Dantedì
Dantedì
Giovedì 14 marzo, le classi IV del nostro Istituto hanno partecipato all’uscita didattica presso Villa Campolieto ad Ercolano (NA), per assistere allo spettacolo “il purgatorio di Dante”. I magici ambienti della Villa sono stati trasformati nel palcoscenico perfetto per la seconda Cantica dell’opera suprema di Dante: il Purgatorio.
“Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.”
Purgatorio I vv.1-6
Entrati nella Villa, il primo personaggio incontrato è stato Catone Uticense guardiano del Purgatorio, grande esempio di difensore delle libertà politiche e repubblicane.
«Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss’el, movendo quelle oneste piume.
«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d’abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?»
Purgatorio I vv.40-48
Successivamente Dante incontra Casella suo grande amico. Dante lo prega di eseguire un canto per confortarlo della fatica del viaggio e allora Casella intona la canzone “Amor che ne la mente mi ragiona” dello stesso Dante.
“Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona”
Purgatorio II vv.112-114
Proseguendo il cammino si arriva nell’ Antipurgatorio, dove Dante s’imbatte in Manfredi I di Svevia collocato tra coloro che sono morti dopo essere stati colpiti da scomunica e devono attendere trenta volte il tempo in cui sono stati ribelli alla Chiesa.
[...] Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice.
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
Purgatorio III vv.112-123
Dante incontra Pia de' Tolomei, la include tra i morti per forza e peccatori fino all'ultima ora, che attendono nel secondo balzo dell'Antipurgatorio. Pia de' Tolomei chiede a Dante di ricordarsi di lei dopo che sarà tornato nel mondo e che avrà riposato per il lungo cammino.
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma».
Purgatorio V vv.130-136
È la volta di Orberto Aldobrandeschi la cui superbia danneggia i suoi parenti ancora vivi, in Purgatorio dovrà scontare la pena per tutto il tempo che piacerà a Dio, visto che non lo ha fatto quand'era sulla Terra.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ‘ vivi, qui tra ‘ morti».
Purgatorio XI vv.67-72
Continuando il cammino, Dante incontra Sapìa Senese collocata tra gli invidiosi, Dante si rivolge al lei ma non può vederlo perché ha gli occhi cuciti. Sapìa chiede poi a Dante chi sia, visto che ha intuito che lui è vivo e ha gli occhi aperti, il poeta risponde che quando sarà in Purgatorio sosterà poco tempo in questa Cornice, avendo molto più timore del peccato di superbia che si sconta in quella sottostante.
«Spirto», diss’io, «che per salir ti dome,
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome».
«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
Purgatorio XIII vv103-108
Fra gli avari, Dante incontra Papa Adriano V. Come sulla Terra essi non hanno rivolto lo sguardo in alto ma lo hanno tenuto fisso sulle cose terrene, così ora la giustizia divina li tiene stesi e rivolti a terra, con piedi e mani legati, e li terrà in quelle condizioni fin tanto che piacerà a Dio per purificare le loro colpe.
’Adhaesit pavimento anima mea’
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s’intendea.
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri».
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori».
Purgatorio XIX vv.75-81
Tra gli ultimi Dante incontra il poeta Publio Papinio Stazio, si trova fra i penitenti che scontano il peccato di prodigalità. Nel momento in cui ha cessato di espiare la pena: un forte terremoto scuote tutto il monte. Egli è rimasto più di cinquecento anni nella V Cornice, finché ha completato l'espiazione e la giustizia divina gli ha consentito di abbandonare la sua pena.
«O frati miei, Dio vi dea pace».
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
rendéli ‘l cenno ch’a ciò si conface.
Poi cominciò: «Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l’etterno essilio».
«Come!», diss’elli, e parte andavam forte:
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi v’ha per la sua scala tanto scorte?».
Purgatorio XXI vv.13-21
Dante incontra finalmente la sua amata, osserva a lungo il volto di Beatrice, per soddisfare il desiderio di rivederla durato dieci anni, al punto che non si accorge di quanto gli avviene intorno e infatti per qualche secondo il poeta ha la vista abbagliata come se avesse fissato il sole.
Tant’eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m’eran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler - così lo santo riso
a sé traéli con l’antica rete! -;
quando per forza mi fu vòlto il viso
ver’ la sinistra mia da quelle dee,
perch’io udi’ da loro un «Troppo fiso!»;
Purgatorio XXXII vv.1-9
Giovedì 16 marzo 2023, le classi terze del tecnico e la IIIC del liceo delle Scienze Umane hanno partecipato all’uscita didattica presso le grotte di Castelcivita (SA), per visionare lo spettacolo “l’Inferno di Dante”.
