Colognora Google e i Longobardi

Cliccare qui per tornare alla pagina iniziale.

Avviso ai naviganti! Per chi si chiede come possa un dialetto essere stato portato a Cológnora dai Longobardi e anche dai cartai di Voltri nonché dai fabbri di Bergamo e Brescia. Con una lunga parentesi su pregi e difetti del libro I misteri degli ultimi Longobardi. E con altre divagazioni per chi sia interessato agli studi su Colognora.

I motori di ricerca sono senz'altro una risorsa di straordinaria utilità. Scrivendo nell'apposito spazio una parola o una semplice combinazione di parole, riusciamo in pochi istanti a scoprire o recuperare informazioni e trattazioni che spesso, in assenza di strumenti informatici, sarebbe assai più difficile trovare, se non perfino impossibile.

Io stesso, naturalmente, ricorro con frequenza ai motori di ricerca, anche per questioni strettamente legate ai miei studi specialistici. Tuttavia, è importantissimo sapere e far sapere che la strabordante massa dei materiali disponibili nella Rete va maneggiata con cura. Per molte discipline, fra cui la dialettologia italiana e in generale la linguistica, si può dire che la maggior parte di ciò che è reperibile direttamente su Internet è fuorviante ed errato, se non completamente assurdo. Siti come it.wikipedia.org, pur meritori per certi versi, sono gravemente inattendibili: i luoghi della cultura specialistica sono ben altri, come sa chiunque abbia mai frequentato una biblioteca universitaria.

Quest'Avviso ai naviganti è dedicato soprattutto a chi abbia scovato le mie pagine interrogando Google sul dialetto di Colognora in Valleriana. Come avete trovato il mio sito, così ne avete trovati anche degli altri: e quante teorie, che bel dibattito, che vivace avvicendarsi di popoli nei secoli!

I Longobardi, o i mercenari al seguito dei Longobardi, e i cartai venuti da Voltri in Liguria, e i fabbri di Bergamo o, più probabilmente (?), della zona di Brescia... Son queste le genti che, di volta in volta, vengono citate come responsabili dell'esistenza del particolare dialetto nel paese di cui stiamo parlando.

Gli studi effettuati e la concretezza dei fatti mostrano che, in realtà, quelle che abbiamo appena citato non sono teorie sostenibili: si tratta di idee che sono state effettivamente proclamate e riportate in alcuni libri, ma senza nessun valido fondamento. Coloro che le hanno elaborate si sono basati solo su fantasie, suggestioni e vaghissimi indizi: non su una normale analisi del dialetto, né su prove storico-documentarie. L'unico dettaglio che si potrebbe forse salvare, delle ipotesi a cui abbiamo accennato, è che gli originari portatori del dialetto fossero prevalentemente dediti alla lavorazione dei metalli: ma anche questo resterebbe eventualmente da dimostrare, nell'improbabile caso che fosse vero. È completamente infondata e incomprensibile, comunque, l'idea di chi ha sostenuto — in un libro del 2004 — che la particolarità linguistica di Colognora consista in parole ed espressioni legate al mestiere del fabbro.

Come ho detto, queste spiegazioni su Colognora sono riportate in alcuni libri. Si tratta di volumi e di articoli ben precisi, che conosco uno per uno, in modo diretto. I libri, naturalmente, hanno nomi e cognomi, ed è importante individuarli e distinguerli gli uni dagli altri. Per sostenere un'idea, non possiamo affidarci ad affermazioni come «Sta scritto in un libro». I libri, in generale, sono innumerevoli: ognuno diverso dagli altri. Ci sono libri ottimi e libri pessimi, libri autorevoli e libri inaffidabili.

E come commentare il pensiero di chi dice «L'ho letto su Internet», credendo magari di citare una fonte autorevole? La Rete non è niente in particolare: è solo un vastissimo insieme di pagine alle quali contribuiscono, perlopiù in modo incontrollabile, milioni di individui da tutto il mondo. Ci si può trovare di tutto, nel bene e nel male.

Nel caso specifico del dialetto di Colognora, la ricerca su Google ci suggerisce alcuni siti che contengono solo una piccola parte di quel poco che si può trovare nei preesistenti libri stampati, praticamente senza un pur minimo contributo originale. Colpisce, in alcuni casi, la particolare scorrettezza delle citazioni: l'originaria fonte cartacea non viene indicata nemmeno sommariamente, e compaiono errori materiali, intercorsi nel processo di trascrizione o digitalizzazione.

Di certo la spiegazione che va per la maggiore è quella longobarda, probabilmente a causa del suo particolare fascino (?). Dobbiamo ammettere e ricordare che l'idea del legame coi Longobardi è effettivamente presente nella cultura popolare di Colognora: la curiosa nozione che il cológnoro sia un dialetto longobardo è radicata in gran parte degli abitanti, e anche alcune fra le persone anziane affermano, se interrogate, di aver sempre sentito parlare dell'origine longobarda. Perciò, il richiamo all'antico popolo germanico è opportuno e interessante per quanto riguarda la percezione del dialetto da parte della comunità, sebbene non abbia la minima credibilità storico-linguistica, come mostreremo verso la fine di questa lunga pagina.

Ritroviamo la famigerata ipotesi longobarda, espressa in una forma diretta e sicura, perfino in qualche sito web di lingua inglese: «[...] Colognora in the lucchese mountains between Collodi (Pinocchio's land) and Boveglio. They speak a language which comes from Longobard». Parlano una lingua che viene dal longobardo!

