Melanie Klein e le relazioni oggettuali

UNA TEORIA DELLO SVILUPPO DELLA MENTE

IL CIBO E L'ESPERIENZA DELL'ORALITA' NELLO SVILUPPO DELLA MENTE


Uno dei concetti più storicamente importanti del metabolismo psichico, ovvero l’ispirazione a intendere il funzionamento della mente sul modello orale e digestivo (dis = distinguere, separare, e gerere = portare, condurre), è quello di introiezione: coniato da Ferenczi, fu utilizzato da Abraham (che lo collocò nello stadio orale dello sviluppo psicosessuale della libido) e venne sviluppato dalla sua allieva Klein, che ne fondo una teoria di sviluppo della mente.

La Klein (1935) sostiene che le prime relazioni del lattante avvengono con oggetti parziali, ed in primo luogo con il seno della madre, il quale è vissuto come scisso in seno ideale, oggetto saporito, nutriente e meta di desiderio, e seno persecutorio, oggetto di odio e di paura, sottrattivo e vendicativo, e perlopiù ridotto in pezzi. Fondamentale è che la Klein riconosce che l’Io è presente e in attività sin dal momento della nascita, e che è proprio questo Io il responsabile delle dinamiche affettive, provando gioia e sofferenza, dolore e gratificazione. Ma un Io rudimentale, frammentato, che fa anche esperienze differenziate le organizza anzitutto in senso antinomico, “buone-cattive”, con corrispettivi riferimenti oggettuali “amici-nemici”:

  • con il seno buono (quando se ne fa esperienza) si realizza un legame simbiotico, di fiducia, che protegge e alimenta l’eros e l’istinto di vita, di cui la libido è parte ed espressione. Il seno buono che gratifica adeguatamente è fonte di sentimenti quali la gratitudine e permette l’interiorizzazione della generosità;
  • quando il seno buono è assente, trova spazio il seno cattivo: il nucleo dell’esperienza del seno cattivo è l’assenza del seno buono, ma tutto questo connotata la polarizzazione di una animazione emozionale, in cui c’è l’esperienza di uno spazio inconscio di ritiro/attacco e di vendetta/riappropriazione. Il legame che si realizza è (con Bion…) di tipo parassitario, in cui si sente una reciproca tensione con l’oggetto alla distruzione, al sadismo, alla soccombenza, e all’istinto di morte (che quindi sarebbe precocissimo). La pulsione di morte, che origina prototipicamente dal trauma della nascita, è concettualizzata da Freud come il bisogno dell’organismo di ritornare ad uno stadio precedente, ovvero lo stadio inorganico, nel quale colloca lo stato di assenza di dolore. L’organismo però sente questa spinta a negare se stesso come minacciosa e la devierebbe all’esterno, verso un oggetto, facendola diventare aggressività: da “morire”, ad “uccidere” quindi.

La Klein stabilisce quindi una connessione diretta tra scissione dell’Io e relazioni con oggetti parziali e emozionalità persecutoria/idealizzata (oggetticattivi/oggetto buono). Ella sostiene anche che l’Io è capace di sentire, differenziare e utilizzare la difesa della scissione, come che è subito capace di relazioni oggettuali primitive perlopiù animate attraverso proiezioni nell’oggetto, sia degli istinti (e fantasmatica relativa) di vita che di morte. Ciò che l’Io non può contenere è l’assenza. Precisamente, l’Io primitivo, sotto l’azione della pulsione di morte, percepisce l’angoscia dell’annientamento, ed è questo che lo spinge a proiettare difensivamente sull’oggetto (cattivo) la pulsione di morte: l’Io proietta la pulsione di morte come difesa contro il timore di annientamento. L’Io che ne risulta è frammentato, alle prese con una attività caleidoscopica, tesa a parzializzare, isolare, caratterizzare e connotare i caratteri distintivi e l’invasività distruttiva degli oggetti cattivi, e allo stesso tempo salvare e proteggere gli oggetti buoni. Inoltre, la dove Freud intendeva gli oggetti come mete pulsionali, per la Klein questi sono sì mete pulsionali, ma anche soggetti psicologici, con una loro personalità ed intenzionalità (voraci, invidiosi, generosi…).

