coniazione: düìglia, sul modello di quadriglia). I pezzi che catturi diventano tuoi, e li puoi piazzare sul campo di gioco, secondo modalità meravigliosamente simili a quelle del crazyhouse nostrano (invenzione assai recente: indipendente, pare, anche se qualcuno ne dubita). Ecco perché, se per esempio un giocatore ha due torri (coronate o no), il suo avversario certamente non ne ha nessuna. (Nello schieramento iniziale, infatti, ciascuno ha una sola torre, e un solo alfiere. Se hai due torri, vuol dire che una è quella che hai sottratto all'avversario.)
§6.3 Scacchi giapponesi, parte 3ª di 3: i pachidermi, gli effetti dell'alcol e l'immunità da scacco
Negli scacchi ci sono gli elefanti. Il reparto militare degli elefanti è una delle quattro parti del caturaṅga: parola che vuol dire "quattro parti", in sanscrito. E il caturaṅga era l'esercito: sia l'esercito vero, sia la pacifica riduzione logico-strategica, gioco dell'intelletto. Dall'India, presumibilmente a partire dal 6º secolo, gli scacchi si diffusero e migrarono e mutarono. All'estremo occidentale del continente eurasiatico, la penisola iberica conserva ancora oggi, per via di prestiti lessicali, il vecchio nome indiano: dalle lingue indoarie al persiano chatrang, di qui all'arabo shaṭranj, da cui lo spagnolo ajedrez e il portoghese xadrez. (Le altre lingue europee, invece, no.) All'estremo opposto del macrocontinente... c'è il gioco giapponese, di cui torniamo subito a parlare.
Conoscete la storia degli scacchi? Se non avete grandi problemi a intendere l'inglese scritto, dovete leggere o consultare principalmente un libro, un solo grosso libro, di qualche tempo fa: A History of Chess (Oxford, 1913) di H. J. R. Murray. Non importa comprarlo chissà dove e a chissà quanto, e nemmeno andarlo a cercare nelle biblioteche (ma, sì: varie biblioteche italiane lo possiedono, almeno al nord). È disponibile su internet in immagini digitali, gratis. E, anzi, in diverse digitalizzazioni! Se avete trovato una riproduzione deludente, in cui i diagrammi grafici risultano illeggibili in gran parte, e varie pagine (come l'indice analitico) sono sfigurate e quasi inservibili, be', non disperate: ce n'è almeno un'altra, migliore.
Questo libro di Murray è straordinario e resta come punto di riferimento principale, per quanto l'età si faccia sentire. Murray, ricercatore poliedrico e rigoroso, era un vero specialista per ciò che riguarda le vicende degli scacchi occidentali e degli scacchi arabi, da cui quelli derivano. Apprese l'arabo e raccolse un'enorme mole di documentazione araba, conducendone un'analisi di prima mano. Per i giochi scacchistici di altre parti del mondo, si valse di collaboratori e corrispondenti, e di fonti nelle lingue occidentali (originali o traduzioni). C'è anche il capitolo su Cina, Corea e Giappone, naturalmente. E quindi, c'è lo shōgi. (Lo shōgi è un gioco scacchistico: appunto gli scacchi giapponesi, per dirlo in modo neutro, inattaccabile e universalmente comprensibile. Lo precisiamo per quelli che pensano che i manga non siano fumetti, e così via. Alcune forme di esterofilia sono davvero strane.) Come si può intuire, per un occidentale nei primi anni del Novecento non era affatto facile raggiungere una conoscenza molto completa e affidabile per una realtà così lontana ed esotica. Per lo shōgi e per la sua storia, infatti, l'opera di Murray non è il massimo.
Comunque, veniamo decisamente agli elefanti. Gli elefanti, nei giochi scacchistici, sono perlopiù dei pezzi deboli, o debolissimi, con un movimento diagonale a corto raggio, di due sole case: così era negli scacchi persiani ed arabi, ed europei medievali; così è ancora oggi (senza nemmeno il salto) negli scacchi cinesi.
In arabo, "l'elefante" si dice al-fil: sono infatti gli alfieri, in italiano. -- Be', non proprio i nostri alfieri. A partire dagli anni 1480 o 1490, in Europa si realizzò la straordinaria ma silenziosa riforma degli scacchi alla rabbiosa, che in pochi decenni trionfarono, soppiantando il gioco all'antica: i movimenti della donna e dell'alfiere cambiarono radicalmente. Ma i nomi, come donna/regina e alfiere, perlopiù non cambiarono: in italiano, restano invariati.
