La psicologia

DEFINIZIONE DELLA PROFESSIONE DI PSICOLOGO (Legge 56/1989)

Definizione della professione di psicologo: "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alle persone, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito".

Requisiti per l'attività dello psicologo: "Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito l'abilitazione in psicologia mediante l'esame di Stato ed essere iscritto nell'apposito albo professionale. [...] Sono ammessi all'esame di Stato i laureati in psicologia che siano in possesso di adeguata documentazione attestante l'effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione".


COSA E' LA "PSICOLOGIA CLINICA"?

La psicologia clinica è un settore della psicologia che si occupa dell’utilizzo delle scienze e dei modelli psicologici, sia in ambito applicativo, che di ricerca, per la comprensione e l’intervento sui processi mentali, di individui, gruppi, organizzazioni e comunità.

Il riferimento clinico, nonostante il suo uso diffuso, non gode ancora di una identità pacificata. E del resto sembra opportuno che il confronto continui ad alimentarsi, piuttosto che cedere il passo ad una indifferenza indulgente tra le diverse prospettive escludendo così ogni possibilità di scambio ed integrazione.

Cerchiamo brevemente di capire da dove arrivano queste differenze, partendo dall’etimo della parola clinico: deriva da klinikos, ossia ciò che si fa presso il letto, che a sua volta può derivare sia da klinè, in sostanza letto (o tutto ciò dove l’uomo può appoggiarsi), sia da klinò, ovvero pendere, inchinarsi, appoggiarsi (e quindi chinarsi…). Due riferimenti fondamentali dunque ne derivano: il primo, l'ambito in cui v’è uno disteso o appoggiato, e che per un qualche motivo si è lì fermato, il secondo in un altro che a sua volta si china prestando aiuto a colui che s’è disteso. La medicina ha adottato il termine “clinica” associandovi il concetto di malattia quindi caratterizzandola sia con ciò che sviluppa la necessità del malato di fermarsi e coricarsi, sia alla risposta che il clinico, inchinandosi, da a questa necessità.

Una parte della psicologia, specialmente quella basata sulla valutazione, ha assorbito in sé il concetto di malattia, provando a dare regolarità oggettiva ai disagi, rendendoli quindi problemi chiari e trattabili come cose in sè: la relazione d’aiuto viene organizzata dunque attraverso una domanda inequivocabile di intervento a cui trova seguito in maniera lineare una risposta, a sua volta legittimata dal potere della tecnica che utilizza. In questo caso l’accezione “clinica” è evidentemente usata in riferimento ad una specifica pratica ed ai suoi ambiti applicativi: prevenzione, valutazione, riabilitazione, sostegno, ecc, ed ansia, bullismo, dipendenza da internet, ecc, ecc! Sarebbe più opportuno perciò rovesciare i termini di riferimento utilizzando l’espressione clinica psicologica.

Un altro orientamento psicologico si è invece focalizzato sulla clinica come modello di intervento dove, nell’intento di chiedere e dare aiuto, due persone, un cliente ed un professionista psicologo, organizzano e danno senso ad una relazione: in questa prospettiva il disagio provato dal cliente ha una inevitabile simmetricità con la sua fenomenologia relazionale e, in maniera più specifica, con la modalità con cui richiede l’intervento e le fantasie sviluppate e proposte sull’intervento e lo psicologo: l’intervento qui non parte e si concentra sull'individuazione-trattamento del sintomo o della patologia, ma si definisce a partire dall’analisi della domanda posta dal cliente.


COME NASCE LA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

Nella seconda metà dell'Ottocento Wundt, in un laboratorio di Lipsia, dava inizio ad un faticoso cammino verso il riconoscimento della psicologia quale "scienza autonoma". In quel periodo l'impostazione positivistica dominava le scienze, e così la neonata psicologia, per seguire le sue aspirazioni, provava a muoversi attraverso una impostazione fisiologica, in cui la coscienza veniva considerata come un complesso associativo di elementi semplici (focalizzabili con l'attenzione e l'introspezione) e da studiare con il metodo sperimentale; impossibile altresì veniva ritenuto lo studio sperimentale delle funzioni superiori della coscienza, come il pensiero.

A questa visione si opposero diversi psicologi, i quali, cavalcando la cultura olistica che in quegli anni dava opposizione alla concezione elementaristica, dimostrarono la validità del paradigma per cui "il tutto è più della somma delle sue parti", e quindi che ogni unità (molare) ha qualità sue proprie non comprensibili attraverso lo studio delle parti che la compongono: e su questa evidenza si organizzarono nuovi medoti di studio, volti a cogliere la realtà fenomenica tale e quale a come viene percepita. Nasce così la psicologia della Gestalt, e per certi versi si potrebbe affermare che solo a questo punto la psicologia si conferma indiscutibilmente come scienza autonoma, distinta dalla filosofia e dalle scienze mature, trovando un ambito di studio nuovo, ampio ed estremamente produttivo.

