Da due anni camminavano nell’ombra, apprendisti di un ordine che pochi osavano nominare. La Loggia dei Guardiani del Crepuscolo li aveva accolti, forgiandoli nel silenzio e nel sacrificio. Due anni di addestramento, di segreti sussurrati a lume di candela, di verità troppo oscure per essere scritte.
Non tutti erano lì per lo stesso motivo. Non tutti cercavano solo il bene.
Quella notte, Arik—uno dei Cinque Custodi dell’Equilibrio—era venuto a loro con un messaggio che avrebbe cambiato il loro destino.
Il Gran Maestro in persona aveva deciso: la prova era fissata. Il tempo era giunto.
Faradriel sentì il cuore accelerare. Se avessero superato la prova, sarebbero diventati Segugi del Crepuscolo—cacciatori di segreti, custodi di reliquie proibite… e nemici giurati del Velo Nero.
Per lei, non era solo un incarico. Era vendetta. Da bambina, aveva visto il Velo Nero inghiottire la sua famiglia, riducendo la sua vita in cenere e ombre. Ora, finalmente, avrebbe avuto l’occasione di restituire il colpo.
Atticus non era lì per grandi ideali. Non per giuramenti solenni o per la gloria della Loggia. No, lui si era arruolato per diventare il migliore. La Costa della Spada vantava guerrieri e maestri senza pari, e i Guardiani del Crepuscolo ne avevano addestrati più di chiunque altro. Salvare il mondo? Sarebbe stato un piacevole effetto collaterale. Ma la sua verità era nei pugni, nella precisione di un colpo ben assestato, nella forza che solo il duro allenamento poteva donare.
David, invece, si rigirava sul cuscino, osservando la stanza con un sorriso incredulo. Aveva davvero superato l’apprendistato? Continuava a ripeterselo nella testa, quasi aspettandosi di svegliarsi da un sogno. Certo, aveva fatto la figura dello sciocco davanti al Custode, tempestandolo di domande come un ragazzino troppo curioso… ma l’entusiasmo aveva avuto la meglio.
«Adepti, perché non vi state preparando?»
La voce vellutata di Lysara attraversò la stanza mentre la tiefling si affacciava al dormitorio.
Berenice scattò sull’attenti, il corpo teso come una corda di violino. La presenza della Custode le metteva sempre addosso un senso di disagio. C’era un legame di sangue tra loro, un lontano vincolo di parentela di cui non andava fiera. Non per chissà quale dramma, ma perché Lysara incarnava tutto ciò che lei non voleva essere: appariscente, carismatica, in grado di far ruotare una stanza intera attorno a sé con un solo sguardo. Berenice, al contrario, voleva farcela da sola, senza sconti, senza privilegi.
Lilith, invece, sembrava non avere problemi con i vantaggi. Accanto a Berenice, la mezz’elfa stava con calma preparando il suo zaino, i gesti misurati, perfetti. Non si definiva viziata—anzi, si era sempre data da fare nella vita—ma era colpa sua se il destino l’aveva benedetta con ricchezza, nobiltà e un aspetto principesco? Certo che no.
«Ci prepariamo subito, Custode.»
Le voci risposero all’unisono, ma Lysara era già oltre la soglia, svanita prima ancora che potessero rivolgerle una sola domanda.
«Dobbiamo recarci in biblioteca, ragazzi.» La voce di Faradriel era ferma, il tono di chi si aspettava di essere ascoltata senza discussioni.
«Forse dovremmo prepararci prima… fare provviste? Che equipaggiamento ci portiamo?» chiese David, ancora disteso sul cuscino, la voce incerta.
Un ghigno strisciò nella stanza prima ancora che il suo proprietario varcasse la soglia.
«Un piscialletto come te dovrebbe restare qui.»
Teagol entrò con la sua solita arroganza, il petto in fuori, l’aria da padrone del mondo. Tutti nella Loggia conoscevano quel fastidioso ammasso di ego e supponenza. David più di chiunque altro.
Figlio di un nobile della regione, Teagol non aveva guadagnato il suo posto tra i Guardiani: lo aveva comprato, o meglio, suo padre lo aveva fatto per lui, probabilmente per liberarsi della sua presenza. Il risultato? Una spina nel fianco per tutti i novizi.
David si irrigidì, cercando di ignorarlo. «Fatti gli affari tuoi» sibilò tra i denti, sperando di chiudere lì la questione.
Ma non era solo.
«Come ti permetti di entrare qui con quell’outfit così demodé e sgualcito?» sbottò Lilith, il sopracciglio inarcato con aristocratica disapprovazione.
Teagol vacillò, colto alla sprovvista. Non si aspettava di trovare la mezz’elfa nella stanza, e di certo non voleva inimicarsi una delle poche persone che contavano davvero tra i Guardiani. Declinò un goffo inchino, tentando di recuperare il suo solito tono sprezzante.
«Scusate, milady, torno or ora da una missione, dove ho rischiato la vita e non ho avuto tempo di—»
«—Di fare una doccia.» Berenice terminò la frase per lui, con un mezzo sorriso.
Un attimo di silenzio. Poi, le risate scoppiarono spontanee, spezzando la tensione e alleggerendo la morsa attorno a David.
Teagol serrò la mascella, umiliato. «Vi auguro buona fortuna per la prova» disse con falsa cortesia, prima di girarsi sui tacchi. Ma mentre usciva, i suoi occhi si posarono su David con un lampo di veleno. Non sarebbe finita lì.
«Abbiamo già perso troppo tempo» li richiamò Faradriel, pronta a rimetterli in riga.
Ma il destino aveva altri piani.
Prima che potesse aggiungere altro, un’altra figura fece irruzione nella stanza.
<<avete bisogno di provviste? Integratori, bibite energetiche?>> disse una botte palesandosi davanti al gruppo.
Si trattava di Bottlejim un costrutto che vedevano spesso girare per le stanze della loggia a vendere bevande, Atticus rifiutò cortesemente le proteine, forse perché le osservazioni piccate di Arik lo avevano un po’ indisposto, invece David chiede un te.
Immediatamente la piccola botte estrasse un piccolo rubinetto di ottone localizzato tra le gambe e per così dire pisciò in una tazza un’abbondante porzione di liquido fumante.
<<grazie>> rispose interdetto il mago, che si ripromise di non chiedere mai della cioccolata calda…
Decisero poi di chiudere la porta del dormitorio e barricarsi all’interno, no ce l’avrebbero mai fatta ad elaborare un piano se ogni disperato della loggia si fosse affacciato alla loro porta.
<<facciamo il punto della situazione>> puntualizzò il druido, Arik aveva rivelato loro che la prova aveva a che fare con il passato di Faradriel, con quello che l’aveva resa famosa.
<<intende l’epidemia che hai debellato?>> volle chiedere Lilith, spesso avevano parlato delle sue gesta, era famosa tra i popolani proprio perché aveva contribuito a salvare tante vite.
<<lo pensavo anche io>> insistette David, <<i tuoi genitori non sono morti in quell’epidemia, tu eri appena una ragazzina, ricordi qualcosa?>>
<<non mi spiace ragazzi, è stata una cosa scioccante e devo averla rimossa>>
Berenice all’improvviso ebbe un sussulto, gli occhi le si illuminarono e dalle sue labbra uscirono sibilando due parole: <<Diavolo Rosso>>
Tutti si immobilizzarono, non erano nuovi alle trance della stregona, ma ogni volta erano improvvise e criptiche.
<<ho visto queste parole nel tuo passato, ti dicono qualcosa>> volle sapere Berenice.
<<non credo, non mi sono nuove però>> confermò Faradriel, <<teniamole a mente potrebbero essere una pista>>
David era d’accordo con l’elfa, lui aveva sentito parlare di una sostanza altamente tossica e pericolosa che, se non ricordava male, si chiamava proprio così, informò i compagni e la decisione fu presa.
Berenice e Atticus si sarebbero recati in biblioteca per cercare informazioni, mentre gli altri avrebbero finito di preparare gli equipaggiamenti e poi si sarebbero reincontrati dal gran maestro, per iniziare la loro prova.
Stufo di aspettare il monaco fletté i muscoli delle gambe e parti di corsa seguito a ruota da Berenice, stavano gareggiando e la foga del momento non gli fece capire che la direzione era sbagliata…
Faradriel fissò Lilith, e insieme annuirono, sarebbero andate loro in biblioteca e così non avendo nulla da fare decide di tagliare la testa al topo, no aspetta si disse, era al toro...chissà perchè gli erano passati per la mente i roditori…ma lo avrebbe scoperto più tardi e a caro prezzo.
Arrivò davanti alla porta dello studio del gran Maestro del crepuscolo solo per trovarvi un altro dei custodi dell’equilibrio, un certo Seraphis Dorn, un elegante tiefling in abiti costosi che spesso li aveva addestrati nell’arte dell’interrogatorio, pedinamento e perquisizione.
<<buongiorno piccolo allievo, sei in anticipo>>
<<buongiorno Custode>> salutò educato David, <<non sto nella pelle e volevo capire di più della prova lei ha delle informazioni?>>
Il sopracciglio ben curato di Seraphis si inarcò divertito.
<<vuoi delle informazioni su una proba segreta?>>
David divenne rosse in volto, la frecciatina aveva colto nel segno anche stavolta.
<<suvvia stavo scherzando, anche io sono qui in anticipo perché non sto nella pelle>> ticchettò con le dita su una clessidra dorata che aveva appesa alla cintura.
<<Ogni volta che la prova viene annunciata noi abbiamo nuovi segugi, oppure le loro anime in cambio, un ottimo bottino direi>>
David deglutì intimorito.
<<non preoccuparti se farai un patto con me ti aiuterò in futuro, conosco il tuo valore>>
Il mago annuì debolmente.
<<se prometti di giurare di fare tutto il possibile per sconfiggere il velo nero, sempre e in ogni occasione, Io Seraphis Dorn, custode dell’equilibrio ti donerò un oggetto di grande potere dopo la prova>>
Gli occhi del mago si fecero avidi, potere per svelare i segreti del mondo…chi lo avrebbe mai rifiutato?
<<accetto>> sussurrò.
<<o non così, dammi un po’ del tuo sangue>> sorrise benevolo il custode.
David esitò…un patto di sangue era un vincolo eterno ricordò dalle lezioni del primo anno, pericoloso per chi lo rompeva.
Il sopracciglio si inarcò nuovamente in attesa.
<<ecco>> si tagliò il pollice e fece cadere una goccia sulla clessidra, che immediatamente iniziò a brillare, poi pian piano si spense mentre la sabbia all’interno scorreva lentamente.
<<bene, siamo d’accordò allora>> chiuse il discordo il Custode soddisfatto.
La corsa li aveva condotti oltre il limite dell’ala ovest, ben lontani dalla biblioteca.
Berenice si fermò di colpo, il respiro affannoso che si mescolava all’eco dei loro passi interrotti. Davanti a loro, una porta annerita dal tempo oscillava leggermente sui cardini. Una targa di ottone consumata recava un’incisione sottile, quasi impercettibile alla luce fioca del corridoio: Ufficio Preoccupazioni
Come se li avesse attesi da sempre, la porta si aprì senza che nessuno la sfiorasse.
Un’unica, immensa pupilla li scrutò dal buio.
«Ma voi… siete sudati!»
La voce di Ignacio Pendulo, il responsabile dell’ufficio, era un sussurro stridulo, carico di apprensione. Il cappuccio viola ondeggiava impercettibilmente mentre l’occhio si dilatava, tremando.
«Vi prenderete un malanno.»
Atticus e Berenice si fissarono. Bastava una parola sbagliata, un’incertezza, e l’essere davanti a loro si sarebbe perso in un vortice di timori senza fine.
«Ci siamo… confusi.» Atticus si sforzò di mantenere la calma. «Stavamo cercando la biblioteca.»
L’occhio si strinse in un’espressione sospettosa.
