«La mafia non è un concetto astratto, non è uno stato d’animo, ma è criminalità organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in aggregati o gruppi o “famiglie” o meglio ancora “cosche”. […] Esiste una sola mafia, né vecchia né giovane, né buona né cattiva, esiste la mafia che è associazione delinquenziale» Cesare Terranova
di L. Giannasio VA LCI gabellotti erano gli unici a cui fosse consentito detenere un’arma nella quotidianità e la forma di potere non ufficiale che raggiunsero permise loro di affiliarsi per controllare il sistema agricolo, usando metodi illegali nei confronti del ceto medio e del ceto popolare.
Dopo l’Unità d’Italia la situazione rimase pressoché invariata, fin quando il termine “mafia” apparve per la prima volta nell’inchiesta parlamentare del 1876 di Franchetti e Sonnino per descrivere il potere illegale che si era andato consolidando nell’isola. Ulteriore attenzione al fenomeno venne posta nel 1900, quando il questore di Palermo Sangiorgi compilò il resoconto delle attività della mafia, della sua organizzazione in cosche, delle sue attività illecite, dei suoi metodi violenti e dei rapporti della mafia con l’aristocrazia siciliana.
Durante il fascismo, dopo un iniziale intervento con l’invio del “prefetto di ferro” Cesare Mori in Sicilia per contrastare il fenomeno, lo stesso regime fu infiltrato da personalità vicine agli ambienti mafiosi.
Lo sbarco degli alleati e la rinascita del fenomeno mafioso
Con lo sbarco degli alleati si pose fine al regime fascista, ma il 1943 fu l’anno del caos per l’Italia in guerra, come fu ravvisabile anche in Sicilia, dal momento che Cosa Nostra (come aveva iniziato a chiamarsi il fenomeno mafioso) approfittò dell’esigenza americana di avere contatti sull’isola per riacquisire un potere più forte.
Il 29 ottobre 1943 il capitano dell'esercito americano Scotten, in servizio a Palermo, consegnò un rapporto al governo alleato intitolato The problem of Mafia in Sicily (“Il problema della mafia in Sicilia”), in cui scrisse: "In Sicilia si è verificata una forte affermazione della Mafia dal momento dell'occupazione alleata [...]. I siciliani stanno perdendo fiducia nelle nostre capacità di affrontare il problema [...]. Tre sembrano essere le possibilità che si profilano:
a) un'azione diretta, stringente e tempestiva per riportare la Mafia sotto controllo;
b) una tregua negoziata con i capomafia;
c) l'abbandono di qualunque tentativo di controllo della Mafia in tutta l'isola.
[...] La terza soluzione avrebbe potuto significare la consegna dell'isola ai poteri criminali per un lungo periodo di tempo."
Fu proprio la terza soluzione che si determinò.
La speculazione edilizia e la nuova mafia
Nel dopoguerra la mafia iniziò il suo spostamento dalla campagna alla città, creando una prima frattura tra la mafia che esercitava il suo potere nelle campagne circostanti la città (“corleonesi”, dalla città di provenienza del leader Riina) e la mafia più “raffinata” che esercitava affari illeciti in città (“palermitani”). Questa divisione portò negli anni ‘60 alla prima guerra di mafia in Sicilia.
Nelle città siciliane imperversò il fenomeno della speculazione edilizia trasformando la “conca d’oro” palermitana nella “conca di cemento”. Inoltre, in questo periodo Cosa Nostra iniziò attività di traffico di stupefacenti che ingrandivano il giro d’affari al di là del territorio nazionale. Riguardo a questa attività, comunque, nacque una guerra interna tra corleonesi e palermitani, dando inizio alla seconda guerra di mafia.
La seconda guerra di mafia
Mentre l’Italia viveva la stagione del terrorismo, in Sicilia la mafia iniziava la stagione delle stragi. La mafia corleonese e la mafia palermitana colpirono indistintamente personalità pubbliche, politiche e civili.
Lo Stato intervenne con una legislazione antimafia che, nonostante la risposta della criminalità, diede alla “cupola di Cosa Nostra” lo scacco finale nel 1986 con il Maxiprocesso a Cosa Nostra organizzato da Falcone, Borsellino e Caponnetto, dalle cui sentenze risultarono 346 condanne, 19 ergastoli per un totale di 2.665 anni di reclusione.
Lo stragismo
L'assetto mafioso era stato sconvolto, lo Stato aveva inferto il più grande colpo alla mafia con i due interventi del pool antimafia e del Maxiprocesso.