In pratica si mettono in chiaro 3 meccanismi fondamentali nell’Io primordiale, differente dall’Es, ma fortemente connesso al piacere-dispiacere, e che vuole introdurre-tenere “dentro” sé il piacere e allontanare-espellere “fuori” sé il male:


Un aspetto fondamentale di questo processo è l’indicazione di un funzionamento psichico, identificato come primario in cui è possibile stabilire una sorta di modello della mente attraverso cui nel dentro si introietta, in termini di nutrimento, e nel fuori si proietta, in termini espulsivi di scarti. La proiezione è la introiezione, con segno opposto. La introiezione corrisponde alla primissima pulsione a “mangiare”. L’Io difende dagli oggetti cattivi (frammentati sotto l’azione dell’aggressività) sia il Sé che l’oggetto buono (idealizzato e con cui sviluppa una identificazione e con il quale si definisce quindi un processo di fusionalità erotica), attraverso l’ampliamento della forza di scissione tra oggetto buono e cattivo, sia innalzando l’idealizzazione dell’oggetto buono.

La pulsione di morte viene quindi proiettata, animando oggetti persecutori, che quando vengono reintroiettati, formano l’aspetto persecutorio del Super-Io; la pulsione di vita, invece, viene legata ad un oggetto “vitale” allo scopo di formare un oggetto ideale, che viene introiettato animando processi di identificazione con esso, per cui questo oggetto (parziale) comincia a costituire ed integrare particelle dell’Io e del Super-Io.

Accanto a questi meccanismi, ne descrive un altro: l’identificazione proiettiva. Nell’identificazione proiettiva non si proiettano solo gli impulsi, ma anche frammenti di sé (come la propria bocca sul seno, o prodotti corporali come le feci), o in taluni casi complessi molto massicci, se non addirittura l’intero sé. L’oggetto è fantasticato come un contenitore, il cui contenuto può essere riempito di parti di sé non volute o al contrario idealizzate, oppure può essere prosciugato avidamente o nutrito di parti buone (ad esempio per salvare le parti buone del sé dagli attacchi degli oggetti cattivi: si mettono fuori, nell’oggetto, come a metterle al sicuro). Una questione di base è istituire con l’oggetto una fantasia di possesso e una relazione di corresponsione al sé, ovvero una relazione oggettuale narcisistica (l’oggetto è funzionale al sé). L’oggetto nella identificazione proiettiva è anche rischioso: proiettare parti di sé nell’oggetto e identificare l’oggetto con queste necessita di un controllo efficace sull’oggetto, esso in altri termini deve poter risultare “in possesso” e in continuità con gli scopi del sé: quando l’oggetto sfugge a questo controllo (e la natura delle soggettività spinge a questa fuga dal controllo), se è stato riempito di parti cattive diventa un persecutore, se è stato riempito di parti buone può emergere il timore schizoide di uno svuotamento del sé di tali parti buone e quindi di una dolorosa perdita ed un insanabile crollo.

In sintesi, la posizione schizo-paranoide è il primo livello del percorso di sviluppo del lattante: l’assenza di un magma di sensazioni gratificanti (piacere orale, pienezza, calore, presenza, odore, melodia vocale…) non è concepibile da un Io rudimentale e in formazione, e attiva istinto di morte che viene proiettato fuori trovando meta in oggetti persecutori, che producono fantasie aggressive e disintegranti, che il lattante combatte con l’introiezione e l’identificazione con il seno buono, idealizzato. La scissione è la prima risorsa funzionale per differenziare e dare identità distintiva a livelli di esperienza: l’Io emerge dal magma del tutto/nulla (uno stato in cui non avrebbe esistenza l’Io), si articola e si fonda distinguendo e identificando anzitutto polarità antinomiche delle esperienze, connotandole in gratificanti/appaganti e loro contrario, rappresentato da un mondo oggettuale buono e di contro uno cattivo. L’identificazione proiettiva è un processo immediatamente successivo, in termini di sviluppo delle relazioni oggettuali, per cui l’Io usa in maniera compositiva uno scambio di parti di sé con l’oggetto, al fine di costruirvi appunto fantasie di legame e corrispondenze, nonché istituire processi di controllo e gestione dei propri vissuti. E’ fondamentale che in questo antagonismo duale, l’angoscia data dai persecutori possa poter essere adeguatamente rassicurata dall’efficace presenza di oggetti buoni. Più tipiche della identificazione proiettive sono le fantasmatiche legate all’angoscia connotata da rapporti con l’oggetto di imprigionamento e controllo del sé da parte dell’oggetto. Nella posizione schizo-paranoide l’Io è dunque scisso in parti buone e parti cattive, è frammentato, e spesso è confuso nell’oggetto per l’identificazione proiettiva.