«Confusi?» sibilò Pendulo. «E se nel frattempo qualcuno vi stesse aspettando? Se pensassero che vi sia accaduto qualcosa? Se—»
«È solo una ricerca.» Berenice parlò troppo in fretta, pentendosene un istante dopo. «Riguarda… un’epidemia.»
Il silenzio si fece denso.
Pendulo si immobilizzò. Poi, un tremito gli percorse il corpo.
«Un’epidemia?» sussurrò. «Qui? Nella Loggia? Contagiati? Una tragedia! Un incubo! È la fine!»
Si aggrappò alla testa, borbottando frasi sconnesse, mentre il suo respiro si faceva irregolare.
«No!» Berenice cercò di rimediare. «Nessuna epidemia! Solo un’indagine per la prova finale!»
L’occhio si fermò di colpo su di lei. Poi su Atticus.
«Ah… la prova.» Pendulo parve ricordare. «E vi siete persi? E se non arrivaste in tempo? Se le vostre anime fossero condannate? Orribile, orribile! L’ansia, il disastro!»
Atticus sentì un brivido lungo la schiena. Con un cenno quasi impercettibile, afferrò la manica della compagna e la tirò all’indietro, costringendola a retrocedere lentamente. Non c’era tempo per quell’isteria, per quei pensieri vorticosi che avrebbero potuto risucchiarli.
Mentre Pendulo iperventilava in un sacchetto di carta, si dileguarono nel buio del corridoio, senza mai voltarsi indietro.
L’ala est della Loggia si dispiegava davanti a druida e chierica in un labirinto di scaffali antichi e archi slanciati. La biblioteca era immensa, un santuario della conoscenza avvolto in un silenzio denso, carico di sussurri dimenticati.
Lilith e Faradriel avanzarono con passo cauto, il rumore dei loro stivali attutito dalle pesanti travi di legno che reggevano il soffitto. Giunsero al bancone e si fermarono.
La pila di libri davanti a loro si mosse.
Non era la prima volta. Avrebbero dovuto essere abituate. Eppure, quando il bibliotecario si animò, il solito brivido le percorse entrambe. Un golem di tomi che prendeva vita non era mai una visione rassicurante.
Uno dei volumi più massicci, posto al centro della creatura, si aprì con un suono secco. Sulle pagine, l’inchiostro si delineò come se una mano invisibile stesse scrivendo in quel preciso istante:
Come posso esservi utile, novizie?
Faradriel si schiarì la gola.
«Buongiorno, bibliotecario.» La sua voce era ferma, ma la tensione le serrava la gola. «Cerchiamo informazioni sul Diavolo Rosso e vorremmo—»
Un suono sordo la interruppe.
Il tomo si richiuse di colpo, facendo sollevare un leggero sbuffo di polvere. Attimi di silenzio. Poi, lentamente, le pagine si riaprirono e una nuova scritta comparve, come un verdetto inappellabile:
Non posso fornire informazioni sulla vostra prova di fine addestramento.
Lilith si chinò leggermente verso Faradriel e sussurrò, amara:
«Ci abbiamo provato.»
«Ti ringraziamo, bibliotecario.» Faradriel fece un cenno di congedo.
L’inchiostro sbiadì, il tomo si chiuse e la pila di libri si irrigidì nuovamente, tornando inerte.
Avevano perso tempo. Troppo.
Senza un’altra parola, si voltarono e si allontanarono, le ombre delle alte scaffalature che le seguivano come spettri silenziosi.
Allo scoccare dell’ora erano tutti davanti alla porta del gran maestro, Seraphis appoggiato allo stipite stava in silenzio divertito e un po’ incuriosito dai cinque.
Li conosceva bene. Ognuno di loro si era distinto in un campo diverso, brillando come astri nel firmamento della Loggia. Erano l’élite della nuova generazione. O forse, più semplicemente, delle anime eccellenti da offrire all’Ordine.
Ma il suo sguardo si soffermò su uno in particolare.
David.
Un mago promettente, brillante… ma troppo incline a stringere patti di sangue. Un tratto pericoloso. O forse, semplicemente, inevitabile.
Il Custode si sistemò con cura il colletto della camicia, poi ruppe il silenzio che avvolgeva la stanza come un velo.
«Bene, il tempo è giunto. Siete pronti per diventare Segugi?»
Un battito di cuore, poi la risposta arrivò in perfetta sincronia:
«Sì, Custode. Per la Loggia e per la Verità.»
Il tiefling annuì soddisfatto.
«Eccellente. Prendetevi per mano. Concentratevi sul desiderio di attraversare questa porta. Il resto vi sarà chiaro dopo.»
Per un lungo istante nessuno si mosse. Gli sguardi si incrociarono, tesi, incerti. Poi, uno dopo l’altro, i cinque compagni si presero per mano.
E successe.Il mondo esplose.O forse implose.
Il tempo si contorse, lo spazio si piegò in direzioni impossibili. Furono strappati dai loro stessi corpi, proiettati attraverso un vortice di esistenza e non-esistenza. Le budella si attorcigliarono, il sopra divenne il sotto, la destra si fece sinistra. Il fuori era dentro. L’interno divenne esterno.
Lilith cercò di razionalizzare ciò che accadeva, di aggrapparsi alla logica dei tomi che aveva studiato. Ma la teoria non l’aveva preparata a questo.
Fu forse questa distrazione a tradirla.
Il conato la travolse con una violenza primitiva, incontrollabile. Crollò in ginocchio mentre la nausea le strappava via la colazione, un rivolo acido che si riversava sul pavimento sconosciuto.
Non era la sola.
David e Atticus erano piegati su sé stessi, gemelli nel disgusto e nello sconcerto. Ma solo lei… solo lei si era lasciata sfuggire anche altro.
Lilith chiuse gli occhi, cercando di ignorare il calore umiliante che le impregnava i pantaloni. Non era il momento di preoccuparsi della seta di Luskan. Non ora.
Davanti a loro, maestosa e infinita, si ergeva una biblioteca.
O meglio… erano loro ad essersi materializzati al suo interno.
Atticus si passò una mano sul volto, ancora scosso dallo spostamento planare, e tese la mano agli altri.
«Meglio rimetterci in sesto,» mormorò. «Abbiamo già perso abbastanza dignità.»
La torre sembrava non avere fine.
Le pareti erano un’unica, ininterrotta distesa di libri, pergamene, tomi impilati fino a un lucernario remoto, dove una luna innaturalmente grande brillava con una luce inquieta. Non c’erano torce, né lampade. Eppure, ogni cosa era perfettamente illuminata, come se le parole scritte nei volumi emanassero una luce propria.
L’aria era densa, vibrante di un’attesa elettrica.
Al centro della sala, un maestoso leggio reggeva un tomo aperto. Davanti a esso, avvolto in una veste cerimoniale blu screziata d’arancione, il Gran Maestro li attendeva.
Berenice trattenne il respiro.
Un topo.
Non uno scoiattolo, per fortuna. Ma comunque un topo. Il pensiero la rassicurò appena. Per un istante aveva temuto il peggio. Malgrado il suo potere, nulla la terrorizzava più di quegli esseri dall’aspetto innocuo e dagli occhi neri e penetranti.
Il Gran Maestro si eresse solenne sulle zampe posteriori, scrutandoli con la saggezza di innumerevoli generazioni di studiosi.
«Vi do il benvenuto, novizi della Loggia. Oggi il vostro fato vi conduce alla grandezza.»
Un silenzio perfetto calò sulla sala.
«Da secoli la Loggia è il baluardo contro le forze oscure. Da secoli respingiamo l’ombra, custodendo la nostra realtà.» Una pausa carica di drammaticità. Poi, con voce ferma, proseguì:
«In questi libri sigilliamo minacce al di fuori del tempo, al di fuori di tutti i piani. Voi, Segugi, avrete il compito di scoprirne i segreti, di sventarle o imprigionarle. Questa è la vostra missione.»
«Accettiamo, Gran Maestro.» La risposta in coro risuonò come un giuramento inciso nella pietra.
Il Maestro abbassò le mani. Il momento era giunto.
«Avete domande prima di intraprendere il vostro battesimo?»
Faradriel non esitò.
«Cosa ci aspetta nella prova?»
Il topo sollevò una piccola mano artigliata.
Un tomo si staccò dagli scaffali e iniziò a fluttuare verso di loro. Quando si aprì, una luce eterea ne irradiò le pagine, danzando sui loro volti.
«Entrate in questo libro,» annunciò il Gran Maestro. «All’interno è sigillata una minaccia. Il vostro compito è recuperare il Diavolo Rosso, un artefatto pericoloso per la nostra realtà. Ma attenti: da questo momento sarete soli. Solo Oghma e Deneir, le divinità gemelle della conoscenza e della scrittura, vi guideranno.»
Sapevano bene cosa significasse. Il loro ordine esisteva grazie al potere di quei due dèi. E ora, avrebbero giudicato se fossero degni di diventare Segugi.
«Siamo pronti, Maestro.» David parlò per tutti. I suoi compagni annuirono.
Il Gran Maestro chiuse gli occhi.
Il tomo esplose.
Una tempesta di pagine li avvolse, vorticando come un tornado di lettere e simboli arcani. Poi, il nulla.
Quando riaprirono gli occhi, non erano più nella torre.
Un silenzio tombale avvolgeva il nuovo luogo in cui si trovavano. Un’oscurità totale li circondava, ma i loro occhi adattati alle tenebre colsero i primi dettagli. Un ambiente ampio, sconosciuto. Nessuna presenza percepibile.
Almeno per ora.
Si mossero con la disciplina affinata negli anni di addestramento. Atticus e Lilith aprivano la marcia, le armature pronte ad assorbire il peso degli scontri. Faradriel e David, in seconda linea, attenti a ogni minimo segnale. In fondo, Berenice, pronta a scatenare la sua magia.
Lentamente, avanzarono nell’ignoto.
David alzò una mano e mormorò un incantesimo.
Tre sfere di luce ondeggiarono nell’aria, illuminando il corridoio polveroso davanti a loro. L’aria era densa di stasi, ogni cosa immobile, avvolta da un silenzio innaturale. Atticus strinse la mascella. Odiava il Velo Nero. Lo aveva sempre odiato. E ora, finalmente, poteva vendicarsi.
Ma qualcosa lo fece esitare.
Un dettaglio insignificante. Un’ombra appena diversa dal resto.
Sollevò un braccio, bloccando Lilith prima che potesse fare un altro passo.
«Guarda il pavimento,» sussurrò. «La polvere qui è diversa.»
Lilith osservò meglio. Non lo avrebbe mai notato da sola, ma Atticus aveva ragione. E ora, con occhi più attenti, individuò anche una serie di piccoli fori lungo le pareti, all’altezza della lastra sospetta.
«Trappole,» bisbigliò. Poi, rivolgendosi agli altri: «Seguite i nostri passi.»
Aggirarono la minaccia con cautela, procedendo lungo il dedalo di insidie fino a una massiccia porta di quercia borchiata di ferro.
Chiusa.
«Ci penso io,» annunciò Berenice, mentre una fiammella si accendeva sulla punta delle dita.
Sussurrò un’incantazione e scagliò un dardo di fuoco contro la serratura. Il legno si scheggiò con un boato sordo, e una nuvola di fumo si riversò nella stanza oltre l’uscio.
David sospirò addio segretezza.
La porta cigolò, rivelando un’arena buia e polverosa, un vasto cerchio di pietra che si perdeva nel buio. Al centro, un piedistallo sosteneva una piccola gabbia sospesa a un gancio.
Si avvicinarono e un colpo di tosse li fece trasalire. Il fumo aveva disturbato la creatura al suo interno.
Faradriel alzò la voce «Chi sei?»
David fece fluttuare una delle luci danzanti verso la gabbia.
Al suo interno, raggomitolata su sé stessa, una fata minuscola li osservava con occhi sgranati.
«Junx,» mormorò la creaturina. «E voi chi siete? Cosa ci fate qui?»
Lilith strinse i denti. Il nervosismo le rodeva le viscere, e non solo per via del segreto che custodiva nei pantaloni.