Per gli elefanti, (a) il movimento diagonale a corto raggio è, secondo Murray -- pagine 59-60 --, la prima variante in ordine cronologico. Tuttavia risulta che, già nella fase indiana originaria, purtroppo quasi priva di documentazione diretta, per lo stesso pezzo siano esistite altre due regole alternative: (b) movimento orizzontale o verticale a corto raggio; (c) una sola casa nelle quattro direzioni diagonali, o verticalmente in avanti, per un totale di cinque direzioni possibili.
L'elefante di tipo (c), che per brevità possiamo chiamare elefante tailandese o, a piacere, birmano ecc., è completamente diverso dagli altri due, ed è graziosamente iconico: i cinque punti di movimento corrispondono ai cinque arti del grosso pachiderma, cioè alle quattro zampe con l'aggiunta della proboscide. Il movimento verticale in avanti (proprio la proboscide!) rende l'elefante cambogiano un pezzo orientato.
Negli scacchi occidentali, e in molti altri membri della famiglia scacchistica, soltanto i pedoni sono orientati: tutti gli altri elementi (i pezzi veri e propri) hanno possibilità di movimento ottimamente simmetriche, senza distinzione alto-basso o destra-sinistra. Al contrario, la presenza di molti pezzi orientati caratterizza proprio gli scacchi giapponesi: il re e i due pezzi forti, nello shōgi, sono gli unici a non essere orientati. Non ho incontrato quest'informazione delle mie sparse letture sullo shōgi, ma sospetto che proprio l'antico elefante di tipo (c), che si nasconde tuttora in questo gioco col nome di generale d'argento, sia stato storicamente l'innesco e l'ispirazione per gli altri mutamenti di regole che hanno condotto a una netta prevalenza di pezzi orientati.
Come ho accennato in modo cursorio, l'elefante di tipo (c), sotto il nome di elefante o sotto altri nomi, si trova nei vari giochi scacchistici del sudest asiatico: il makruk dei tailandesi, il sittuyin dei birmani, eccetera. In più, si trova proprio nello shōgi. Questa comunanza o convergenza, naturalmente, era già stata notata fin dalle prime analisi: ben prima di Murray, già almeno nell'Ottocento.
Elefanti, consiglieri, nobiluomini, generali... Anche nella storia occidentale degli scacchi, del resto, alcuni nomi di pezzi hanno conosciuto notevoli incomprensioni, con conseguenti cambiamenti e diffrazioni di varianti, soprattutto a causa dell'opacità dei nomi arabi: ad esempio il consigliere, femminilizzato in alferza, ferzia, fercia, fierge ecc., diventò subito una donna o regina. Ma in fondo, ancora oggi (gennaio 2025), i fiduciosi lettori della Wikipedìa italofona leggono ad esempio che le torri «nell'antico gioco indiano erano raffigurate da torri sorrette su degli elefanti»...! (Carri da guerra, nient'altro che carri: la torre o rocco è un carro, in origine: non c'entra proprio nulla l'elefante -- e nemmeno la figura della torre, tarda invenzione europea.)
I dorati, gli argenti. Generali d'oro, generali d'argento. In inglese, per lo shōgi, sono giustamente correnti i nomi brevi: gold(s), silver(s), con le ottime abbreviazioni G, S. (Generale d'argento e generale d'oro: i nomi lunghi sono scomodi, ma belli. Se parlerò di scacchi giapponesi in qualche scritto letterario, li dovrò usare. E, a me che sono generazionalmente e spiritualmente uno zerocalcariano direi quasi canonico e integrale, ricordano tanto i Cavalieri dello Zodiaco! Cavalieri d'argento, cavalieri d'oro.)
Nei giorni scorsi, oltre a imparar le regole dello shōgi, e a cercar di risolvere la dolorosa questione della visualizzazione ottimale e amichevole dei pezzi, e a fare qualche personale esercitazione (anzitutto sull'imbarazzante minishogi 5x5, contro la macchina), mi sono fra l'altro dedicato alla lettura di spiegazioni e divagazioni varie, anche sulla storia del gioco. Ho riletto la breve parte giapponese di Murray 1913; ma, soprattutto, ho consultato parecchie pagine web, in inglese (pure qualcosa in italiano, per curiosità). Non mi sembra proprio che la natura intimamente elefantiaca degli argenti venga abitualmente ricordata. Lo sapranno, in Giappone, che gli argenti sono in origine elefanti? Non so. Gli esperti del versante storico lo devono saper per forza, ma forse il giocatore comune l'ignora, e sta bene così.