Poco prima di morire la Klein porta un altro contributo essenziale alla psicoanalisi, con il lavoro “Invidia e gratitudine”. L’invidia era considerata da Freud nel complesso edipico negativo nelle donne (invidia del pene) e come componente terapeutica negativa (fonte dell’interminabilità delle analisi). La Klein, che sposta l’Edipo ad un periodo antecedente, vede come prima fonte di invidia il corpo della madre (dapprima nelle sue parti, poi nel suo complesso idealizzato e fantasticato come “altamente contenente”, anche del pene) e ne fa un affetto precoce e fondamentale; il nutrimento, il cibo, la bontà e l’amore che il lattante riceve produce due reazioni: gratifica, dà sensazioni buone e stimola sentimenti di legame positivo, amore, generatività e creatività; ma obbliga anche a considerare che gratificazione e appagamento e amore non sono in lui, ma stanno fuori, nel seno prima e poi nella persona della madre, ovvero non sono sempre disponibili a lui, e ciò sviluppa ostilità ed invidia. L’invidia dunque scaturisce dalla gratificazione “in positivo”, perché porta a riconoscere il potere del seno e il bisogno che si ha di questo; ma scaturisce anche dal negativo della gratificazione, dalla deprivazione, portata da un seno potente e idealizzato che tiene per sé le sue cose nutrienti, creative e preziose. L’invidia dunque è precocissima, e si attiva sin dagli oggetti parziali (seno) e non ha a che fare con terzietà (non è edipica! A differenza della gelosia…) e dimensioni di sviluppo: tende essenzialmente ad attaccare e distruggere e ammalare l’oggetto potente, amato e voluto, così da deturpare le qualità invidiate e cancellarle dal mondo, eliminarne la presenza. Il meccanismo difensivo dell’invidia è l’identificazione proiettiva. Altro sentimento precocissimo è l’avidità, ovvero l’aspetto predatorio verso il seno buono, con fantasie di prosciugarlo per appropriarsi aggressivamente di tutte le sue preziose cose: è l’introiezione quindi la difesa di questo sentimento. Invidia, voracità e gelosia sono correlate e interrelate: ad esempio la voracità può difendere dalla penosità dell’invidia, nella fantasia di poter impossessarsi e far proprio il prezioso che sta fuori, salvaguardandolo dal desiderio ostile di eliminarlo in quanto “non del bambino”; la gelosia, ovvero l’odio per il rivale in mantenimento vivo dell’amore per l’oggetto del desiderio, può rivelare una invidia (a bassa intensità) “edipica”, ovvero l’invidia per il potere del “terzo”, che evidentemente ha qualcosa di tanto amato nell’oggetto che si ama.

Chiaramente l’invidia diventa un affetto controproducente allo sviluppo. Molto problematica è l’invidia nella posizione schizo-paranoide, perché blocca il sistema mentale in un scenari psicotici, di attacco verso un Io non evolvibile. Se infatti la scissione tra seno buono e cattivo è indispensabile per l’introiezione di un seno buono (e la proiezione del cattivo), nell’invidia il seno buono viene attaccato, ammalato e distrutto, quindi significa che attraverso attacchi proiettivi il seno viene frantumato ed invaso di aspetti “cattivi”, e questo porta ad una ampliamento della scissione (il che porterà problemi di passaggio alla posizione depressiva, e quindi alla realtà esterna, oltretutto che l’oggetto iperidealizzato sarà mantenuto attraverso il continuo lavoro di “ripulitura per diniego” della persecutorietà), fino a cedere ad una confusività tra buono e cattivo, mentre l’Io si trova a perdere (per questo lavoro di “pulitura per diniego”) via via elementi dell’oggetto idealizzato da introiettare (una volta “consumato nelle parti” il seno, potrebbe anche sviluppare un precoce passaggio ad un altro oggetto, tipo il pene, o allucinare altre fonti ideali di gratificazione), restando così parcellizzato e all’empasse, o perso in allucinazioni psicotiche di oggetti appaganti in termini autoerotico-narcisistici, attraverso un ritiro autistico. In questi processi, si cristallizza la dinamica invidiosa, con proiezioni distruttive nell’oggetto e il crescente rafforzamento del carattere invidioso del Super-io, che diventa intransigente e severo, freddo e a-sentimentale, implacabile nel rovinare qualsiasi risorse “esterna”, quindi anche le spinte creative e generative. Per difendersi dall’invidia si attivano quindi meccanismi schizoidi come mistificare e annullare i sentimenti positivi e di ammirazione verso l’oggetto.

