Panta rei...?

Tutto scorre. Ma cosa è il tutto e che vuol dire scorre?


Proviamo a pensare allo spazio. Poi al tempo. E infine alla loro interazione.


Lo spazio può essere concepito come una implicita costruzione, nel senso di arbitraria delimitazione, di una certa entità (la cui sostanza è originariamente, e dunque nei suoi caratteri potenzialmente, indifferenziata nel tutto e nel niente), di un certo volume: cioè l'entità e il suo volume sono impliciti al senso del limite entro cui si costruiscono.Dare spazio, non dare spazio, non sono forse funzioni di costruzione dell'entità stessa che attraverso tale spazio si trova a vivere? Tutto ciò che è, è definibile implicitamente come spazio. Spazio come ogni evento simbolizzato, come forma di un significato altrimenti infinito e indefinibile, senza possibilità d'esser pensato per mancanza di parole, di un significante, di una chiusura. Come fa notare Iori “La visione fenomenologica sostituisce allo spazio posizionale(dato dalla oggettiva distanza geometrica tra le cose, indipendentemente dal punto di vista di chi le guarda e di chi le vive) lo spazio situazionale, cioè uno spazio in cui le cose e gli altri ricevono attribuzione di distanza e direzione in base all’intenzionalità del soggetto <<in situazione>> di relazione con gli altri corpi presenti. Le coordinate spazialinon sono dunque oggettive ma relative alla nostra scelta, dei mezzi o delle direzioni, per allontanarci o avvicinarci […] Lo spazio è esistenziale come l’esistenza è spaziale, poiché sempre <<essa sbocca in un fuori>>”[1], ed ancora, “Lo spazio naturale non è mai vuoto o neutro, a-temporale o a-storico ma sempre percepito, conosciuto, esperito, vissuto da un soggetto, secondo categorie concettuali (largo/stretto, alto/basso, interno/esterno, vicino/lontano, ecc.) secondo vissuti emozionali (familiare/ignoto, accogliente/ostile, bello/brutto), o secondo attribuzioni simboliche (sacro/profano, immaginario/concreto)”[2]. Ricordando le parole di Heidegger, “né lo spazio è nel soggetto, né il mondo è nello spazio. E’ piuttosto lo spazio ad essere ‘nel’ mondo [in quanto] l’Esserci è in se stesso spaziale”[3].

Il tempo. Dalla propriamente medioevale “Città di Dio” di Sant’Agostino e dal principio temporale in cui “Dio ha creato il mondo… e l’anima ponendoli nel tempo”, dove prima di tale principio, la linearità temporale creata da Dio trova la dimensione dell’eterno in Dio stesso (cioè “Dio creatore fuori dallo spazio e dal tempo”, e in quanto tale Dio entità unica al di sopra dello spazio-tempo), in cui si fa riferimento ad un moto lineare del tempo, un tempo dove è possibile individuare un inizio, la Creazione, e una fine, appunto la fine del mondo, ordinato in senso direzionale da Dio: oltre tale linea temporale c’è quella dantesca ineffabilità dell’esperienza di contatto, ascensionalmente spirituale, con Dio. Si arriva, all’opposto, nella visione Nietzschiana dell’eterno ritorno, cui l’adamantino ragionamento può ritenersi radicato in diversi e paralleli ordinamenti pagani (come tutto ciò che è arcaico) e parimenti atei della temporalità; Nietzsche nel testo Così parlò Zarathustra afferma:

Dio è un’idea che rende storto tutto, quanto è dritto, e fa girare tutto quello che è stabile […] Io chiamo malvagia e odiosa questa dottrina dell’uno, del perfetto, del sufficiente, dell’immobile e dell’imperituro! L’imperituro - non è che un simbolo! Ed i poeti [includendo tra questi quelli dell’antico testamento] ingannano molto. Ma i migliori simboli devono parlarci del tempo e del divenire: essere lode e giustificazione di tutto ciò che passa! Creare: ecco la grande liberazione dal dolore e il conforto della vita […] perché lo stesso creatore sia il fanciullo rinato, deve anche voler essere colei che lo partorisce e il dolore della partoriente […] Il cammino all’indietro dura una eternità. E il cammino in avanti dura un’altra eternità. Sono due direzioni opposte; cozzano l’una contro l’altra: ed è qui a questa porta che si incontrano. Il nome della porta è scritto lassù: Attimo. […] Guarda quest’attimo! Da questa porta corre una lunga strada eterna che torna: dietro a noi c’è una eternità. Non devono forse tutte le cose che possono correre, aver già percorso una volta questa strada? Tutto ciò che può accadere, non deve essere già una volta accaduto, essersi compiuto, essersi passato? E se tutto fu già: che pensi tu, nano, di questo momento? Non deve anche questa porta essere già stata? E non sono collegate tutte le cose in modo che questo momento trascini seco tutte le cose venture? E per conseguenza anche se stesso? Giacchè tutto ciò che può correre, anche su questa lunga strada che va avanti, deve correre ancora!

