04 giugno 2023
Dal 19 al 21 maggio il nostro Istituto ha avuto la possibilità di partecipare a un evento di fama internazionale: il Salone del Libro di Torino, svoltosi tra il 18 e il 22 maggio presso il Lingotto Fiere.
Dieci ragazze, frequentanti gli indirizzi Liceo Classico e CAT, accompagnate dalle docenti Antonella Borreca e Rosanna Lobefalo, in rappresentanza del gruppo di lettura LiberaMente e della classe IVA Liceo Classico, hanno vissuto giorni intensi tra interviste, presentazioni, incontri, passeggiate nel mondo dell’editoria italiana e musei.
Nel mese di dicembre la classe IVA era stata candidata al progetto di lettura condivisa “Un libro tante scuole” per poi essere selezionata tra le centinaia di classi richiedenti nel mese di gennaio, quando ha ricevuto le copie di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, libro scelto per quest’anno, in edizione speciale edita dal Salone del Libro.
Il libro selezionato per il progetto che ha visto la partecipazione di numerosi gruppi di lettura provenienti da tutt’Italia è stato Un uomo di poche parole, storia di Lorenzo che salvò Primo di Carlo Greppi. A seguito di incontri preparatori con Andrea Falcone, curatore del progetto, le ragazze hanno avuto la possibilità di presentare il testo e intervistarne l’autore.
Tante le esperienze vissute nella città, dagli incontri all’interno del Salone, alla visita del Museo Egizio e del Museo del Cinema presso la Mole Antonelliana.
Esperienza unica dunque, che si auspica possa diventare tappa fissa per una rappresentanza del nostro Istituto…
30 maggio 2023
Colmare un vuoto è la sfida più comune di sempre ma allo stesso tempo ciò che ci fa sentire estranei e isolati dal mondo. Giancarlo Commare, giovane attore siciliano in Fill a void per TedxTaranto, ci racconta il suo viaggio per raggiungere la piena consapevolezza di sé.
Da sempre l’uomo è impegnato nella personalissima e unica ricerca di qualcosa che possa assorbire la costante sensazione di incompletezza e per questa ragione si immerge in una vera e propria odissea: si cerca conforto in compagni di viaggio, in luoghi inesplorati, in nuovi modi di approcciarsi alle cose. Esiste un elemento comune tra tutti i viaggi: il punto di partenza, "Itaca". Itaca è l’origine e allo stesso tempo l’approdo di chi conquista l’esistenza tornando in patria vittorioso, ricco di esperienze e con una consapevolezza... che il vero compagno del proprio viaggio siamo noi stessi. Itaca è fonte di sapere, di ambizione e al contempo luogo in cui schierare le proprie paure e avere il coraggio di partire per addentrarsi. Non bisogna restare delusi se al proprio ritorno Itaca è povera, poiché questo significherà due cose: l’aver acquisito esperienze di crescita e l’aver conquistato l’esistenza.
Giancarlo Commare racconta che la sua più grande odissea non è scaturita dalla mancanza di qualcosa, ma di qualcuno: il padre. Racconta la sua fatica nel cercare di comprendere il perché si fosse allontanato da lui fin da quando era bambino e la fatica impiegata per cercare di sorprenderlo. Si sa, nella maniacale impresa per cercare di accontentare tutti, si finisce per non accontentare l’unica persona che conta: noi stessi. Ma l’elemento più distruttivo e demoralizzante nella ricerca della costante approvazione altrui nel proprio cammino è l’angoscia; lo stesso elemento che delle notti non lascia dormire, delle giornate non lascia respirare e che se non riconosciuta con la dovuta lucidità si innerva in noi senza via di scampo. Inevitabilmente, in situazioni del genere, è difficile costruire una propria autostima e soprattutto identità, che viene donata al bambino per riconoscimento sociale, se alla fine non ci si sente riconosciuti da nessuno.
Molto spesso porsi costantemente domande fa in modo che le persone riescano a seguire il proprio sentiero, quasi maieuticamente, perché alla fine dei giochi noi sappiamo chi siamo e dove arriveremo ancor prima che lo sappiano gli altri e prima che riusciamo a riconoscerlo. Senza la tranquillità del navigatore, anche le acque più tranquille sembreranno agitate, anche il percorso più evidente sarà celato agli occhi del navigatore, le persone più audaci saranno accecate dal tormento dei giorni e non si riuscirà a tornare ad Itaca con qualcosa da raccontare. Perché il navigatore tormentato ha passato tutto questo tempo a cercare di raggiungere un obiettivo che non era quello del viaggio, ha aspettato che tutto gli si palesasse davanti agli occhi, invece di assorbire con gli occhi i colori dei posti visitati, con le orecchie le melodie, con il naso l’odore del mare, per poi ritornare ad Itaca e portare nuove consapevolezze e conoscenze che porteranno il navigatore a raggiungere il proprio obiettivo e il viaggio, dunque non sarà stato nullo e banale.
“Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”
(Kostantinos Kavafis)
Il 15 maggio è la giornata internazionale delle famiglie, nessuna tipologia esclusa. Nella maggior parte dei casi è proprio la famiglia, costituita anche da un’unica persona, a donarci la possibilità di intraprendere il viaggio verso Itaca, che spesso ci accompagna per le prime tappe e poi inevitabilmente ci lascia proseguire da soli. Che ci fa comprendere che noi siamo frutto del percorso per arrivare alla meta ma al contempo il percorso stesso.
Nei mesi di aprile e maggio gli alunni della classe IV A Liceo Classico sono stati impegnati in ben tre Certamina, agoni culturali che hanno dato loro la possibilità di misurarsi con scuole, alunni e colleghi provenienti da tutt’Italia, e non solo.
Ecco una sintesi delle esperienze… sintesi certamina
30 maggio 2023
L'informazione al passo con l'evoluzione
Nelle Norme per la redazione di un testo radiofonico per la RAI, prima dell’avvento della televisione, Gadda espone un regolamento della comunicazione radiofonica e televisiva del suo tempo. Partendo dal presupposto che il pubblico sia da intendere come ogni singola persona, Gadda sottolinea come interlocutore e ascoltatore debbano essere posti sullo stesso piano per evitare un rapporto discepolo-discente. Per costituzione dell’apparato radiofonico, colui che divulga in radio è necessariamente più competente, pertanto al fine di una buona riuscita del programma è bene evitare che si crei il cosiddetto “complesso di inferiorità culturale” che dà vita a una distanza incolmabile in questo rapporto.
Nel tempo in cui viviamo, temi quali la comunicazione, l’informazione e la divulgazione sono più che mai attuali ma hanno accompagnato l’evoluzione della civiltà, evolvendosi in forme e contesti differenti.
I Maestri d’Italia
L’evoluzione della televisione è rilevante a tal proposito con i primi esperimenti del 1960 quando Alberto Manzi avviò Non è mai troppo tardi, un programma di alfabetizzazione sul Primo Canale Nazionale riproducendo delle lezioni di scuola primaria: se in un primo momento la distanza tra Manzi e il pubblico era considerevolmente ampia, lo stesso programma contribuì poi a ridurre il divario culturale.
Simile operazione fu effettuata da Piero Angela, che ha rivoluzionato il mondo della divulgazione unendo un linguaggio chiaro e adatto a tutte le fasce della popolazione a contenuti multimediali di impatto immediato. La prima trasmissione di Angela fu Destinazione uomo, ma tutti lo conosciamo per SuperQuark, un programma che, come ha recentemente sottolineato il figlio Alberto, non può essere condotto da nessun altro se non da lui, che spiegava come se fosse seduto sul divano insieme allo spettatore.
Corrado, Mike Bongiorno e Maurizio Costanzo
La storia della televisione è la storia di conduttori del calibro di Corrado, Mike Bongiorno e Maurizio Costanzo, padri fondatori di un ruolo senza il quale la comunicazione non può avvenire.
Corrado Mantoni, o semplicemente Corrado, prestò la voce in radio per due annunci che sono passati alla storia: fu lui ad annunciare la fine della Seconda Guerra Mondiale e la vittoria referendaria della Repubblica sulla Monarchia. Lasciò poi un’impronta eterna nel mondo della conduzione con programmi come La corrida e Il pranzo è servito, il telequiz che andava in onda all'ora di pranzo il cui pattern è replicato oggi sotto svariati nomi.
Il primo quiz a premi della storia della televisione italiana è stato condotto da Mike Bongiorno, il Lascia o raddoppia? che ha aperto la storia ad altri format simili, a partire dallo stesso La ruota della fortuna avviata nel 1989, il suo programma più longevo che gli valse quattro premi Telegatto. Con il suo inconfondibile “Amici spettatori, alégria”, salutava i telespettatori, affermandosi come il re dei quiz indiscusso della televisione italiana, il primo ad aver portato il genere in Italia.
Infine, Maurizio Costanzo, fondatore del genere dei Talk Show all’italiana con il Maurizio Costanzo Show dal Teatro dei Parioli di Roma. Pioniere del giornalismo televisivo, nei suoi show ha avuto il merito di portare in televisione temi considerati tabù: negli ultimi quarant’anni ha invitato attivisti appartenenti alla comunità LGBTQIA+, dimostrando più volte il suo sostegno alla causa. Con i programmi a cui si è dedicato per tutta la vita, ha portato nel mondo dello spettacolo personaggi oggi diventati volti della televisione: Fiorello, Platinette, Enzo Iacchetti, Valerio Mastandrea, Sgarbi, Luciano De Crescenzo.
Il festival di Sanremo: una vetrina musicale e specchio del tempo
Altro importante mezzo televisivo è il Festival di Sanremo: ogni ideale politico, ogni costume della società ha sempre trovato posto sul palco sanremese, reso in questo modo specchio della comunità.
Il Festival di Sanremo ha visto per ben tredici edizioni conduttore e direttore artistico Pippo Baudo, che ha fatto la storia del contest italiano. Tra le innovazioni che Baudo ha portato sul palco dell’Ariston, per ben comprendere il modo in cui la comunicazione si sia evoluta, citiamo la riforma attuata nel Sanremo 1985. Essendo impossibilitato a chiamare artisti stranieri che partecipassero al Festival, Baudo creò tre gruppi di cantanti: i “cantanti sanremesi” (che oggi chiamiamo “big”), i “giovani semiconosciuti” (le “nuove proposte” di oggi) e i “grandi stranieri” (i “superospiti”). Essendosi poi reso conto di come il Festival fosse diventato argomento di discussione quotidiana, pensò di introdurre nella terza serata un dibattito su Sanremo stesso, con giornalisti e cantanti ospiti: insomma, ciò che ad oggi è il “dopofestival”.
La distanza si accorcia ancora di più quando più mezzi di comunicazione frequentati da fasce d’età diverse si incontrano: è quello che sta accadendo in questi anni, con i fenomeni degli influencer che sempre più spesso trovano uno spazio televisivo mettendo in comunicazione due forme diverse di divulgazione. A tal proposito, degno successore di Baudo, secondo molti, oggi è Amadeus. Egli è alla conduzione del Festival dal 2020 e non ha intenzione di abbandonarla per almeno altri due anni.
Amedeo Sebastiani, in arte Amadeus, ha svecchiato il festival trasformandolo in un evento che dura tutto l’anno, a partire dal giorno immediatamente successivo alla quinta serata, quando già si congettura circa la prossima edizione, comprese canzoni e ospiti. A giocare a suo favore, innegabilmente, sono i social: il solo annuncio dei cantanti in gara il 4 dicembre 2022 per il Sanremo scorso ha generato più di 80 mila tweet, ha coinvolto numerosissimi influencer, a testimonianza di come Sanremo sia diventato un vero e proprio fenomeno mediatico; è stata creata una piattaforma social di gioco, una sorta di festival parallelo al Festival, il Fantasanremo, che ha avvicinato il pubblico di ogni età.
L’istruzione affidata ai social: tra divulgatori e influencer
Come scrive Gadda, “il tono accademico e dottrinale è da escludere”: il linguaggio gioca un ruolo chiave per arrivare al pubblico, che, ad oggi, è prevalentemente composto da digitalizzati. Un esempio di come il divulgatore debba trovare sempre nuovi codici è rappresentato dai content creators digitali: si veda il fenomeno del docente di fisica Vincenzo Schettini che, tramite i suoi profili social, diffonde il sapere fisico rendendolo alla portata di tutti, con non poche critiche da parte di una generazione di docenti conservatori.
Nelle piattaforme digitali tutti hanno la possibilità di essere “ascoltatori” e “divulgatori” di informazioni non sempre veritiere grazie al linguaggio che si adatta alla poliedricità del pubblico. Prima di ascoltare la divulgazione, ognuno dovrebbe varare le informazioni da fonti certe per poter creare un proprio punto di vista in merito alla questione (finalità dell’Enciclopedia illuminista), ma con l’era digitale questo passaggio viene meno perché ogni singolo si sente nella posizione di poter essere divulgatore di informazioni anche non fondate su solide basi e avere credito grazie al tipo di linguaggio adoperato.