Posizione schizo-paranoide e alimentazione

  • La fantasie di base è di annientare con l’onnipotenza i persecutori: l’animazione è l’idealizzazione del seno buono e il lattante come distruttore dell’oggetto cattivo. Quando torna la fame, l’animazione è di un oggetto buono sottomesso, e il lattante è invaso da persecutori e minacciato d’essere annientato. Mancando la capacità di confrontarsi con l’esperienza dell’assenza, l’Io concepirebbe la mancanza dell’oggetto buono come un attacco, un’invasione degli oggetti cattivi, sicché l’assenza del seno nutriente e del suo latte gratificante, o meglio l’esperienza della fame, sarebbe corrispondente all’attacco da parte di oggetti cattivi, che nello specifico gli stanno imponendo frustrazione ingiusta e persecuzione;
  • Un’altra possibile risposta è l’attacco avido, per cui in risposta ad un seno cattivo che si ritrae e non si dona, rifiutando di concedere la gratificazione, si attivano fantasie aggressive di prosciugamento, ovvero di avidità distruttiva, di annientamento violento dell’intenzionalità sottrattiva dell’oggetto, agendovi un suo svuotamento;
  • La resistenza a mangiare, a mettere dentro, potrebbe corrispondere quindi ad uno sconfinamento e invasività di angosce paranoidi legate alla fantasia di incorporazione di cibi-oggetti cattivi. L’Io, non mangiando, sostanzialmente difenderebbe il proprio interno dal pericolo di introdurvi oggetti animati da intenzioni mortifere. La fantasia è di aver (o voler-) svuotato e distrutto con la propria avidità orale il seno, il che comporta un blocco all’impulso a mettere in sé, in quanto il seno sarebbe animato da cattive intenzioni di vendetta, ma animerebbe anche fantasie di vendetta di quanto messo già dentro dal lattante (anche su un piano atemporale), sviluppando la fantasia di aver introiettato (messo dentro, nel proprio interno) oggetti persecutori e cattivi, sollecitando l’impegno di dinamiche difensive volte a disinfestare-liberare-purificare il sé (si pensi all’ipocondria paranoidea o alle “auto invasive” preoccupazioni-esplorazioni per gli stati interni: del tipo, prestare attenzione al livello della propria "ansia", o verificare la salute di propri organi);
  • Una madre “esterna” poco rispondente e poco contenitiva delle proiezioni del lattante, tale da non permettere esperienze valide per il rafforzamento e la costruzione di un oggetto buono-ideale, mette il bambino in uno stato continuo di frustrazione e di ambiguità, alimentando lo sviluppo della sua invidia e forzando l’utilizzo dell’identificazione proiettiva. L’invidia e la difesa dall’invidia fungerebbero così da rafforzativo al narcisismo primario del lattante.


E’ tramite l’operare della pulsione di vita che trova crescita e sviluppo l’Io: in condizioni favorevoli, predominando esperienze gratificanti (buone) si attiva un “circolo del bene”, in cui si fa fiacca l’attivazione di pulsioni di morte, quindi l’esigenza a proiettare e animare oggetti cattivi ed animare dinamiche e scenari persecutori; più si rafforza “l’esperienza del buono”, predominando sulla controparte avversa (il male), più la necessità di utilizzo della scissione da parte dell’Io diminuisce, arricchendo l’integrazione erotica e sintetica delle parti, che gradualmente permettono l’emergere di una nuova posizione (ovvero un nuovo stato di organizzazione dell’Io).