«Siamo noi a fare le domande,» ribatté, la voce più aspra di quanto intendesse.
Berenice e David si scambiarono un’occhiata, poi si fecero avanti per interrogare la fata.
Junx parlò con voce tremante. Era prigioniera di un Imp, un demone malizioso che aveva trovato un antico artefatto e scatenato il caos. Tutti erano morti. O peggio. Lei era stata risparmiata solo per il diletto della creatura.
Il sospetto aleggiò tra i compagni «Vi prego, liberatemi,» singhiozzò Junx, aggrappandosi alle sbarre.
Faradriel socchiuse gli occhi. «Come possiamo fidarci?»
La fata si voltò lentamente e sollevò le ali.
Ferite profonde e crudeli laceravano la sua schiena ei l gruppo rabbrividì.
«Mi tortura,» sussurrò Junx, la voce spezzata. «Non mi uccide, no. Sono solo il suo giocattolo.»
Lilith strinse i pugni e lanciò un incantesimo. Individuazione del Bene e del Male.
La magia le sussurrò la verità, Junx non mentiva ma qualcosa la raggelò.
Si voltò di scatto verso Berenice, il suo cuore non batteva e la sua aura era… diversa.
«Berenice.» La sua voce riecheggiò nella sala. «Tu… non sei viva.»
Un silenzio teso avvolse il gruppo. Berenice non parlò non era il momento per quel discorso.
«Dopo,» disse infine, stringendo i denti.
David annuì ora contava solo la missione.
Berenice si voltò verso Junx «Dicci come sconfiggere l’Imp e ti libereremo.»
Junx si aggrappò ancora di più alle sbarre.
«Ha un esercito di ratti zombie,» sussurrò. «Non avete speranza contro di loro.»
David inarcò un sopracciglio, ancora topi, destino, coincidenza o un avvertimento?
«Ma c’è un modo,» continuò la fata. «Il Flauto dei Topi vi permetterà di controllarli. È nella drogheria, oltre quella porta.»
Atticus seguì la direzione del dito di Junx. Una porta, a sud.
Si avvicinò, sbirciando da una piccola feritoria.
Uno spazio angusto, stipato di scaffali e vasi polverosi. Erbe appassite, bottiglie di vetro scheggiate, il tipico caos di una drogheria abbandonata.
E sul bancone, in una teca di vetro, un flauto.
Peccato che il pavimento fosse disseminato di mani mozzate.
Una di esse, con gesto teatrale, sollevò il medio in un silenzioso vaffanculo.
Atticus si tirò indietro di scatto, il cuore che gli martellava in gola.
Si voltò verso i compagni, trattenendo un sorriso incerto.
«C’è una teca con un flauto.»
Un sorriso si allargò sui volti di tutti.
«Ma,» aggiunse, «una mano mozzata mi ha mostrato il dito medio. E altre quattro hanno cercato di prendermi.» nessuno rise.
Lilith incrociò le braccia. «Siamo in cinque, abbiamo due anni di addestramento e la magia dalla nostra parte.»
David estrasse la bacchetta magica «Andiamo.»
Si posizionarono ai lati della porta, Atticus fissò i compagni e poi con una spallata spalancò l’anta.
Le mani però non erano senza cervello come aveva immaginato, sul bancone c’era la sua vecchia conoscenza ma delle altre non v’era traccia.
<<sul soffitto>> urlò Berenice per avvertirlo.
Ma il monaco fu toppo lento, una mano calò sulla sua faccia conficcando gli artigli in profondità, mirava agli occhi si rese conto.
Non c’era tempo per pensare, una seconda scattò e con un vile colpo sotto la cintura tentò di metterlo al tappeto, i suoi riflessi però stavolta lo salvarono, fulmineo riuscì ad afferrarla al volo mettendo al sicuro il suo pacco monastico.
Berenice, intanto, si era lanciata nella stanza, sfruttando il diversivo fornitale dal compagno, il flauto era il suo obiettivo, ma altre mani stavano calando su di lei.
Fu David a coprirle le spalle, dalla sua bacchetta saettò un raggio di gelo che freddò l’arto che la minacciava.
<<e due>> urlò Lilith mentre la sua mazza ne inchiodava un'altra a uno scaffale.
Berenice si girò di scatto, e con dardo di fuoco salvò il pacco di Atticus che con la mano libera sguainò la sua spada corta e iniziò la sua danza di morte, un affondo poi un calcio e infine un montante spedirono all’inferno altri due nemici.
L’ultima mano si lanciò disperata su Faradriel che alzò il suo giavellotto e la impalò senza problemi.
La loro prima battaglia era stata grandiosa, e due anni di allenamenti si erano dimostrati utili pensò Atticus asciugandovi il sangue dalla fronte.
Berenice prese in flauto, era fatto d’osso con delle code di topo legate alla base, <<che schifo>> disse mostrandolo agli amici <<ma ne percepisco la magia, Junx dice il vero>>
<<bene, propongo di liberarla>> informò Lilith, e tutti annuirono, si era guadagnata la salvezza con le sue informazioni.
Il gruppo decise di accamparsi, per permettere al monaco di curarsi, la prossima battaglia sarebbe stata quella decisiva, e un Imp era una creatura infida, un diabolico a quanto ricordavano dalle lezioni.
Faradriel e David stettero di guardia, ma circa dopo due ore di riposo s’iniziarono sentire strani rumori dalla drogheria, si avvicinarono di soppiatto scoprendo che la mano impalata era tornata in vita.
<<i colpi taglienti non funzionano con gli zombie, se vogliamo sconfiggerli li dobbiamo spappolare>> suggerì al compagno che annui lentamente <<un utile informazione>> disse condividendola con gli altri mentre li svegliava piano.
<<il laboratorio è oltre quella porta, ma tenete il flauto pronto>> disse loro Junx.
I compagni avanzarono risoluti, aprirono la porta e una grande scala a chioccola li accolse, si perdeva nelle profondità di un sotterraneo, e poi li sentirono.
Dapprima un lieve rumore di sottofondo, poi man mano che risalivano il suono si trasformò in un’accozzaglia di squittii folli e poi la videro un’ondata nera di topi zombie correva impazzita verso di loro.
Berenice si fece coraggio e si parò davanti al gruppo iniziando a suonare il flauto magico.
Le note iniziarono a stridere, poi le stonature presero il sopravvento, qualcosa non stava funzionando come doveva capì il mago e decise di agire.
Caricò uno dei suoi incantesimi più potenti, e un globo cromatico si materializzò nelle sue mani per poi sfrecciare verso l’orda di topi che con gli occhi iniettati di sangue stavano per attaccare la stregona.
Il colpo esplose schizzando di veleno verde le creaturine, molte morirono sul colpo, altre finirono agonizzanti a strisciare sul pavimento, ma il resto di loro furente individuò il loro nemico, e con un balzo raggiunsero lo gnomo indifeso gettandolo a terra.
Una tempesta di graffi e morsi lo ridusse in fin di vita, lo stavano ammazzando pensò Faradriel in preda al panico castò onda tonante che con un potente urlo spazzò via tutto attorno a lei, la ringhiera della scala fu divelta, e cadde nel precipizio della scala poi la seguirono i suoi amici, e i topi.
Dopo l’incantesimo esausta si accasciò a terra, solo Berenice era riuscita ad aggrapparsi al bordo delle scale, tutti gli altri erano scomparsi, ed era colpa sua di disse aiutando l’amica a issarsi sul pianerottolo.
Berenice riprese fiato a fatica, il cuore ancora in tumulto. Si sporse nuovamente oltre il corrimano spezzato, scrutando l’abisso sotto di lei. La scala precipitava per due piani prima di dissolversi nell’oscurità impenetrabile. Le luci danzanti di David, che fino a poco prima avevano sfidato il buio, erano svanite dal momento in cui il mago era crollato privo di sensi. Un brutto presagio.
Faradriel, ancora scossa, serrò i pugni. Sapeva che era stato il suo potere a scatenare quel caos, ma non aveva avuto scelta. Se non avesse scagliato l’Onda Tonante, sarebbero già diventati cibo per i ratti.
«Junx, sai farci strada?» domandò alla fatina, la cui luce tremolante sembrava l’unico bagliore di speranza.
Junx annuì con determinazione e sfrecciò avanti, seguendo la scia da cui erano emersi i roditori famelici. Senza esitare, Berenice e Faradriel le corsero dietro. Non c’era più spazio per la prudenza, solo per la sopravvivenza.
Le scale terminavano in un corridoio di pietra lungo e soffocante. Si fermarono di colpo, il respiro mozzato dall’orrore.
I corpi.
Accatastati contro le pareti, pallidi e immobili come statue della morte, le orbite vuote fissavano il nulla. Strisce di sangue secco macchiavano il pavimento, e nella polvere che ricopriva ogni superficie erano ben visibili le tracce lasciate dai ratti. L’aria era densa di un odore rancido di decomposizione e ferro.
Il Golem avanzò, la sua luce pallida sfiorando i volti senza vita dei soldati caduti. Le fiammelle danzavano nelle orbite vuote, creando l’illusione spettrale che gli occhi morti li osservassero.
Un brivido freddo risalì lungo la schiena di Berenice.
Scosse la testa, costringendosi a non cedere. Non ora. Non lì.
Dovevano andare avanti.
«Dove volete andare?» chiese il gigante di cera, la sua voce cavernosa riecheggiò tra le pareti di pietra.
«Dove sono caduti i nostri amici.» Faradriel non esitò, il suo sguardo era una lama di determinazione.
Il golem inclinò la testa, la fiamma che ardeva nel suo cranio gettava ombre spettrali sulle pareti.
«Posso portarvi al laboratorio, alla biblioteca… oppure al piano superiore.»
Berenice posò una mano ferma sulla spalla della compagna.
«Se sono caduti dalle scale, probabilmente si trovano nell’androne… forse prima del laboratorio.»
Il gigante spezzò un pezzo di cera esaurita e lo ingoiò con calma meccanica, mentre con l’altra mano ne sistemava una nuova.
«Le scale conducono alla biblioteca.»
«Portaci lì. Subito!» dissero all’unisono. Il colosso di cera si mise in marcia con passi pesanti, il chiarore delle sue candele tremolava sulle pareti umide del corridoio.
Man mano che avanzavano, la luce rivelava un orrore sempre più denso. I corpi. Sparsi come bambole rotte, ammassati in mucchi senza vita. Junx rabbrividì, i suoi piccoli occhi guizzavano da un cadavere all’altro, le ali vibravano di tensione. Le torture erano state terribili, e l’Imp aveva trasformato quelle profondità in un massacro.
«Eccoli!» esclamò Faradriel, spezzando il silenzio. Balzò oltre il golem e si inginocchiò accanto alle tre figure accasciate a terra. Dopo un percorso tortuoso, finalmente li avevano trovati.
La druida li ispezionò rapidamente. La sorte li aveva graziati—o quasi. Erano atterrati su una pila di cadaveri, il che aveva attutito l’impatto.
David giaceva su un fianco, un braccio piegato in modo innaturale verso sinistra, il volto segnato dai morsi dei roditori. Lilith, persino svenuta, manteneva un’aura di regale eleganza. Nessuna ferita visibile, ma il suo respiro era sibilante e irregolare.
Atticus, invece, era quello messo peggio.
La sua fortuna lo aveva abbandonato.
Era caduto in un punto dove non c’erano corpi ad attutire la caduta, e una larga macchia di sangue si allargava lentamente dalla sua nuca.
Berenice non perse tempo estrasse una delle pozioni che avevano recuperato e la versò tra le labbra di Lilith. Il respiro dell’incantatrice si stabilizzò all’istante, sotto il corpetto le costole si ricomposero con un suono inquietante e i suoi occhi si spalancarono di scatto.
«Che volo, ragazzi.» Disse, in un fiato solo. «Me la sono vista brutta. Che fine hanno fatto quegli schifosi topi?»