Recente è il caso della cuoca Benedetta Rossi che sui social ha lamentato il bullismo attuato nei suoi confronti dai cosiddetti haters digitali. Con brevi video e un programma televisivo di successo, Benedetta Rossi diffonde una cucina alla portata di tutti, una cucina italiana semplice. Dopo essere stata accusata per l’ennesima volta di rappresentare la cucina non degna di questo nome e aver pubblicato un video di condanna, il mondo social si è indignato e schierato pienamente dalla parte di una divulgazione semplice, per persone comuni.
26 maggio 2023
"Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla". Questo è ciò che pensava Martin Luther King, attivista statunitense che lottò durante gli anni Sessanta contro la discriminazione razziale senza spargere una sola goccia di sangue.
L'attivismo è un'attività volta a produrre un cambiamento sociale o politico. L’attivismo esiste da sempre, forse perché è caratteristica dell’essere umano contestare e contrastare ciò che non rientra nei suoi schemi. Tuttavia, negli ultimi tempi i modi e i mezzi per farsi sentire sono cambiati.
Chi si fa portavoce di tali novità è una rete di giovani, Ultima Generazione, occupata in azioni di disobbedienza civile nonviolenta circa le problematiche ambientali globali. Nata nel 2021, diventa parte della Rete A22 che sente l’esigenza di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle catastrofi generate dal riscaldamento globale. Blocchi stradali, sit-in al museo e blitz agli edifici istituzionali con vernice lavabile sono le azioni che ormai contraddistinguono Ultima Generazione dagli altri gruppi di attivisti. Per Ultima Generazione esiste il nero e il bianco, non esiste il giusto mezzo: è necessario percorrere apertamente solo una delle due strade.
Sicuramente, da tempo molti cittadini si chiedono: è davvero giusto tutto ciò che fanno? O meglio, è davvero necessario? Non si potrebbero cercare metodi alternativi per raggiungere risonanza mediatica?
Tanti sono stati gli interventi di Ultima Generazione nell’ultimo periodo, tanti hanno coinvolto opere d’arte.
Il 21 agosto 2022 sono stati denunciati tre attivisti per essersi incatenati nella Cappella degli Scrovegni di Padova.
Il 15 novembre 2022 una coppia di attivisti ha lanciato del liquido nero sul Morte e vita di Gustav Klimt.
Esattamente cinque mesi dopo, una scena simile si è vista a Firenze quando altri attivisti hanno imbrattato di vernice arancione la facciata di Palazzo Vecchio.
La disapprovazione e la rabbia invadono il cuore e la mente di molti cittadini. Si teme che le opere d’arte, così ben conservate durante i secoli, possano ora essere distrutte dai giovani. Ma Ultima Generazione calma le acque: sin dalle prime azioni ha dichiarato che la vernice usata per le proteste non è permanente. Dopo il blitz fiorentino, però, alcuni dubbi sono sorti. Il Servizio Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio ha rassicurato gli italiani: il livello di aggressività della vernice non dipenderebbe dalla sua natura, ma dalla superficie interessata. Purtroppo, le paure sono fondate. Lo scorso 9 marzo è stato tinto di giallo il monumento dedicato a Vittorio Emanuele II in piazza Duomo a Milano; ma a differenza delle altre volte, la vernice utilizzata non sembra lavabile. I tentativi dell’Amsa sono stati inutili: il colore si è fissato ancora di più sul monumento.
Viene spontaneo chiedersi: le proteste di Ultima Generazione sono davvero contro l’inquinamento ambientale? Si tiene conto della quantità di acqua necessaria per togliere la vernice dalle opere d’arte? Si vuole davvero combattere un male provocandone un altro?
Sentire il parere di uno storico dell’arte potrebbe rassicurare ancor di più e aprire gli occhi al tempo stesso. Si è espresso in merito Tommaso Montanari, ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo. La sua preoccupazione, attualmente, non riguarda l’offesa al patrimonio artistico, ma al patrimonio ambientale. Il pericolo per il patrimonio culturale non è la vernice lavabile, è il cambiamento climatico che farà tracollare natura e patrimonio che in Italia sono inscindibilmente fusi. L’obiettivo di Ultima Generazione - sostiene Montanari - è sensibilizzare la popolazione ad agire in fretta, in quanto è insensato continuare a preservare opere d’arte senza preservare innanzitutto l’ambiente; dunque è insensato continuare a dipingere un mondo divenuto grigio a causa dell’inquinamento. Ultima Generazione si chiede: se il mondo crollerà davvero a causa del surriscaldamento atmosferico (e crollerà, perché lo dimostrano dati scientifici), le opere d’arte continueranno ad avere senso?
Molti, tuttavia, sostengono che è diventata una necessità trovare una strada migliore, che provochi meno danni, che faccia meno rumore ma allo stesso tempo che si faccia sentire. Per molti, un’opera d’arte ha un valore immenso, tanto da non dover essere sfiorata neppure con vernice lavabile. Sono molti coloro che non ritengono giusto scagliarsi contro un patrimonio collettivo per perseguire un obiettivo personale.
Ma forse è proprio su questo punto che Ultima Generazione vuole far riflettere. Salvare il pianeta non è forse un obiettivo collettivo?
Viviamo in un’epoca in cui v’è la necessità di fare confusione, rumore per farsi sentire. Per gli attivisti del XXI secolo vige la regola del bene o male, l’importante è che se ne parli. E infatti, si riesce quasi sempre a raggiungere tale meta. Per poter davvero scegliere da che parte stare bisogna comprendere le proprie necessità: si vuole avere la certezza di essere ascoltati diventando gli antagonisti o si vuole scegliere la strada alternativa dell’eroe silenzioso?
fonti:Tommaso Montanari su Ultima Generazione in https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/ultima-generazione-tomaso-montanari-il-pericolo-e-il-cambiamento-climatico-non-la-vernice-14-04-2023-48058624 maggio 2023
“Appena si porta al buio un lume, le cose si rischiarano, divengono visibili e possono venire reciprocamente distinte. (Christoph Martin Wieland) Non esiste dichiarazione più vera per delineare le caratteristiche di un secolo che ha “illuminato” l’essere umano e lo ha condotto verso la modernità.
L’uomo è avido di sapere, di conoscere e di scoprire e si affaccia al futuro con obiettivi sempre più nuovi da realizzare. Una peculiarità, questa, che si tramanda da secoli e che ispira ancora le nuove generazioni che si proiettano nel futuro con nuovi progetti che muteranno la Terra e l’umanità stessa. La ragione è il faro del desiderio di conoscenza dell'uomo che lo innalza e lo libera dall’oscurità del passato.
Il secolo dei lumi è dominato dalla necessità di raggiungere una nuova conoscenza con l’intenzione di sopprimere le tenebre dell’ignoranza trascinate dal Medioevo nel corso dei secoli; come afferma Kant, l'Illuminismo è l’uscita dell’uomo da quello stato di minorità che limita l’uso della ragione per raggiungere la conoscenza e, quindi, è il distacco dalla corruzione e dall’assolutismo della vecchia società per renderla libera, attiva e dinamica. Non è, dunque, un periodo storico fatto e finito, fermo in un tempo passato, ma si basa sulla valorizzazione delle capacità umane, senza soggiacere né ai vincoli del dogmatismo né a condizionamenti da parte di qualunque autorità intellettuale.
L’uomo moderno porta con sé l’eredità di questo secolo caratterizzato da forti cambiamenti. Ad esempio, il “cosmopolitismo” del secolo dei lumi, che ha spinto l’uomo razionale a conoscere l’altro e ad accettare gli usi e i costumi di altre culture (filantropismo), ancora oggi spinge l’essere umano a cercare nuove mete con la possibilità di raggiungerle più velocemente grazie allo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione. In ambito politico gli illuministi sentono la necessità di eliminare ogni forma di assolutismo e mirano alla dichiarazione dei diritti e dell’uguaglianza per tutti gli uomini. Poeti, scrittori e intellettuali del secolo (fratelli Verri, Beccaria, Parini ...) sono impegnati oltre che a indirizzare gli uomini verso nuove conoscenze, ad informarli, attraverso opere e riviste, sulle problematiche del tempo, stimolandoli al confronto. Oggi, grazie ai giornali e ai social media, le informazioni si diffondono velocemente ed è più semplice sapere in tempo reale le situazioni e le problematiche che interessano tutto il mondo. Ma se da un parte l’uomo moderno è un passo avanti rispetto all’uomo illuminato, dall’ altra, invece, nonostante si possa considerare, in parte, sconfitta la tirannide, l'uomo è ormai “burattino” di questi mezzi che fomentano, talvolta, l’odio e le guerre. Inoltre, a distanza di secoli, nonostante lotte e continue manifestazioni, il dibattito sui diritti inalienabili è ancora di forte attualità, si vedano questioni come la pena di morte e l'uso delle torture, affrontate da Cesare Beccaria, e non solo, nei Dei delitti e delle pene. Ne consegue anche oggi, come affermarono letterati e intellettuali del Settecento, l'importanza, nella formazione del cittadino, della conoscenza e dell’educazione che portano nell’uomo il senso della giustizia, della solidarietà sociale, il ripudio verso ogni forma di prepotenza e il controllo razionale degli impulsi, affinché si possa convivere civilmente in una società multietnica e multiculturale. Solo così, l’uomo, può sperare in un avvenire più vantaggioso e pacifico.
Ci parlano ancora direttamente quei versi di Parini in cui denuncia l’inquinamento della città di Milano causato dall’egoismo dell’uomo, che produce per i propri fini mettendo a rischio la salute altrui (La salubrità dell’aria), l’essere umano è, infatti, animato dal desiderio di elevarsi e migliorarsi nel tempo, pur non tenendo conto, a volte, delle conseguenze di tale progresso.
È evidente il nesso tra i temi che dominarono il secolo dei lumi e quelli odierni, così come l’interesse verso l’ambito scientifico e l’attenzione verso la cultura e il progresso. Anche la lingua, ad esempio, oggi, come nel Settecento, è fonte di discussione per il suo essere in continua evoluzione. Basti pensare al dibattito sull’uso della lingua francese, uso criticato da Giuseppe Parini, che si opponeva alle contaminazioni straniere sulla tradizione linguistica italiana, quindi, ai cosiddetti francesismi, a differenza dei fratelli Verri, che, come anticiparono nella rivista “il Caffè”, il servirsi di parole nuove, italianizzandole, “può rendere meglio le nostre idee”. Il francese come l'inglese oggi, il cui uso frequente in diversi ambiti (politici, economici, quotidiani) è spesso dibattuto, in quanto alcuni ritengono l’uso di questo idioma eccessivo e limitativo verso la cultura nazionale.
Il pensiero illuminista non è, dunque, scomparso dalla società moderna, poiché porta con sé dei valori tutt’altro che estranei rispetto al nostro presente; possiamo parlare di un forma mentis, una sorta di “illuminismo perenne”, evaso dal Settecento per radicarsi nelle menti degli uomini che continueranno ad elaborarlo, nella spenza che l'uomo si lasci illuminare sempre dalla curiosità e dalla luce della ragione.
24 maggio 2023
Il rap per l’artista napoletano Geolier, classe 2000, lodato da nomi come Gué, Salmo e Lazza, finito sotto i riflettori nel 2018 grazie al singolo “P Secondigliano”, è un racconto di “comunità”, è un megafono sulle bellezze e le difficoltà di un quartiere, di una città, di un Paese. “Voglio raccontare storie di amore e disagio, se no tutto questo non ha senso”, dice a Rockol Emanuele Palumbo, questo il suo vero nome, presentando “Il coraggio dei bambini”.
Geolier è in grado di raccontare i quartieri come nessun altro in questo momento, e il suo album ne è la dimostrazione, ci racconta la sua vita e la sua gente, scegliendo come sempre il dialetto napoletano come strumento per comunicare.
Lui stesso in un’intervista afferma: “Il titolo dell’album è arrivato alla fine di tutto, quando ho visto che in molte delle tracce parlavo dei bambini, della loro forza, del coraggio che hanno. I bambini sono senza filtri e anche quando hanno paura di qualcosa non si fermano, ci provano sempre lo stesso a ottenerla. E anche per me e le persone che mi stanno attorno spesso è stato così. La vita ci ha messo davanti tante cose belle, ma anche tante cose difficili. Noi abbiamo deciso di avere coraggio e affrontarle proprio come fanno i bambini. Con questo album ho voluto raccontare ogni pensiero, disagio, sentimento che prova un napoletano, così come lo farebbe un napoletano. È importante per me rappresentare la mia gente”.
Sono proprio le storie che Geolier racconta il valore aggiunto di questo album. Il racconto di Secondigliano, di Napoli con le sue mille contraddizioni, i suoi mille mondi paralleli che si scontrano continuamente. Napoli è volutamente cantata da tutti i suoi artisti.