Non ci può affatto stupire, a questo punto, che il misconosciuto e bistrattato dialetto venga fatto risalire al longobardo anche dal trafiletto su Colognora incluso della pagina elaborata dai ragazzi della scuola media inferiore di Villa Basilica, pubblicata su "La Nazione" (Cronaca di Lucca, 5 aprile 2011) e agevolmente reperibile anche in Rete. Naturalmente non intendo rivolgere alcuna critica contro nessuno dei giovanissimi studenti-giornalisti. Se considerata come esercizio scolastico per quella fascia d'età, la pagina è certamente un buon prodotto, compresa la parte su Colognora. Tuttavia, trovo personalmente spiacevole che nel trafiletto non siano state minimamente sfruttate le delucidazioni che, un mese prima della pubblicazione, su richiesta, avevo fornito a quell'unica studentessa delle classi coinvolte che abita a Colognora (ricordiamo che Colognora è frazione del comune di Villa Basilica). Non solo non compare nemmeno una traccia di quel contributo personalizzato che volentieri avevo offerto, sottraendo più di un'ora alla mia ricerca dialettologica (mi trovavo infatti a Colognora per le mie solite attività), ma l'articolo include addirittura le seguenti affermazioni: «Anni or sono alcuni studenti dell'Università di Pisa hanno cercato di fissarne le caratteristiche principali, di ricavarne vocabolario e regole. Tentativo che non ha dato i frutti sperati». Immagino che queste parole — francamente offensive nella loro falsità, poiché lo studente pisano sono io, malamente celato nell'arbitraria pluralizzazione — fossero già state scritte prima che la ragazza parlasse con me, e che in seguito, discutibilmente, sia stato deciso di non modificarle. Ripeto e confermo che non voglio indirizzare alcuna critica agli allievi della scuola media; d'altra parte, si potrebbe indubbiamente pretendere un maggiore controllo critico da parte degli insegnanti.

Proprio dal mondo della scuola media inferiore, dove ha operato come insegnante e come preside, proviene l'autore dell'unico libro finora pubblicato che, almeno nelle intenzioni, sia integralmente dedicato a Colognora di Valleriana. Naturalmente se ne trova traccia anche su Internet, cercando su Google o nel catalogo delle biblioteche lucchesi. Il libro è recente. Per caso, è capitato che sia stato pubblicato nelle stesse settimane in cui io — avendo già analizzato i pochi materiali reperibili, editi o inediti — diedi inizio alle mie indagini dal vivo sul dialetto di Colognora, nel maggio del 2009. Fui molto contento quando seppi — per telefono, ancor prima di recarmi nel paese per la prima volta — che era stato fatto un libro. In base a ciò che mi fu detto dall'autore stesso e da altri, immaginavo che si trattasse di ricerca originale: anche sul dialetto, mi dissero. In realtà siamo di fronte a un confuso volume a prevalente carattere compilativo, quasi completamente inutilizzabile, intitolato I misteri degli ultimi Longobardi (!). Non c'è sostanza né per la storia né per la linguistica. Promossa dall'amministrazione comunale e pubblicata da Maria Pacini Fazzi Editore, l'opera è lontana tanto da qualunque prospettiva scientifica, quanto da una desiderabile dimensione divulgativa. Il modesto volume fu sontuosamente presentato in ben due occasioni, prima nel centro di Villa Basilica, poi a Colognora, e distribuito alla cittadinanza.

Si voleva dare un libro al paese, e il paese l'ha accolto con gioia. L'autore del libro, professore perché ha insegnato alle scuole medie inferiori, è localmente ritenuto un'autorità culturale. Il suo legame con Colognora, acquisito per via matrimoniale, è solido e di lunga data. Tutti lo conoscono.

Senz'altro il libro ha assunto un posto di rilievo nella vita paesana, come oggetto identitario oltre che in relazione a feste e celebrazioni varie. Tuttavia, dato che si presenta come una seria pubblicazione d'argomento storico, ci permettiamo qui (e solo qui) di considerarlo dal punto di vista sostanziale.

Sia chiaro: non ho niente, in linea di principio, contro gli studi locali di scarso valore scientifico. Esistono ed è giusto e normale che esistano. Spesso hanno un ruolo sostanzialmente positivo, recando comunque con sé un briciolo di verità o un fermento d'interesse.

Nel nostro caso, il professore aveva partorito il libro senza essersi nemmeno mai confrontato con un dialettologo, per cui è inevitabile che la parte linguistica sia inconsistente e ricca di fraintendimenti, tranne che in alcuni dei brani tratti letteralmente o quasi letteralmente dagli scritti altrui. Parlando qualche volta con l'autore, in quell'avanzata primavera del 2009, io provvidi personalmente a fornirgli informazioni generali sugli studi in corso — i miei — e su quelli passati: gli accennai alle ricerche inedite di Daniele Vitali, comprensibilmente sconosciute al professore, e gli comunicai che Luciano Giannelli è vivo e sta bene (Giannelli, ottimo studioso e professore ordinario all'Università di Siena, da poco in pensione, come vedremo è l'unico linguista che abbia mai pubblicato qualcosa riguardo al cológnoro).

Le mie conversazioni con l'autore del libro sui misteri dei Longobardi, comunque, furono brevi e sporadiche. Prestissimo emerse che egli non nutriva interesse per i miei studi né per il loro oggetto. Non mi ha mai contattato, nemmeno una volta. Da parte mia, anch'io lo contattai solo pochissime volte, avendo prontamente costatato la sua indifferente estraneità alla prospettiva degli studi specialistici.