Secondo Einstein non si deve più considerare lo spazio ed il tempo come entità assolute, separate. Al contrario, spazio e tempo fanno parte di una unica realtà, lo spazio-tempo, che coincide con la quarta dimensione: passando da un sistema di riferimento ad un altro, lo spazio ed il tempo cambiano di conseguenza, secondo la teoria della relatività. “In vero lo spazio/tempo sono due aspetti indistinguibili della percezione; di fatto mentre il film puo’ essere riavvolto all’ indietro rovesciando fittiziamente le relazioni tra futuro ed il passato, nella realta’ lo svolgimento spazio/temporale e’ unitario ed irreversibile […] Eistein si rese perfettamente conto della difficoltà di superare le antiquate concezioni dello spazio tempo. Egli infatti scrisse: <<Non siamo meglio, nelle nostre speculazioni, di un pesce che si sforza di comprendere cosa sia l’acqua>> ciò perché il tempo relativistico da rigido e linearmente immutabile, diviene con la relatività spazio-temporale, intrinsecamente flessibile, essendo relativo alla percezione dell’ osservatore ; comunque dobbiamo essere coscienti che nel mondo contemporaneo per molteplici aspetti interpretativi del mondo contemporaneo e’ necessario superare la falsa concezione dualistica dello spazio tempo, concepita per interpretare un dominio localizzato di esperienze sensoriali empiriche a cui oggi non e’ più sufficiente far riferimento”[4]. Il tempo lineare è quello dell'orologio (e forse che sia costante nel suo divenire è solo una ipotesi! O una convenzione con l' altro… con l'orologio), ma non della mente. Pöppel, dal fronte fisiologico, ritiene che ci siano differenti esperienze elementari di tempo. In altri termini in una situazione particolare si costituirebbe un proprio tempo scaturente dalla combinazione di patterns distinti di scariche elettriche generati da neuroni di differenti origini: egli conclude che esistono, dunque, differenti esperienze di tempo elementare[5]. “La durata [del tempo] deriva dal progressivo accumularsi di momenti percettivi. L’integrazione avviene a livello soggettivo e implica la memoria e l’immagazzinamento delle tracce. La valutazione di durata soggiace all’influenza di molteplici fattori, i quali possono essere ricondotti ad una duplice polarità: da un lato i dati soggettivi, cioè gli atteggiamenti affettivi e cognitivi dell’io che vive la durata, dall’altro la quantità e la qualità delle stimolazioni esterne di eventi […] Anche se l’attività mnemonica ha già effettuato processi di selezione, il fluire del tempo e l’accumulazione degli eventi favorisce processi di distorsione e di inversione cronologica, nonché di accorciamento e di allungamento della durata rispetto al tempo oggettivo del calendario. Pertanto, sia nella stima di brevi durate, sia in quelli di periodi di vita, la variabile <<soggettiva>>, intesa nella sua più ampia accezione del sé con le sue varie componenti, appare esercitare un ruolo preminente in quanto la durata coincide col sé che dura”[6]. Già Benussi, nei suoi esperimenti sul tempo (oramai facenti parte della “psicologia classica”) sottolineava che il tempo interiore fosse tempo rappresentativo, emergente attraverso raggruppamenti o separazioni, là dove invece il tempo esterno, quello dell’orologio, sembrava scorrere senza condizionamenti di sorta. Il tempo allora sembra essere soggetto ad organizzazione. Il senso stesso della crescita si potrebbe legare ad un avanzamento nel proprio tempo, e ilproprio tempo intenderlo come un tempo circolare (passato, futuro, passato-nel-futuro, passato-nel-passato, etc), o meglio un circolo che circola, con moto libero e con-fuso (“il tempo” si fonde insieme, come Freud comprese nell’attribuire all’inconscio le funzioni di condensazione e spostamento), entro il recinto del sé. Kafka, citando una ricerca di Ornstein del 1969, ricorda che ogni nuova informazione ha effetti retroattivi sulla valutazione della durata temporale (quasi fosse una sostanza mutevole) di eventi passati, scrivendo “Collegare diversamente fatti e sentimenti […] consente una riorganizzazione e una reinterpretazione del sentimento del tempo. Esiste qualche analogia fra gli esperimenti sugli effetti che le nuove informazioni hanno sull’esperienza del tempo e questo aspetto dello sviluppo clinico. Per rappresentare questo processo con una metafora, vedo un’asta che attraversa molti strati fluidi con diversi angoli di rifrazione: la ristrutturazione psicoanalitica opera come se si agitassero, rimescolandoli, i diversi strati. In tal modo il trattamento