E poi ci sono i beat… un misto old school e nuove sonorità molto internazionale (ci sento da Drake ai Kanye West) il tutto però senza dimenticare le origini.
Napoli si fa sentire ancora oggi in tutta la sua bellezza grazie ai suoi artisti che negli ultimi anni la stanno portando sempre più in alto, questa è la Napoli che Brilla.
Tra il 22 e il 26 marzo scorso si sono disputati a Guadalajara gli Europei di Karate, a seguito dei quali gli atleti italiani hanno portato in Patria ben diciassette medaglie.
Tra gli atleti azzurri anche una nostra conterranea, Terryana D’Onofrio, karateka in una famiglia votata al karate e formatasi nella sua Sant’Arcangelo.
Grazie al professore Vincenzo D’Onofrio, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con due rappresentanti della famiglia D’Onofrio, Terryana e Orsola.
Dalla partenza da Sant'Arcangelo,…
La loro storia parte da Sant’Arcangelo, una piccola comunità dalle atlete sempre ricordata prima, durante e dopo le competizioni per il grande affetto e sostegno che dà loro. Potrebbe sembrare utopistico - spiega Terryana - il pensiero di poter arrivare in alto, partendo da una realtà piccola, ma la sua esperienza dimostra che non è impossibile, e la palestra di famiglia fa parte del piccolo ambiente da cui tutto può avere inizio perché, più che le dimensioni dello spazio fisico, sono importanti la qualità dell’allenamento e i perfezionamenti derivanti da esperienze esterne.
…l’importanza di un solido sostegno familiare alle spalle…
Terryana e Orsola spiegano come la famiglia sia elemento fondamentale in tutte le fasi di gara: il suo potere è ineguagliabile perché si vince e si perde tutti insieme. Soprattutto, poi, se il papà assume anche le vesti di coach: per Terryana, è “colui che ti dice cose che non vorresti sentirti dire, che ti mostra cose che non vorresti vedere, per permetterti di essere ciò che hai sempre saputo di poter diventare”. Orsola ci spiega come, nonostante una debita divisione dei due compiti, sia più difficile per lui che per loro perché sul tatami è il maestro che sprona e che vuole tirare fuori il meglio, mentre fuori dal tatami è il papà che soffre e che si sacrifica insieme alle figlie, colui che indipendentemente dal suo ruolo di tecnico ha l’istinto di proteggere.
…per arrivare a tatami internazionali, affrontati singolarmente e non
Terryana è atleta del Gruppo Sportivo delle Fiamme Oro della Polizia di Stato, un ruolo che la investe di un senso di responsabilità molto alto perché, quando indossa la maglia azzurra, ha il dovere di adempiere al suo ruolo che diventa massima espressione patriottica, sportiva e professionale. Nel ricordare questo, l’atleta ammette anche come, assieme alla responsabilità, ci sia molto orgoglio: si percepisce l’affetto di tutti gli italiani, di un popolo che ha tutte le carte in regola per toccare i vertici europei e mondiali più importanti.
La responsabilità è cresciuta in Terryana da quando è stata nominata capitana della squadra italiana di karate: in quanto regista della situazione ante gara e in itinere, il suo compito è quello di mostrare sempre forte convinzione, spingere il gruppo a raggiungere l’obiettivo, collaborare con il ben più ampio team che si rivela sempre essenziale. La squadra italiana, neo-campionessa d’Europa, è il nucleo di questo team, formato da Terryana, Noemi Nicosanti e Carola Casale. L’atleta spiega come lo spirito di coesione sia indispensabile, come l’unione mentale dia identificazione al gruppo senza alcun cenno di scissione tra le parti perché, salite sul tatami, le componenti di una squadra devono rappresentare una sola cosa. I rapporti interpersonali tra le tre atlete, nonostante il rispetto reciproco, subiscono delle modificazioni quando ognuna di loro, singolarmente, è chiamata ad esprimersi individualmente durante le competizioni, diventando sportivamente rivali. Nel lavoro di squadra nonché in quello individuale, lo stop pandemico ha segnato un punto importante: Terryana spiega come sia stato difficile far sopravvivere l’entusiasmo in seguito a tutte le restrizioni decise dai vari governi, allo stop di gare già calendarizzate per cui gli atleti avevano speso anni e anni di preparazione. Ma, nel momento in cui l’attività agonistica è ripresa, ogni forma di espressione si è rigenerata, si è ripartiti più forti di prima, facendo tesoro dei tatami dove, seppur soli, si è avuto modo di riflettere su quali potessero essere gli aspetti su cui migliorare. Il distanziamento sociale non è stato facile da accettare ma la condivisione di ogni singola esperienza raccontata a distanza è stata più forte.
Karate: una scuola di vita
Il karate, da definizione [ndr. loZingarelli 2017], è una “tecnica giapponese di combattimento disarmato che prevede l'uso di tutti gli arti del corpo umano per difendersi e attaccare, e in cui sono caratteristici i colpi portati con il taglio delle mani”; ha un forte valore spirituale che si esplica nel far vibrare le corde più profonde del proprio corpo esercitando un forte autocontrollo sulla respirazione e ricercando la maggiore efficacia possibile nelle tecniche. Terryana sembra definirla come una scuola di vita: il karate forgia una personalità forte, educata, rispettosa, determinata e carica di valori necessari per una crescita globale psicofisica sana. Con questa disciplina, ci spiega, lavorano corpo e mente, si affinano e si tirano fuori le potenzialità, si migliora lo stato d’animo, si acuisce la capacità di gestione razionale degli istinti che sono spesso causa di squilibri dannosi per sé e per gli altri: insegnamenti che si impara a custodire con il tempo.
Evidente è che il corpo sia l’elemento fondamentale, come in ogni sport, lo strumento più prezioso dello sportivo. Terryana rivela come si ispiri alla massima di Giovenale “Mens sana in corpore sano”: per questa disciplina servono corpo e mente, entrambi gli strumenti necessari per vivere e per presentare al meglio la propria performance. Il corpo diventa comunicazione, espressione, valutazione e la mente strumento per percepire il proprio corpo e il movimento nello spazio e nel tempo. È proprio per questo che le normative sportive impongono la stretta osservanza di regole precise, talvolta, come in tutti gli sport, violate con comportamenti di scarso fair play. Ma, come ricorda Terryana in ultima analisi, i principi del karate si impegnano per loro propria costituzione a marcare ulteriormente uno stile di condotta corretto.
Tra successi e tatami meno fortunati
Al consistente palmarès di Terryana, la vittoria agli europei di Guadalajara ha aggiunto un bronzo individuale e un oro a squadre. Orsola, invece, agli esordi della sua carriera, si è qualificata campionessa italiana under 21 agli europei di Ostia Lido del 2021.
Le atlete, però, sottolineano come non sempre vada tutto bene, come anche le sconfitte siano esperienza, insegnamento e apprendimento, nella misura in cui si analizzano situazione ed errori con senso critico, per poi tornare a studiare. L’allenamento e lo studio, spiega a tal proposito Orsola, devono rimanere costanti per tutto l’anno, intensificandosi in vista delle competizioni, in cui il riposo dura al massimo due o tre giorni.
Il primo gradino del podio, l’inno nazionale e la medaglia d’oro: una sensazione difficile da esprimere
Terryana ci spiega come le capiti spesso di rivivere tutto il suo percorso, che raggiunge il culmine ogni volta nella soddisfazione di onorare l’Italia dal gradino più alto del podio con lo scudetto sul petto.
Orsola ci dice che la visione del tricolore salire in alto e sventolare con il sottofondo dell’Inno di Mameli è tra le sensazioni ineffabili per ogni atleta.
Atleti ma non supereroi
Al di là della retorica dei bambini prodigio, Orsola ritiene che la vita dello studente-atleta sia in gran parte un mero “volere è potere”. La giovane atleta sottolinea come scuola, amicizie e sport possano essere conciliati, senza trascurare uno a vantaggio di un altro: nel fare ciò, ovviamente, si può chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nei momenti in cui le rinunce per lo sport sembrano prevalere nel breve periodo. Perché, in fondo, familiari e amici “sono quelle persone che ti supportano e sopportano sempre e nonostante tutto”.
18 maggio 2023
La musica è un linguaggio universale, che da sempre ha accompagnato la vita dell’uomo, tutti siamo a conoscenza del potere della musica, con note, accordi e arpeggi è in grado di far vibrare le corde dell’anima. La musica è capace di stimolare, di estasiare, di spianare la via di fuga dalla solitudine, indurre la calma, portare gioia e serenità, revocando ricordi, stimolando emozioni e generando benessere. La musica rende felici: questa teoria conosciuta anche come “ effect Mozard” è stata spesso oggetto di studio nelle neuroscienze e trova le sue radici in meccanismi neuronali che avvengono nel profondo del nostro cervello. Quando ascoltiamo la musica, indipendentemente dal genere musicale, si attiva il meccanismo della ricompensa (come avviene anche per il cibo buono, la cioccolata, il sesso e le droghe) che ci fa sentire meglio, per mezzo dell’ormone dell’euforia, una molecola denominata dopamina. Essa è una molecola chimica neurotrasmettitore appartenente alla classe delle catecolamine (derivati dall’aminoacido tirosina). Quando viene rilasciata dalle sinapsi chimiche, in seguito all’arrivo dell’impulso nervoso, tale mediatore va a legarsi a recettori dopaminergici, strutture proteiche complesse, che al riconoscimento del loro substrato, si attivano, mediando il messaggio e producendo una risposta di benessere. I suoni musicali, in particolare stimolano aree cerebrali quali nucleus accumbens, e l’amigdala che rilasciano dopamina.
Uno studio Canadese, attraverso processi appositi, quali la Pet e la risonanza magnetica, ha garantito che ascoltare musica contribuisce nettamente al rilascio della dopamina, in quantità proporzionale alla piacevolezza stessa dell’ascolto. Più la canzone ascoltata è giudicata piacevole e di proprio gusto, maggiore è il rilascio del neurotrasmettitore nei centri neurali della dipendenza e del piacere. Ma non finisce qui, perché il solo sapere di ascoltare una determinata canzone dà vita (grazie al cosiddetto effetto anticipazione) a un vero e proprio getto di dopamina nel cervello dei volontari. La presenza di livelli bassi di dopamina sembra sia correlata anche a un maggiore rischio di depressione o un abbassamento del tono dell’umore. Inoltre l’azione degli antidepressivi norma l'equilibrio alterato dei neurotrasmettitori implicati nella patologia depressiva ovvero serotonina, noradrenalina e dopamina. Dunque la felicità è una questione chimica!
09 maggio 2023
“Così è la vita, con una mano dà finché arriva il giorno in cui toglie tutto con l’altra.”
E se quel giorno, quello della Morte, non arrivasse mai, cosa accadrebbe?
José Saramago (1922-2010) prova a dare una risposta a questa domanda che potrebbe apparire quasi inutile e non necessaria in un mondo in cui il ciclo della vita segue normalmente il suo corso, ma che il primo giorno di un anno non specificato presso un Paese di cui non è dato sapere il nome, si scaglia contro gli abitanti della “fortunata” area immortale.
In città non muore più nessuno e la presa di coscienza di questa inattesa ed inspiegabile eternità raggiunta scatena un comprensibile entusiasmo. Presto però, ciò che poteva sembrare la notizia del secolo, inizia a trasformarsi in un orrore: ospedali e case di riposo affollati, agenzie funebri costrette a seppellire solo animali, la Chiesa depredata del suo unico strumento agricolo di cui disponeva per arare i cammini che dovrebbero condurre al regno di dio, lo Stato che inizia a fare accordi con la cosiddetta maphia e i maphiosi che organizzano veri e propri viaggi oltre confine con lo scopo di far raggiungere a chi lo desiderasse, in maniera non del tutto illecita, la condizione di caro estinto, con tanto di cerimonia funebre.
Il tema centrale del romanzo potrebbe sembrare quello della Morte, ma ciò che realmente emerge nelle pagine non è tanto la causa del problema, cioè la Morte stessa, piuttosto i suoi effetti e come questi verrebbero affrontati qualora dovessero presentarsi anche solo in via utopica: la Morte rappresenta per Saramago solo un pretesto.
Ne Le intermittenze della morte, pubblicato non a caso il primo giorno dell’anno 1970, emerge infatti la critica aspra, pungente e fortemente ironica dell’autore nei confronti della Chiesa, della filosofia, della politica accusata di automatismo e di una mafia un po’ diversa da quella classica, ma sciaguratamente allo stesso modo sempreverde.
Saramago, dichiaratamente ateo, affronta il tema della morte nella religione: senza morte non c’è resurrezione e senza resurrezione non esiste la Chiesa. Perdipiù, oltre a mettere in discussione l’esistenza della Chiesa come istituzione spirituale, ne giudica anche il ruolo politico che ha da sempre esercitato. L’autore infatti scrive: “La Chiesa signor primo ministro, si è talmente abituata alle risposte eterne che non riesco a immaginarla darne altre, anche se la realtà le contraddice.”