Fin qui, niente di male. Ripeto: fin qui, niente di male. Il fatto è che nel successivo anno 2010, per la festa patronale di Colognora (29 settembre), fu organizzato, con vasta partecipazione di popolo, un piccolo incontro culturale, solennemente presentato come il 1250º anniversario della fondazione della chiesa parrocchiale (c'è un bel fraintendimento storico-architettonico, ma sorvoliamo su questo punto). Bisogna ricordare che all'evento parteciparono anche due giovani studiosi, rispettivamente un archeologo e un archivista, contribuendo con interventi validi e interessanti. Non lo stesso si può dire per il discorso tenuto dal solito professore che, come nelle precedenti presentazioni pubbliche, ripercorse e ripropose oralmente i tratti e i contenuti del solito libro di austere fantasie sui Longobardi, compresa la parte linguistica. Egli era informato ormai da molto tempo sul mio lavoro dialettologico in corso, nonché sull'esistenza dei pochi altri studiosi che, pur in modo sommario, si erano sensatamente e meritoriamente occupati del dialetto di Colognora negli anni precedenti. La mia raccolta di dati era naturalmente in fase assai avanzata, e ben volentieri avrei potuto contribuire all'incontro, se mi fosse stato chiesto. Qualora io per qualche motivo non fossi andato a genio a qualcuno, si poteva senz'altro provare a coinvolgere almeno uno degli altri studiosi pertinenti. Invece, nessuno di loro fu invitato né consultato, e io stesso ero presente quasi per caso, poiché nessuno aveva provveduto ad avvisarmi. A distanza di più di un anno dalle due presentazioni del libro, la pubblica e seriosa reiterazione delle identiche ingenuità sui Longobardi di Colognora — inclusa la mirabolante trattazione linguistica! — mi lasciarono esterrefatto.

Non neghiamo che, negli aspetti esteriori, i discorsi pubblici del professore non sono poi male. Ha una certa eleganza, è sicuro di sé, sa entrare nel ruolo. Recita convenientemente la parte dello studioso, ostenta termini tecnici, menziona Gerhard Rohlfs e l'Accademia della Crusca come se parlasse a un pubblico che li conosce. Ma i contenuti, all'orecchio di chi conosca realmente le materie trattate, sono oggettivamente molto deboli e, a tratti, sconcertanti.

Sorprende la carenza di dichiarazioni di modestia, sorprende il mancato rimando all'autorità degli studiosi pertinenti (e viventi, e attivi). Io, naturalmente, non esisto. Durante il discorso del 29 settembre 2010, io sono presente, fra l'uditorio, a pochi metri dall'oratore. Sa benissimo che ci sono, è da ore che ci troviamo vicini. Non intervengo in alcun modo perché non voglio disturbare le solenni cerimonie, ma lui sa che io so. Abbiamo anche parlato, dopo tanti mesi: gli ho accennato alla prosecuzione degli effettivi studi su Colognora e alla mia attuale posizione universitaria. Sono presente, ma la mia esistenza non viene considerata. Sembra che ci siano solo i Longobardi, Longobardi ovunque. Secondo il nostro conferenziere, qualunque domanda su Colognora è una domanda sui Longobardi. Poco prima della conferenza gli ho chiesto, su esplicita preghiera di una persona anziana a cui interessava quest'informazione, se per caso sapeva a chi appartenesse un certo tabernacolo, la margine che si trova in cima al paese. Naturalmente non lo sa, ma in questo non c'è niente di male: in generale io rispondo «Non lo so» alla maggior parte delle domande che mi vengono fatte. Un po' diversa è la risposta del mio interlocutore: mi dice che, per avere quelle informazioni sulla margine, bisognerebbe andare a consultare gli archivi a Roma, o altrimenti in Germania. Proprio così, notizie sulla margine «in Germania»! Colognora, nella fantastica teoria del professore, è tutta una questione di Longobardi e, a occhio e croce, questi Longobardi devono essere più tedeschi che italiani...

Ribadisco che non sto assolutamente polemizzando con le oneste ricerche amatoriali, né con quei dilettanti che hanno una grande passione per qualche disciplina ma non dispongono delle capacità o delle conoscenze necessarie. Ho anzi una certa simpatia, in generale, per gli studiosi amatoriali. Lo studioso amatoriale, soprattutto se ha contatti e collabora con la cultura superiore e specialistica, può perfino giungere a risultati molto notevoli.

Il caso dei misteri longobardi è completamente diverso. Non ho visto altro che una recita. Si gettano in pasto al popolo parole tecniche fraintese e incomprensibili, trascurando integralmente la ricerca della verità.

Lo stesso titolo, I misteri degli ultimi Longobardi, rivela molto sulla natura dell'opera. Sembra che l'autore creda davvero che Colognora e la sua storia racchiudano dei misteri: il dialetto è un mistero, ma non certo l'unico. Li elenca. Enumera i misteri, a voce o per iscritto. Può capitare che, di punto in bianco, emerga un nuovo mistero da aggiungere alla lista.

Al lettore che s'immerga in un siffatto mare di misteri — io, per dovere, ho letto il libro due volte — può peraltro balenare l'impressione, certamente erronea, che il professore non sia mai stato iniziato ai misteri della grammatica italiana. C'è qualcosa che non va sintatticamente, per esempio, a p. 7 in basso e a p. 14 verso l'inizio, come in diverse altre pagine. Nell'intero volume l'uso delle maiuscole non segue regole che vigano ai giorni nostri. Dei corsivi, non ne parliamo.

Non si creda, comunque, che la debolezza del libro sia di carattere formale. Il problema sono i contenuti, come abbiamo già fatto intendere e come emerge fin dal titolo. Chi desiderasse un minimo saggio delle perle di sapienza elargite nel corso dell'opera, potrebbe perlomeno consultare p. 28 nella prima metà e p. 40 verso la fine, oltre a tutta la parte linguistica.

D'altra parte... la copertina, che utilizza un disegno eseguito dalla figlia dell'autore, è piuttosto apprezzabile, qualora si prescinda dalla coraggiosa accozzaglia di stili tipografici così difformi — una scelta di cui non conosciamo l'artefice, e che in ogni caso rispettiamo.

