Matilde Festari

Libertà.


Era questo il sentimento che prevaleva in questo momento.

Mi giro per guardarla, la donna più importante della mia vita sedeva al mio fianco, sull’erba morbida e colorata di un verde brillante.

Mia madre era seduta accanto a me, assorta nei suoi pensieri mentre contemplava il sole che a poco a poco si nascondeva tra le colline, illuminando, ancora per poco, la valle che si estendeva ai nostri piedi.

Era uno dei posti preferiti di mia mamma, in realtà non era il “posto” che le piaceva; certo anche quello, ma era più il “momento”, adorava il tramonto. Era quello il suo luogo preferito. Il sole che calava, i colori chiari che lascivano il posto a quelli più scuri, la luna che prendeva il posto di quella grandissima palla di fuoco a distanza anni luce da noi.

Dovunque eravamo, che fosse inverno o estate, che fossimo al mare o in montagna, a piedi o in macchina: mia mamma guardava sempre il cielo per vedere il tramonto.

La galleria del suo telefono era intasata da foto che ritraevano un qualsiasi paesaggio nell’ora che precedeva la notte.

Le piaceva fotografare quei pochi minuti della giornata dove, secondo lei, tutto assumeva un aspetto surreale di pace e tranquillità.

A volte penso che le sarebbe piaciuto nascere sul pianeta del Piccolo Principe, in modo che avrebbe potuto vedere sempre alba e tramonto, bastava solo che si fosse girata da una parte piuttosto che dall’altra.

Ma alla fine la capivo, come si poteva resistere a tale spettacolo astronomico?

E forse sono di parte, perché in fondo mi aveva sempre trasmesso questa sua passione di guardare il cielo, ma sfiderei chiunque a non restare incantato di fronte a tale bellezza.

Osservavo la fievole luce che le accarezzava il viso e il riflesso di essa sui suoi occhiali, che mi impediva di scorgere i suoi occhi, marroni come i miei.

Sono sicura che se il sole mi avesse permesso di osservarli li avrei trovati a brillare di luce propria, come quelli di una bambina che riceve per Natale la bambola che desiderava tanto.

Le sue labbra sottili e rosa chiare erano incurvate all’insù, arrivando a creare un impercettibile sorriso.

La leggera gobba che aveva sul naso era coperta dalla montatura degli occhiali, portava degli orecchini a cerchio e i capelli erano spostati dietro alle orecchie.

Era seduta e teneva le gambe quasi appoggiate al petto, sopra di esse vi erano adagiate le sue mani, dalle dita lunghe e affusolate, portava degli anelli enormi, che a mio parere erano scomodissimi, ma per lei erano qualcosa di speciale, senza si sarebbe sentita completamente nuda, parole sue.

Mi girai a guardare l’orizzonte, il sole ormai era calato, così ancora in silenzio, come eravamo state finora, ci alzammo e ci incamminammo verso casa nostra, rompendo definitivamente quell’attimo surreale che poco prima ci avvolgeva.