Senza la morte poi, cosa ne sarebbe della filosofia? Perché la filosofia ha bisogno tanto della morte come delle religioni, se filosofiamo è perché sappiamo che moriremo, monsieur de Montaigne aveva già detto che filosofare è imparare a morire.
“I pantanosi terreni del realpolitik”, dunque la politica, in questo romanzo raggiungono i più bassi livelli nella gestione dell’ostacolo immortalità. E nel caos, ancora una volta, la maphia si insidia con le sue grinfie adunche per sbarazzarsi del problema analizzando quel poco che era ancora avanzato dei buoni principi di una volta.
E di che organizzazione si tratta. Il primo ministro fece un respiro profondo e disse, La maphia, signore, La maphia, Sissignore, la maphia, a volte lo stato non può far altro che rimediare fuori qualcuno che gli faccia i lavori sporchi.
Ancora una volta lo Stato si corrompe e, abbassando la testa, si piega alle logiche degli Occhio non vede, cuore non duole, o meglio non vede, ma specula e lucra.
Lo stile di Saramago, tipico della sua penna, è stratificato all’infinito. I periodi lunghissimi rimandano al processo di riflessione. Il rifiuto dell’uso dei segni di punteggiatura fuorché punti e virgole, che spesso fungono da punti interrogativi o virgolette, i discorsi diretti che si presentano all’improvviso, il non andare mai a capo, infittiscono la lettura rendendola ai lettori meno allenati piuttosto complessa e labirintica. La voce narrante interagisce con i suoi lettori dando spiegazioni sulle scelte narrative. Nessun nome ai personaggi, nessun luogo che sia geograficamente identificabile, dialoghi e narrazione intrecciati che producono una sorta di apnea della lettura. Un ritmo a cui bisogna abituarsi, che a tratti è sentenzioso e ci si chiede dove l’autore voglia condurci. Il tutto contornato da quella vena antifrastica e allusivamente ironica che suscita un lieve sorriso in chi legge, nonostante la gravità dei temi trattati. Insomma, una leggerezza che Saramago riesce a far trasparire confidando nella comprensione dell’evidente satira di cui il libro è pregno.
Compatta l’opinione del gruppo di lettura, al quale hanno presenziato puntualmente non solo la professoressa Rosanna Lobefalo, ma anche la professoressa Lucia Marcone che ha condiviso con i ragazzi alcune riflessioni costruttive in merito. Le intermittenze della morte non ha deluso nessun lettore, nonostante alcuni abbiano evidenziato la difficoltà della lettura nella prima parte del romanzo definito come “un complicato flusso di coscienza".
Sono emersi vari aspetti della vicenda della morte stessa definita come “una morte della Morte”. Inoltre la scelta di Saramago di personificare la Morte ha suscitato reazioni positive soprattutto poiché caratterizzata nel finale da una vulnerabilità inaspettata. Molto apprezzata è stata la politematicità, la scrittura originale, l’umanizzazione dell’astratto.
Discussa invece è stata la scelta di attribuire alla Morte il genere femminile. Nel dibattito tuttavia si è trovata una risposta ottimista che appare ragionevole: la Morte può essere rappresentata come vulnerabile e sensibile unicamente in quanto donna.
02 maggio 2023
La morte, come ogni altro evento del ciclo della vita, impone a tutte le società complesse modalità organizzative, divenendo un fatto sociale che riguarda e coinvolge sia gli individui, sia i diversi gruppi dei quali essi fanno parte, sia ancora la società nel suo insieme. (dizionario Treccani).
È divenuto parte costitutiva della morte l’aspetto sociale e organizzativo, ma la sua essenza è davvero racchiudibile in un mero atto teatrale? Da sempre “la fine” è il grande interrogativo della vita umana, difatti neppure i più grandi filosofi hanno trovato risposta alcuna. Sarà perché non è possibile avere una percezione collettiva della morte? Le grandi paure scalfiscono l’interiorità, abitano nel nucleo dell’anima, nella parte non accessibile dall’esterno; la morte è la regina di queste, pertanto ogni uomo la accoglie e la ospita in modo differente. Alle volte, però, le esigenze dell’anima non combaciano con quelle sociali. È così che ci si ritrova protagonisti o comparse del teatro della morte, che abitualmente va in scena durante l’ultimo estremo saluto; come il miglior dei Jep Gambardella, tutti vivono il loro piccolo momento di protagonismo, anche in casi del genere: un bacio alla salma e uno ai familiari, controllando sempre che si sia ben visti dagli altri. Ciò accade perché questo è stato imposto dalla “cultura del pianto italiana”, la quale non è presente in molti altri Paesi.
La morte è sicuramente un fenomeno che attira attenzione, tanto da essere spesso spettacolarizzata per ottenere visibilità. Sin dal Medioevo era attività di svago assistere alle esecuzioni e torture (ghigliottina, rogo ecc.) che avvenivano nelle piazze, talvolta usate per ristabilire i rapporti tra sovrano e sudditi quando essi erano incrinati. Ancora oggi la morte non ha perso la sua essenza drammatica riuscendo ad attirare l’uomo più a se stessa rispetto ad altri argomenti. È diventato, quindi, fenomeno solito per testate giornalistiche, siti web e social media “sfruttare” la morte per vendere più copie e per fare più views. Ma alle volte si ha bisogno di clic e di morte per emergere, ma la giornata non concede questa soddisfazione. Ed ecco che si creano fake news, ed ecco che si inventa a proposito di ciò su cui meno si dovrebbe mentire.
Nel 2017 un falso account di twitter della Bbc annunciò la (falsa) morte della Regina Elisabetta II. Tale post, nel giro di poche ore, ebbe una risonanza mediatica enorme, diffondendosi in tutto il mondo.
Ma le fake news non appartengono unicamente alla nostra generazione: già durante l’epoca napoleonica si svolgevano eventi simili. Ne parla l’economista Richard Dale nel suo libro Napoleon is Dead (2006): nel 1814 furono imbrogliati alcuni azionisti inglesi da parte di un certo Colonnello du Bourg, il quale affermava che l’imperatore francese fosse finalmente morto. In realtà, il sogno non venne realizzato, in quanto Napoleone era vivo e vegeto.
Purtroppo, la spettacolarizzazione non è legata solo alle fake news: per gli influencer gli smartphone possono essere considerati come una vera e propria estensione delle loro braccia, sempre pronte e intente a condividere ogni momento della propria vita.
A tal proposito, alcuni mesi fa una ragazza, Sara La Rusca, che conta 2 milioni di followers sul suo account Tik Tok, ha pubblicato un video nel quale mostrava cosa avrebbe indossato al funerale di sua nonna, scomparsa poche ore prima. Il video ha suscitato migliaia di commenti negativi, i quali ritenevano irrispettoso il gesto da lei compiuto e la accusavano di aver usato la morte di sua nonna come mezzo per ricevere maggiori attenzioni.
Anche in questo caso, si conferma una necessità dell’essere umano: quella di spettacolarizzare non solo la morte, ma anche la propria vita.
Impariamo a chiudere, ogni tanto, il sipario del costante spettacolo teatrale che è la vita; godiamo e viviamo i momenti importanti nella più autentica intimità per riscoprire noi stessi piuttosto che rivolgere incessantemente il pensiero al giudizio altrui.
12 aprile 2023
“L’uomo assomiglia ai suoi tempi più di quanto assomigli a suo padre”, (Guy Debord, da Commentari sulla società dello spettacolo), così Paolo Bonolis termina il proprio intervento per TEDxLUISS. La frase riassume appieno il contenuto dell’intervento e apre le porte ad una riflessione che, forse, pur consapevoli della realtà, passa inosservata.
L’intervento parte dal breve racconto The Answer di Fredric Brown, nel quale, secondo Bonolis, è presente un’analogia tra Dio e il computer.
The Answer è la storia di un gruppo di scienziati che nel 1954 crea il primo prototipo di “rete” con l’intento di dare una risposta definitiva alla domanda di ogni uomo in ogni epoca: “Dio esiste?”. Ma i computer sono in grado di dare una risposta se non nel momento in cui il genere umano si è estinto e i computer dominano la vita. In altre parole è la storia di uno scienziato che, incapace di prevedere le conseguenze della sua creazione, accecato dalla fede nella scienza e nel progresso, non esita a mettere a repentaglio l’umanità intera per soddisfare il proprio orgoglio, senza nemmeno immaginare che la macchina si ribellerà all’uomo. Potremmo paragonare la superbia e la ribellione delle macchine, presenti nel racconto (frutto dell’avventato progresso tecnologico), all’attualissimo delirio di onnipotenza (hybris). L’hybris di oggi è quello che abbiamo scatenato contro la natura e le sue leggi, (appello fatto già alla fine dell’Ottocento dal filosofo Nietzsche che denunciava la nostra “violenza nei confronti della natura con l’aiuto delle macchine”). Quello che ha portato all’emergenza climatica e ad un mondo che predica la sostenibilità, ma nella realtà dei fatti, fatica ad imboccare la strada di un nuovo modello di sviluppo.
Qual è però l’analogia con Dio? Sia Dio che il computer donano all’uomo una possibilità: andare nei luoghi dove nessuno è mai andato e in tempi mai registrati da nessuno.
C’è però qualcosa che differenzia Dio dal computer: la velocità elemento che causa smarrimento, conoscenza “indotta”(che crea disagio per la differenza che si interpone tra la tempistica virtuale e quella con la quale bisogna interfacciarsi nel mondo reale), e perdita del valore della fatica e dell’attesa.
D’altro canto sono stati numerosi, nel corso degli ultimi decenni, i discorsi di grandi politici e imprenditori che hanno innescato nelle menti di tutti il concetto del “fallo bene, fallo velocemente”. Un esempio famosissimo è “Stay Hungry.Stay Foolish” (“Siate affamati.Siate folli”) formula con cui Steve Jobs, fondatore della Apple, invitava gli agli studenti dell’Università di Stanford a non sprecare il loro tempo (discorso 2005).
É vero, è importante non sprecare tempo in questioni di poca importanza e modificare il proprio pensiero in base ad esse, ma è ancor più vero il pericolo immanente che l’uomo corre nel non sapersi fermare e accettare i propri limiti.
L’uomo di oggi assomiglia ai suoi tempi; tempi veloci, scivolosi e frivoli, più di quanto somigli a suo padre.
Way into the future… but watch your step.
Sitografia:Nonsprecare.itTedxLUISS Paolo Bonolis "Way into the future...But watch your step"Stesso anno, 1943. Stesso mese, Marzo. Soltanto 12 ore separano la nascita di Lucio Dalla e Lucio Battisti. Quest’anno avrebbero dovuto compiere ottant’anni.
Due cantautori che hanno rivoluzionato il mondo della musica in due maniere completamente diverse e uniche tra di loro.
Battisti lo ha fatto esprimendo solo emozioni nei suoi testi, decidendo di non apparire, facendo pochissimi concerti e nessun duetto. La filosofia di Battisti risiede nella sua musica, che rivela un percorso indicato da lui stesso: “Ascoltare significa qualcosa”. Questa filosofia popolare di Battisti individua nell’ascolto di musica e parole uno strumento per interpretare la vita, i suoi sentimenti, le emozioni, tutti tratti che caratterizzano la musica stessa e ciò che rende tali gli esseri umani.
È stato il primo ad introdurre il jazz nella musica italiana, a fondare la casa discografica “NUMERO UNO” insieme a Mogol, scrittore dei suoi brani. “Come Battisti c’è solo lui, che studia sette ore al giorno tutti i cantanti del mondo ... se tu analizzi e studi i più grandi, crei in te la base per essere grande.” (Mogol)
Dalla ha scritto testi profondissimi e inimitabili, è stato meno riservato, duettando con i più grandi artisti di fama mondiale. Nelle sue canzoni ha sperimentato diversi generi musicali, avventurandosi in essi con grande curiosità. Nelle sue canzoni ha creato un universo lirico e musicale di incomparabile magia. Dalla negli ultimi anni della sua vita aveva parlato, e ancora parlato, si concedeva perché lui era fatto così, doveva condividere, doveva darsi, doveva regalare ai giovani talenti una possibilità, gli piaceva stare in mezzo alle cose e soprattutto ai giovani.
La verità è che Lucio Dalla stesso ruotava intorno a più idee nucleari, come ha spiegato in diverse occasioni nel corso del tempo. A Radio 2, nel 1973, per esempio, diceva che le sue canzoni “sono quasi tutte canzoni di mare, o canzoni di porto, o canzoni che parlano di quell’ambiente. Appena posso raccontare, racconto di mare. E vorrei parlare di ‘Itaca‘, che ho immaginato mettendo in discussione Ulisse come eroe“.