Mentre Berenice la aggiornava e le presentava il golem, Faradriel somministrò la stessa cura anche a David, la frattura al braccio si saldò con un leggero schiocco, e i morsi cicatrizzarono e il suo viso tornò quello di sempre. Non restava che Atticus ora, per la pozione però era troppo tardi pensò Lilith, la sua anima sembra stia lasciando il corpo, si accovacciò di fianco al monaco e posò le sue mani sulle sue tempie. Una luce dorata si diffuse mentre lanciava l’incantesimo salvare i morenti, e pregava al tempo stesso.
Atticus intanto stava sentendosi risucchiare via verso una destinazione ignota, via dal suo corpo, via dal calore delle mani che sentiva sulle tempie, inesorabile la corrente lo portava verso una strana ampolla verdognola che si ingrandiva man mano che vi si avvicinava. Provò a lottare per tornare indietro ma era come immerso nella melassa ogni movimento costava fatica e non sortiva effetto, fino a quando una luce dorata lo raggiunse.
Il calore tornò a farsi sentire, e percepì nuovamente delle mani sulle tempie, poi lentamente tornò indietro allontanandosi dall’ampolla, fino a che non poté riaprire gli occhi.
Vide Lilith che gli teneva la testa, e Berenice che gli versava in gola una pozione, mentre Junx svolazzava sopra di loro felice.
<<Vi ringrazio, mi avete salvato>> sussurrò commosso, poi si mise a sedere, i suoi muscoli sembravano scoppiare di salute, morire a volte fa bene pensò sorridendo.
Il gruppo, felice di essersi ricongiunto, si riorganizzò velocemente.
I maghi avevano esaurito gli incantesimi, non avevano più pozioni curative e, cosa ancora peggiore, non avevano idea di dove fosse l’Imp.
<<Qualcuno ha maggiori informazioni sul nostro nemico?>> chiese Lilith preoccupata.
Le cataste di corpi con l’emblema di Apollo la inquietavano.
Come poteva un solo nemico aver causato tutta quella morte? Loro erano solo in cinque.
David estrasse il suo libro e sfogliò le pagine fino a trovare quello che cercava.
<<Gli Imp sono creature infernali agli ordini di un padrone più potente.
Possono cambiare aspetto e rendersi invisibili, ma la loro vera natura è quella di un piccolo diavolo rosso con ali membranose e una coda con pungiglione.>>
Ecco il nostro diavolo rosso, pensarono tutti «Qualche debolezza?» suggerì Faradriel.
David sfogliò rapidamente le pagine ingiallite del tomo, il suo sguardo si fece cupo. «Immune al fuoco e al veleno» rispose, poi aggiunse: «Resistente agli attacchi non magici, soprattutto alle lame.»
Lilith incrociò le braccia, il volto impassibile. «Dobbiamo essere al massimo della nostra forza per affrontare una creatura simile. Ci serve riposo e preparazione. Propongo di accamparci qui per stanotte.»
Berenice scrutò l’ambiente intorno a loro: cadaveri sparsi ovunque, sangue rappreso sul pavimento, l’aria greve di morte e la tetra oppressione della scala a chiocciola che si innalzava come una spirale senza fine. Ma gli altri sembravano convinti, e così non disse nulla.
Il primo turno di guardia fu assegnato ad Atticus e Lilith. Il monaco provò a defilarsi, ma la chierica lo zittì con un’occhiata tagliente. «Non puoi dormire ora. Sei l’unico che non deve riguadagnare la magia. Tocca a te fare la guardia.»
Atticus sospirò, arreso, e si sedette su una panca sbrecciata, le mani giunte in grembo, gli occhi fissi nell’oscurità.
La notte avanzava lenta, immersa in un silenzio denso, fino a quando un rumore leggero risuonò nel fondo della sala. Un fruscio appena percettibile, un suono strisciante. Atticus si irrigidì, i sensi all’erta.
Si voltò verso Lilith e le sussurrò all’orecchio appuntito: «Qualcosa si muove laggiù. L’ho sentito.»
La mezzelfa annuì, serrando le labbra. «Andiamo a vedere. Ma non facciamoci sorprendere.»
Si mossero con passi felpati, l’ombra delle candele tremolava sui muri mentre avanzavano. Il suono li guidò fino a un angolo della stanza, dove una teca rovesciata giaceva sopra un corpo martoriato. Sotto il vetro infranto, qualcosa si agitava debolmente.
Atticus si chinò, scrutando attraverso la polvere. All’interno della teca, un groviglio di rami contorti si allungava sul cadavere, come radici avvinghiate a una preda.
Uno dei rami fremette.
«Sembra… una pianta cresciuta sul cadavere» mormorò Atticus, il cuore martellante nel petto.
Le sue parole però risvegliarono la pianta, che si protese per afferrarlo, infrangendo la teca con un suono secco. Lilith scattò indietro, il respiro mozzato dalla sorpresa, mentre i riflessi di Atticus prendevano il sopravvento. La sua spada corta saettò con precisione letale, tranciando di netto il ramo spinoso che cercava di serrarsi su di lui. Poi, con un pugno devastante, si abbatté sulla creatura vegetale, schiantandola al suolo in un vortice di linfa e schegge.
Lilith rimase per un attimo impressionata dalla rapidità e dalla forza del compagno, ma si riscosse in fretta. «Torniamo dagli altri e avvisiamoli. Ci sono molti altri arbusti… e si stanno risvegliando.» La sua voce era bassa, tesa, mentre i suoi occhi vagavano inquieti nella penombra.
La prima a svegliarsi fu Berenice, che ebbe un’intuizione brillante. Senza perdere tempo, si posizionò davanti al gruppo ed estrasse il flauto dei topi. Questa volta, non sentì il peso della pressione, non avvertì il caos assordante che l’aveva quasi travolta la volta precedente. Le note sgorgarono chiare, la magia fluì potente, e il richiamo si diffuse nell’aria come un’onda invisibile.
In risposta, gli arbusti si animarono, torcendosi e avanzando verso di loro con un lento strisciare. David ne contò almeno quindici prima che un suono sinistro, familiare, si levasse dai tombini del pavimento.
Improvvisamente, due chiusini si sollevarono, e da essi sgorgò una moltitudine di topi zombie. Squittendo e graffiando, le bestie putrescenti si lanciarono sugli arbusti in una furiosa battaglia. Le spine laceravano i roditori, strappavano brandelli di carne marcescente, ma il numero era schiacciante. Per ogni topo abbattuto, altri tre prendevano il suo posto, e in breve tempo la vegetazione maledetta venne sopraffatta.
Con le ultime note, Berenice guidò l’orda di ritorno ai tombini. I topi scomparvero nelle profondità oscure da cui erano venuti, e lei li salutò con un piccolo gesto della mano, un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Quando si voltò, trovò i compagni che la fissavano a bocca aperta. Il flauto non era più un’arma instabile. Lei aveva imparato a dominarlo.
Non erano più in balia dei ratti. David si sentì sollevato per la prima volta da quando erano entrati in quell’incubo.
Tornarono a dormire.
Questa volta, la notte trascorse senza altri attacchi.
Al mattino, David evocò il suo famiglio.
Un corvo scese in picchiata, si posò su una pila di cadaveri e cominciò a beccare gli occhi vuoti di un chierico defunto.
Lilith lanciò un’occhiata dura allo gnomo, che si strinse nelle spalle.
Era ancora alle prime armi con la magia… e i corvi, dopotutto, si comportavano così.
Atticus prese la guida del gruppo e si addentrò nel laboratorio.
Ad ogni svolta, l’atmosfera si faceva più pesante, le ombre più minacciose, il tanfo di morte sempre più opprimente.
I cadaveri aumentavano, disseminati in stanze inerti, una macabra testimonianza della distruzione che l’Imp aveva lasciato dietro di sé.
Erano tutti chierici dell’Ordine di Apollo, accatastati in modo innaturale, come burattini senza fili.
Finalmente, giunsero alla sala principale.
Atticus si fermò.
Il gruppo trattenne il fiato mentre i loro occhi scandagliavano l’ambiente.
Davanti a loro si apriva una grande porta ad arco, incorniciata da muri anneriti dal tempo.
La sala circolare era ingombra di tavoli, scaffali traboccanti di tomi e pergamene, strumenti alchemici frantumati.
Sul pavimento, tracciati con un liquido scuro e rappreso, simboli sconosciuti si intrecciavano in schemi minacciosi. Non era inchiostro.
Era sangue.
E i cadaveri non erano più ammucchiati alla rinfusa, ma disposti in pile ordinate, distribuite a intervalli regolari lungo il perimetro della stanza.
Un brivido freddo, sepolcrale, li attraversò all’unisono.
Poi, qualcosa si mosse.
Un fruscio umido, un suono sordo e viscido che si insinuò nell’aria.
Dai corpi ammassati, delle grasse larve violacee iniziarono a emergere, contorcendosi alla luce fioca.
Atticus fece un passo avanti, ma si bloccò di colpo.
Quegli esseri non erano semplici parassiti.
Erano qualcosa di peggio.
Il laboratorio svanì all'improvviso, inghiottito da un'ondata di irrealtà, e con esso scomparvero il freddo sepolcrale, i cadaveri sparsi sul pavimento e persino la presenza rassicurante dei suoi compagni. Atticus si ritrovò di colpo altrove, avvolto da un sole implacabile che gli martellava la schiena, mentre il vento caldo gli portava alle narici l'odore ferroso e acre del sangue rappreso. Conosceva quel luogo. Lo aveva visitato mille volte nei suoi incubi, eppure non si trattava di un sogno: quella piana brulla, quel silenzio innaturale e quel senso di angoscia lo confermavano. Era tornato nel luogo in cui tutto era cambiato, nel passo di montagna dove il Velo Nero aveva teso la sua imboscata, dove aveva visto i suoi compagni cadere uno dopo l'altro, e dove per un soffio non aveva perso anche sé stesso.
Quando si voltò, un nodo gli serrò la gola. Erano tutti lì. Tutti coloro che aveva perso, immobili, i loro corpi rigidi e segnati dalla morte. Occhi spenti lo fissavano, privi di vita, ma densi di un'accusa silenziosa che lo fece rabbrividire. Il vento si levò, insinuandosi tra le pieghe dei suoi vestiti come dita gelide, portando con sé un sussurro spettrale che si insinuò nella sua mente con la delicatezza crudele di un pugnale affilato.
«Ci hai lasciato morire.»
Atticus strinse i pugni, il respiro corto, il cuore che gli martellava nel petto. Il senso di colpa si abbatté su di lui come un'onda inarrestabile, paralizzandolo, rendendo i suoi movimenti pesanti come piombo. Sentiva il terreno cedere sotto di lui, le gambe piegarsi, mentre le figure avanzavano inesorabili, senza mai distogliere lo sguardo da lui.
«Non sei stato abbastanza forte.»
Il mondo si fece buio, la realtà svanì sotto il peso di un'angoscia che minacciava di soffocarlo, di inghiottirlo nel baratro senza via d'uscita in cui si era sempre rifugiato nei suoi incubi peggiori. Fu solo quando percepì il tocco caldo di una mano sulla sua pelle che il torpore si spezzò di colpo, come una catena che si spezza sotto una tensione insostenibile.
Faradriel.
Il contatto con la mezzelfa lo riportò bruscamente alla realtà, dissolvendo l'illusione in un battito di ciglia. Il laboratorio tornò a circondarlo, con il suo fetore di morte e le ombre minacciose proiettate dalle torce tremolanti. Atticus ansimava, il respiro ancora spezzato dalla paura, ma la consapevolezza del pericolo si fece immediata e tagliente: le larve che strisciavano tra i cadaveri non erano comuni parassiti, bensì creature capaci di attingere ai loro incubi più profondi e trasformarli in trappole mortali.
Tentò di avvertire gli altri, ma si accorse troppo tardi che Faradriel era rimasta intrappolata nello stesso incubo da cui lui era appena uscito. Il suo volto era pallido, gli occhi sgranati e fissi nel vuoto, mentre una lacrima silenziosa le rigava la guancia. Anche lei era stata trascinata nel suo passato.