Così come senz'altro rispettiamo, lasciando da parte le ironie, l'autore del libro e tutte le persone coinvolte. Le idee infondate restano infondate, le affermazioni errate restano errate, ciò che fa sorridere continua a far sorridere, ma questo non impedisce né sminuisce la comprensione e la deferenza che si devono a ogni persona umana. Particolarmente curioso resta per me pensare che solo per poco non ho incontrato il professore negli anni ormai distanti della scuola dell'obbligo, dal momento che questa persona ha lavorato, come insegnante e come preside, alla scuola media di Chiesina Uzzanese, mia attuale residenza e paese natale di mia madre: negli anni passati abitavo invece in un comune confinante, con altre scuole ed altri professori.

Ma insomma, se non c'entrano niente i Longobardi e nemmeno i cartai di Voltri o i fabbri di Brescia, che origini avrebbe questo dialetto? Bisogna dire che la cosa è molto meno controversa di quel che si potrebbe pensare. Se guardiamo agli studi esistenti, scopriamo che non c'è nessuna disputa fra teorie diverse e contrastanti.

Eh già, gli studi: oltre ai semplici accenni e alle varie pubblicazioni congetturali e fantasiose, esistono anche degli studi specifici, ai quali abbiamo già alluso. Pochissimi, ma esistono. I dialettologi che si siano occupati di Colognora, a quanto risulta, sono soltanto tre: Luciano Giannelli (con la collaborazione di Lucia Petrocchi Corradini), Daniele Vitali (traduttore professionista e dialettologo, da non confondere con l'archeologo omonimo) e il sottoscritto Emanuele Saiu.

Fra questi, finora uno solo ha pubblicato qualcosa riguardo a Colognora. Si tratta del professor Giannelli. Le pubblicazioni in questione si trovano nel terzo fascicolo dell'annata 14 (1986) della "Rivista di archeologia, storia, costume" e negli atti (usciti nel 1999) del convegno siciliano del 1994 Dialetti galloitalici dal nord al sud. Lo stesso Giannelli rimanda a questi suoi articoli in altri scritti di argomento più ampio, ed è principalmente grazie a questi rimandi che alcuni studiosi di dialettologia hanno qualche vaga notizia sul dialetto di Colognora. Io stesso, per esempio, seppi dell'esistenza del cológnoro quando, nel 2004, lessi per la mia prima volta Toscana di Giannelli, nono volume della collana Profilo dei dialetti italiani: Colognora è citata in una nota a p. 126, ma soltanto nella seconda e ultima edizione, che è del 2000. La prima edizione di questo libro risale al 1976: come ci si può aspettare, nell'edizione del 1976 non c'è ancora nessun cenno al cológnoro, dato che prima degli anni Ottanta questa parlata era completamente sconosciuta alla comunità scientifica.

Che cosa dice, dunque, il professor Luciano Giannelli? Naturalmente non ci possiamo limitare a leggere i riassunti che sono stati fatti da altri. Il già ricordato libro I misteri degli ultimi Longobardi, per esempio, riporta brani significativi dell'articolo di Giannelli del 1986, ma li riporta in maniera inaffidabile. Curiosamente, il libro longobardo arriva a sbagliare perfino il nome dell'unico linguista che abbia mai pubblicato qualcosa su Colognora. A p. 137 leggiamo infatti «Luigi Giannelli»: Luigi invece che Luciano! Non sono corretti nemmeno gli onesti resoconti del compianto Carlo Gabrielli Rosi (poi riversati anche su Internet), secondo cui Giannelli avrebbe evidenziato «colleganze con espressioni emiliane, romagnole e longobarde»: la parola longobarde, in questo caso, è presumibilmente una svista per lombarde. Giannelli, naturalmente, non parla affatto dei Longobardi: non li nomina nemmeno, perché non c'è ragione di nominarli. Bisogna dire anche che, a dispetto delle parole di Gabrielli Rosi, è errato affermare che il professore senese abbia «composto uno studio linguistico molto profondo» sul cológnoro: Giannelli, infatti, si limitò a sviluppare considerazioni sulla base delle brevi registrazioni raccolte amatorialmente a Colognora da Lucia Petrocchi Corradini, apprezzata studiosa locale di cose pesciatine. Quello del 1986 non è quindi uno studio compiuto, ma solo un breve saggio, in vista di «maggiori approfondimenti» (p. 9). Anche il successivo intervento di Giannelli, che abbiamo già citato, è basato sugli stessi dati.

Non abbiamo ancora risposto alla domanda. Che cosa scrive Giannelli sul cológnoro? Giannelli svolge una serie di sapienti osservazioni sui pochi dati a sua disposizione, soprattutto per il piano fonetico e fonologico (cioè su certi aspetti della pronuncia, in parole povere). In base ai dati, lo studioso collega ovviamente il dialetto di Colognora con le parlate dell'Italia settentrionale, facendo riferimento soprattutto alle zone di confine fra Emilia e Toscana, oltre che al dialetto di Gombitelli. Eh sì, la vicina Emilia: non c'è infatti nessuna ragione linguistica, né storico-documentaria, che ci porti a dover considerare specificamente zone più lontane come quella genovese o quella bresciana — che vengono direttamente chiamate in causa, come si è detto, da pubblicazioni non specialistiche.

(Gombitelli, frazione di Camaiore, risulta essere l'unica altra isola linguistica di antico insediamento all'interno del territorio linguisticamente toscano, oltre a Colognora. Ma, mentre Colognora è rimasta sconosciuta fino a poche decine di anni fa, il dialetto di Gombitelli è piuttosto famoso e fu ampiamente e correttamente analizzato e descritto già negli anni Novanta dell'Ottocento. Il pregevole articolo di Silvio Pieri su Gombitelli, pubblicato nel volume 13 [1892-1894] dell'importante rivista "Archivio Glottologico Italiano", è appunto il testo di riferimento per il gombitellese).