Agli inizi degli anni Ottanta, Lucio Dalla contattò Lucio Battisti per chiedergli di fare un tour insieme e poi successivamente avrebbero dovuto incidere anche un disco, tutto questo però non accadde perché Battisti stava sperimentando un nuovo mondo musicale, di lì a poco avrebbe lasciato la scena, e così il progetto di Dalla andò perso. Cosa sarebbe successo se avessero inciso quel disco e fatto quel tour? Ci avrebbero sicuramente lasciato tanti altri bellissimi frammenti di musica, emozioni e sentimenti, perché ho il sospetto che avessero ancora tanto da dirci.
Mahsa Amini
NASCITA: 20 Settembre 2000, Saqqez, Iran
DATA DI MORTE:16 Settembre 2022
22 marzo 2023
Donna, vita, libertà, lo slogan della rivoluzione in lingua iraniana, è nato per la prima volta nel 1993, creato dalle donne guerrigliere curde che combattevano sulle montagne per la libertà del loro popolo. Quando hanno scelto di formare un esercito a sé stante, separato da quello dei loro compagni maschi, hanno coniato il loro motto: Jin, Jîyan, Azadî, appunto.
La filosofia espressa dal motto Donna, Vita, Libertà è quindi l’eredità di migliaia di donne curde che da più di quarant’anni combattono sulle montagne. Queste parole non sono solo un grido in difesa del genere femminile, ma vogliono esprimere un nuovo paradigma di vita: democratico, libertario ed ecologico. Il termine libertà indica la speranza che i popoli possano finalmente decidere liberamente del proprio destino al di là della corruzione del potere, rispettando la natura e la libertà di genere. Il motto Donna, Vita, Libertà, dunque, non si riferisce solamente alla “questione del velo” come molti credono. Il significato è più ampio e riguarda tutte le fasce della popolazione: le diverse etnie (curdi, beluci, azeri), le minoranze Lgbt, i lavoratori, i bambini e molte altre minoranze oppresse da un regime che non rispetta i diritti umani.
La rivoluzione parte dalle donne perché, secondo le antiche credenze, il corpo femminile è fonte di paura e pericolo in quanto rappresenta un’arma di seduzione. I racconti storici vedono nella donna la causa della “sofferenza umana”, a partire dal racconto di Eva e Adamo nel paradiso terrestre. Fu Eva a convincere Adamo a mangiare la mela, simbolo del peccato. L’origine della misoginia inizia da lì, e la strada è ancora lunga da percorrere: ma la marcia è già iniziata e si riflette in un grido che ora è diventato canto, poesia e preghiera “Donna, Vita, Libertà!”.
Nel 2019 nel Paese è nata una campagna promossa da alcune attiviste che, nei punti più esposti delle città, si tolgono il velo, si fanno un video e lo postano sui social. Poi vengono arrestate per prostituzione o incitamento alla prostituzione, sia loro che le avvocate che le difendono in tribunale.
Nel 2022 quello a cui abbiamo assistito è una storia ancora peggiore: Mahsa Amini aveva 22 anni e non era un’attivista che, consapevole dei rischi che avrebbe corso, ha fatto un gesto di sfida. Mahsa Amini era solo una ragazza che è stata uccisa per qualche centimetro di capelli. Masha Amini è divenuta il simbolo delle donne iraniane che ogni giorno lottano contro un regime repressivo che ha negato loro i diritti più elementari. Una donna per tutte le donne che oggi marciano per le strade, a capo scoperto, rischiando la vita. Un atto di coraggio praticato in nome della libertà.
21 marzo 2023
Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, viene celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. L'iniziativa nasce dalla volontà del Presidente di Libera don Luigi Ciotti e di Saveria Antiochia, madre di Roberto, giovane poliziotto agente di scorta di Ninni Cassarà ucciso dalla mafia a Palermo il 6 agosto del 1985. Ad avvalorare l’iniziativa, il dolore di un’altra donna, Carmela, mamma di Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone, che in lacrime domanda perché il nome del figlio non viene mai citato. Un dolore che diventa insopportabile se alla vittima viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.
Dal 1996, ogni anno, in una città diversa, viene letto un lungo elenco di nomi in ricordo delle vittime uccise dalle associazioni mafiose. Recitare i nomi e i cognomi come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai.
Oggi 21 marzo, ricorre la 28esima edizione della Giornata della Memoria e dell'Impegno. La manifestazione nazionale si svolgerà a Milano e, simultaneamente, in centinaia di luoghi in Italia, Europa, Africa e America Latina. In Basilicata è stata scelta come piazza “principale” quella di Lagonegro.
La Giornata è scandita da un corteo iniziale di circa 3 km per le vie della città. Il corteo è aperto dai familiari delle vittime, mentre la pubblica lettura dell’elenco è affidata a più voci, da quelle dei familiari a quelle di rappresentanti di associazioni e istituzioni impegnate nella lotta alle mafie. Tale elenco, che è in costante e aggiornamento da parte dell’associazione Libera in collaborazione con i familiari delle vittime, soddisfa due criteri essenziali: il primo è la certezza sull’innocenza della vittima; il secondo è l’esigenza di esprimere una memoria non selettiva: ciò significa che l’elenco include tutte le vittime innocenti delle mafie a prescindere dal ruolo ricoperto nella società.
15 marzo 2023
A che serve la scuola? Matteo Saudino, insegnante di filosofia e storia, autore di libri come Fragili mutanti, Ribellarsi con filosofia, meglio conosciuto come Barbasophia, pone questa semplice domanda durante il suo intervento per Tedx Castelfranco Veneto.
Per la maggior parte degli adolescenti “la scuola serve poco, quasi nulla”. Per quale motivo? Perché a scuola i giovani si annoiano? Occorre rispondere a questo problema, sostiene Saudino, per il quale la scuola di oggi è simile al mostro dell’ Hydra, metà serpente e metà drago, mostro a più teste che, anche se recise, ricrescono e l’unico modo per ucciderlo è recidere la testa principale.
Come l’Hydra anche la scuola, per Saudino, ha più teste:
1) la scuola-parcheggio, dove si passa il tempo nella noia, un “non luogo di tristi emozioni” (Spinoza), esempio di una scuola che soffoca e che quindi va “tagliata”;
2) la scuola-centro commerciale, il cui obiettivo principale è consumare il più velocemente possibile; è questa la scuola delle innumerevoli verifiche, dei tanti progetti, è la scuola dove tutto è merce, compresi gli studenti, e i docenti sono distributori di merce (voti, verifiche, progetti …), insomma una scuola piatta e senza fertilità;
3) la scuola-azienda, i cui punti cardine sono: efficienza, produttività e competizione. La scuola azienda è una scuola ripetitiva che opprime la creatività, e che dunque, non serve neanche alle aziende che richiedono creatività, che chiedono di essere creativi e l’essere fiorisce a scuola;
4) la scuola d’elite, una scuola chiusa che non migliora la società perché reitera la disparità tra classi e una società per crescere ha bisogno di scambio e di una mobilità sociale;
5) la scuola della burocrazia, dove il docente è un “impiegato del sapere” (voti, presenze, assenze …), una scuola dove viene meno lo studente, la relazione umana e la crescita della persona, è la scuola dove ogni cosa viene “messa a posto” ma non importa se sia il posto giusto perchè l’importante è dare l’impressione che tutto lo sia;
6) infine, la testa centrale, il sistema nervoso del mostro: il nichilismo. Il nichilismo dei nostri tempi, il vuoto dove tutto precipita, che mangia il futuro e lo fa a piccoli pezzi, l’ospite inquietante che deve essere eliminato.
Occorre dunque costruire una nuova scuola, una scuola che per Saudino deve essere umanista, “ vitruviana”, la scuola cioè che va in più direzioni, che ha più dimensioni, che si pone come obiettivo quello di formare le persone. Deve essere la scuola del dialogo, la scuola dove ci si conosce, ci si interroga, ci si pone dubbi, dove insomma si cresce come persona.
Daniel Pennac in Diario di scuola la definirebbe la “scuola del non voto”, voto che, significa propriamente “obbligazione strettissima che alcuno s’impone”, ma esso è anche causa della morte della passione poiché la fatica e la bellezza di un percorso di apprendimento non può essere equiparato ad un voto freddo (positivo o negativo che sia). Si sente la necessità di percepire la trasformazione che avviene, solo percependo il cambiamento si trova il coraggio di uscire a riveder le stelle, quelle di cui parla Dante, quelle irraggiungibili, quelle ambite dopo l’ascesa al monte ventoso.
Il termine scuola deriva dal termine greco “scholè” ovvero ozio, riposo, astenersi da fatiche e dedicarsi al piacere intellettuale ma ciò non sempre corrisponde alla realtà a causa di tutte le sensazioni negative della performance scolastica e alla mera quantificazione, nonostante: “Non tutto ciò che può essere quantificato (valutato) è interessante e non tutto ciò che è interessante può essere quantificato” (Albert Einstein)
11 marzo 2023
Il 27 e il 28 febbraio 2023 si è tenuta, presso il nostro Istituto, la prima fase dei Campionati (ex Olimpiadi) di Italiano, a cui hanno partecipato 42 alunni.
Il 27 hanno gareggiato, divisi per indirizzo di studio, dieci studenti del biennio, il 28 altrettanti del triennio di ogni indirizzo. Sono stati ammessi alla semifinale i primi tre alunni classificati (per ogni area: liceale, tecnica, professionale) sia del biennio che del triennio, per un totale di 14 alunni. Scopo dei Campionati di Italiano è incentivare gli studenti ad approfondire la conoscenza della lingua italiana, necessaria per la comprensione e l’apprendimento di qualsiasi altra disciplina, e promuovere e valorizzare il merito tra gli studenti. Quest’anno, inoltre, i Campionati sono stati dedicati alla memoria del Professore Luca Serianni, linguista e filologo di rilievo, scomparso lo scorso luglio.
I Campionati di Italiano non sono l’unica competizione a cui la scuola ha aderito, infatti alcuni alunni hanno partecipato, lo scorso dicembre, ai Giochi di Archimede, altri ancora (quarta e quinta liceo) hanno partecipato alle Olimpiadi della Fisica. La finalità delle Olimpiadi della Matematica, di cui i Giochi di Archimede ne costituiscono la prima fase, è di avvicinare gli studenti all’attività di problem solving, mostrando loro quella faccia della matematica che non richiede soltanto l’applicazione meccanica di formule.
La nostra scuola pertanto offre ai propri studenti la possibilità di cimentarsi in nuove attività, di mettersi alla prova e di dare valore al proprio impegno, ai propri talenti e alle proprie inclinazioni.
18 marzo 2023
Sabato 11 marzo, il biennio del nostro liceo insieme alla classe IIA AFM ha partecipato alla visita guidata a Napoli.
Dopo una breve sosta, abbiamo visitato il Museo di Capodimonte ed il parco annesso grazie all’ausilio di auricolari per ascoltare la guida che ci ha mostrato le sale, i quadri e le statue. Successivamente ci siamo diretti verso la chiesa di Santa Chiara, ricostruita dopo la Seconda guerra mondiale eccetto il chiostro maiolicato, l’unico luogo che non è stato colpito dai bombardamenti, qui abbiamo potuto apprezzare vari stili artistici, come il gotico e il barocco. Nel pomeriggio abbiamo passeggiato per Spaccanapoli, uno delle strade più conosciute della città, poi ci siamo diretti in via Toledo, dove abbiamo fatto shopping e qualche foto con alcuni personaggi famosi.
Per concludere abbiamo ammirato la meravigliosa Galleria Umberto I
libertà è anche questo
21 febbraio 2023
“Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo? Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci”
di Letizia Giannasio IVA LCPubblicato nel 1942 in Ungheria con il titolo di A gyertyák csonkig égnek, cioè “Le candele bruciano fino in fondo”, Le braci di Marai (Košice, 1900-San Diego,1989) è un prezioso elogio all’amicizia, un romanzo sui legami, il tempo, la vendetta, l’attesa, il senso della vita.
Due luglio milleottocentonovantanove e quattordici agosto millenovecentoquaranta: queste le due date che scandiscono l’intero romanzo. Quarantuno anni sono passati dall’ultima volta in cui il generale Henrik e l’amico Konrad si sono visti, prima che uno dei due venisse meno scomparendo in circostanze ignote per andare ai Tropici e per una causa ancora più ignota.
Una lettera ha annunciato, come un fulmine a ciel sereno, la visita di Konrad al castello; una lettera ha scosso l’animo impassibile e corazzato del generale, vedovo da trentatré anni con la sola compagnia dei domestici e della balia Nini, che lo ha nutrito appena venuto al mondo. Henrik e Nini sono legati da un legame viscerale, l’unico destinato a rimanere… “le due vite fluivano assieme, con lo stesso lento ritmo vitale dei corpi molto anziani. […] La vita aveva mescolato i loro giorni e le loro notti, ciascuno dei due era consapevole del corpo e dei sogni dell’altro”. Nini era la presenza rassicurante del castello, il collante di quelle mura, la guida del generale, che conosceva meglio di sé stessa.