Si trovava di nuovo a Faggioluce, il suo villaggio natale, ma non nel presente: era tornata a essere una bambina, piccola e indifesa, immersa nel silenzio opprimente di case abbandonate, porte spalancate e strade avvolte dalla nebbia verdastra della pestilenza. Il tanfo della malattia impregnava l'aria, la paura le serrava il petto come una morsa. Ricordava tutto, ogni dettaglio: i corpi allineati nei prati, avvolti in lenzuola candide, e tra essi, due sagome familiari che il cuore si rifiutava di riconoscere, anche se la mente sapeva già la risposta.
Suo padre. Sua madre.
Il dolore la trafisse con la stessa intensità di allora, un colpo sordo che la fece vacillare.
L'orrore la paralizzò mentre la nebbia si addensava intorno a lei, insinuandosi tra i vicoli, avvolgendola come un sudario.
Sapeva già come sarebbe andata a finire, stavolta non ci sarebbe stata via di fuga. Stavolta...Un grido squarciò l'aria, un suono acuto e potente, il richiamo di un falco che risuonò come un'eco nel suo cuore.
Sollevò lo sguardo e vide una figura emergere dalla nebbia: uno gnomo, avvolto in un mantello scuro, con un cappello a tesa larga che gli celava in parte il volto. Sul petto, una spilla d'argento raffigurava una ruota azzurra con otto raggi.
Una ruota magica.
Lo fissò incredula, il respiro spezzato, incapace di formulare parole. Lui le sorrise, con quella tranquillità rassicurante che si imprime nella memoria come un marchio indelebile, poi allungò la mano e le porse una fiala colma di un liquido verde brillante.
In un lampo, tutto le fu chiaro. La cura. Il modo in cui aveva salvato il villaggio. Il ricordo che aveva sepolto nel dolore era tornato a galla, risvegliato da quella visione, e con esso la consapevolezza che era stata più forte di quanto avesse mai creduto. Aveva già affrontato la paura, e l'aveva vinta.
E così l'incubo si dissolse.
Faradriel tornò alla realtà con un respiro ansimante, trovandosi tra le braccia di Atticus, che la stava trascinando lontano dalle larve, mentre Lilith si chinava su di lei con preoccupazione.
«Sto bene.»
Le parole le uscirono in un sussurro tremante, ma erano vere. Era di nuovo nel laboratorio, al fianco dei suoi compagni, e sapeva di poter affrontare ciò che li attendeva.
Poi il suo sguardo si posò su David, e il suo cuore perse un battito.
Lo gnomo che aveva visto nel suo ricordo aveva tratti sorprendentemente simili a quelli del mago.
Ma non era il momento per porsi domande.
Non ancora.
Per adesso, l'unica cosa che contava era sopravvivere.
<<State indietro!>> intimò loro il monaco, il suo volto distorto da una smorfia di terrore. <<Non so come facciano, ma quelle larve ti catapultano nei tuoi peggiori incubi!>>
Berenice fissò le creature striscianti davanti a loro. Già di per sé facevano schifo, ma che ti scavassero pure nel cervello, sembrava troppo persino per lei.
<<Posso aiutarvi io,>> disse Junx, con una calma inquietante, attirando tutti gli sguardi su di sé.
<<Posso proteggervi dalle larve psichiche e permettervi di entrare nel laboratorio. È temporaneo, ma basterà se siete veloci.>>
Tutti annuirono, rincuorati dalla sua offerta. La fata si librò in volo, facendo cadere su di loro una leggera polvere dorata, la cui luce sembrava danzare nell’aria.
Le larve, in risposta, iniziarono a dimenarsi come in preda a una sofferenza terribile, e si rintanarono nei cadaveri sparsi per il pavimento.
<<Sembra funzionare,>> disse David, avvicinandosi cautamente per saggiare la protezione.
<<Certo che funziona,>> rispose Junx, con un sorriso che nascondeva la stanchezza. <<Ma non chiedetemi di rifarlo. Sono esausta.>>
Si posò su uno dei tavoli del laboratorio, lasciando che il gruppo avanzasse.
<<Muoviamoci allora!>> ordinò Lilith, con determinazione. Senza perdere tempo, l’intero gruppo attraversò la sala delle larve, riuscendo a entrare nel laboratorio vero e proprio.
I segni sul pavimento erano davvero fatti di sangue, come aveva osservato Berenice, e sembravano parte di un rituale oscuro. Tutto portava verso una porta sul fondo, al centro di tutto.
<<Qui i segni si interrompono,>> fece notare David, accorgendosi del vuoto che rimaneva tra le linee sanguinolente.
<<Questo è linguaggio infernale,>> esclamò Lilith, l’allarme nei suoi occhi diventato palpabile. <<Che genere di rituale può mai essere questo?>>
La domanda rimase sospesa nell’aria, ma tutti sentivano la risposta: un rituale infernale non avrebbe mai portato a nulla di buono.
<<Magari dovete completare le scritte,>> suggerì Junx, la sua voce priva di preoccupazione.
<<Ma chiudere un rituale che non conosciamo potrebbe essere molto pericoloso,>> osservò la chierica, e tutti annuirono. Erano bloccati.
<<Siete venuti per sconfiggere l’imp, che si trova oltre quella porta,>> precisò la fata, con tono neutro, ma fermo. <<La mia polvere non vi proteggerà per sempre.>>
Quella era la verità. Dovevano agire.
Atticus fissò Lilith e le disse, con uno sguardo di determinazione: <<Chiudi il cerchio, e facciamo il culo all’imp.>> Un fuoco di risolutezza si accese negli occhi di tutti.
Lilith si inginocchiò, con delicatezza ma grande precisione, intinse le dita nel sangue che segnava la scritta e chiuse lentamente le ultime lettere. Un silenzio inquietante riempì la stanza.
All’inizio non successe nulla, poi il pavimento iniziò a ribollire, come se fosse diventato vivo. Le scritte infernali presero vita, contorcendosi, cambiando forma. Una risata terrificante, fuori da ogni logica, scaturì dalla gola di Junx.
Tutti si pietrificarono. Quella non era la voce della fata.
Non fecero in tempo a reagire. Con un boato, la porta sul fondo si spalancò. Una figura sorridente di bambina si affacciò all’uscio, circondata da facce animalesche che ghignavano come mostri di un incubo.
<<Vi ringrazio infinitamente, mie prodi salvatori,>> disse la bambina, uscendo lentamente dallo sfondo oscuro.
La fatina volò incontro alla figura, posandosi sulla sua spalla, continuando a ridere. Ma poi le risate si sincronizzarono, diventando un’unica risata sinistra, e la piccola creatura fatata si riassorbì nel corpo della bambina.
O meglio, quello che sembrava essere una bambina, capì immediatamente Lilith.
<<Chi sei, immonda creatura?>> gridò Faradriel, con gli occhi pieni di furia che sembravano infiammarsi.
<<Oh, non ci conosciamo?>> rispose la bambina, e in un istante la sua forma mutò davanti agli occhi increduli di tutti.
Ora era un’anziana, vestita come una guaritrice, le vesti bianche logore, macchiate di sangue. Un ghigno terribile deformava il suo volto, e un’ombra di malvagità oscura la circondava.
Il vero orrore aveva solo appena iniziato.
La tensione che aleggiava nella stanza sembrava palpabile, mentre Faradriel fissava l’imp con occhi colmi di furia. La creatura sorrise, le sue unghie che si allungavano come artigli, i denti che diventavano affilati come lame.
<<Tutto è collegato, ragazza,>> disse con voce sibillina, quasi divertita. <<E tutto rientra nel suo disegno.>>
Lilith non si fece intimidire e afferrò la sua spada, seguita dagli altri. <<Chi sei?>> chiese, la sua voce piena di determinazione. <<Perché hai fatto questo?>>
L’imp ridacchiò. <<Oh, ragazza, è vero che meritare una spiegazione, dopotutto mi avete liberato dalla mia prigione,>> disse, con un ghigno che svelava le sue fauci sbavanti. <<Ero venuta qui su ordine del mio signore, per il Diavolo Rosso. Ma i tuoi amici chierici mi hanno teso una trappola, rinchiudendomi in quel cerchio magico. Un santo sacrificio, che voi avete vanificato.>>
Le parole dell’imp fecero gelare il sangue nelle vene di tutti. Avevano fatto l’errore di liberarla, e ora si rendevano conto di quanto fosse grave.
<<Junx lavorava per te, quindi,>> osservò David, con uno sguardo sornione.
<<Quella fatina era un mio trucco,>> rispose l’imp, il suo sorriso maligno che si allargava. <<L’ho corrotta tanto tempo fa e la uso quando serve. Ci siete cascati, sì.>>
Berenice, disgustata, raccolse il suo potere magico nelle mani, pronta a scagliarlo contro la creatura che ora si rivelava per quello che era: il loro nemico.
<<Chi è il tuo signore?>> chiese Faradriel, ancora provata dalle rivelazioni, ma determinata a ottenere più risposte. <<Diccelo.>>
L’imp sorrise di nuovo, un sorriso di pura malvagità. <<Il suo nome vi farebbe tremare come i vermi che siete, misere creature,>> rispose con tono sprezzante. Poi si trasformò, rivelando la sua forma vera.
Un piccolo diavolo alato, rosso come il sangue, con una coda da scorpione e occhi neri senza pupille. La sua presenza era un colpo al cuore, e i suoi occhi si fissarono su Berenice.
<<Bochtulaz ti dà la possibilità di essere perdonata, piccola serva,>> disse l’imp, la sua voce che sembrava provenire da un abisso senza fine.
Il gelo pervase l’intero gruppo, e tutti gli occhi si voltarono verso Berenice, diffidenti e preoccupati.
<<Ho rinnegato il tuo immondo padrone, creatura!>> urlò Berenice, con rabbia che bruciava nelle sue parole. <<Ho deciso di combatterlo con tutto me stessa, fino all’ultimo respiro. Ora e sempre!>>
Con quelle parole, si gettò in avanti, lanciandosi contro l’imp con una furia incontrollabile. La battaglia aveva ufficialmente inizio.
L’imp ridendo volò in alto, e vomitò quello che sembrava un cuore umano. Quando il cuore colpì il pavimento, iniziò a pulsare, e delle vene si diramarono, formando una figura che cominciò a muoversi. Il guerriero, fatto di vene e sangue, afferrò uno scudo e una spada di un chierico morto, gettandosi alla carica contro il gruppo.
L’imp, nel frattempo, si lanciò contro la druida, colpendola con la sua coda da scorpione, mentre Atticus e Berenice si occupavano del guerriero di vene. David e Lilith proteggevano le spalle dei compagni, pronti ad agire al primo segno di pericolo.
Il monaco fece breccia nell’armatura del guerriero con colpi rapidi, calci e la sua spada corta, mentre Berenice lanciava dardi infuocati, ferendo gravemente l’avversario. l'impeto del monaco però era incontenibile a tal punto che un suo pugno attraversò il corpo del guerrieri fatto di vene e andò a schiantarsi sul mento della compagna tramertendola.
L’imp, intanto, attaccò Faradriel, ma la stregona si difese con il suo randello, tenendo l’infernale occupato. Lilith, approfittando dell’opportunità, lo ferì con un dardo tracciante, impedendogli di nascondersi nelle ombre.
David, allora, concentrò il suo potere glaciale, caricando il suo raggio di gelo e colpendo l’imp con forza, facendolo cadere a terra, privo di sensi.
Il guerriero di vene, nel frattempo, era stato colpito duramente dal monaco, che con un calcio rotante al cranio gli spezzò il collo, facendo collassare la creatura in una pozza maleodorante di liquido corporeo.
L’imp, ormai ferito gravemente, cercò di lanciarsi su Lilith, ma il corvo di David, in picchiata, lo distrasse abbastanza a lungo da permettere a Faradriel di colpirlo alla tempia con il suo randello, fracassandogliela.