Tra i 4-8 mesi, pian piano che avanza lo sviluppo cognitivo e il coagularsi di esperienze “buone”, si rafforzano i processi di integrazione nel bambino, gli oggetti cominciano a trovarsi in un ordine unitario superiore, che li porta su una identità e natura nuova: la madre diviene piano piano non più un agglomerato di pezzi anatomici e frammenti di vissuti e esperienze, ma un oggetto totale, ovvero una persona, che contiene unitariamente e dà stabilità. E’ l’esperienza di un mondo nuovo per il bambino, una “posizione” appunto (un livello di organizzazione delle esperienze, e non una fase o stato) attraverso la quale si può esperire una relazione oggettuale differente da quella parziale, con un Io maggiormente integrato e sollecitato ad un tempo e in un medesimo contenitore (per dirla con Bion) della gestione di pulsioni contraddittorie. Gli oggetti introiettati sono “totali” (corrispondenti ed identificati nelle persone) e costituiscono un oggetto amato superegoico. La madre “persona-intera” può essere amata dal bambino, con essa si può identificare in maniera totale e ad essa può rivolgersi per cercare protezione e sollievo dai suoi persecutori: la madre diventa uno spazio mentale e un’esperienza in cui possono trovare continuità ed integrazione l’esperienze frustranti (le angosce e i dolori) con le gratificazioni, le protezioni; ma l’equilibrio è precario. I sentimenti per la madre, coesistendo entro un contenitore unico, sono ad alta ambivalenza, e l’amore per la persona può facilmente essere inondato dall’odio distruttivo, cosi che la madre (interna ed esterna) amata e necessaria è sempre esposta al pericolo di essere distrutta dagli immaginari persecutori e dal sadismo del bambino. Inoltre la madre, contraddistinta da un’esperienza orale e evacuativa, è continuamente viva e vissuta nel mondo interno del lattante, e quindi odio e annientamento sono stati interni, corrispettivi a caos e angoscia profonda e annichilente: finché il mondo oggettuale resta parziale gli attacchi restano mirati agli oggetti persecutori, si può fare pulizia e battaglia, senza coinvolgere e compromettere gli oggetti idealizzati e buoni; quando invece l’oggetto è totale, l’attacco e il corrispettivo annientamento/perdita comporta una perdita totale: uno stato gravoso e angosciante di perdita. Ma è a questo punto che il bambino può cogliere uno slittamento importante nella sua esperienza relazionale: comprendere come la realtà di pericolo e di minaccia che vive e che coinvolge i suoi oggetti interni ed esterni, è legata a sue stesse fantasie e impulsi: e da questa scoperta può nascere una regolazione e la coscienza di poter riparare. La perdita distruttiva della madre può ora incontrare il senso di colpa, attraverso il quale l’oggetto totale si può riparare. In questa posizione l’angoscia attiene al male degli impulsi aggressivi diretti verso l’oggetto, che potrebbero frantumarlo o annientarlo, farlo morire, allarmando il Sé per il grave danno che ne avrebbe per via della identificazione con l’oggetto. Il senso di colpa quindi consiste nella sensazione di essere personalmente responsabili delle aggressioni inferte, in realtà o in fantasia, all’oggetto buono totale (persona d’amore). Scrive Klein (in “Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi”, 1935), differenziando i sentimenti del paranoico e quelli del depresso:

“possono essere distinti se si assume a criterio di differenziazione il riferirsi dell’angoscia di persecuzione principalmente alla tutela e alla conservazione dell’Io (nel quale caso è propria del paranoico) oppure a quelle degli oggetti buoni totali introiettati e con i quali l’Io si identifica. In questo secondo caso (che è quello del depresso) l’angoscia e la sofferenza sono molto più complesse. L’angoscia suscitata dal timore che gli oggetti buoni, e l’Io con loro, possano essere distrutti, o che nasce dal rendersi conto che essi si trovano in stato di disintegrazione, è intessuta dall’anelito costante e disperato di salvare gli oggetti buoni, e non solo quelli introiettati ma anche quelli esterni. Io credo che soltanto dopo aver introiettato l’oggetto in quanto oggetto totale, e aver stabilito rapporti migliorativi con il mondo esterno e con le persone reali, l’Io può rendersi conto appieno del disastro prodotto dal suo sadismo e specie dal suo cannibalismo, e sentirsene tormentato”