I «maggiori approfondimenti» su Colognora, auspicati dal professor Giannelli, hanno stentato ad arrivare. Sono passati i decenni, e tutti i cológnori nati nell'Ottocento o ai primi del Novecento sono scomparsi, secondo la legge di natura. Ma non è scomparso il piccolo e trascurato dialetto, che sussiste tuttora. Senz'altro, ancora oggi mentre scrivo, in questa metà di agosto del 2011, qualcuno sta parlando o pensando nel nativo dialetto di Colognora, a Colognora o altrove: anche a Torino, perfino a San Paolo in Brasile!

Il dialetto non è scomparso, e qualcuno è tornato a interessarsene. Se ne è interessato nel 2002 Daniele Vitali, andando personalmente a Colognora qualche volta. Daniele Vitali, bolognese, traduttore presso le istituzioni dell'Unione Europea, è un valido e appassionato studioso di dialetti dell'Emilia-Romagna, autore di moltissime inchieste sul campo, perlopiù inedite. Doverosamente, Vitali decise di recarsi anche nelle due isole linguistiche emiliane della Toscana, tentando il difficile reperimento di gombitellesi e di colognori che sapessero ancora parlare i rispettivi dialetti. A Colognora, la ricerca di soggetti adeguati per l'indagine dialettale gli risultò particolarmente problematica, perfino di più che a Gombitelli. Comunque, le registrazioni e gli inediti appunti di Daniele Vitali segnano un apprezzabile progresso per la conoscenza del dialetto in questione.

Io stesso, essendo entrato in contatto con Vitali per altri motivi negli ultimi mesi del 2008, devo soprattutto a lui l'idea di occuparmi di Colognora, favorito anche dalla casuale prossimità geografica (abito a 20 km dall'isola linguistica). A questo proposito rimando al mio documento Cológnora in Valleriana: ringraziamenti. Senza le inaspettate notizie che ebbi tramite Daniele, quasi certamente avrei perseverato nella convinzione che il dialetto di Colognora fosse scarsamente vitale già negli anni Ottanta (questa è l'impressione che si ricava dallo studio di Giannelli e Petrocchi Corradini) e che, passati altri decenni, non valesse la pena di tornarci sopra.

Ancor più significativo fu il mio personale contatto dal vivo con Colognora e coi suoi abitanti. Dopo aver preso accordi per telefono, mi recai nel paese per la prima volta nel pomeriggio di domenica 17 maggio 2009. In tale occasione mi fu possibile intervistare e registrare ben cinque persone diverse, avendo concreta conferma che queste — e ovviamente anche altre — usavano davvero il dialetto nella vita quotidiana: il fatto era entusiasmante e inatteso! Naturalmente gli studi dialettologici sul campo devono moltissimo alla paziente e intelligente collaborazione delle persone del posto: perciò ringrazio tutti nel modo più sentito, e rimando di nuovo ai ringraziamenti.

La vicenda è continuata e continua tuttora. La ricerca sul dialetto di Colognora, riconosciuta come più urgente e al tempo stesso più praticabile rispetto ad altri progetti che avevo in mente, è divenuta addirittura l'oggetto primario dei miei studi universitari. Già nel novembre 2008 avevo conseguito la laurea magistrale o specialistica; nell'ottobre 2009 sono stato ammesso al corso di perfezionamento, equivalente ai dottorati, della Scuola Normale Superiore di Pisa, presentando un progetto di ricerca incentrato proprio sulla descrizione di questo dialetto.

A Colognora ho raccolto finora quasi 400 ore di registrazioni, che comprendono indagini sistematiche di vario tipo, delle quali darò conto dettagliatamente nelle mie pubblicazioni. Non ho ancora pubblicato nessun articolo ma — nell'ambito universitario pisano e anche a Zurigo in Isvizzera — ho tenuto diverse presentazioni orali dei miei studi in corso. Inoltre, il 6 agosto 2011 ho partecipato da relatore al notevole convegno di studi storici su Colognora di Valleriana organizzato dall'Istituto Storico Lucchese.

(Benemerito convegno che, sia detto per inciso, ha rappresentato anche i primi passi davvero significativi per la conoscenza della storia di questo paese, tenendosi ben distante dalla sterile e bizzarra prospettiva longobardistica... Purtroppo la popolazione paesana non è stata invitata! In compenso, pare che il relativo volume, di prossima pubblicazione, avrà circolazione sul posto).

La ricerca sul dialetto prosegue, naturalmente, sulla stessa linea inaugurata da Giannelli e arricchita dall'inedito contributo di Vitali: quella è la linea corretta, e non vediamo altre vie percorribili. Questo non implica che io sia d'accordo con tutto ciò che questi studiosi hanno affermato e sostenuto: i meritori articoli del professor Giannelli contengono anzi imprecisioni ed errori piuttosto rilevanti, soprattutto a causa dell'amatorialità della raccolta dei dati (ricordiamo che Giannelli si basò su registrazioni effettuate da altri). Le mie future pubblicazioni, fondate su un corpus incomparabilmente più ampio rispetto agli studi precedenti, cercheranno di correggere, precisare e approfondire l'analisi, su tutti i piani. Ciò non significa, naturalmente, che io ritenga di essere l'unico linguista a doversi occupare di Colognora, né il depositario della verità su questo o su altri temi. Gli eventuali contributi di altri studiosi sarebbero certamente benvenuti.