può accrescere nel paziente il senso della continuità, facilitando un ampliamento e una futura estensione della prospettiva temporale”[7]. Il tempo non è solamente la percezione della mutabilità, del prima e dopo, e di quel complicato niente, eppure assai percepibile, che è l'attimo. Il tempo è il senso stesso della mutazione, è quella entità che si pone come legante tra gli spazi. Il tempo è di per sé innestato nello spazio (e viceversa) per la sua caratteristica di essere-tra, cioè di essere rinchiuso tra spazi reggendo il costituirsi dinamico di questi. Sì, il tempo scorre, ma se noi percepiamo il fatto che scorre è perché riconosciamo uno spazio diverso. "Non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua del fiume" diceva Eraclito con il suo "tutto scorre", ma se è vero che tutto scorre nel tempo è anche vero che può scorrere in quanto "scorre" nella nostra percezione-cognizione un nuovo spazio: è l'acqua che cambia se ci si bagna per la seconda volta, o per dirla con altre parole, l’acqua cambia se lo spazio è diverso. Un nuovo spazio crea un nuovo tempo. E allora in noi esiste un tempo che circola e può esistere solo un tempo che circola. In questo tempo lo spazio mentale fa emergere oggetti (chiusi nel loro spazio attribuitogli) attingendo dal profondo del tempo i suoi elementi creativi. Conoscere lo spazio-tempo è come conoscere in che tempo e in che spazio attinge il nostro sé. Le categorie spazio-tempo permettono quindi di riflettere sul processo di cambiamento psicologico implicito nella crescita. Quando si cresce non si cambia solo in senso lineare, non si è solo più grandi, si è anche più piccoli. Diceva in modo geniale Goethe nel suo Faust "gli anni non rendono bambini, come si dice; ci trovano soltanto fanciulli sul serio". Si cresce in senso circolare nella propria vita, e “tutto continua a crescere con noi”. Forse sarebbe più idoneo non dire semplicemente circolare, sarebbe meglio dire che si cresce in infinite dimensioni spaziali, dove ogni nuovo spazio rinnova ciò che è stato e ciò che potrebbe essere, essendo lo spazio una intersezione di processi, chiusi attraverso una forma determinata in un tempo. Tutto scorre? Tutto scorre, in quanto tutto è fermo: la apparente contraddizione è presto risolta, poiché che una cosa sia è semplicemente una cognitiva (le possibilità adattive della cognizione sono quelle di conoscere attraverso la percezione e quindi ri-conoscere un’esperienza collegata, così da pre-vederla) chiusura, un mettere tra, un creare uno spazio. Lo spazio in quanto tale non esiste, ma esiste in quanto creato: dunque la stessa creazione può fissarsi o ri-crearsi attraverso quello che per “necessità creatività” (cioè come condizione di limite e individuazione dal tutto) l'uomo ha arbitrariamente definito tempo. Le piante hanno vita? E in quale tempo? L'anima ha una vita? E in quale tempo? Le piante continuano a seminarsi, la vita continua ad esistere... il tempo a che serve? Lo spazio a che serve? A questo punto potremmo dire a definire il sé! Ma questa, a pensarci, è evidentemente una esigenza umana, unicamente umana. Si potrebbe pensare al tempo come a quello spazio che sta tra, quello spazio del “non-spazio”, quell’affascinante sentire il divergere e il mutare degli spazi, e di ciò che attraverso l’intenzionalità li anima: …l'anima! Il tempo si coglie... ogni attimo ha in sé infinite temporalità, tante quante noi riusciamo a coglierne attraverso la costruzione di nuove dimensioni simboliche, di nuovi spazi. Recuperare spazi è implicitamente recuperare in senso creativo parte di un tempo, un tempo che rispetto alla sua unità complessa è allo stesso tempo inedito.


Per concludere, si potrebbe sottolineare l’opposizione etimologica tra la parola simbolo e diavolo: syn-ballein, ossia syn, con, insieme, e ballein, mettere, gettare, e dunque mettere insieme, unire, coniugare; mentre dia-ballein, ossia dia, tra, attraverso (nel senso di ostacolo), e ballein, che composti significano gettare tra, dividere, separare. Allora tutto scorre, sempre se il diavolo, come si suol dire, non ci mette… le corna!

[1] V. Iori (1996), Lo spazio vissuto, p. 19

[2] Ibidem, p. 32

[3] M. Heidegger (1927), Sein und Zeit, trad. it. Essere e tempo, 1970, p. 145

[4] P. Manzelli, Spazio e tempo nell’era digitale, http://www.edscuola.it/archivio/lre/spaziotempo.html

[5] E. Pöppel (1976), Time perception, in Handbook of sensory physiology, vol. 8, Springer

[6] P. Reale (1988), Tempo e identità, pp. 87-88

[7] J. S. Kafka (1992), Le nuove realtà