SeaCleaner Pellets Watch

Pellets e microplastiche in una Spiaggia all'Asinara (2021). Foto di: Federica Botta ed Alessandro De Rossi

A partire dal 2019, il team di SeaCleaner ha posto la sua attenzione su un altro problema che riguarda l’inquinamento dovuto alla dispersione di microplastiche in ambiente marino e costiero e, più in particolare dei cosiddetti “virgin pellets”, anche chiamati in inglese “nurdles”, o più poeticamente “lacrime di sirena”. In realtà di poetico non hanno niente, in quanto si tratta di granuli di plastica vergine, approssimativamente sferici, delle dimensioni fra i 3 e i 5 mm di diametro che sono utilizzati per la realizzazione degli oggetti in plastica. Pertanto in ambiente se ne trovano di diverse tipologie polimeriche, forme e colori e attualmente sono onnipresenti nei mari e nelle spiagge di tutto il mondo, perfino in Antartide!

Il processo di produzione di oggetti in plastica, a partire dai pellets, inizia con la fabbricazione di tali granuli, prosegue con il loro imballaggio e trasporto (generalmente in sacchetti più o meno grandi), la loro vendita, fino all’immagazzinamento nelle ditte che si occupano di trasformazione negli oggetti in plastica della forma e dimensioni volute per l’applicazione. Tramite la loro fusione all'interno di impianti di estrusione, il fluido polimerico in uscita viene convertito, attraverso diversi processi tra cui lo stampaggio e la filmatura, in manufatti.

Durante tale “viaggio”, dalla fabbrica alla destinazione finale, il numero di pellets dispersi, sia per perdita e/o rottura dei singoli sacchi in fase di trasporto o di immagazzinamento, sia per altri motivi, è altissimo. Alcune stime, che provengono dagli utilizzatori finali del prodotto (ditte locali di produzione di oggetti di plastica) indicano che circa il 20/30 % del prodotto vada perduto. Questo, oltre ad essere un danno economico per tali ditte, può produrre anche un danno ambientale notevole, in quanto i monitoraggi effettuati in spiaggia negli ultimi anni sembrano indicare che circa un terzo delle microplastiche di dimensioni millimetriche (fra 1 e 5 mm) presenti sui nostri litorali sia composta da tali granuli.

Questa percentuale di incidenza sul numero totale di microplastiche monitorate in spiaggia è molto alta, soprattutto se si pensa che si tratta di microplastiche di origine primaria, quindi non originatesi dalla frammentazione o disgregazione di macroplastiche (come quelle di origine secondaria). Si tratta di un aspetto molto importante da sottolineare, perché sottintende che una maggior attenzione durante le diverse fasi di produzione dei pellets fino alla destinazione finale, potrebbe portare ad una notevole diminuzione della loro dispersione. Questo risultato può essere ottenuto grazie ad un’adeguata campagna di prevenzione e ad una maggior informazione verso i cittadini ma soprattutto verso tutti quegli attori che hanno a che fare con tali granuli, da chi li fabbrica fino agli utilizzatori finali.

Pellets  in una Spiaggia all'Asinara (2021). Foto di: Federica Botta ed Alessandro De Rossi

I possibili danni ambientali causati dai pellets

 

Al danno puramente estetico di vedere moltissime spiagge disseminate di questi granuli, si aggiunge il danno fisico che essi possono causare. Infatti i pellets ed i microbeads provenienti dai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente, possono essere ingeriti, volontariamente o per errore, da animali marini, come pesci, uccelli, mammiferi filtratori, ecc. Gli studi sugli effetti delle microplastiche sul biota sono oggetto di studi recenti, e i risultati sono in continua evoluzione. Pertanto ancora oggi non è possibile valutare e quantificare adeguatamente il possibile danno, fisico/meccanico, causato dalla loro presenza nei tessuti interni di tali animali. A ciò occorre aggiungere il possibile danno chimico. Infatti, recenti ricerche nel settore hanno messo in evidenza come tali granuli assorbano sostanze chimiche, anche nocive, disciolte in mare, e possano perciò costituire un vettore di contaminazione chimica, anche trasportando tali sostanze lontane dalla zona in cui sono state assorbite e potendole rilasciare anche in zone meno inquinate o all’interno dei tessuti animali o vegetali di organismi marini.

Una volta rilasciati in mare, tali granuli hanno due possibilità: se il loro peso specifico è maggiore di quella dell’acqua marina, affondano, e possono allora mescolarsi con i sedimenti, e lì interagire comunque con il biota. Se, invece, il peso specifico è minore possono galleggiare, ed in tal caso saranno trasportati dalle corrente marine. È in questo modo che alcuni di essi sono arrivati, partendo dalle zone industrializzate, anche sulle coste del continente antartico. I pellets di materiale meno denso sono essenzialmente quelli di PE (polietilene, specifico 0.95 g/cm3), di PP (polipropilene, 0.93 g/cm3). Questi due polimeri sono anche quelli più utilizzati per la produzione di manufatti. Per tali motivi, i pellets di PE e di PP risultano i più abbondanti nei campionamenti fatti in mare e sulle spiagge.

Pellets intrappolati nel catrame trovati su una spiaggia della Maddalena (2021). Foto di: Federica Botta ed Alessandro De Rossi

Cosa possiamo fare per diminuire la dispersione dei pellets in ambiente?