Una volta arrivati all’interno delle grotte siamo stati accolti subito da Dante, che durante il cammino verso il colle viene sorpreso dalle tre fiere: la lonza, il leone e la lupa.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.”
(Inf. I vv.1-3)
Dalla penombra in suo soccorso arrivò Virgilio il quale rimprovera Dante e lo riporta verso la dritta via del colle che porta felicità.
A te convien tenere altro viaggio
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo' campar d'esto loco selvaggio;”
(Inf. I vv. 91-93)
Proseguendo il cammino si arriva al Limbo dove abbiamo incontrato Beatrice la quale accompagnerà Dante durante gran parte del cammino.
“Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.”
(Inf. V vv. 100-105)
Successivamente Dante affronta le Erinni dette anche Furie, queste rappresentavano i rimorsi che tormentavano chi si era macchiato di delitti di sangue.
“Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,
dicevan tutte riguardando in giuso;
«mal non vengiammo in Tesëo l’assalto”
(Inf. IX vv. 52-54)
Dante incontra Farinata degli Uberti, che fu accusato d’eresia, processato dopo la sua morte e condannato.
"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com'a te piace,
parlami, e sodisfammi a' miei disiri.
(Inf. X vv.4-6)
Durante il percorso Dante incontra Pier Delle Vigne, la cui anima è imprigionata negli alberi di una selva e lo invita a strappare uno dei rami provocando la fuoriuscita di sangue e di lamenti del dannato.
“Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?”
(Inf. XIII vv. 34-36)
Continuando il percorso Dante incontra Ulisse, colpevole di aver sfidato il volere divino superando le Colonne d’Ercole, limite estremo del mondo medievale oltre il quale era vietato avventurarsi.
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza."
(Inf. XXVI vv. 118-120)
Tra gli ultimi Dante incontra il Conte Ugolino che si trova nella ghiaccia del Cocito dove si trovano imprigionati i traditori della patria.
"Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
(Inf. XXXIII vv. 4-6)
Alla fine del percorso abbiamo osservato un’installazione che, attraverso un insieme di immagini, rappresentava l’essenza del Male.
“Com'io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
però ch'ogne parlar sarebbe poco”
(Inf. XXXIV vv. 22-24)
di J. Ciminelli
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ‘l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spiriti, ed iscoia ed isquatra.
[...]
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
e ‘l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
Inferno VI vv. 13-18; vv. 22-27
Cerbero strumento divino di punizione, al quale è affidato il compito di graffiare e scuoiare le anime dei golosi con i suoi artigli. Un cane idrofobo, dagli occhi insanguinati, dal ventre largo, dal muso putrido e nero che emette latrati sui dannati per accentuare la loro pena.
Cerbero goloso di cibo, si riflette oggi nella bramosia di potere dell’uomo.
L’atavica fame di potere, che ha attraversato la storia dell’umanità, continua a manifestarsi sotto le sembianze di uomini di potere, pronti a distruggere la vita di innocenti per la ributtante corsa all’arricchimento, per poter affermare con fierezza e meschinità di aver agito in difesa della pace. Per il potere si sono fatte guerre sanguinose, si sono commesse stragi e ingiustizie a vantaggio di pochi e a scapito di molti, e queste guerre ancora si combattono a causa di una o di poche persone che detengono l’assurda condizione di distruggere interi Paesi.
La fame di potere è il cancro di ogni forma di governo, di cui a volte anche le democrazie sono affette.
La malattia però non si propaga in chi detiene il potere, ma in coloro che ne subiscono la tirannia, proprio come i dannati vengono puniti incessantemente da Cerbero nell’inferno.
Oggi a subirne le conseguenze sono le persone comuni, nel conflitto in atto tra la Russia e l'Ucraina, a pagare le follie e la fame di potere di una singola persona, sono i civili.
Dante descrive Cerbero come una creatura mostruosa con tratti umani, non a caso, infatti, scrive la barba unta e atra, ed è proprio questo che deve portarci a riflettere, in tempi così difficili per l’umanità: l’uomo non si cura di essere “mostro”, è accecato dall’ingordigia, si accontenta di mangiare un pugno di terra ed è in questi versi citati, così come in molti altri, che Dante riesce, a distanza di settecento anni, ad essere ancora estremamente attuale.
di A. Arrigosi
Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia,e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
Inferno VI vv. 34-36
Molte sono le terzine da apprezzare dell'Inferno, ma questa, tratta dal cerchio degli ingordi, maggiormente mi ispira. Mostra un aspetto che ritengo cruciale per l'intera commedia: le anime, che appaiano per gran parte dell'inferno come estremamente concrete e terrene, sono qui messe a nudo nel loro fragile e trasparente peregrinare, quasi cancellate dalle incessanti intemperie.