La posizione depressiva è quindi la risultante di questa vicenda emozionale, nella quale le angosce paranoidee, animate dai persecutori attivati attraverso il “seno cattivo”, cui sono corrisposte introiezioni cattive e malvagie, devono confrontarsi con un bilanciamento dei sentimenti depressivi e di colpa, e con le angosce d’annientamento e perdita. L’Io è quindi ora costantemente in crisi, e sente sotto minaccia i suoi oggetti buoni introiettati ed è angosciato dall’alimentare dentro sé degli oggetti cattivi, mortiferi e distruttori: vive in una continua oscillazione tra angoscia persecutoria (contrassegnata da odio) e angoscia depressiva (contrassegnata da amore). L’Io vive l’angoscia di sgretolare-sgretolarsi sotto le energie degli oggetti parziali. Amore, senso di colpa e angoscia della perdita sono funzioni tese a salvaguardare il rapporto con gli oggetti totali, per non far loro del male, o a riparare alle pulsioni aggressive provate. L’esperienza di oggetto totale (interna ed esterna) è un passaggio fondamentale nello sviluppo; diversamente da Freud, la Klein anticipa in questa posizione l’esordio del complesso edipico: la madre e il padre animano la mente come oggetti totali, e suscitano sentimenti di gelosia nel bambino, poiché li percepisce come uniti (fantasie di fusione nell’amplesso, di autonomia degli oggetti totali, a cui si aggiungono anche le particelle dei persecutori degli oggetti cattivi parziali) e questo muove fantasmatiche aggressive, tese ad attaccare, rompere e frammentare; le stesse fantasie aggressive però susciterebbero angosce depressive, un desiderio di riparare e ripristinare amore per i genitori e salvaguardarli dal male, a non perdere nella totalità l’amore del seno buono. I desideri sessuali edipici allora, sotto una spinta aggressiva e di attacco frammentante, stimolano angosce depressive (poiché coinvolgerebbero anche il seno buono) che portano il bambino a desiderare di reintegrare i genitori, trasformando il legame distruttivo in legame d’amore e creativo: se questo avviene i desideri sessuali diventano fantasie riparatrici e d’amore. Con la concettualizzazione della posizione depressiva, Klein evidenzia la necessità dell’Io di fissare internamente un nucleo composto da un insieme di oggetti buoni (seno, madre, padre, coppia genitoriale) fondante la possibilità di mantenere una integrità, grazie ai processi riparatori, contro le spinte distruttive e persecutorie che ne comporterebbero uno sfaldamento, poiché gli oggetti totali sono sia oggetti esterni, sia oggetti interni. L’insuccesso della riparazione, la mancanza di efficacia delle istanze di colpa portano infatti ad uno sfaldamento dell’Io e a processi regressivi delle relazioni oggettuali (sia interne che esterne), e in altri termini con una incapacità di gestione o di risoluzione delle spinte distruttive e dell’angoscia: l’amore non tiene l’odio, e la tensione è verso la loro separazione. Tanto più l’Io si è dovuto affidare ad una intensa attività di scissione (oggetti parziali molto persecutori), tanto più sarà stata intensa la fissazione, tanto più primitiva sarà la natura delle relazioni oggettuali, e tanto più sarà viva la attività paranoica e la presenza di angoscia persecutoria. Nel formarsi della posizione depressiva madre e padre sono viste come persone e viene percepita la coppia genitoriale, ed è quindi qui che la Klein situa l’avvio del complesso edipico, ovvero lo sviluppo di un livello triangolare dell’esperienza e la possibilità di realizzare le “terze” vie, quindi movimenti creativi: ma il lavoro è intenso e i sentimenti densi e contrastanti, sicché l’Io può facilmente deteriorare la sua integrità e ripiegare nella posizione schizo-paranoide, in cui i genitori si fanno agglomerati di pezzi: di pezzi polarizzati, con fantasie di un genitore ideale/buono e uno persecutore/cattivo, oppure di pezzi agglomerati in cui la coppia genitoriale è una fantasia (scena primaria) di un unico mostro terrificante frutto di un impasto fusionale ambiguo, che genera uno spauracchio terrificante. La conquista nel bambino della consapevolezza dei propri sentimenti sessuali e aggressivi, permette di non proiettare e animare fantasie persecutrici, quindi di riparare e salvare i genitori amati e la coppia genitoriale, elaborando l’Edipo, ovvero mettendo a tesoro l’esperienza di una sessualità generativa e una genitalità procreatrice, nonché di identificarsi con questa “terza via”.