 

Purtroppo il problema della dispersione dei pellets in ambiente marino non è stato ancora affrontato dal punto di vista legislativo, a differenza invece di quello dei microbeads, che a partire dal 1 gennaio 2020 sono stati vietati attraverso l’articolo 1, comma 546, della legge 205 del 27 dicembre 2017, pubblicato in Gazzetta ufficiale serie generale n. 302 del 29 dicembre 2017 (clicca qui per vedere la legge completa).

Per i pellets, non è possibile pensare ad azioni che ne proibiscano l’utilizzo, data la loro funzione di materia prima per la produzione di qualsiasi manufatto di plastica. Esistono anche granuli di materiale biodegradabile o compostabile, che possono sostituire i pellets di plastica tradizionale come materia prima per produrre oggetti di tipo comune. In Italia, si è verificato un aumento della produzione di oggetti di plastica biodegradabile/compostabile in seguito all’entrata in vigore il 14 gennaio 2022, del Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 196 di recepimento della direttiva (UE) 2019/904, del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente (clicca qui per vedere la legge completa).

Tale decreto consente l'immissione nel mercato di prodotti realizzati in plastica biodegradabile e compostabile certificata conforme allo standard europeo ove non sia possibile l'uso di alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti. Da sottolineare come altresì la Direttiva Europea prescrive in termini generali la necessità di limitare l’utilizzo di materiale plastico per la produzione di prodotti monouso.

Secondo le Norme, i materiali biodegradabili compostabili sono certificati per degradarsi in tempi e condizioni di pressione, temperatura, grado di ossigeno, umidità ed enzimi che si hanno negli impianti di compostaggio. Queste condizioni non si ritrovano però in ambiente naturale libero, né in mare né sulle spiagge e per questo, se tali materiali vengono dispersi in ambiente, la loro degradazione potrebbe essere molto più lenta. Per questo, la dispersione in ambiente di manufatti e di pellets di materiali “bio” necessita di essere attenzionata, ed è importante veicolare le corrette informazioni alla popolazione sul loro smaltimento e destino a fine utilizzo.

Attualmente sono in corso studi da parte di INGV, CNR-ISMAR e CNR-IPCF (per esempio l'esperimento In-PAIR) che hanno come obiettivo quello di studiare, con un esperimento condotto in situ, cioè in ambiente reale, i meccanismi di degradazione in ambiente marino di micro e macro plastiche e bioplastiche.

Classificazione dei pellet raccolti in una spiaggia durante il SeaCleaner Pellet Watch. Foto di Claudio Casani.

Monitoraggio e mappatura dei pellets in ambiente marino

 

Sebbene la plastica sia un materiale insostituibile per moltissime applicazioni, dobbiamo però osservare come attualmente il suo accumulo in ambiente sia davvero elevato e pertanto mettere in campo azioni per mitigarne la presenza e prevenirne l’abbandono incontrollato.

Il primo passo per una politica di prevenzione è quello di far conoscere alle persone l’origine del problema, per poi capire come affrontarlo. Attraverso il nostro progetto, che utilizza la strategia della citizen science, cioè il coinvolgimento attivo di cittadini all’interno di attività di ricerca, speriamo di sensibilizzare la popolazione su questo problema. Con l’aiuto di Legambiente, abbiamo, quindi, iniziato un programma di monitoraggio italiano dei pellets spiaggiati. Durante la campagna nazionale di Goletta Verde (mesi giugno-agosto 2019) sono state monitorate ben 80 spiagge. Questa attività prende spunto dall’International Pellet Watch (http://pelletwatch.org/) che ha come obiettivo quello di monitorare gli inquinanti organici persistenti che vengono assorbiti dai pellets che permangono in ambiente.

Anche nel nostro progetto (a cui abbiamo dato il nome di Italian Pellets Watch), è iniziata l’analisi chimico-fisica dei pellets raccolti, come collaborazione fra INGV ed CNR-ISMAR, CNR-IPCF e IZSPLV (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), per studiarne lo stato di invecchiamento/degradazione, e l’eventuale assorbimento di inquinanti, con l’obiettivo di ricavare una possibile mappatura a livello nazionale della loro presenza, distribuzione, caratteristiche e contenuto di inquinanti. In particolare, la presenza di inquinanti al loro interno, quali gli IPA, gli Idrocarburi Policiclici Aromatici, è un fattore molto interessante da indagare vista la frequente e diffusa dispersione in ambiente marino dei pellets e può influire sulla valutazione della loro pericolosità complessiva per l’ambiente ed il biota.

Il periodo COVID ha purtroppo interrotto le previste successive campagne di raccolta, ma finalmente nel 2022 abbiamo potuto riprendere le attività di citizen science, attraverso la collaborazione con il progetto SHIBUMI, che tramite i viaggi in mare di una avventurosa famiglia di velisti, ci ha permesso di raccogliere pellets anche sulle coste delle isole Canarie, avviando così il Canarian Pellets Watch.

Sempre nell’ottica di diffondere il più possibile la conoscenza di queste problematiche fra i cittadini, SeaCleaner ha anche collaborato al documentario “Luna sul mare”, in cui, in una delle puntate, viene affrontato il problema dei pellets e della loro massiccia presenza, anche in zone particolarmente fragili o in parchi marini, come l’arcipelago della Maddalena in Sardegna. 

Ringraziamo quindi in modo particolare tutti i nostri collaboratori “citizen scientists”, che da anni ci stanno aiutando nel raccogliere dati e a diffondere sempre più queste tematiche. 

Classificazione dei pellet raccolti in una spiaggia durante il SeaCleaner Pellet Watch. Foto di Claudio Casani.