L’imp volò contro il muro vicino alla porta, e con l’ultimo alito di vita evocò un portale, da cui sbucarono mani giganti che sembravano fermare il tempo. Una voce cavernosa, profonda come il buio, gridò:
<<Non ho ancora finito con te, bambina… Non ho finito con nessuno di voi!>>
Ma proprio mentre il portale si apriva, la porta si sgretolò, e l’imp si dissolse in cenere, portando con sé ogni traccia di quella battaglia infernale.
Il silenzio calò, pesante e improvviso. La compagnia si fermò, esausta ma vittoriosa, e girandosi verso Berenice, Lilith le chiese con tono serio:
<<Hai qualcosa da dirci?>>
Berenice fissò i suoi compagni, un fuoco di determinazione nei suoi occhi, e poi iniziò a raccontare la sua storia.
<<La mia stirpe era ossessionata dalla vita eterna,>> cominciò, la sua voce bassa e tremante. <<Volevano vivere per sempre. I loro studi li portarono a sondare segreti che non avrebbero mai dovuto scoprire. Siamo stati ingannati, all’inizio non sapevamo da chi, o meglio da cosa. Ma ci hanno resi schiavi. Non moriremo mai di vecchiaia, ma non siamo neppure più vivi. Intrappolati nella non morte, e assoggettati al velo nero.>>
Le parole di Berenice portarono una nuova ombra sulla compagnia, ma anche la consapevolezza che la loro lotta non era ancora finita.
Il silenzio che aveva avvolto il gruppo di avventurieri fu rotto dalle parole di David, che, con un passo deciso, si avvicinò alla porta, scrutando oltre. Quello che vide non poteva essere definito altro che un ammasso di carne purulenta, una distesa informe di organi e viscere, da cui si innalzava un braccio scarnificato, che sembrava afferrare qualcosa con una forza sovrumana.
David si avvicinò con cautela, il suo istinto di avventuriero in allerta. Quando afferrò la lunga fiala, il suo cuore fece un balzo nel petto. Dentro vi nuotava un liquido rosso, e nel suo interno galleggiava qualcosa che sembrava essere una creatura con piccole corna. Un diavolo, pensò David, il diavolo rosso di cui si parlava.
<<Il diavolo rosso,>> mormorò, la consapevolezza di aver trovato un artefatto cruciale a portata di mano che li avrebbe potuti condurre più vicino alla verità e al loro obiettivo. La sua espressione si distese in un sorriso soddisfatto.
Poi, in un istante che sembrò sospeso tra il sogno e la realtà, il mondo attorno a loro sembrò distorcersi, e con un battito di ciglia si ritrovarono tutti e cinque di nuovo nella biblioteca, davanti al Gran Maestro, il loro punto di riferimento da cui tutto era cominciato.
Il Gran Maestro li osservò con uno sguardo che sembrava non perdere mai un dettaglio, il suo sorriso enigmatico che non riusciva a celare completamente una certa aria di complicità.
<<Ah, ecco i nostri nuovi segugi,>> disse, il tono inconfondibile di chi non sorprende sé stesso, ma piuttosto si delizia nel vedere che gli altri seguano il suo gioco.
Le parole del Gran Maestro, così calme e misurate, risuonarono nella mente di ogni membro del gruppo. Tutti erano sfiniti dalla battaglia, ma in cuor loro si rendevano conto che quel sorriso non prometteva nulla di buono.
<<Gran Maestro,>> disse Faradriel, con una punta di disprezzo nella voce, <<cosa intendi con ‘nuovi segugi’? Abbiamo fatto il gioco di Bochtulaz per poco non liberavamo il suo servo. Vogliamo risposte.>>
Il Gran Maestro non sembrò turbato dalla sua franchezza. <<Oh, ma le risposte sono sempre in arrivo, cara Faradriel,>> rispose con tono pacato, ma con un sottile accenno di veleno nascosto tra le sue parole. <<La vera domanda è: siete pronti a riceverle? Perché ciò che avete in mano ora non è altro che una piccola parte del tutto. Il cammino è ancora lungo.>>
Berenice, ancora turbata dalle rivelazioni precedenti, guardò la fiala con sospetto. <<Non possiamo semplicemente distruggerla?>> chiese, il suo tono carico di frustrazione. <<Non voglio essere la pedina di questo gioco.>>
David si avvicinò al Gran Maestro, stringendo la fiala in mano. <<Questa fiala… è il diavolo rosso. Che significa per noi?>>
Il sorriso del Gran Maestro si allargò. <<Significa che la verità è solo l’inizio, e che ogni passo che farete ora sarà più pesante dell’ultimo. La battaglia che avete appena vinto non è che una delle tante che vi attendono, ma ora avete qualcosa che vi guiderà. Forse.>>
Il silenzio calò nella stanza. Nessuno sapeva cosa pensare, ma la sensazione che non fossero ancora giunti al termine del loro viaggio si faceva sempre più opprimente.
<<Vi servono le risposte,>> disse il Gran Maestro, il suo sguardo penetrante, come se stesse leggendo i pensieri di ognuno. <<E io ve le darò, ma ricordatevi che la verità ha un prezzo, e non sempre è quella che vi aspettate.>>
Berenice, la cui mente stava ancora cercando di fare ordine tra i pezzi del puzzle che si stava svelando davanti a loro, abbassò lo sguardo sulla fiala. Qualunque fosse il loro prossimo passo, sapeva che la sua lotta interiore non sarebbe stata mai così grande come quella che aveva davanti.
Il Gran Maestro fece un cenno alla biblioteca, come se un mondo di segreti fosse nascosto tra gli scaffali di quei tomi polverosi. <<Fatevi strada, segugi. Il futuro vi aspetta, e nessuno di voi è ancora pronto per ciò che verrà.>>
Il gruppo si scambiò uno sguardo carico di tensione e determinazione. La loro missione non era ancora finita.
Nel dormitorio, Faradriel riunì il gruppo. Con voce tremante, li ringraziò uno ad uno, pregando per la loro incolumità. Un legame profondo si era forgiato tra loro, un'amicizia che andava oltre il semplice ruolo di segugi.
Non c'era tempo per festeggiare. David, con voce risoluta, ruppe il silenzio. "Il Velo Nero ha tentato di oscurare la nostra gioia, ma non glielo permetteremo."
"Già," concordò Atticus, "non lasceremo che ci tolga la vittoria."
Un odore di spezie e fermento li avvolse. Bottlejim, la botte ambulante, era apparsa silenziosa, sperando di vendere le sue bevande. Ma ancora una volta, nessuno era interessato.
"Ehm... no grazie, stavamo giusto andando," disse Lilith, con un sorriso tirato.
Bottlejim la scrutò con sospetto, gli occhi ridotti a fessure. "Va bene, sarà per la prossima volta." Si allontanò, borbottando.
Scoppiarono a ridere, ma la risata si spense quando David ricordò la promessa di Seraphis. "Ci deve un oggetto magico," esclamò, eccitato.
"Andiamo a prenderlo!" disse Atticus, balzando in piedi.
Si diressero verso l'aula dei contro incantesimi, il regno di Seraphis. Solitamente, lo trovavano intento a studiare antiche pergamene o a sperimentare nuovi incantesimi. Se c'era un luogo dove iniziare la ricerca, era proprio lì.
Salirono i gradini del torrione, la pietra fredda sotto i loro piedi. David bussò alla porta massiccia. "Un attimo!" tuonò la voce profonda di Seraphis, seguita da un frastuono di oggetti spostati. La porta si aprì lentamente, rivelando il tiefling.
"Buongiorno, nuovi Segugi," li salutò, soffermandosi con lo sguardo su Atticus e accarezzando la clessidra che portava al collo. "Per un pelo non finivate come anime riciclate, eh? Ma sono contento, un buon segugio è meglio di niente." Nessuno rispose, sopraffatto dalla sua presenza.
"Bochtulaz ci ha ingannati," iniziò Berenice, ma Seraphis la interruppe con un gesto brusco. "Non pronunciare mai quel nome. Lui sente tutto ciò che dite."
Il silenzio calò pesante. Chissà quali orrori Seraphis aveva già visto.
"Lui è il Signore del Velo Nero," continuò Seraphis, "colui che manovra quella vile congrega. Il nostro nemico più temibile."
La rivelazione li colpì come un pugno. Lo stregone era più potente di quanto immaginassero.
"Sono qui per il mio premio," disse David, cercando di rompere la tensione.
"Ah, certo, il tuo premio. Il nostro patto," rispose Seraphis, con un sorriso beffardo.
"Certo, combatterò il Velo Nero, a qualsiasi costo," affermò David, con determinazione.
"A qualsiasi costo," ripeté Seraphis, inarcando le sopracciglia.
Lilith registrò mentalmente quelle parole, sentendo un brivido. C'era una nota minacciosa nella voce di Seraphis.
"Bene, eccolo qui," disse il tiefling, aprendo un armadio e tirando fuori un fagotto.
David lo afferrò con avidità, svelando un elmo di metallo scuro, con una visiera gialla a forma di V.
"Un elmo? Non sono un guerriero," pensò David, perplesso.
"Ma ti servirà," disse Seraphis, come se leggesse nella sua mente.
«L’elmo del teletrasporto, lo conoscete? No?»
Congiunse gli indici e spiegò che, grazie a quell'oggetto rarissimo e magico, David avrebbe potuto spostare sé stesso e i suoi compagni fuori dai guai o in luoghi sicuri.
«Basta un po' di sincronia e... un posto dove andare».
Incredibile. Un oggetto così potente donato come se nulla fosse. La Loggia doveva avere un'influenza immensa, ma non c'era tempo da perdere.
«Seraphis, puoi aiutarmi con questo scudo?» chiese il monaco, mostrando l'artefatto sottratto allo scagnozzo dell'imp.
Seraphis scoppiò in una fragorosa risata. Poi, con le lacrime agli occhi, esclamò: «Un monaco con uno scudo? E per giunta maledetto?».
Gli avventurieri lo guardarono male.
«Uno scudo può sempre tornare utile, ma al momento è più una minaccia che un vantaggio. Vorremmo poterlo usare in sicurezza» spiegò Faradriel, cercando di sostenere l'amico.
«Beh, in tal caso vi basta un Rimuovi Maledizioni, no? Non avete ascoltato le mie lezioni?»
David arrossì. In effetti avrebbe dovuto saperlo.
«Oppure vi serve un fabbro. Avete provato a chiedere a Garrick? No? Lo trovate nell'Arena, come al solito».
Ringraziarono il custode, che li aveva un po' umiliati, e decisero di dirigersi all'Arena. Era da parecchio che non la frequentavano.
Scesero dal torrione e raggiunsero la vasta Arena. Sabbia gialla, pietre grigie e spalti vuoti: così la ricordavano. Questa volta, però, il centro era disseminato di manichini d'addestramento. Un nerboruto orco si stava allenando, fracassando le attrezzature con la solita furia.
Faradriel, Berenice e Lilith non poterono fare a meno di ammirarlo: i muscoli guizzavano sotto il corsetto, il sudore rendeva lucidi i capelli corti, e le zanne gli conferivano un'aria da bad boy. Per non parlare dello zing sul sopracciglio sinistro.
«Colpo del Drago Bianco Occhi Rossi!» urlò l'orco, travolgendo tre manichini con un calcio devastante.
«Danza della Lama di Sangue Cremisi!» gridò subito dopo, roteando sul pavimento per poi atterrare, con un movimento fulmineo, proprio davanti al gruppo.
«Salve, segugi. Felice di vedervi interi».
«Grazie, Custode Garrick» lo salutò Atticus. «Siamo qui per chiederti aiuto. Puoi riparare questo scudo?».
L'orco sbuffò, divertito. «Ti vuoi nascondere dietro questa padella, Atticus?».
Il monaco arrossì per la vergogna. «Voglio solo essere più efficace in battaglia».
«Solo un vigliacco si nasconde dietro un pezzo di ferro. Il nemico va affrontato di petto».
«Ognuno ha il suo stile» ribatté Lilith, piccata.