Entrambe le posizioni originano nella fase orale, alla quale viene integrata una funzione espulsiva fantasticabile in termini orali-anali. Se per Freud un bambino fissato nella fase anale svilupperebbe un certo tipo di relazioni oggettuali, per Klein un bambino che sviluppa certe relazioni oggettuali andrebbe a fissarsi entro fantasie espulsive-anali: la fantasia di trasformare l’oggetto in feci è tipicamente legato a processi di controllo maniacale; la fantasia di controllare l’espulsione fecale è sovente legata a meccanismi ossessivi; il desiderio di essere penetrato analmente è una difesa da fantasie orali o genitali incorporanti. Le due posizioni hanno consentito alla Klein di sviluppare un lavoro teorico articolato tra la angoscia e la colpa: l’angoscia è la risposta all’attivazione della pulsione di morte, che è proiettata nella posizione schizo-paranoide animando aggressioni di oggetti cattivi persecutori (che fanno a pezzi, inghiottono, intossicano… sporcano… evirano), mentre è angoscia depressiva (che conduce al senso di colpa) se legata alla perdita dell’oggetto buono totale, della persona amata (posizione depressiva). Mentre la posizione schizo-paranoide, per gli intensi elementi di parcellizzazione, proiezione, distorsione percettiva e onnipotenza, sarebbe legata a funzionamenti psicotici della mente, man mano che la posizione depressiva si coagula, si consolida un riconoscimento percettivo della realtà esterna (esame di realtà) e della propria realtà interna (impulsi e oggetti interni): riconoscere e salvaguardare l’oggetto intero porta quindi ad un abbandono dell’impasto autoreferente dell’identificazione proiettiva (e più ancora degli attacchi proiettivi verso parti dell’oggetto) e una integrazione della realtà, facendo intervenire la rimozione lì dove agiva la scissione, evolvendo rapporti maturi di reciprocità e di gestione “positiva” dell’ambivalenza, che avviene attraverso la costruzione di “terze vie”, ovvero di simbolizzazioni legate al riconoscimento del reale (lì dove l’identificazione proiettiva simbolizzava in modo autoriferito e possessivo, e in cui la simbolizzazione non è un modo per evocare il perduto, ma compone e identifica in concreto caratteristiche degli oggetti), sublimazioni e creatività.

Nella posizione depressiva, l’attacco invidioso intensifica gli aspetti penosi, il carattere persecutorio e insanabile della colpa, procurando sconforto e afflizione. Nell’invidia è difficile oltretutto riparare, perché ripristinare nell’oggetto i caratteri di bontà e integrità andrebbe a ripromuovere i sentimenti innescanti l’invidia: il compromesso tra senso di colpa e invidia può tipicamente diventare una riparazione maniacale. La parte invidiosa della personalità è sempre connessa con angosce e meccanismi psicotici e all’invidia si legano sempre la paura di smottamento mentale e la sensazione di incontrare la propria follia: per questo, seppur penoso e sofferente, va sempre accompagnato il processo di riconoscimento dei propri sentimenti di invidia, perché solo così si possono liberare e rimettere a disposizione parti che possono concorrere all’integrazione della persona, arricchendola e permettendogli sviluppo e crescita.

L’invidia, sia pur con ampissimi gradi diversi di intensità, rappresenta una costante nel legame dipendente lattante-seno. In termini di sviluppo, l’invidia può essere depotenziata e superata attraverso esperienze buone, di gratificazione, che realizzano un legame (per dirla con Bion) simbiotico positivo lattante-seno, suscitando un sentimento essenziale: la gratitudine. La gratitudine è una condizione essenziale di ogni rapporto e precondizione per l’integrazione degli aspetti parziali degli oggetti e del riconoscimento dell’oggetto esterno. Nella posizione depressiva, poi, l’invidia attraverso il mantenimento di sentimenti stabili d’amore con l’oggetto, viene edipicamente trasformata in gelosia, quindi in una apertura alle dinamiche di riconoscimento attraverso sentimenti di rivalità-emulazione con realtà terze.

