Sul Dentro-Fuori

Dentro, etimologicamente de-intro, ossia “ciò che denota la relazione di stato o di moto nella parte interiore di una cosa”. Una prima considerazione, partendo proprio dall’etimologia, è che se c’è un dentro, ci deve essere un dentro-una-cosa; cosa, che potremmo definire in termini più specifici un’ente. Allo stesso tempo è necessario tuttavia sottolineare che per esistere un ente deve essere determinato entro dei confini: confini che sono determinati a loro volta e che non sussistono al “di-fuori” di una determinazione.

Carli (2003) propone di considerare le categorie dentro-fuori come un modello di simbolizzazione del corpo nello spazio, un modello basico, che organizza le primissime esperienze e che resta come base esperienziale per le categorizzazioni via via più sofisticate nello sviluppo della logica mentale. Sembra cioè che originariamente si comprenda la distinzione tra la presenza e la sua fine, l’assenza, come esperienza di con-fini, entro i quali avviene ed esiste un dentro, oltre i quali avviene ed esiste un fuori. L’autore suggerisce anche di considerare questa esperienza, dentro-fuori, come una esperienza umana, quindi connotata con qualità fondamentalmente affettive. Così, generalmente, il dentro ha una valenza aggregativa, fusionale, erotica: nel dentro c’è l’evocazione di una caratteristica strutturale, determinata innanzitutto dal confine, che produce un destino comune delle sue parti contenute-interne e che assumono quindi tra loro alcune caratteristiche di struttura; ma anche nel dentro c’è l’evocazione di una protezione: nel dentro c’è il noto, ed ogni esperienza ri-conosciuta. Nel fuori si proietta, dal fuori si introietta: ciò che si mette dentro viene bonificato (si rende buono), mentre il cattivo si espelle (permettendo al dentro di purificarsi).Fuori, seguendo l’etimologia, indica “la relazione di stato esterno alla parte interiore, e altresì di moto dall’interno all’esterno”. Ossia, ciò che sta o avviene fuori da un confine (potremmo dire tutto il resto!), la negazione del dentro. Riprendendola come categoria basica di simbolizzazione del corpo nello spazio, il fuori rappresenta l’ignoto, la dispersione, l’espulsione, lo smarrimento, la perdita, vissuti annichilenti e mortiferi determinati dalla perdita di confini. Ma anche, in quanto spazio ignoto, il “luogo del possibile”, del non-noto e dell’incontro esplorativo: dopotutto il progetto di sé (che è poi di sé-nel mondo) può avvenire solo incontrando un “fuori” da sé.

Dentro-fuori come spazi simbolici a livello narrativo individuano le azioni entrare ed uscire: questioni non da poco se si considerano queste due azioni come fondamentali per organizzare la propria posizione narrativa nel suo rapporto con gli oggetti, a loro volta in rapporto tra altri oggetti: dentro-fuori cioè come qualità affettive, modalità narrative e processi di relazione, con un continuo flusso di mutua determinazione. Considerando questo processo di mutua determinazione, appare chiaro che esso prende atto a partire da un contesto di riferimento, che funge da unità semantica attraverso la quale si dispongono i codici di significazione. Quindi considerare uno spazio come interno ed un altro come esterno è il consolidamento di un’esigenza anzitutto affettiva, e quindi narrativa e di relazione.

Ma in che modo è in relazione il dentro-fuori?

Affinché ci sia un dentro ed un fuori, ci deve essere un confine, una separazione, e la distinzione di due realtà: una, il dentro, che sembra narrativamente coincidere con il punto di vista, il soggetto, l’altra, il fuori, che coincide con l’oggetto. Il dentro cioè sembra acquistare con una fluida continuità quelle caratteristiche di unità e identità proprie dell’interno di un sistema, nei suoi processi endogeni, mentre il fuori assume di volta in volte le denotazioni e connotazioni di processi esogeni.

Prendiamo ad esempio i mitemi fiabeschi del castello e del bosco, l’uno come evocazione del dentro, l’altro del fuori. Il castello è fortificato, inespugnabile e protettivo, evocando spesso uno stato interno di pace e serenità; ma le sue stesse mura possono anche isolare ed imprigionare. Nelle fiabe, come risposta ad un errore (per ingenuità o colpa) da parte dei castellani, avviene che dall’esterno un nemico penetri e fondamentalmente danneggi il castello e i suoi abitanti, gettandovi una maledizione, incantandoli, emarginandoli, rendendoli addormentati, senza tempo e con una vita in sospensione (spesso ai danni di una giovane donna, l’adolescente principessa, simbolo della continuità, o del re, simbolo imperituro del castello stesso): sempre dall’esterno, per mano di un eroe virtuoso (spesso un Principe errante), avviene poi il risveglio, lo scioglimento dell’incanto, la fine della maledizione (diremmo, in termini più psicologici, l’elaborazione di un lutto). Mentre il castello è confinato ed è una presenza visibile, appena fuori dal castello v’è il bosco, buio, grondo di pericoli, di stranezze, di ambiguità e di magia, pieno di segreti e animato da presenze varie, sconosciute ed eterogenee: il bosco è tutto tranne che sicuro, ordinato e come appare. Nel bosco (come nelle profondità del mare…) alberga l’incognito e il fantastico, i loro pericoli, le loro risorse. Il passaggio nel bosco produce nei viandanti un’esperienza determinante ed ogni svolgimento narrativo nelle fiabe ambienta (o vi fa riferimento) nel bosco un processo iniziatico. Difatti le fiabe ci esortano a non dimenticare i pericoli “interni” di un castello-prigione (per quanto dorata…) da cui non si esce e il cui tempo non scorre. Tuttavia chi esce dal castello inevitabilmente s’addentra in un bosco, i suoi segreti, le sue straordinarietà, la sua dirompenza, diventa cioè quel viandante che si prova in un’esperienza determinante.


Ad-dentrarsi, intendibile come “processo dove si integra il dentro con aspetti del fuori”, coincide con quel processo di esplorazione per cui il dentro e il fuori ridefiniscono il loro confine e il loro stato. Con ciò sembrano trovare la strada dello scioglimento, e continuità nel cambiamento, i nodi narrativi.