«Certo, ma con uno scudo non potresti più sfruttare i tuoi punti di forza, caro allievo».
«Allora come posso diventare più forte?»
«Allenati come faccio io. Non cercare scorciatoie o... attrezzi da cucina» lo interruppe Garrick. «Ma se proprio vuoi, prendi un'arma migliore. Finalmente hai una spada lunga... è per compensare?».
Il monaco ignorò la provocazione. Non era lì per fare la figura del bambino.
«Hai un arco?»
«Oh, certo. Se vuoi lanciare bastoncini ai nemici, non sarò io a fermarti» rise l'orco. «Attento a non fargli troppo male».
Gli lanciò comunque un arco di pregevole fattura dalla rastrelliera.
«Grazie, Custode» disse Atticus, offeso. Ma Garrick si era già girato, urlando: «Raffica dei Mille Colpi di Luce!». Balzò in mezzo ai manichini e, in un lampo, teste di legno volarono ovunque. Il gruppo decise di allontanarsi.
«Cerchiamo Lysara. Lavora nell'Intelligence, sicuramente ne sa più di noi» suggerì Berenice sottovoce. Odiava chiedere aiuto alla parente, ma questa faccenda poteva rivelarsi pericolosa. Era saggio mettere da parte l'orgoglio.
Faradriel li guidò di nuovo su, verso il torrione. L'aula di canto era il luogo in cui la custode passava il tempo libero. Nessuno l'aveva mai sentita cantare, ma la tiefling si rintanava sempre lassù.
Giunti davanti alla porta viola, Atticus si apprestò a bussare.
Toc, toc... Nessuna risposta.
Strano. Accostò l'orecchio al legno di quercia... e quel gesto forse gli salvò la vita.
Un rumore ovattato di passi in corsa si avvicinò. Atticus si ritrasse appena in tempo per evitare il corno che trafisse la porta, proprio nel punto in cui si trovava la sua testa.
La porta esplose in una miriade di schegge e assi rotte. Dietro di essa, un mastodontico ammasso di muscoli: a metà tra un rinoceronte e un gorilla.
Li caricò, spazzandoli via come foglie secche, per poi voltarsi per un secondo assalto.
Il Rinocrilla si scagliò su David, che sollevò appena in tempo uno scudo difensivo. L'impatto lo spinse contro la parete, sgretolandola, ma il piccolo mago resistette.
Faradriel non perse tempo: con un ruggito mutò forma in un orso nero e si avventò sulla bestia, squarciandola con gli artigli.
Berenice approfittò del caos per arrampicarsi sull'energumeno e colpirlo agli occhi con il pugnale. Un attacco astuto, ma la creatura scalciò furiosamente, scaraventandola via.
Fu il momento dell'assalto combinato: David scagliò un Dardo Incantato, Lilith una Fiamma Sacra, mentre Atticus si lanciò nella sua collaudata raffica di colpi.
La bestia vacillò. Faradriel le squarciò il petto. E infine fu Lilith a porre fine alla minaccia, invocando il potere di Apollo e scagliando un "Infliggi Ferite" mortale.
Il Rinocrilla crollò pesantemente a terra.
Avevano vinto. Ma ora una domanda li assillava: come aveva fatto un mostro del genere a entrare nella Loggia? E perché era uscito proprio dall'aula di Lysara?
Era strano… nessuno sembrava accorgersi del trambusto provocato dal gigantesco Rino-Gorilla. Il caos regnava sovrano, ma era come se fosse ovattato, come se una forza invisibile avesse attutito ogni rumore.
Lilith, inquieta, percepì subito che qualcosa non andava. Si voltò verso Faradriel, che annuì: anche lei aveva compreso. Non si sentiva alcun rumore, né il cinguettio degli uccellini che volavano all'esterno, né i soliti suoni dell’accademia, né le urla di Garrick giù nell’arena. Erano circondati da un campo di silenziamento; probabilmente chi aveva scatenato il mostro non voleva che venissero soccorsi…
David e Atticus intanto stavano controllando il mostro, che stava lentamente svanendo, collassando su sé stesso, come dissolto da una magia che lo confinava in un’altra dimensione. Dei suoi ruggiti restava ormai solo un’eco sorda che rimbombava ancora nelle loro orecchie.
Ma prima che tutto svanisse, Atticus si prese il suo trofeo e strappò di forza il corno che adornava la testa dell’abominio.
«Cosa te ne farai?» chiese curiosa Berenice.
A questo non aveva ancora pensato, in effetti. Aggrottò le sopracciglia e rispose: «Di sicuro varrà un bel po’ di denaro, non vedi quanto è grosso?»
In effetti poteva essere vero, e la stregona aveva capito ormai che l’amico aveva una passione per le cose imponenti. Chissà perché, poi? Roba da patriarcato, forse, ma decise di lasciar correre.
Il mago, intanto, si era addentrato nella stanza della musica. Non era interessato a trofei o lotte di genere; la magia era la sua unica passione, ed esplorare la stanza senza la solita supervisione della guardiana dell’equilibrio poteva essere un’occasione più unica che rara.
A lui si unirono la chierica e la druida, preoccupate per la scomparsa della loro insegnante, o forse solamente curiose di capire come fosse possibile che una creatura del genere fosse sbucata lì, nel cuore della loro accademia.
Iniziarono a frugare nella stanza, che, a parte la porta sfasciata, si presentava esattamente com’era: i banchi, la cattedra, gli scaffali stipati di libri e gli strumenti musicali appoggiati alla parete sul fondo. Ma tutti e tre rimasero a bocca aperta appena se ne accorsero.
C’era una parete in più. Assurdo, pensò Faradriel. Come poteva una stanza quadrata avere cinque pareti? Eppure, il muro era lì, e c’era anche un arco di pietra che portava in un’altra stanza.
La attraversarono e si trovarono nelle stanze personali della custode: un letto a baldacchino con sete viola e drappi rossi, un immenso tavolo al centro e una scrivania vicino alla finestra.
Chiamarono gli amici e, stupiti, si avvicinarono alla scrivania.
«Ordinata, sexy e piena di cassetti con pomelli fallici… deve essere quella di Lysara,» constatò Berenice.
«Cerchiamo qualche indizio,» disse Lilith, osservando ossessivamente uno dei pomelli dorati, che probabilmente le ricordava Apollo.
Davin e Faradriel si misero all’opera, ma non appena spostarono le prime scartoffie, una piccola piantina su una delle mensole si schiarì la voce.
«Ragazzi, non spaventatevi, sono io, Lysara,» disse, trascinandosi con le foglie verso di loro.
Tutti trasalirono, e Atticus alzò il corno che teneva in mano, pronto a usarlo come arma.
«Sono un frammento di Lysara, in effetti. Lui mi ha trovata ed è riuscito a rapirmi.»
Berenice intuì che ci fosse Lui. «Intendi Boc?» ma la mano di Faradriel le tappò la bocca.
«Chiamiamolo Bobo,» suggerì Faradriel, con un tono che non ammetteva repliche.
Tutti annuirono, consapevoli della maledizione che gravava sul nome di quella creatura. Pronunciarlo avrebbe potuto attirare la sua attenzione, e nessuno voleva rischiare.
«Dicci di più,» chiese Lilith, con un filo di ansia nella voce. «Dove ti ha portata? Come ha fatto a entrare?»
La sicurezza dell’accademia era stata violata, e questo le metteva un nodo allo stomaco.
«Non abbiamo tutto questo tempo,» rispose il frammento di Lysara, mostrando le prime foglie secche. «Sto già appassendo.»
Si fermò un attimo, fissando Berenice con un’intensità che fece rabbrividire la stregona. «Come ormai saprete, la mia stirpe…» esitò, poi corresse: «La nostra stirpe è stata vittima dell’inganno di Bobo. Non so come abbia fatto a superare le mie difese, ma ha trovato il modo. È più potente di un tempo.»
Un silenzio pesante calò nella stanza. Tutti ricordavano il gelo che aveva invaso i loro corpi la prima volta che avevano sentito la sua voce.
«Non vuole solo me,» continuò il frammento, puntando una foglia verso Berenice. «La chiave è lei.»
Atticus posò il corno e gonfiò il petto, pronto a difendere la compagna. «Glielo impediremo, tutti insieme.»
«Sì,» confermò Lilith, con una determinazione che brillava nei suoi occhi. «Non può nulla contro Apollo.»
Il frammento di Lysara scosse le foglie, come se stesse cercando di trattenere le ultime forze. «Ho scoperto dove si nasconde. Credo di essere stata portata lì, ma badate bene: sono l’esca per catturare lei.»
La fogliolina puntò di nuovo su Berenice, che sentì un brivido correrle lungo la schiena.
David, pensieroso, si passò una mano tra i capelli. «Come possiamo noi sconfiggerlo? Siamo solo dei segugi.»
«Siete più forti di quello che pensate,» rispose il frammento, con un filo di speranza nella voce. «Prendete questa mappa. È lì che si nasconde, ma attenzione…»
Non fece in tempo a finire la frase che Berenice, che aveva appena afferrato la pergamena, scomparve nel nulla, lasciando cadere la mappa sul pavimento.
«Nooooo!» strillò il frammento di Lysara, disperato. «Ve l’ho detto, è un ingannatore nato, astuto e infido! L’ha richiamata nel suo reame. Dovete agire subito!»
«Ma come facciamo? Come la ritroviamo?» sbottò Faradriel, frustrata e spaventata.
«Avvicinatevi,» sussurrò il frammento, con le ultime forze rimaste. «Con le mie ultime energie, ve lo svelerò.»
Berenice aprì gli occhi e si ritrovò in mezzo a una palude. Un basso canneto nascondeva il terreno fangoso, e un cielo viola falsava tutti i colori, rendendo l’ambiente surreale e inquietante.
«Che diavolo è successo?» si chiese, guardandosi intorno. «Teletrasporto? Ho perso il controllo della mia magia?»
Decise che stare allo scoperto non era saggio, tantomeno rimuginare nel bel mezzo di una palude. Si avviò, cercando di uscirne, ma ogni passo sembrava attirarla più a fondo nel fango.
«Bobo,» mormorò tra sé, sentendo un brivido di paura. «Cosa mi hai fatto?»
Intanto, nel mondo reale, i suoi amici si radunarono intorno al frammento di Lysara, che stava rapidamente appassendo.
«Ascoltate,» sussurrò, con una voce sempre più flebile. «Il reame di Bobo è un luogo di inganni e illusioni. Non fidatevi di ciò che vedete. E soprattutto… non fidatevi di ciò che sentite entrate anche voi nella mappa.»
Con un ultimo sospiro, il frammento si dissolse in una nuvola di polvere dorata, lasciando i compagni di Berenice con più domande che risposte.
«Dobbiamo andare,» disse Atticus, stringendo il corno tra le mani. «Non possiamo lasciarla lì da sola.»
«Sì,» concordò Lilith, con uno sguardo determinato. «Ma dobbiamo essere preparati. Bobo non è un nemico da sottovalutare.»
Faradriel raccolse la mappa dal pavimento, studiandola con attenzione. «Questa ci porterà da lui. Ma dobbiamo muoverci con cautela. Se Bobo ha preso Berenice, significa che ha un piano. E noi siamo solo pedine nel suo gioco.»
David annuì, serio. «Allora giochiamo meglio di lui.»
<<c’è qualcosa avvolto nella pergamena>> notò Lilith, e Faradriel fece scivolare l’oggetto sulla scrivania.
Uno strano anello con un colibrì verde e una bacchetta don delle perline colorate rotolarono sul piano di legno.
<<un dono?>> suggerì David che afferrò la bacchetta…Atticus sentì rimbombare nella mente.
<<Ops questa è per te a quanto pare>> esclamò porgendola al monaco confuso.
<<Berenice >> invece disse la voce a Faradriel quando prese l’anello.