Questa è forse la più immensa delle punizioni, la quasi inesistenza che le anime assumono, profilandosi come poco più che ombre, spettri del loro peccato, privi di una vera essenza, in balìa di Cerbero e del loro eterno e vuoto tormento: l'esistere come sola estensione del proprio male, riducendosi a tale insignificanza da poter essere calpestati, fatti, al contrario di quanto avviene nel paradiso, non di luce, ma di una quasi intangibile nebbia di ciò che si è stati in vita.
di L. Giannasio
[...] Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?".
E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena f
orse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
[…]
Di sùbito drizzato gridò: "Come dicesti?
"elli ebbe"? non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".
Quando s’accorse d’alcuna dimora
ch’io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora.
Inferno X vv.58-63, 67-72
L’amore paterno di Cavalcante de’ Cavalcanti, padre dello stilnovista Guido, amico e compagno di Dante, rappresenta nel canto X quasi un’intromissione in un discorso politico ben più ampio: una breve parentesi lirica in cui l’affetto di un padre sovrasta la monotona crudeltà infernale.
Come padre accorto, Cavalcante sa della vicinanza intellettuale e personale tra Dante e Guido, sa dell’“altezza d’ingegno” che li accomuna e per questo sente la necessità di sapere perché suo figlio, che pure si era distinto per fama e meriti poetici, non vaghi con il Poeta per quel “cieco carcere”. Dante rivela, con una punta di distacco, che il suo viaggio non è determinato dalle facoltà mentali, ma da una verso cui Guido, forse, si era rifiutato di essere condotto: il viaggio era determinato dalla Grazia Divina, dinanzi alla quale le facoltà mentali sono piccole, dinanzi alla quale le capacità umane e intellettuali poco contano.
Notando il tempo verbale al passato usato da Dante nella risposta, Cavalcante è preoccupato che suo figlio sia morto, che il sole non illumini più i suoi occhi e pone tre domande piene di angoscia all’unico che può farlo risvegliare da quello che appare un incubo.
Cavalcante ora non sembra più un’anima dannata, non possiamo più condannarlo, guardare alla sua collocazione e alla sua colpa: è un padre che soffre al solo pensiero che la vita del figlio, cresciuto sotto i suoi occhi, sia stata spezzata, un genitore che mai vorrebbe vedere suo figlio soffrire e morire.
Preso dallo sconforto e interpretando il silenzio di Dante come conferma del suo presentimento, Cavalcante ricade nell’Inferno appesantito nel petto da un dolore ben più grande della pena eterna.
Nella Commedia il Poeta ha rappresentato la realtà, tutto il reale del suo tempo… e non solo. La Commedia è viva ancora oggi, dopo più di settecento anni, e il messaggio di Dante trova riscontri nella nostra realtà, nella nostra storia.
Anche la pura preoccupazione paterna, l’amore di Cavalcante per il figlio, è materia attuale, certamente nella vita quotidiana ma anche in simboli e in immagini che stanno facendo una realtà che, grazie all’ausilio del Sommo Poeta, si può comprendere ...
[...] Per il fatto di essere un autore di forte attualità, per il suo importante contributo nell'ambito della letteratura italiana, per aver assommato nella Commedia la civiltà medioevale, Dante è ancora oggi letto. L'istituzione del Dantedì costituisce un modo per sentirsi uniti a livello nazionale - soprattutto in un periodo come questo - attraverso la condivisione dei suoi versi, con i quali ha dato un importante contributo narrando la condizione di peccato della sua epoca storica.
Clara Ciancio IIIC SU a.s. 2019/2020[...] I versi 100-108 del canto V dell’Inferno raccontano del momento in cui Paolo e Francesca si innamorano e dell’impossibilità di resistere al desiderio. Ciò che mi appassiona è il fatto che i due amanti, incapaci di trattenere l’impulso del loro amore, consapevoli del rischio a cui andavano incontro, hanno deciso, nonostante tutto, di vivere da protagonisti il loro amore invece che da spettatori ...
Stefania Berardi IIIC SU a.s. 2019/2020[...] La perdita della speranza è per l'uomo il massimo dei mali. Nell'ultima terzina si esprime una sola idea: l'eternità della pena. L'ora del lunedì dedicata alla lettura della Divina commedia è davvero molto utile e interessante, perché Dante attraverso questo libro ci accompagna in un viaggio che ci porta a riscoprire noi stessi.
Rosaria Aloia IIIC SU a.s. 2019/2020Ho scelto queste terzine perché spiegano l'origine e la fine dell'amore tra Paolo e Francesca, a parer mio, nucleo fondante di tutto il V canto . Inoltre è presente il concetto di humanitas: Dante mostra empatia verso il dolore dei due amanti.
Isabel Gallo IIIC SU a.s. 2019/2020