In parallelo con la ricerca specialistica (o, come si dice, scientifica), sul dialetto di Colognora sto anche tentando un personale esperimento di divulgazione. Infatti, in generale mi piacerebbe che la scienza linguistica non rimanesse confinata nei ristrettissimi circoli degli studiosi. La dialettologia italiana potrebbe suscitare molto interesse, se fosse conosciuta: invece, la sua stessa esistenza rimane quasi del tutto ignota, o confusamente fraintesa. Io, a differenza di molti colleghi, provo spesso a diffondere qualche consapevolezza delle cose linguistiche anche fra i miei informatori, cioè fra le persone che mettono a mia disposizione la propria conoscenza del dialetto che parlano. Se qualcuno, come càpita, mi comunica convintamente qualche strana e insostenibile teoria sull'origine del proprio dialetto (vedi anche Risse dialettologiche a Fiumalbo), non riesco ad assentire e a dichiararmi d'accordo con quelle idee: come minimo dico subito, o quasi subito, che noi dialettologi vediamo queste cose in modo un po' diverso, e che le nostre spiegazioni sono di altro tipo, anche perché non guardiamo a un solo dialetto (come fa di solito lo studioso amatoriale), ma prendiamo in considerazione molti dialetti allo stesso tempo, in una visione più ampia.

Il personale esperimento di divulgazione a cui accennavo consiste nel piccolo libro Che cos'è un'isola linguistica? Colognora in Valleriana e il suo dialetto raccontati in modo semplice e chiaro, pensato principalmente per gli abitanti del paese stesso e per chi abbia lì le proprie origini. L'opuscolo avrà chiaramente una diffusione molto limitata e un numero di lettori effettivi ancor più esiguo: pochi ma buoni, come si dice.

Una delle prime cose da dichiarare, se si vuole spiegare qualcosa sui dialetti d'Italia, è che i dialetti derivano dal latino. Incredibilmente, questo fatto è sconosciuto perfino a molte persone laureate. La gente istruita, in generale, sa vagamente che l'italiano e il francese e lo spagnolo eccetera derivano dal latino, ma nulla di più — o poco di più.

(Specifichiamo che non proprio tutti i dialetti italiani derivano dal latino: abbiamo pure dei dialetti germanici in alcune zone del nord, dei dialetti greci e dei dialetti albanesi in certi paesi del sud, e dei dialetti slavi in alcune piccole parti d'Italia, anche lontane fra loro).

Proviamo a illustrare chiaramente, in due parole, l'aspetto più essenziale del rapporto fra il latino e la maggioranza dei dialetti italiani. Il latino, lingua degli antichi Romani, fu la principale lingua della parte occidentale dell'Impero romano, che comprendeva l'Italia, l'attuale Francia, la penisola iberica (attuali Spagna e Portogallo) e diversi altri territori. In questa parte del mondo c'erano anche parecchie altre lingue, ma il latino era la lingua più importante e più conveniente, e per questo moltissime persone parlavano effettivamente in latino, magari abbandonando la propria lingua d'origine. Col passare del tempo tutte le lingue si trasformano, per loro stessa natura e per diversi motivi: così, il latino anticamente parlato nelle varie zone si è trasformato in modi differenti, generando i tanti dialetti romanzi o neolatini, cioè derivati — appunto — dal latino. Le lingue romanze ufficiali (italiano, francese, spagnolo, portoghese e qualche altra) sono derivazioni di questo o di quel dialetto: per esempio, il nostro italiano è un'evoluzione di quel fiorentino del 1300 che fu usato letterariamente da Dante, Petrarca e Boccaccio. Ciò che viene direttamente dal latino anticamente parlato sono i dialetti, più che le lingue ufficiali!

Il cológnoro non è assolutamente un dialetto longobardo, ma deriva appunto dal latino, senza nessun dubbio, come la grande maggioranza dei dialetti d'Italia. La cosa è del tutto evidente e non richiede una specifica dimostrazione. Se fosse un dialetto longobardo, avrebbe origine germanica e sarebbe dunque un dialetto germanico. Il longobardo era infatti una lingua germanica affine all'antico alto tedesco, cioè al tedesco antico. Semplificando un po', diremo che il longobardo era simile al tedesco. Ora, stiamo parlando di un dialetto — il cológnoro — in cui l'acqua si chiama acqua, il latte si chiama latte, la terra si chiama tèrra, il cielo si chiama célo, l'uomo si chiama ómmo, la donna si chiama dònna, il fratello si chiama fradèllo, la sorella si chiama sorèlla, la capra si chiama cavra, la pecora si chiama péggora. Si può forse ritenere che un dialetto del genere somigli al tedesco? Ovviamente no. Ovviamente, il colognoro deriva dal latino, come l'italiano e come la grande maggioranza dei dialetti d'Italia. È fondamentalmente un dialetto italiano settentrionale arcaico (cioè con caratteristiche antiche che altrove si sono perdute), molto simile ad alcuni dialetti emiliani di montagna; ovviamente c'è stato anche un certo contributo da parte delle circostanti parlate toscane, poiché il dialetto si trova in Valleriana — nella periferia del territorio lucchese — da più di cinquecento anni, e l'interferenza è inevitabile.

Ebbene sì: l'acqua, el latte, l'ómmo, la dònna, el fradèllo, la sorèlla... Questo sconosciuto dialetto al quale dedichiamo tante chiacchiere è in effetti, per certi versi, un dialetto banale! Parlando seriamente, diremo che il cológnoro è piuttosto simile all'italiano. Sia l'italiano che il cológnoro — ripetiamo — sono lingue romanze o neolatine, cioè derivano dal latino popolarmente parlato nella tarda antichità. Per diversi motivi, succede che alcune lingue romanze siano particolarmente simili fra loro: non c'è niente di strano.