Con un ultimo sguardo alla stanza, il gruppo si preparò a partire, consapevole che il viaggio che li attendeva sarebbe stato pieno di pericoli e inganni. Ma erano determinati a salvare Berenice e a sconfiggere Bobo, qualunque fosse il prezzo da pagare.
La palude sembrava non finire mai. Berenice avanzava faticosamente nel fango, sotto quel cielo viola senza una meta precisa. Tra le canne, però, iniziò a scorgere dei bagliori. Forse tracce di qualche forma di vita? Un villaggio, o almeno un accampamento, pensò, rincuorata.
Spostò le ultime canne e si trovò davanti a uno spiazzo con un pozzo in pietra secca al centro. Piccole luci azzurre fluttuavano pigramente attorno al pozzo. Lanterne? No, lucciole… forse.
«Ehi, ferma lì!» esclamò una di esse, avvicinandosi scoppiettando.
Due piccoli occhi fiammeggianti fissarono una stupita Berenice. Un fuoco fatuo capì immediatamente.
«Chi sei? Una dei soliti scagnozzi di Mavlorna?»
«Non so di cosa tu stia parlando. Mi sono persa e non so dove sono.»
«Sei strana. Puzzi di magia… ma una magia diversa.»
La stregona fece un passo avanti per farsi guardare meglio. «Sono Berenice, e mi sono ritrovata nella palude dopo aver toccato una pergamena. Non so chi sia questa Mavlorna.»
«Mmm… sembri sincera. E non puzzi di megera come le sue creature. Ma non possiamo fidarci di te.»
Berenice raccontò al piccolo fuoco fatuo quello che le era successo, e appena arrivò alla parte del rinogorilla, questo si affievolì notevolmente.
«Non avere paura, lo abbiamo sconfitto, io e i miei amici.»
«Voi avete sconfitto i mostri della megera? Siete dei salvatori, allora? Tu potresti essere la prescelta?» disse il fuoco fatuo, scoppiettando felice.
«Da quando Mavlorna ha preso il controllo di Quivi, tutto è stato corrotto e mutato. Avvelena la natura, crea paludi fetide e le riempie di creature deformi che uccidono tutto ciò che vedono.»
«Questo è terribile. So cosa si prova a combattere contro creature malvagie. Noi lottiamo contro Boch… lo chiamiamo Bobo,» si corresse in tempo.
«Mai sentito. In questo piano esiste solo Mavlorna.»
«Una nostra mentore è stata rapita e trascinata qui. Dobbiamo ritrovarla, salvarla e poi sconfiggere Bobo. Non so se questo possa aiutare anche voi, ma di sicuro, se lui si trova qui, le cose possono solo andare peggio per voi.»
«Se veramente sei in buona fede e vuoi aiutarci, dacci una prova. Siamo già stati ingannati.»
La diffidenza era normale, si disse Berenice. Creature spaventate e decimate da questa creatura malvagia facevano bene a non dare confidenza agli estranei.
«Proverò ad aiutarvi. Come posso guadagnarmi la vostra fiducia?»
«Le lumache della megera ci stanno decimando. Setacciano la palude in attesa di un nostro passo falso. Sconfiggile per noi, e sapremo che sei dalla nostra parte.»
Il fuoco fatuo la guidò oltre il pozzo, attraverso il canneto, lungo un sentiero invisibile ai suoi occhi. Non lo avrebbe mai trovato da sola, si disse. Il fuoco fatuo poteva essere un utile alleato.
Poi si bloccò di scatto. «Ecco, segui questa via e le troverai. Stanno pattugliando l’area a sud.»
Berenice annuì, determinata, e si avviò tra le canne. Uccidere delle lumache, non doveva essere una cosa pericolosa, no? Stiamo parlando di lumache, in fondo.
Questi erano i pensieri che le affollavano la mente quando un suono la colse all’improvviso, come una tela che si squarcia. Un piccolo lampo di luce fu tutto quello che sentì prima che i suoi quattro amici le piombassero addosso.
«Abbiamo attraversato il portale!» esclamò Faradriel, che a stento si reggeva sulle gambe, mentre Atticus aiutava Lilith a rialzarsi in piedi. I portali non sono la sua specialità, constatò David, che nel frattempo si guardava intorno, pensieroso.
«Eccovi qui, finalmente. Non so cosa sia successo, ma siamo a Quivi, una landa desolata sotto la tirannia di Mavlorna, una creatura malvagia e collegata al rinogorilla,» sintetizzò loro Berenice.
Incredibili doti di intelligenza, pensò David, sorpreso. La stregona che ricordava era molto meno proattiva di solito, ma forse le rivelazioni dell’ultimo periodo stavano mettendo in luce la sua vera tempra.
Tutti la tempestarono di domande. Faradriel voleva sapere che posto fosse quello, David non si spiegava come un piano potesse essere tirannizzato magicamente, Lilith non sopportava l’orrenda luce viola che rovinava la palette oro-bianco della sua armatura, mentre Atticus… beh, Atticus aveva già visto le scie viscide dei loro futuri nemici.
«Vi racconterò tutto, compagni, ma prima dobbiamo eliminare delle lumache per salvare dei piccoli fuochi fatui…»
«Ehhh?» risposero tutti in coro. «Sei sola da cinque minuti e già hai una missione di salvataggio?» Atticus era impressionato, e allo stesso tempo elettrizzato. Avrebbe potuto finalmente posare quel maledetto corno di rinogorilla.
«Facci strada,» disse Lilith. «Prima il dovere e poi il piacere.»
Faradriel scostò le ultime canne e le vide. Alla base del piccolo avvallamento in cui si trovavano, si vedevano tre gusci che strisciavano piano.
«Abbastanza grosse, quelle lumache,» disse sottovoce David. Faradriel, che di animali ne aveva visti un bel po’, capì subito che non si trattava di normali lumache giganti.
«Sono state mutate. Fate attenzione, non sono nemici da sottovalutare.»
Lilith estrasse il suo simbolo di Apollo e pregò per avere la benevolenza del dio. Il rinogorilla era stato un nemico temibile, e qui, adesso, della stessa risma ce n’erano ben tre.
Ventre a terra, Atticus si avviò verso la più vicina. «Proviamo a coglierle di sorpresa.»
Faradriel attinse al suo potere e iniziò a mutare: lunghe zanne, un muso peloso e una coda grigia. Un lupo con occhi gialli e intelligenti li precedette nel canneto, mentre gli altri lo seguivano in silenzio.
Atticus arrivò vicino alla prima lumaca. Era bella grossa, a dire la verità: guscio verdastro e pieno di muco viscido, con una katana al fianco.
«Sono armate,» sussurrò Atticus agli altri, poi si alzò in piedi di scatto e attaccò.
La spada di Atticus sibilò nell’aria, un lampo d’acciaio che cercò di fendere il guscio verdastro della lumaca. Ma la katana della creatura si alzò con una rapidità sorprendente, parando il colpo con un clangore metallico che echeggiò nella palude. Lilith, intanto, scoccò una freccia dalla sua balestra, mirando alla lumaca palestrata poco più avanti. La freccia volò, ma la creatura la afferrò a mezz’aria, spezzandola con un ghigno viscido.
«E voi chi siete? Stranieri?» biascicarono le labbra viscide della lumaca, mentre i suoi occhi globulari fissarono il gruppo con un’intelligenza sinistra.
«Buon cibo per noi,» disse quella palestrata, afferrando la freccia spezzata e gettandola a terra.
«Porteremo uno di voi a Mavlorna, e il resto ce lo digeriamo,» aggiunse una terza lumaca, che emerse dal canneto indossando una tunica ben curata e brandendo un fioretto affilato.
Tutte e tre si gettarono su Atticus, che, accerchiato, sentì gelare il sangue. Non erano bestie affamate, ma astuti assassini che cacciavano in branco.
Per fortuna, David era rimasto a debita distanza, assieme a Berenice. Il loro fuoco di copertura era vitale per il gruppo. Con un gesto rapido, David scagliò un dardo incantato, creando un varco per il monaco, che evitò la trappola. Il dardo di fuoco di Berenice obbligò la lumaca con la katana a difendersi, dando a Atticus un attimo di respiro.
Faradriel, intanto, scattò per attaccare alle spalle, ma fu intercettata da un’ennesima lumaca che sbucò dal fango, mulinando le antenne come mazze ferrate. Lupo e lumaca lottarono come furie, e presto si coprirono di ferite. L’agilità di Faradriel la proteggeva dai colpi mortali della creatura, ma le sue zanne non trovavano una breccia nel guscio del nemico.
Intanto, la danza mortale di Atticus teneva impegnati i tre nemici. Nessuno riusciva a colpirlo: ogni attacco veniva evitato, parato o deviato. Le lumache iniziarono a perdere la loro baldanza, e il dubbio si insinuò nelle loro menti gelatinose.
«È impossibile batterti, schifoso umano. Ci toccherà chiamare la nostra arma segreta,» disse la lumaca con il fioretto.
«Maximuuuuuuus!» urlò quella palestrata, e poi tutto tacque.
Una strana vibrazione precedette l’apertura del suolo sotto i piedi di Atticus. Fu l’unico segnale di pericolo che il monaco avvertì, ma ormai era troppo tardi.
Delle grosse fauci serrate si serrarono sul suo piede, strappandogli un urlo di dolore. Una grossa testa corazzata emerse dal fango, e Maximus, ghignante, entrò in combattimento.
Lilith, per fortuna, non si perse d’animo. Con un gesto rapido, scagliò una cura su Atticus, mentre i due incantatori bersagliavano le lumache. Faradriel aveva cambiato tattica: coperta di ferite, aveva rischiato molto, ma due dei cinque tentacoli uncinati erano ora stati strappati dalle sue zanne.
Atticus, però, era messo male. Ferito più volte e bloccato, Maximus aveva neutralizzato la sua agilità. Con un ruggito, la lumaca gigante si sollevò ancora più dal fango, ingoiando completamente il piede e il polpaccio del monaco, facendolo urlare di dolore.
Berenice accorse, urlando e scagliando un tocco gelido sulla lumaca con la katana, che, spiazzata, accusò il colpo. Ma il fioretto sputò un fiotto acido sulla stregona, costringendola a retrocedere.
Fu vendicata da Lilith, che, con una fiamma sacra, rimise al suo posto il palestrato, impedendogli di attaccare al fianco Atticus, ormai agonizzante.
Faradriel, intanto, con un ultimo ululato selvaggio, strappò l’ultimo tentacolo e quel che restava della testa della lumaca mazza, poi si gettò, ferita, in soccorso degli altri.
Maximus, però, aveva fiutato il sangue e la paura. Nulla lo avrebbe fermato. Morsò di nuovo, e i suoi denti si piantarono nella coscia di Atticus, squarciando muscoli e tendini.
Circondato, ferito, bloccato, Atticus non ragionava più lucidamente. Le urla lo frastornavano, e la perdita di sangue era ormai critica. Fissò negli occhi Maximus e capì dove avrebbe morso la prossima volta. Già una volta i suoi gioielli di famiglia erano stati minacciati, ma Berenice ora non lo avrebbe soccorso: era bloccata dal palestrato. Era tutto perduto?
In risposta alla sua disperazione, la lumaca implacabile attaccò.
Un poderoso morso si serrò sulle sfere del drago del monaco, trasmettendogli un dolore lancinante mai provato prima. Con un urlo poderoso che paralizzò tutti quanti, Atticus diede fondo alle sue ultime energie. Estrasse la bacchetta delle meraviglie, donatagli da Lysara, e la attivò.
Una delle perle si accese immediatamente, rossa e minacciosa, esplodendo in una gigantesca palla di fuoco che avvolse tutti quanti, tranne il povero David, che da lontano assistette attonito a un incantesimo che neppure lui sarebbe stato in grado di dominare.
Poi tutto esplose, lasciando un cratere annerito con al centro i corpi carbonizzati di Lilith, Atticus e Berenice. Un lupo fumante si trascinò tra le canne, riguadagnando la forma umana, e al centro del cratere, tra i corpi sciolti dei nemici, un’ascia carbonizzata, spezzata in due.