Quella lettera sembra aver ridato a Henrik vita: ora attende Konrad per cena e lì avrà la verità, a distanza di quarantuno anni, potrà dare un senso alla sua vita perché “si trascorre una vita intera preparandosi a qualcosa. Prima ci si sente offesi e si vuole vendetta, poi si attende”, e l’unica cosa che lui attende è la verità.
Il fuoco di quell’amicizia risaliva alla loro infanzia: un giorno, il piccolo Henrik, figlio di un ufficiale e di una contessa venuta dalla Francia che sfuggiva alla comprensione del marito, genitori che “si combattevano in silenzio, avendo come armi la musica e la caccia, i viaggi e i ricevimenti”, si ammalò rischiando di morire.
Tutti pensarono che la causa della malattia del fanciullo fosse il bisogno di affetto e che, non avendolo
trovato in nessuno, il piccolo fosse stato disposto a morire. La balia lo soccorse subito, evitandogli la
morte, ma ciò che davvero lo salvò e lo fece guarire da ogni malanno fu una nuova conoscenza del
collegio: Konrad.
Konrad ed Henrik crescevano in simbiosi, come una cosa sola agli occhi di tutti, che pure si interrogavano sulla natura di quello strano rapporto, presagendo che prima o poi quel “troppo” sarebbe potuto finire, lasciando non poche ferite. Era un sentimento puro, disinteressato, disposto a tutto, un legame “simile a quello fatale che unisce i gemelli”.
Erano profondamente diversi, l’uno legato agli ideali patriottici e militari e l’altro alla musica, l’uno ricco e l’altro proveniente da una famiglia disagiata, legati a mondi diversi che avevano provato a far comunicare, talvolta, invano.
Condividevano tutto, la casa, le finanze, i primi sentimenti d’amore per svariate donne… “ma al di là delle donne e del mondo balenava un sentimento più forte di tutto il resto. Un sentimento, noto soltanto agli uomini, che si chiama amicizia”.
L’unica donna che era riuscita a introdursi tra i due era stata Kristzina, la moglie del generale che, quasi come l’estensione di quest’ultimo, era legata anche a Konrad.
Ora, a distanza di quarantuno anni, tutto è pronto per l’incontro fatidico: ogni cosa ricorda l’ultima sera in cui loro due e Krisztina si sono visti, si sono parlati e amati.
Il generale ripercorre con un monologo l’intera storia della loro amicizia, un rapporto in cui le parole non erano mai state necessarie ma in cui, tutt’a un tratto, è piombato un silenzio corrosivo: i non detti, le bugie, i sotterfugi, l’invidia e la vendetta hanno fatto il resto. E così, una battuta di caccia ha diviso per sempre Henrik e Konrad: da quella battuta di caccia, dal due luglio milleottocentonovantanove, il generale ha consacrato la sua vita alla solitudine, Konrad è scappato ai Tropici e Krisztina ha vissuto distante da tutto, fino ad ammalarsi e morire, tradita dai due uomini in cui aveva riposto fiducia.
Sono di nuovo lì per la verità, per due sole domande che, secondo lo studio accurato del generale, possono riempire tutta quella vita. Ma il tempo è passato e non si può più colmare quel divario; ciò che segue a quella sera non ne è altro che la conferma. Di quel fuoco, ormai, rimangono solo le braci.
Unanimi i pareri del gruppo di lettura: la prosa poetica di Marai, talvolta barocca, si esprime in ampie descrizioni e riflessioni che rallentano la narrazione ma che sono in piena armonia con il carattere riflessivo e nitido del monologo del generale Henrik, finale constatazione di una vita spesa in attesa di un chiarimento. Un chiarimento che, tuttavia, non arriva: si aspetta per tutta la narrazione una risposta dell’interlocutore, una sua riflessione, il suo punto di vista, la sua versione dei fatti che compongono la verità e che ne sono parte… ma il lettore è destinato a rimanere deluso se è questo ciò che cerca e, forse, la spiegazione risiede proprio nel fatto che, per il generale Henrik, non sia possibile arrivare alla verità perché “l’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore”. In questa consapevolezza del protagonista va letta la rassegnazione stessa dell’autore che, dopo aver resistito per quarantuno anni ad una serie di esili volontari, ha deciso di chiudere i conti con il mondo e con un secolo di devastazioni e di declino dell’ex impero austro-ungarico di cui era stato testimone.
Amara presa di coscienza dell’impossibilità di arrivare alla verità è il finale del romanzo: il quadro di Kristzina riposizionato al suo posto dopo quasi trent'anni solo dopo l’ultimo confronto tra i due amici testimonia l’impossibilità di riaccendere il fuoco di un legame sincero, quello tra Henrik, Konrad e Kristzina.
16 gennaio 2023
Il gruppo LiberaMente impegnato con Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij
di Emilia Giannandrea IVC SU“La storia ha inizio a Pietroburgo in Russia in una notte estiva come tante altre. Il giovane protagonista della vicenda è un sognatore che gironzola per la sua città tutto solo e si nutre di sentimenti ed impressioni, fino a quando incontra una misteriosa ragazza e subito sente il desiderio di parlarle. Da qui inizierà la loro avventura.”
Così possiamo riassumere la trama del romanzo Le notti bianche* ( Белые ночи, Belye Noči, 1848) dello scrittore e filosofo russo Fëdor Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881).
“Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse possono esistere solo quando si è giovani, egregio lettore” questo è l'incipit nel quale lo scrittore si presenta come un fantasma che viaggia nelle vite degli altri, come una sorta di essenza che coglie solo alcune trame della realtà e poi le trasforma a suo piacimento. Ruba immagini della vita degli altri e le mette insieme così da creare un sogno, una dimensione in cui vorrebbe trasferirsi e, proprio per questo, la maggior parte delle volte dimentica il mondo reale. Questa è la sorte del giovane sognatore de Le notti bianche, un racconto autobiografico nel quale Dostoevskij fa risaltare al meglio il senso di abbandono del protagonista.
Tutto nasce da una passeggiata notturna nella meravigliosa Pietroburgo. Lui è molto timido e la sua timidezza non gli fa affrontare al meglio le sfide della vita. Così inizia a generare un universo tutto suo, un universo di fantasia, un universo di sogni dove si può rintanare ogni volta che vuole. Il racconto si articola in quattro giornate e una mattinata. Durante la prima notte il protagonista incontra una donna, Nasten’ka, e rimane colpito dal suo atteggiamento e dal suo umore: lei sta piangendo, ma lui passa oltre. Quando però la ragazza viene infastidita da un malintenzionato lui interviene e così i due finalmente si conoscono.
Per la prima volta si rivolge ad una persona che non è sé stesso e si lega immediatamente a lei. In questo modo il protagonista si rende conto, in modo doloroso, di quante cose abbia perso nella sua vita rifugiandosi in un mondo fittizio, privo di legami reali e dove l’unica compagna di vita era stata la solitudine, a volte un rifugio, a volte un enorme fardello da portare. “Con quanta facilità, con quanta naturalezza si viene creando quel fiabesco, fantastico mondo! Come se tutto ciò non fosse una chimera! In verità, son pronto a credere, in certi momenti, che tutta quella vita non sia un eccitamento dei sensi, non sia un miraggio, non un inganno dell’immaginazione ma che sia una realtà viva, vera, efficiente!
I due, durante le notti, pian piano iniziano a conoscersi, ma lei propone da subito un patto: il giovane sognatore non deve innamorarsi di lei ma può essere soltanto suo amico ... Lui le augura il meglio e la ringrazia per tutti quegli attimi di beatitudine e felicità, anche se pochi, che ha vissuto con lei. L’incontro e l’innamoramento simboleggiano un tentativo di voler abbandonare tutto ciò che ha di concreto, che secondo lui non gli appartiene.
Le notti bianche è un libro che parla della solitudine, della voglia e del bisogno di amare, della paura di abbandonare le abitudini di cui ci lamentiamo tutti i giorni. Qual è il confine tra realtà e sogno? I sogni possono salvarci dalla realtà, possono donarci speranza, la spinta in più per andare avanti e non mollare. Però bisogna fare attenzione, non dobbiamo abusarne per non perdere le tante occasioni che ci offre la vita reale. Il gruppo di lettura ha apprezzato il testo di Dostoevskij: scrittura molto scorrevole e leggera, talmente tanto che può essere letto in un solo pomeriggio, rispetto agli altri suoi scritti molto più impegantivi e complessi. Un libro che emana molta sofferenza, ma allo stesso tempo una sofferenza bella che fa riflettere e che prende subito grazie al linguaggio lineare e profondo. Le notti bianche non può essere definito come un romanzo con una storia d’amore, perché entrambi sono attratti solo l’uno dall’altra da una cosa: aver vissuto una vita molto triste. La lettura è probabilmente più adatta ad un pubblico giovanile, poiché le tematiche trattate, quali l’amore e il sogno, sono più attinenti alla visione adolescenziale.
*curiosità: L’opera prende il nome dal periodo dell’anno noto col nome di notti bianche, in cui nella Russia del nord, inclusa la zona di San Pietroburgo, il sole tramonta dopo le 22.
24 gennaio 2023
Alessandro Benetton, la capacità di saper vivere nell'incongruità
di Maria Totaro IIIA LCConosci te stesso,“γνῶθι σεαυτόν”, quante volte questa frase scritta sul tempio di Apollo a Delfi, viene ripetuta?
Da allora sono stati molti i significati attribuiti ad essa, Alessandro Benetton in Tedx Cortina ha cercato di darne uno nuovo e del tutto inaspettato.
Conoscere se stessi è la sfida più nuova e più antica di sempre, perché come 3000 anni fa, anche noi, come i Greci, dobbiamo comprendere le nostre capacità e i nostri limiti.
Alessandro ci porta subito su un terreno fertile, dimostrando che la creazione del futuro parte dalla conoscenza di se stessi.
Si inizia a costruire il futuro negli anni in cui si ha maggiore consapevolezza di sé, quando si può iniziare a progettare, e non solo a sognare, ovvero negli anni del liceo. Molto spesso persone che oggi ricoprono cariche importanti hanno avuto una formazione umanistica, per esempio l’amministratore delegato di Youtube è laureato in filosofia e storia antica, il fondatore di AirBnB è laureato in storia dell’arte e così molti altri ancora.
Il percorso vincente da seguire è solo uno, complesso e lungo, e lo possiamo riassumere in tre punti: perseguire le proprie passioni, ricercare se stessi tramite il fare, pensare e agire in grande.
Senza l’amore e la passione per il proprio lavoro e senza la ricerca di sé è molto difficile riuscire a raggiugere gli obiettivi. I successivi “passaggi di discontinuità" sono necessari: non fare cose ovvie, sorprendere, amare il progresso. Alessandro fa l'esempio di Michael Porter, un professore che durante gli anni Ottanta rischiò l’espulsione da Harvard, perché stava venendo meno ad uno dei requisiti per lavorare lì: la pubblicazione. Il suo progetto però era più grande, lungo e difficile: stava cercando analogie tra i diversi settori di studio, come tra la chimica e la letteratura. Ad oggi è ancora un professore stimato grazie alla sua capacità di vivere nella discontinuità. Infine, pensare e agire in grande che significa andare in zone che non si conoscono, vivere nel dubbio, avere voglia di vivere dell'incongruità. L’incongruità è il luogo più bello dove stare, il luogo dove i coraggiosi amano avventurarsi, il luogo di coloro che fanno della ricerca dello stupore e della probabilità di fallimento la loro forza.
Non è facile capire quale sia la propria strada al termine di un percorso. Quello che si può fare è non precludere a se stessi alcuna strada, sarà poi l’esperienza a farlo da sé; ed è questo il messaggio lasciatoci, qualche settimana fa, da Salvatore Napoli, ex studente della nostra scuola, diplomatosi nel 2008 (indirizzo CAT), che abbiamo incontrato in occasione della presentazione del suo ultimo racconto La donna che offriva il caffè ai fantasmi.
23 dicembre 2022
Per la prima volta nella storia è stata realizzata la fusione nucleare che permetterà di generare più energia rispetto a quella utilizzata per innescarla.
Martedì 13 dicembre, il dipartimento statunitense dell’Energia, ha annunciato che gli scienziati, per la prima volta nella storia, sono stati in grado di produrre una reazione di fusione nucleare che genera più energia di quella utilizzata per innescarla.
Gli USA hanno intrapreso <<i primi passi verso una fonte di energia pulita che potrebbe rivoluzionare il mondo>>, come afferma la sottosegretaria USA per la sicurezza nucleare, Jill Hruby.