A onor del vero, possiamo anche costruire frasi in cológnoro che non sono affatto banali, e non sono facili da capire per chi non si sia mai occupato di questo dialetto. Per esempio, lê la sciolvì a ca' nòssa! È un'affermazione del tutto normale, fatta di parole che nel dialetto di Colognora vengono usate correntemente e quotidianamente. Frasi come questa vengono appunto sfruttate dagli abitanti di Colognora per dare dimostrazione di quanto il loro dialetto sia strano. In realtà è un po' meno strano di quanto si ritenga localmente: per convincersene basta dare un'occhiata alla nostra traduzione della Parabola del figliol prodigo in cológnoro (clicca qui per la versione della Parabola completa di trascrizioni IPA), o ascoltare seriamente e senza preconcetti la gente che parla davvero il dialetto.

Fra parentesi, l'opera del dialettologo non consiste assolutamente nel raccogliere ed elencare parole strane, magari tenendone il conto! Qualsiasi lingua o dialetto è un sistema linguistico, e il lessico (cioè, in pratica, il catalogo delle parole) è solo uno dei molti livelli in cui il sistema si può analizzare. Nell'analisi del dialetto di Colognora, secondo il mio punto di vista, i fatti più interessanti non riguardano parole più o meno strane, bensì soprattutto questioni fonetiche e fonologiche (questioni di pronuncia, diciamo): lunghezza o brevità di vocali e consonanti, e altri fatti del genere. Ma questa è un'altra storia, che racconteremo in altra sede.

Torniamo un attimo all'ipotesi longobarda. Qualcuno potrebbe dire: «Va bene, il colognoro non verrà dalla lingua longobarda, ma comunque ci sono di mezzo i Longobardi in qualche modo, perché qui tutti hanno sempre sentito dire che Colognora era una colonia longobarda...» Ora, io ho grande rispetto e profondo interesse per i vari aspetti delle culture popolari. Non mi si dirà certo che la cultura popolare di Colognora non mi interessa: oltre ad essermi occupato così a lungo del dialetto, che di quella cultura è espressione profonda, ho passato molte ore anche a indagare, per esempio, quel che resta e quel che viene ricordato delle vecchie credenze magico-superstiziose, i canti, la poesia popolare, il latino delle preghiere (tuttora sopravvive l'uso popolare del latino religioso, che non va confuso con l'antico latino parlato dal quale sono derivati i dialetti di generazione in generazione). E certamente chi non abbia mai fatto — come si dice — ricerca sul campo, non sa quanto l'attivo stimolo del raccoglitore possa comportare un recupero di vivacità e freschezza mentale da parte delle persone anziane, in un continuo «ci fai tornare in mente tante cose»...

Rispettare e apprezzare la cultura popolare non significa però confondere le tradizioni orali con la verità storica. Le tradizioni orali sono molto interessanti e hanno certamente qualcosa da offrire alla nostra conoscenza, ma non si possono porre direttamente sullo stesso piano della cultura sviluppata dalla società moderna, alfabetizzata e tecnologica. Peraltro, la diffusa idea del particolare legame fra i Longobardi e il paese di Colognora non sembra avere le caratteristiche di una vera e solida tradizione popolare. Ho diverse ragioni per ritenere che questa convinzione sia sorta in epoca piuttosto recente: nell'Ottocento, se non perfino nel Novecento.

Abbiamo già mostrato che, sul piano linguistico, è assurdo pensare che il cológnoro possa derivare dal longobardo, dato che è un dialetto romanzo o neolatino, e non germanico. Comunque, se per qualche motivo qualcuno fosse molto affezionato all'idea che si tratti di un dialetto longobardo, non vedo perché negargli il piacere di chiamarlo così. Senz'altro sarei lieto che perlomeno si diffondesse la voce che c'è qualcuno che afferma che i Longobardi non c'entrano niente. D'altro canto, si potrebbe forse accettare che il cológnoro venisse comunque soprannominato dialetto longobardo perfino da parte di persone informate sulla realtà delle cose. Si pensi al caso dei cosiddetti dialetti cimbri. Si tratta di dialetti germanici che erano parlati in alcune piccole zone dell'Italia nord-orientale, e che in parte sopravvivono ancora oggi. I Cimbri in realtà furono un popolo antico che, quasi sicuramente, non ha alcun legame con questi dialetti: eppure, seguendo la tradizione, si continua a chiamarli dialetti cimbri.

Forse qualcuno fra i lettori della presente pagina sarà informato sull'esistenza di concrete prove documentarie della presenza dei Longobardi a Colognora, e si starà chiedendo se io non ne sappia niente. Ma, sì, le conosco. Nell'epoca longobarda della storia italiana, quando i Longobardi dominavano buona parte d'Italia e, in Toscana, avevano a Lucca il loro centro principale, pare che ci fossero dei Longobardi anche a Colognora di Valleriana, così come ce n'erano in innumerevoli altri centri della Lucchesia e della Toscana in genere. Un paese chiamato Colonia, con la chiesa intitolata a San Michele, vicino a Villa Basilica, è testimoniato da documenti dell'Archivio Arcivescovile di Lucca fin dall'anno 760 d. C., e sembra essere proprio la nostra Colognora: non si può dire che l'identificazione sia completamente certa, ma perlomeno è probabile. In base ai nomi di persona citati in questi documenti, possiamo dire che in quel paese, come in moltissimi altri, nell'epoca longobarda c'erano i Longobardi. Ma che legame ci sarebbe fra la presenza longobarda e il particolare dialetto di Colognora? Certamente nessuno, fino a prova contraria.