Eppure, senz'aspettarmelo, proprio il fatidico martedì 21, quando avevo appreso le regole da poche ore, ho fatto un'eccezionale "scoperta"! La moderna variante principale dello shōgi, cioè quella di cui parliamo, nacque verso la metà del 16º secolo, con
l'eliminazione dell'elefante ubriaco (!) e
l'introduzione del paracadutaggio dei pezzi.
La variante principale dello shōgi, 9x9, è un tipo di scacchi giapponesi piccoli (shō shōgi), così chiamati in riferimento alle varianti su scacchiera ancor più grande (suddivise in scacchi giapponesi medi, grandi... e pure grandissimi, fino all'eccesso di bizzarrie ingestibili). A quanto leggo, è nel 15º secolo che erano stati introdotti sulla scacchiera 9x9 i pezzi della seconda traversa: l'alfiere e la torre, che sono rimasti, e anche l'elefante ubriaco, che stava in mezzo, proprio davanti al re. Questi pezzi esistevano già in precedenza negli scacchi giapponesi medi (chū shōgi), 12x12.
L'elefante ubriaco, che in qualche pagina web trovo indicato come elefante senza aggiunte ulteriori, ha regole di movimento intermedie fra quelle dell'elefante originario (generale d'argento) e quelle del re: muove come il re, tranne che verticalmente all'indietro, per un totale di sette direzioni. Ma, ancor più della curiosa sopravvivenza terminologica e della strana aggettivazione alcolica, m'ha stupito e colpito la promozione di questo pezzo: l'elefante ubriaco, nelle varianti in cui è presente, promuove a principe ovvero a secondo re, con una forma di regalità condivisa! Quando si sia raggiunta questa promozione, abbiamo nientemeno che la semi-regalità o, nei termini dell'ottimo H. G. Muller, regalità a estinzione (extinction royalty in inglese): per la precisione, senza la regola dello scacco duplice (duple check in inglese), cioè con completa immunità da scacco (check immunity in inglese) finché il giocatore mantenga sia il re originario sia il principe o erede o secondo re.
(Guardando alle varianti di shōgi su scacchiera estesa, fra gli innumerevoli e complicatissimi pezzi troviamo anche altri elefanti, variamente etichettati. I loro movimenti sono molto diversi; non sono coinvolti i pezzi regali.)
Secondo alcuni, l'eliminazione dell'elefante ubriaco è correlata con l'introduzione e col grande successo della regola del paracadutaggio (come nel crazyhouse o duiglia): l'elefante ubriaco sarebbe stato rimosso per evitare conflitti fra il riinserimento dei pezzi catturati e la potenziale presenza di pezzi con regalità condivisa.
... E questo è proprio un argomento a cui brevemente alludo nell'ultima sezione, §5, della mia pagina sugli scacchi spartani e sulle altre varianti con due o più pezzi regali per giocatore. (On Spartan Chess and Spartan Mirror, and other variants with more than one king per player: collegamento qui.) Mentre scrivevo quella sezione, e tutto il resto della lunga pagina, non avevo la minima idea che, di lì a poco, avrei ritrovato le stesse problematiche in un gioco antico e importante e affermato, geograficamente remoto, come gli scacchi giapponesi. Davvero impressionante!
Sbalordimenti privati, coincidenze personali, ragionamenti fra me e me; ma non soltanto. Il mondo dei giochi scacchistici è stupefacente. Per quel che posso giudicare, in base a ciò che so e che ho capito, direi che gli scacchi hanno raggiunto i loro massimi gradi di complessità, raffinatezza e armonia proprio ai due estremi opposti dell'Eurasia: in Occidente e in Giappone. Mi colpiscono particolarmente varie casuali e indipendenti convergenze fra i rispettivi sviluppi, così distanti fra loro (con gli inevitabili sfasamenti temporali).