La rivoluzione portata dalla klein è nell’aver inquadrato un funzionamento della mente in rapporto a processi di base operanti tramite transiti tra interno ed esterno, attraverso azioni di proiezione-introiezione, utilizzando in queste attività la possibilità di animare, in fantasia, oggetti. La proiezione è l’attività non solo espulsiva (parti cattive) ma più precisamente di “attribuzione” su oggetti dei sentimenti provati dall’Io: la proiezione dei sentimenti d’amore crea il seno buono, ideale, che viene successivamente introiettato, messo dentro, ovvero una parte esterna che viene messa nel proprio interno, così da arricchire l’Io di queste qualità benevole dell’oggetto. Il bambino attribuisce e connota gli oggetti, proiettando caratteristiche dei vissuti provati, dopo di che è in grado di identificarsi con questi oggetti e di introiettarli. Nelle sulle ultime teorizzazioni, la Klein, pur caratterizzandola come una difesa, attribuisce al meccanismo della identificazione proiettiva un particolare processo di scambio di parti tra l’Io e l’oggetto, un modo sì per controllarlo, ma un modo anche per conoscerlo, per porre con questo un livello fusionale volto ad esplorarlo e approcciarcisi con processi fusionali: è una compenetrazione rischiosa ma importante, perché permette un contatto ed avvia una familiarità tra le qualità dell’oggetto (proiettate) e di sè. Una funzione importante nei destini esplorativi Io-oggetto e nelle possibilità di arricchimento dell’Io attraverso queste operazioni, è la possibilità di svolgere una simbolizzazione emozionale produttiva: il transito tra l’Io e l’oggetto e da questo ad un altro oggetto, reso possibile attraverso l’identificazione proiettiva, è possibile solo attraverso un processo generativo e creativo, un particolare slittamento (o meglio spostamento) associativo e evoluzioni rappresentative, complessivamente esito di tentativi di proiezione-reintroiezione in cui l’esperienza emozionale resti complessivamente nell’area del “buono”: quindi riuscendo a gestire angoscia, invidia, persecuzione e facendo esperienze non eccessivamente frustranti, perché in quel caso l’Io si troverebbe messo in scacco dall’oggetto, ovvero dalle proiezioni “cattive” indigeribili e quindi minacciose per i meccanismi di reintroiezione, configurando un Io che si impoverisce (proiettando e non reintroiettando perde pezzi…) o un Io che è invaso da persecutori. Se nella reintroiezione l’Io farà esperienza di elementi “buoni”, avrà modo di digerire e metabolizzare, quindi integrare, e quindi simbolizzare e pensare. In altri termini l’oggetto in cui l’Io proietta funziona come un contenitore, uno spazio di identificazione e di raccolta di esperienze. L’oggetto buono è un contenitore affidabile, l’oggetto cattivo è ricco di contenuti che tenderanno ad attaccare e frammentare il contenitore. Viceversa se l’angoscia è molto alta, la necessità dell’Io (un Io che vive un pericolo disgregante intenso) di proiettare si fa così intensa che potrebbe essere più rapida della possibilità di creare oggetti, di trovare contenitori: un funzionamento espulsivo di vissuti cosi rapidamente allontanati da restare talmente grezzi da non avere forma né luogo-oggetto contenitivo, e in cui l’Io perde quindi la possibilità di simbolizzare, in una diarrea emozionale, che determina una fuoriuscita incontenibile e una falla propria del confine tra interno-esterno, tra realtà interna ed esterna. In questa condizione evacuativa dell’Io, l’identificazione proiettiva comporta particolari conseguenze:

  • Se fuori l’Io ha proiettato e perso parti buoni del Sé, il fuori apparirà un ideale irraggiungibile (perdita di parti buone), e l’interno sarà dominato da un Super-Io persecutorio;
  • Se fuori l’Io ha proiettato in termini evacuativi tutta l’angoscia, il fuori (realtà esterna) sarà connotata come persecutoria e minacciosa;
  • Se l’identificazione proiettiva è sfuggita alla capacità di gestione dell’Io (reintroiezioni di parti buone e funzioni produttive di simbolizzazione) il fuori e il dentro saranno mostruosi impasti confusivi e l’emozionalità metterà sistematicamente in scacco l’Io.

Posizione depressiva e alimentazione

Nella fase meno evoluta della posizione depressiva, ovvero quella in cui sono più facilmente riconoscibili particelle dense dell’oggetto, il senso di colpa tende a tratti paranoidei e persecutori, con sentimenti molto penosi e fantasie di rimorso in cui l’oggetto aggredito e divorato divora a sua volta, e per il riconoscimento della colpa viene meritata la sensazione di essere perseguitati.