Informazioni su questi primi documenti d'archivio che probabilmente si riferiscono alla nostra Colognora, appunto a partire dal 760 d. C., erano ampiamente disponibili all'attenzione degli studiosi già nell'Ottocento: mi riferisco soprattutto a uno dei faticosi volumi (Domenico Bertini, 1818) della serie Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, e all'insostituibile Dizionario geografico fisico storico della Toscana di Emanuele Repetti, pubblicato negli anni 1833-1846. Comunque, la strana idea di un legame fra i Longobardi e l'attuale dialetto di Colognora, in base alle pubblicazioni a me note emerge solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Può darsi che qualcuno ci avesse pensato già prima, diffondendo magari questa spiegazione fra la gente del paese.

Del resto, non è necessario addentrarsi in ipotesi che coinvolgano la documentazione d'archivio: dialetto longobardo può essere una semplice variante di diffuse espressioni come parlare ostrogoto, che si sentono spesso in riferimento a qualunque lingua incomprensibile o ritenuta tale. In realtà, ascoltando le persone anziane che rappresentano davvero la tradizione popolare genuina, oltre ai Longobardi può capitare di sentir nominare proprio gli Ostrogoti, o i barbari in generale! Insomma, come ho già anticipato, a me sembra piuttosto chiaro — se non chiarissimo — che quella sui Longobardi non è una tradizione popolare solida, ma piuttosto una diceria d'epoca recente.

Aggiungiamo una notazione interessante: anche a Gombitelli si possono sentire le stesse spiegazioni! Ricordiamo che Gombitelli è l'altra isola linguistica del territorio lucchese, anch'essa emiliana, come Colognora. Ebbene, il noto giornalista fiorentino Giorgio Batini (1922–2009) pubblicò, su "La Nazione" del 19 giugno 1968, un lungo articolo su Gombitelli, scherzosamente intitolato Gli ostrogoti di Lucca. Interrogandosi sull'origine del dialetto gombitellese, il giornalista scrive: «Molti anni fa lo domandai ad un vecchio di Gombitelli ed ebbi una risposta certamente poco attendibile, ma anche suggestiva». L'anziano gli spiegò «che si trattava di un linguaggio antichissimo. Più precisamente, ostrogoto. O, forse, chissà, longobardo» (!), riferendo poi una fantasiosa storiella, giustamente presentata come tale, sulle sorti di un esercito ostrogoto. Si deve osservare che Batini, pur essendo chiaramente digiuno di dialettologia, affrontò la materia con una certa serietà, cercando di appoggiarsi anche al saggio ottocentesco di Silvio Pieri (che, ricordiamo, è l'unica opera di riferimento sul dialetto di Gombitelli).

I giornali, al giorno d'oggi, sono ahimè un'altra cosa. Abbiamo già accennato all'articoletto su Colognora elaborato dalla scuola media; tornando al giornalismo adulto o presunto tale, basti pensare che, sulla stessa testata ("La Nazione"), nel 2008 è comparso un articolo in cui il gombitellese è definito «una strana lingua che non è né italiano né tedesco ma ha dell'uno e dell'altro»! Naturalmente il tedesco non c'entra nulla...

Ponendo fine al tedio di queste mie interminabili osservazioni, voglio di nuovo richiamare l'attenzione sulla necessità di una valutazione critica di qualunque informazione su qualunque tema.

In un'epoca come la nostra, infestata dai potentissimi ciarlatani dei telegiornali di regime e da imbroglioni di ogni ordine e grado, sarebbe importante che un sempre maggior numero di persone riuscisse a crearsi opinioni e a discernere il vero dal falso: cercare la verità, perché la verità è irrinunciabile per chi l'abbia mai desiderata, ed è più bella di qualunque cerimonioso e vacuo complimento.

Non basta un giornale, non basta un libro, non basta un professore (ma nemmeno un professore universitario!), non basta certo una pagina Internet per accertare una qualsiasi verità. E purtroppo non esistono formule semplici, purtroppo lo spirito critico non è qualcosa che si possa racchiudere in due sagge parole. Non è qualcosa che si trovi su Google, né fra i banchi di scuola. Lo spirito critico trae grande vantaggio dall'istruzione e dallo studio, ma si forma nella vastità dell'esperienza, nel confronto, nella riflessione, nella disobbediente libertà.

E insomma... se a qualcuno interessa la realtà delle cose, niente dialetti longobardi!

Postilla, un anno dopo.

Il 14 luglio 2012 Colognora di Valleriana ha ospitato un'originale e divertente festa medievale. In mezzo a tante cose belle o meno belle, si è esibito l'esperto di storia. Sempre lui, solite tiritere: il dialetto è ancora longobardo, non è cambiato. Grazie a Dio «non è un longobardo puro» (eh be', questo bisogna ammetterlo!)... Il professore ha anche affermato letteralmente che tutti i glottologi (cioè i linguisti) più titolati e accademici non hanno capito niente del dialetto di Colognora, che quindi rimane un mistero. Mi si menzioni qualcuno di questi luminari: voglio un nome! A me sembrava tutto così semplice, ma non sono titolato e ho tanti limiti...

Non so che dire, infine, degli episodi di starnazzamento molesto di cui sono stato vittima ultimamente. Sono stato invitato a un imprecisato "chiarimento" la mattina di domenica 22, ma era per finta: non ho assolutamente nulla da nascondere e sarei stato lieto di poter finalmente parlare in pubblico, ma non c'era nessuno spazio per me.

Rammento che, come sta scritto nella pagina iniziale di questo piccolo sito, gradisco esser contattato da chiunque abbia qualcosa da esprimere, anche per critiche negative.

Emanuele Saiu, Ferragosto 2011 (ultima revisione 10/9/2011, piccole modifiche e postilla finale 22/7/2012).