Il processo per arrivare all’uso commerciale dell’energia pulita, derivante dalla fusione nucleare, è abbastanza lungo, si parla di decenni. Lo ha affermato KimBudil, la direttrice del LawrenceLivermore National Laboratory, premettendo che <<Ci sono ostacoli molto significativi, non solo a livello scientifico ma tecnologico>>. In aggiunta, la direttrice precisa che << per ottenere l’energia commerciale da fusione c’è bisogno di molte cose. Bisogna essere in grado di produrre molti eventi di accensione per fusione per minuto e bisogna avere un robusto sistema di elementi di trasmissione per realizzarli>>.
La scoperta è avvenuta presso la NationIgnitionFacility ospitata nei Lawrence LivermoreNationLaboratory, in California. Lo scopo della ricerca sulla fusione è replicare la reazione nucleare che alimenta l’energia solare. Finora gli esperimenti avevano deluso le aspettative degli studiosi, i quali erano riusciti ad innescare la fusione impiegando molta più energia di quanto poi ne potesse rilasciare . Mark Herrmann, direttore del programma del Livermore, ha dichiarato: <<Il fatto che siamo stati in grado di produrre più energia di quanta utilizzata è la prova che tutto questo è possibile>>, specificando in seguito che la fusione nucleare <<potrebbe potenzialmente essere una fonte di energia nel futuro>>.
La fusione nucleare è il sogno degli scienziati da oltre 50 anni. È considerata più ecologica della fissione nucleare in quanto genera quantità minori di radiazioni e scorie più semplici da gestire. Di fatto, la produzione di energia attraverso la fissione nucleare, che produce circa il 10% dell’elettricità mondiale, ed è priva di carbonio, genera scorie radioattive che possono durare migliaia di anni. La fusione, invece, non produce né tali rifiuti né l’anidride carbonica e altri gas serra generati dalla combustione di combustibili fossili.La fusione nucleare è il processo attraverso il quale il Sole scalda la Terra. In questa definizione sono comprese varie reazioni che avvengono nel nucleo stellare, dove i nuclei di idrogeno si uniscono tra loro formando nuclei di elio, il quale così generato ha una massa leggermente inferiore a quella dei due atomi d'idrogeno di partenza, e la massa mancante si converte in energia secondo la legge scoperta da Albert Einstein (). È per questo che il Sole produce con tanta efficienza il calore che ci mantiene in vita: moltiplicando la massa per "" (la velocità della luce al quadrato), basta infatti una quantità di materia molto piccola per ottenere valori di energia grandissimi.Ma la fusione presenta immense sfide tecnologiche. Richiede che l’idrogeno sia portato a temperature prossime a 100 milioni di gradi centigradi. Il processo si innesca all’interno di un plasma che non è possibile contenere in nessun recipiente, perché dissolverebbe qualsiasi altro materiale presente sulla Terra; va quindi mantenuto in sospensione all’interno di un campo magnetico di inaudita potenza. Il calore della fusione deve essere poi catturato e convogliato verso dispositivi che lo trasformino in energia. Il processo, inoltre, dovrebbe tener conto in particolare di un altro elemento: l’iter crea neutroni che sottopongono i macchinari ad uno stress enorme, col rischio di distruzione delle apparecchiature.
Oltremodo però bisogna tenere in considerazione che essendo un fenomeno in grado di generare energia in maniera pulita, è necessario mettere in atto enormi sforzi per riprodurlo in laboratorio.
22 dicembre 2022
Lo scorso 20 dicembre, nell’aula “Don Pino Terracina” dell'IIS "L.Sinisgalli di Senise", gli studenti delle classi terze hanno incontrato Salvatore Napoli, autore del romanzo La donna che offriva il caffè ai fantasmi e di altri racconti come Gotico italiano. Uno scrittore speciale, Salvatore Napoli è stato uno studente del Sinisgalli, nel 2008 ha conseguito il diploma di maturità indirizzo CAT. La sua scrittura fornisce rimandi cinematografici, la lettura è fluida ma ricca di particolari e di minuziose descrizioni paesaggistiche.
Vocazione, è stata la prima parola chiave di questo incontro. L'autore racconta di essersi appassionato alla scrittura da bambino, e questo, pur non avendo intrapreso studi umanistici, lo ha aiutato a capire di “cosa fosse fatta la sua interiorità”. “Mai perdere l’abitudine di leggere tra le righe - dice agli studenti - mai abbandonare l’utilizzo della parola, se vogliamo essere liberi dobbiamo mantenere la familiarità con la scrittura”.
Il romanzo La donna che offriva il caffè ai fantasmi, "ha uno stampo classico giallo, tramite un crimine si sconvolgerà la tranquillità cittadina e il tutto si risolverà con l’utilizzo del metodo deduttivo del protagonista.” Il personaggio principale, l’ investigatore privato Jacopo Manni, assume un comportamento atipico: è molto insicuro delle sue decisioni, non riesce a vivere, non riesce a non avere paura dell’esistenza stessa.
La scelta di trattare un tema sociale importante come la violenza di genere è stata ispirata dal desiderio di altri poiché “La letteratura non è solo quello che è, ma anche quello che vorremmo che fosse. Il tema della violenza di genere è tra i più crudeli, è un'azione vile”, l'obiettivo è quello di offrire una possibilità di catarsi per le vittime.
Durante l’incontro non sono mancate domande dagli studenti, a cui lo scrittore non ha esitato a rispondere.
Ha spiegato, infatti, come la decisione di introdurre una sequenza a fumetti sia partita dalla casa editrice Horti Di Giano per rilanciare lo stile gotico; il fumetto, su proposta del fumettista, è ambientato nel borgo medievale italiano di Matera e nell’abbazia di Fossanova.
Racconta di aver impiegato quattro anni per la stesura del testo e di aver dovuto completamente modificare il finale, non perché i personaggi fossero cambiati dall’idea originale, ma perché il cambiamento era avvenuto in lui. Nei suoi racconti emerge spesso il messaggio di non avere paura di ciò che sembra minaccioso, poiché esso è una certezza, al contrario bisogna avere paura di ciò che valutiamo con superficialità.
21 dicembre 2022
Lunedì 19 dicembre, la III A del Liceo Classico ha seguito una lezione di storia tardoantica, dai tratti universitari, curata dalla Prof.ssa Donata Violante, ricercatrice e docente di Storia romana presso l'Università degli Studi della Basilicata, e per altro ex alunna del nostro liceo. Durante l'incontro è stata affrontata la questione inerente la sostenibilità di agricoltura, commerci e smaltimento dei rifiuti nel Negev tardoantico, territorio appartenente al regno dei Nabatei, divenuto successivamente provincia romana.
L'iniziativa, che ha permesso agli alunni di partecipare all'incontro in questione, è riconducibile alla notte europea dei ricercatori, promossa dalla Commissione Europea fin dal 2005 che coinvolge ogni anno migliaia di ricercatori e istituzioni di ricerca in tutti i paesi europei. L'obiettivo principale è quello di estendere la ricerca, permettere che questa venga conosciuta anche in ambienti che non siano universitari, come nelle scuole oppure, come affermato dalla prof.ssa Violante, per strada, nelle piazze, in centri di recupero per tossicodipendenti, per creare occasioni di incontro tra ricercatori e cittadini, al fine di diffondere la cultura scientifica e la conoscenza della professione del ricercatore, in contesti quotidiani, anche informali.
Il tema dell'edizione 2022/2023 de La notte europea dei ricercatori è il sapere che include, un sapere che coincida con la messa a disposizione della conoscenza sviluppata e maturata nel mondo accademico, e che richiami alla responsabilità attiva e all'importanza del ruolo che ciascuno riveste ogni giorno. La divulgazione diventa così occasione di incontro, di aggregazione, di avvicinamento, a lungo ostacolati dal Covid-19, che ha messo a dura prova tutti e che ha indubbiamente lasciato il segno. Ecco dunque il potere e l'importanza della cultura, della conoscenza, di un sapere che unisce, che unifica, che accomuna, che avvicina, che ci rende parti di un insieme.
Al termine dell'esposizione dell'argomento, trattato durante una lezione "diversa" ma altrettanto stimolante, alcuni alunni sono intervenuti ponendo delle domande alla ricercatrice riguardo la scelta dell'argomento delle sue ricerche (area geografica e periodo storico) e il metodo della ricerca storica. “La mia scelta - dice la Prof.ssa Violante - è stata dettata in parte dai miei interessi verso determinate culture, popolazioni e in parte indotta da uno dei miei docenti universitari, che mi consigliò di occuparmi di periodi storici e territori poco trattati e studiati in Italia; pertanto durante le mie ricerche ho poco materiale tradotto in italiano a cui possa fare riferimento, attingo a documenti e fonti inglesi, tedesche, interessanti sono anche quelle in lingua ebraica, che possono fornire specifiche informazioni utili. Il mio lavoro - continua la docente - mi porta di conseguenza a viaggiare molto, anche se durante questi anni di pandemia sono stata molto limitata in questo.”
E ora a noi, cittadini del futuro, su invito della Prof.ssa Violante, un'attività di ricerca su produzione agricola locale e sostenibilità ...
17 dicembre 2022
“Se davvero volete sognare, svegliatevi…” è una delle frasi celebri de Il paradiso degli orchi (Au bonheur des ogres,1985) primo romanzo del “ciclo di Malaussène” dello scrittore francese Daniel Pennac (Casablanca, 1 dicembre 1944) e testo scelto dal gruppo di lettura coordinato dalla Prof.ssa Rosanna Lobefalo.
Il protagonista di questo libro è Benjamin Malaussène che di mestiere fa il capro espiatorio, mansione per la quale viene pressato dalle lamentele dei clienti per oggetti malfunzionanti. Con una famiglia numerosa alle spalle, che vive nel quartiere di Belleville, e una madre, nota per essere uno spirito libero che spesso scompare, Benjamin è costretto a svolgere questo lavoro nel Grande Magazzino dove iniziano ad esplodere una serie di bombe che fanno numerose vittime le quali sembrano non avere altro in comune se non la presenza di Benjamin durante l’esplosione. Tutti lo credono colpevole, ma dietro questo mistero, che coinvolge il reparto giocattoli, si cela una verità nascosta.
Una trama curiosa e ironica con un protagonista tragicomico dal ruolo insolito e ingegnoso, conveniente ad una società dove gli uomini non riconoscono mai le proprie colpe. Ma su questo sfondo bizzarro, lo scrittore imposta una critica sulla società francese e, in particolare, sul problema dell’immigrazione che viene risolto con una famiglia numerosa in cui c’è posto per tutti: i Malussène.
La lettura de “il Paradiso degli Orchi”, se non si conosce l’autore, può sembrare effimera e superficiale per l’ironia che si cela nelle parole che egli utilizza. Inizialmente si pensa ad una storia per bambini: divertente, ma anche confusionaria che, in realtà, nel corso della lettura, si trasformerà in un composto di genialità e originalità.
La scrittura di Pennac è scorrevole, incisiva e chiara, caratterizzata da periodi brevi, parole ritmate e un linguaggio semplice e quotidiano che coinvolge facilmente il lettore nella storia. Questo aspetto è evidente nella descrizione di Benjamin che, inoltre, rappresenta la reale novità all’interno della storia. Possiamo definirlo un protagonista ingenuo e annoiato dalla routine della sua vita, ma nel corso della narrazione, oltre a scoprire la verità sulla questione dell’esplosione, si assiste ad un progressivo cambiamento del personaggio che matura sia nel modo di relazionarsi con gli altri che nella sua interiorità.
Dall’incontro del gruppo di lettura, che si è tenuto il 16 dicembre nella biblioteca dell’Istituto Leonardo Sinisgalli, sono emersi pareri positivi, ma anche ostili. Molti hanno definito questa lettura: confusionaria e con personaggi poco realistici, che danno l’idea di un cartone animato. Altri, invece, hanno considerato questo libro una scoperta, inizialmente poco coinvolgente, però man mano ricco di colpi di scena. Possiamo definirlo, quindi, un accordo perfetto tra il reale e il fantastico.
Pennac ironizza sulla condizione dell’uomo, sulla ingenuità e, al contempo, sulla meschinità dell’essere umano. Questa “leggerezza”, con la quale affronta determinate tematiche, è volta proprio ad alleggerire il peso del peccato che l’uomo, talvolta, neppure riconosce, e porta a meditare su quanto beffarda sia la vita di chi non sa vedere oltre: di chi non sa sognare ad occhi aperti. Infatti, attraverso questa famiglia disneyana con personaggi quasi fiabeschi, cerca di divertire i lettori, ma invita, ugualmente, a riflettere su tematiche fortemente attuali.