Nel 16º secolo, in Italia vivevano Michelangelo, l'Ariosto, i papi medicei. Quanto al nostro gioco, solo da pochissimo tempo s'erano fatti strada gli scacchi occidentali moderni, inizialmente chiamati della donna oppure alla rabbiosa, ed erano ancora mutevoli nel tempo e nello spazio alcune regole, come quelle che avrebbero portato alla precisa definizione dell'arrocco. Contemporaneamente, nel lontanissimo Giappone finiva di delinearsi, come abbiamo detto, la variante principale dello shōgi.
In ordine, alcuni punti sulle più interessanti convergenze.
Sia in Giappone che in Occidente è stato inventato e introdotto lo stesso pezzo con movimento diagonale a lungo raggio (l'alfiere moderno), sul modello del preesistente e universale ortogonale a lungo raggio (la torre, o rocco, o carro). In Giappone l'alfiere fu trasferito al comodo tavolo 9x9 in un secondo momento, preso in prestito dalle varianti più grandi. Ma anche in Occidente avvenne forse una cosa simile: già ben prima di diventare il sostituto dell'alfiere medievale, l'alfiere moderno, sotto il nome di Kurier (corriere o corriero o messaggero), era stato uno dei pezzi speciali aggiuntivi della principale variante europea medievale su scacchiera ingrandita, 12x8. Inventata, pare, nel 12º secolo o ai primi del 13º, si chiama proprio Kurierspiel/Kurierschach, Courier Chess, scacchi del messaggero. (Dalla terminologia di questo vecchio gioco deriva fra l'altro l'improponibile uso di Mann o mann o man per i re non-regali.)
Paracadutaggio: la variante principale dello shōgi è un crazyhouse ovvero una duiglia (vedi sopra, §5), dal 16º secolo. Questo genere di variante, non compatibile con i pezzi tangibili che usiamo normalmente per il gioco dal vivo, è oggi praticata con gli strumenti informatici anche per gli scacchi occidentali. Deriva, in Occidente, dal bughouse o quadriglia. (Secondo alcuni è probabile che, in realtà, la convergenza con l'uso giapponese non sia casuale. La Wikipedìa anglofona dice: «the crazyhouse variant did not rise to prominence until the era of 1990s online chess servers, though it may be traced back further to the "Mad Mate" variant made in 1972 by Alex Randolph, a Bohemian-American game designer who moved to Japan and became an amateur dan-level Shogi player».)
Nella variante principale dello shōgi non c'è un pezzo superforte sovrapponibile alla donna o regina: come pezzi di massimo valore troviamo la torreré e l'alfiereré (non-regali ovviamente), promozioni rispettivamente della torre e dell'alfiere. Questi pezzi ibridi esistono, indipendentemente, anche in varianti eterodosse occidentali, benché solo raramente siano usciti dall'ombra della marginalità: la torreré è, ad esempio, uno dei pezzi forti degli scacchi spartani.
Come s'è detto poco sopra, alcune varianti di shōgi (varianti storiche di molti secoli or sono, con qualche riproposizione recente) prevedono una forma di regalità condivisa: un giocatore può trovarsi ad avere due re (semi-)regali. La stessa caratteristica, in forma identica o simile, si ritrova indipendentemente in interessanti eterodossie occidentali moderne, per le quali raccomando la mia pagina già citata (scorrete almeno i riferimenti alla Classified Encyclopedia of Chess Variants di Pritchard -- capitoli 9.6 Multiple kings present from the outset e 19.2 Substitute kings). Ho letto che qualcosa di simile poteva avvenire anche nei grandi scacchi di Tamerlano o Timur Lang (Timur's Great Chess, Tamerlane Chess), 11x10: un re avventizio, ottenuto per promozione, poteva in certe condizioni sostituire il re vero e proprio, ereditandone la regalità. I grandi scacchi di Tamerlano nascono, come espansione degli scacchi arabi, nell'Asia centrale del 14º secolo: le invenzioni raffinate e felici, naturalmente, non sono esclusive degli scacchi europei e di quelli nipponici. (Proprio ai grandi scacchi di Tamerlano risalgono, fra l'altro, i significati eteroscacchistici moderni di termini fondamentali come wazir e dabbaba -- parole che, per altre antiche varianti, nonché per gli scacchi standard nel caso di wazir, sono o furono usate anche con significati indipendenti e diversissimi.)
Una pagina molto lunga. Non pensavo, non sapevo... Ma, ormai, siamo arrivati qui. Spero che qualcuno la trovi interessante. With an Italian appendix!...