Sempre verso la fine dell'Ottocento, in un generale clima di fervore scientifico, un brillante medico, tra l'altro di impostazione positivista, pubblica un testo straordinariamente audace dal titolo "l'interpretazione dei sogni": quel medico era Freud, e la sua era una proposta di studio rivolta all'inconscio. Se prima Schopenhauer e poi Nietzsche avevano promosso la presenza e l'influenza dell'inconscio nell'uomo, Freud arriva a chiarirne le regole di funzionamento ed a rivalutarne l'influenza sul sistema mentale: una geniale intuizione, dalla portata rivoluzionaria. Il mondo scientifico tuttavia non accolse con favore la prospettiva di Freud, ma con questo libro e con il nascente metodo psicoanalitico s'era inevitabilmente inaugurata la fondazione di una epistemologia nuova, talmente nuova che il suo riconoscimento scientifico fu sofferto, ed è rimasto combattuto sino ai giorni nostri: fondamentalmente perchè la realtà psicoanalitica non può essere verificata nè falsificata, a differenza delle altre realtà scientifiche. La psicoanalisi ha imposto una sostanziale riconsiderazione dei metodi delle scienze umane rispetto a quelli delle scienza naturali, nella sua caratteristica esplorazione scientifica. Del resto per tutta la sua attività Freud impiegò notevoli sforzi per fondare la psicoanalisi su un sostrato biologico e per dotarla di una dignità scientifica, soprattutto attraverso il tentativo ambizioso di sviluppare una teoria generale della psiche: la metapsicologia.

Mentre questo accadeva in Europa, in America ed in Russia invece, ad inizio Novecento, v'era il dominio di orientamenti psicologici decisamente scientisti, oggettivi e sperimentali, limitati allo studio del comportamento e avversi ogni forma di soggettività ed introspezione: rispettivamente il comportamentismo e la riflessologia, entrambi orientati allo studio di una particolare forma di apprendimento, detta condizionamento. Watson, il più importante rappresentante del movimento comportamentista si dichiarava del tutto certo della totale plasmabilità degli individui: questa visione, combinata con il carattere pragmatista della cultura americana, riscosse un notevole interesse anche sul versante applicativo.

La prontezza e l'attenzione di questa giovane scienza, espressa nelle sue diverse nature dalle rispettive scuole, le ha permesso di rispondere ed inserirsi di volta in volta all'interno di questioni, interrogativi e necessità contingenti, dandole possibilità di un costante e ramificato sviluppo (che non sembra per altro essersi esaurito, a più di un secolo di distanza dalla sua nascita!), da un lato, ma ne ha anche comportato una identificazione sfuggevole ed incerta, dall'altro. Ad oggi le teorie e i modelli psicologici trovano sconfinati ambiti di investimento: quelli più noti, come la terapia, formazione, valutazione, ecc, ad altri meno noti, come la comunicazione, pubblicità, architettura, ecc. Volendo è possibile comunque sintetizzare due modalità di utilizzo applicativo della psicologia: la prima è finalizzata al controllo, alla manipolazione e al tentativo di trasformare un fenomeno o un sistema per come si desidera, ed in questo caso la psicologia viene identificata con il potere e l'effecacia della tecnica che possiede ed utilizzata in maniera strumentale; il secondo è finalizzato allo sviluppo, a dotare l'oggetto di intervento (fenomeno o sistema) di un potenziale maturativo, attraverso un ampliamento delle categorie comprensive e della loro possibilità di utilizzo, che corrisponde infine ad una capacità di crescita psicosociale, ed in questo secondo caso la psicologia viene identificata con una teoria della tecnica e sull'interpretazione del senso che si sviluppa all'interno di una relazione tra lo psicologo e il suo cliente/paziente, a partire dalla domanda di intervento.


LA PSICHIATRIA E' PSICOLOGICA?

La psichiatria nasce in epoca illuministica, come reazione scientifica alla concezione medioevale della follia quale segno soprannaturale, demoniaco. L’oggetto della psichiatria è la malattia mentale e l’impostazione di studio e di intervento è di tipo medico, fortemente centrata sul metodo anatomo-patologico, ovvero sul rapporto tra lesione, deterioramento o malformazione strutturale e alterazione funzionale dei processi mentali. Questo carattere originario ha continuato a connotare la psichiatria sino ai giorni nostri e in discipline come la genetica, la neurologia, la chimica e la farmacopsicologia si sono verificati i contributi più significativi. Una parte della psichiatria tuttavia si è mantenuta aperta ed interessata alla psicologia ed alla visione psicologica delle malattie mentale, in particolar modo rivolgendosi alla psicodinamica, alla psicologia sistemica ed al cognitivismo. Radicalmente antiorganicistica è la visione della psichiatria fenomenologica, dove la comprensione dell’esperienza esistenziale del paziente prende il posto della spiegazione “distanziale” centrata sulla malattia. La storia della psichiatria è attraversata dall’uso di trattamenti di cura molto discutibili, alcuni considerati delle vere e proprie pratiche scellerate, se non addirittura barbarie. La sofferenza imposta ai malati mentali dalle stesse cure ha motivato la nascita di movimenti reattivi, come quello antipsichiatrico, che ha proposto l’ipotesi sociogenica dei disturbi: in Italia Basaglia arriverà a chiudere i manicomi, considerati luoghi di emarginazione sociale e di annientamento della individualità degli internati. Oggi la maggior parte degli interventi psichiatrici vengono per lo più svolti in ambiti sanitari, e basati a livello trattamentale sull'uso dei farmaci, con un netto ignoramento della psicologia.