“Il Paradiso degli orchi” è una lettura confusionaria, singolare e avvincente, che catapulta il lettore in una storia surreale, divertente, con un personaggio unico e interessante. Un libro per chi ama le avventure, la fantasia e l’inconsueto, che rende perplessi e incollati alle pagine. Una storia per chi sa andare oltre l’apparenza e la semplice successione dei fatti, perché nulla è, in realtà, come sembra: “Mio povero ragazzo, lei era il più bel regalo che la Provvidenza potesse fare loro: un santo. Col suo modo di caricarsi sulle spalle tutti i peccati del Commercio, di piangere le lacrime della clientela, di suscitare l’odio di tutte le cattive coscienze del Grande Magazzino, insomma, con il suo straordinario dono di attirarsi sul petto le frecce vaganti, lei si è imposto ai nostri orchi come un santo! Da quel momento hanno voluto la sua pelle, di più: la sua aureola! Compromettere un vero santo, farne un assassino, designarlo come colpevole alla pubblica vendetta, era una bella tentazione per quei vecchi diavoletti, no?”
17 dicembre 2022
Anche quest'anno è arrivato il periodo in cui la nostra scuola, Istituto d’Istruzione Superiore "Leonardo Sinisgalli”, apre le porte agli alunni dell'ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, ci si augura nostri futuri studenti, e alle loro famiglie. Già dal giorno 6 dicembre la scuola ha iniziato l'attività di orientamento, recandosi presso le scuole medie del territorio come la scuola media di Francavilla in Sinni (Istituto Comprensivo Don Bosco) per la prima giornata di orientamento, durante la quale sono stati presentati gli indirizzi e i piani di studio e le tante attività laboratoriali offerte dal Sinisgalli. A partire da domenica 18 dicembre, e a seguire sabato 14 e domenica 22 gennaio 2023 , dalle ore 15.00 alle ore 20.00, cominceranno le vere e proprie giornate di open day, durante le quali la scuola rimarrà aperta e darà ai visitatori, accolti da alunni, docenti e personale scolastico, l'opportunità di vedere dal vivo gli spazi delle due sedi del Sinisgalli: le aule, i laboratori, la palestra e ... il frutto del lavoro della band del Sinisgalli. Inoltre saranno aperti gli uffici di segreteria per le iscrizioni 2023-2024 per tutte e tre le giornate.
02 dicembre 2022
E dopo la maturità? Si apre il mondo. È giunto il momento di pensare al futuro e di dare forma alle aspettative. Qualcuno ha già le idee chiare e magari si vede, fra qualche anno, con una toga in tribunale o con un camice in corsia. Ma sono eccezioni, la maggior parte, in realtà, sceglierà il proprio percorso post diploma nei prossimi due tre mesi. Una decisione che già di per sé non è facile poiché i due anni che ci siamo lasciati alle spalle sono stati davvero impegnativi per via della pandemia.
Non è mai il momento sbagliato per guardare al futuro e così si può descrivere l’esperienza di venerdì 02 Dicembre 2022 fatta dai ragazzi dell’Istituto Sinisgalli al Salone dello studente allestito a Bari. Il campus offre la possibilità, attraverso dei laboratori interattivi e spazi espositivi, di simulare i test di ammissione alle diverse facoltà, di parlare con dei professionisti e discutere con i professori. Il Salone dello studente dà i mezzi per avere una visione completa di quello che sarà il percorso post-diploma nella sua totale concretezza sia per il proseguo degli studi sia solamente per l’opzione del lavoro. Si trattano tutte le vie possibili al termine della scuola superiore, ci sono esperti dell’orientamento che danno consigli per superare i test di ammissione, e ancora appuntamenti per scoprire le professioni del futuro, un calendario di presentazioni e webinar per dialogare con i tutor delle migliori Università pubbliche e private e infine le Accademie.
18 novembre 2022
“Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell’oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.”
Così si apre il romanzo più famoso dello scrittore tedesco Patrick Süskind (Ambach, 26 marzo 1949), Il Profumo (Das Parfum – Die Geschichte eines Mörders, 1985), testo scelto dal gruppo di lettura coordinato dalla docente di Lingua e cultura inglese Prof. ssa Rosanna Lobefalo.
Un romanzo impegnativo per i temi trattati, come l’emarginazione e la morte, e in maggior misura per lo stile usato dall’autore. La trama è avvincente: Jean-Baptiste, il protagonista della storia, nato nel 1738 nel luogo più mefitico di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie, perché privo dell’odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché “non ha nessun odore”, rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. Crescendo scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire, distinguere e catalogare gli odori.
Potrebbe dare l’idea di una storia di lotte e di riscatti, ma il protagonista non ha bisogno di nessuna delle due cose: la necessità di cogliere l’essenza di quegli odori di cui tanto è esperto, ma di cui nulla possiede, lo costringerà a compiere atti macabri fino a raggiungere Il Profumo perfetto e il potere assoluto. Il finale tuttavia fa ben comprendere come ciò per cui Grenouille aveva lottato fosse destinato a dissolversi nell’aria, così come quell’essenza magica che era riuscito a comporre mietendo decine di vittime.
Il carattere macabro non fa pesare la lettura e per questa ragione mi sento di consigliarla anche ai deboli di stomaco. Süskind riesce, con la sua scrittura, a catapultare da subito il lettore nella Francia del ‘700 in una maniera del tutto originale, tramite gli odori. Difatti è precisato nell’incipit come l’olfatto sia accantonato e relegato per ultimo tra gli altri quattro sensi, ciononostante è proprio l’olfatto a dirigere l’orchestra di questo libro. Le pagine scorrono amabilmente e danno modo al lettore di immaginare non soltanto l’ambiente, ma gli odori di cui è composto. Non vediamo il mondo con gli occhi del protagonista, ma lo sentiamo tramite il suo naso. “Colui che domina gli odori, domina il cuore degli uomini”. Il profumo è centrale e si lega persino al tema dello stare al mondo come uomini. Grenouille non viene accettato non perché fosse particolarmente brutto, particolarmente sgradevole o fastidioso, anzi il contrario, ma a causa dell’assenza di quell’odore che ogni umano dovrebbe possedere. Ogni uomo, anche se non lo percepisce consciamente, ha un odore ed è proprio l’assenza di questo che fa allontanare tutti dal protagonista. Di certo, dopo la lettura, resta appurato il concetto su cui Süskind basa il romanzo: la società in cui è calato il protagonista è moralmente corrotta, a più livelli; non c’è una sola persona che abbia avuto a che fare con Grenouille che non tenti di sfruttarlo per i suoi scopi, nessuno che abbia davvero legato con lui, nessuno che abbia saputo instillargli la benchè piccola goccia d’amore, che avrebbe potuto salvarlo dal suo triste destino. Ma forse così sarebbe stata tutta un’altra storia.
Passando allo stile, Süskind riesce a essere avvincente e magnetico in un modo diverso dagli autori di thriller. La sua scrittura arriva dritta al punto, non è adornata di tecnica, di studio, non sembra un congegno. È comunque evidente il lavoro di ricerca da parte dell’autore e lo si nota soprattutto nella descrizione minuziosa delle tecniche di lavorazione necessarie per la distillazione e per l'enfleurage che sfrutta il potere dei corpi grassi di assorbire naturalmente gli odori. L’autore ha un modo di scrivere catturante, che mantiene il suo effetto anche nelle parti più noiose, anche quando il ritmo cala, per poi riprendere velocità all’improvviso. Ci sono molti dettagli, accurati, morbosi, e tante similitudini. Ho apprezzato, in particolare, una similitudine che fa comprendere le azioni del profumiere-assassino: Süskind lo paragona a una zecca. Grenouille non è altro che una zecca che aspetta paziente di cadere dall’albero, sul quale è rimasta per lungo tempo, per agire, attaccarsi al pelo di un animale e bere da esso fino all’ultima goccia di sangue.È interessante inoltre la scelta del nome del protagonista: dal francese “grenouille”, rana, forse per indicare il suo passaggio dall’essere uno scarto della società al raggiungere inconsapevolmente il potere più assoluto. Grenouille subisce una metamorfosi, così come la subisce il girino che si trasforma in rana. La forma finale che assume il protagonista tuttavia non può di certo essere definita positiva.
In generale il gruppo di lettura, che ha ufficializzato il primo incontro il 18 novembre nell’aula blu dell’Istituto Leonardo Sinisgalli, ha apprezzato questo romanzo, ma non sono mancate alcune critiche. In maniera particolare è stata sottolineata l’eccessiva descrizione di alcuni personaggi (come quello del marchese de la Taillade-Espinasse) e di alcuni luoghi (troppo saturi di dettagli preferibilmente trascurabili), la mancanza di un nucleo narrativo, di una narrazione forte e la prolissità che questo ha comportato nella storia. In molti hanno fatto notare la lentezza delle prime pagine, con una graduale ripresa e un finale che ha scioccato tutti. È emersa anche la contraddizione di alcuni termini utilizzati: “odore” e “profumo”. “L’odore” potrebbe essere infatti il reale e più adatto titolo del romanzo, dacché tutto gira intorno all’emarginazione che l’assenza di questo ha provocato. Il termine “profumo” è qualcosa di esterno, con accezione positiva e definito non decisivo nello svolgimento della narrazione. Inevitabile è stato il paragone con l’omonimo film “Profumo - storia di un assassino” del 2006 che, come spesso accade, ha deluso alcuni dei lettori.
Cito la prof.ssa Rosanna Lobefalo che lo ha definito "disgustoso e al tempo stesso geniale”, una definizione che ho condiviso e che rende giustizia alla genialità del romanzo, ma che al tempo stesso non omette il suo aspetto nauseante. Questa infatti la descrizione di Parigi nel primo capitolo: Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone, le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell’umido dei piumini e dell’odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati, dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c’era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l’apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d’estate sia d’inverno. Infatti nei diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limite all’azione disgregante dei batteri i e così non v’era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo(1).
(1)Curiosità. Due gruppi rock molto noti si sono ispirati a questo romanzo: Nirvana, Scentless Apprentice (Apprendista senza profumo), Rammstein, Du riechst so gut (Sai di buono)
10 novembre 2022
“Quanta umanità …”, così il pentito di mafia Giovanni Brusca racconta di Rita Borsellino a Don Marcello Cozzi, durante uno dei loro tanti colloqui, e così si può descrivere l’incontro avvenuto Giovedì 11 Novembre tra i ragazzi dell’ Istituto Sinisgalli e il parroco potentino. Al centro del dibattito il suo nuovo libro dal titolo Dio ha le mani sporche.
Nel testo vengono raccontati i numerosi incontri che l’autore lucano ha avuto con quelle persone tormentate dal ricordo della violenza sia che l’abbiano subita che commessa. Da Elisa Claps, a Giovanni Brusca passando per le vittime sessuali della tratta di esseri umani; tanti casi un unico filo conduttore … la capacità di ascolto di Don Marcello e il tema della legalità, argomento di vitale importanza da trattare nelle scuole. Più che una vera presentazione del libro, l’ex vicepresidente di Libera ha voluto portare ai ragazzi la sua testimonianza di vita fatta di empatia verso il prossimo, grande umanità e lotta al crimine. Un'esistenza sicuramente non banale fatta di scelte difficili, di grandi responsabilità sempre nel segno del coraggio e del prossimo. Un prossimo che non è giudicato ma accolto, che non è respinto ma ascoltato, che non lo si rende schiavo della sua condizione ma lo si prova a liberare da questa, al di là che si tratti di vittima o carnefice perché, così come lo stesso Don Cozzi riporta dalle parole di Agnese Moro, nella conoscenza il mostro si smaterializza. Ci sono tanti modi per poter ascoltare, non ultimo proprio quello della lettura.
Don Marcello è un sacerdote atipico, non affine allo stereotipo della sola vita in sacrestia definita da lui stesso antievangelica; lo stesso Gesù viveva continuamente per strada, camminava di fianco al male, si sporcava le mani. In una società sempre più dell’apparire, la riflessione finale del prete potentino non poteva non interessare la fragilità dell’uomo, il non aver paura a mostrarla perché è proprio nella debolezza che risiede la vera sacralità dell’essere. L’esempio di Don Cozzi stimola alla ricerca del bene, a suo dire a ricercare la feritoia nella ferita, la luce che illumina il cammino, il buono nel cattivo. È un libro di dolore che però si chiude con speranza, la speranza di Don Marcello, palesata ai ragazzi, di continuare ad aiutare i sofferenti con l’auspicio di “trasformare” quanto più male in bene. L’incontro si è chiuso tra gli applausi dei ragazzi, questo articolo invece con alcune note musicali; note che sicuramente, come raccontato da Don Cozzi, saranno state ripetutamente suonate dal “piccolo” Di Matteo durante il periodo del rapimento. Do,re,mi,fa,sol,la,si…
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Il monopolio è una forma di mercato caratterizzata dall’accentramento dell’offerta o della domanda nelle mani di un solo venditore o di un solo compratore (m. unilaterale) o di entrambi (m. bilaterale).
La storia del Monopolio inizia a Washington DC nel 1903 quando una donna di nome Elizabeth Magie inventò un gioco da tavolo denominato “The Landlord’s Game”, ossia il gioco del proprietario terriero.
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