La risposta mafiosa non si fece attendere: il 23 maggio 1992 si verificò la strage di Capaci ai danni di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, e il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina furono uccisi in Via D’Amelio. Ai funerali di Paolo Borsellino e dei suoi agenti, per la prima volta alla luce del sole, i siciliani tutti protestarono contro la mafia.
In seguito a questi eventi, lo Stato introdusse nell'agosto 1992 l'articolo 41 bis che prevede il carcere duro per i boss mafiosi e il loro isolamento per impedire contatti con l'esterno.
Il contrattacco mafioso si esplicò tramite quattro stragi: il 14 maggio 1993 un fallito attentato a Maurizio Costanzo provocò oltre venti feriti a Roma; il 26 maggio una bomba a Firenze causò cinque morti e cinquanta feriti; la notte del 27-28 luglio diverse esplosioni tra Roma e Milano fecero altri cinque morti e una trentina di feriti arrecando gravi danni al patrimonio artistico.
La trattativa Stato-mafia
La strategia stragista era stata annunciata dalla mafia, in maniera più o meno velata, coinvolgendo personalità politiche e pubbliche più o meno rilevanti, finendo per avere un impatto sulla vita politica e giudiziaria italiana.
La trattativa si svolse tramite un rimpallo di concessioni e richieste della mafia e dello Stato per più di vent’anni, in cui il comune denominatore era la richiesta dello Stato di porre fine allo stragismo, anche con l’arresto dei mafiosi più sanguinari, e le richieste da parte della criminalità per garantire la presenza della mafia.
Alla trattativa seguì un processo che risvegliò le coscienze di tutti gli italiani circa la portata del fenomeno mafioso e la sua connivenza con le istituzioni: il popolo cominciò a sentire e a leggere nella stessa frase nomi di uomini politici affiancati a quelli di mafiosi, nomi delle istituzioni dello Stato affianco a nomi delle istituzioni di Cosa Nostra, costringendo l’Italia a un cambio delle coscienze.
Il processo seguito alla Trattativa Stato-Mafia è durato dal 27 maggio 2013 al 27 aprile 2023.
Fonti:https://www.wikimafia.it/ https://www.studenti.itM.Gotor, E.Valeri, Passaggi, Dalla città al mondo globale, vol.3, Le Monnier ScuolaFilm In guerra per amore, Pif, Wildside e Rai Cinema, 2016Film La mafia uccide solo d’estate, Pif, Wildside e Rai Cinema 2013Serie tv La mafia uccide solo d’estate, Luca Ribuoli, Wildside e Rai Fiction, 2016-2018L’emancipazione femminile esiste perché le donne hanno dovuto affermare la propria esistenza, la propria dignità di esseri umani al pari degli uomini, la propria figura che vive anche al di fuori della casa, la propria capacità di pensare e di decidere per sé, senza che qualcuno lo faccia al loro posto.
L’emancipazione delle donne esiste perché esiste un modello di società che è quello patriarcale: i tempi della vita sociale, la giornata lavorativa, gli ambienti di condivisione, gli spazi istituzionali sono costruiti a modello di uomo, privilegiato in questo tipo di società; basterebbe solo che ogni uomo riconoscesse il proprio privilegio per decostruire buona parte del sistema patriarcale.
Tuttavia, finché ci sarà la giustificazione maschile, ci sarà bisogno dell’emancipazione femminile.
"Emancipazione femminile” implica che le donne debbano lottare, spendere energie per essere riconosciute, sempre, anche nel XXI secolo, dove ancora ci si riferisce alle donne parlando di “sesso debole”. Mentre le donne lottano per qualcosa che deve spettare loro di diritto (come salari uguali a quelli degli uomini, titoli lavorativi considerati priorità maschile, vita libera e sicura al di là della presenza di un uomo nella loro quotidianità, diritto di parola in affari “da uomini”, diritto di esprimersi e di gestire il proprio corpo come meglio si crede…), serve educazione, perché è solo educando che, nel senso etimologico del termine, si potrà condurre fuori la società dalla consuetudine patriarcale in cui versa.
2 giugno 1946: “Elettrici, non datevi il rossetto: potreste sporcare le schede e renderle nulle”
Dopo la Liberazione del 25 aprile 1945, un decreto regio abolì lo Statuto Albertino assegnando agli italiani il compito di eleggere “a suffragio universale, diretto e segreto un’assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato”.
Il 27 febbraio 1946, il Consiglio dei Ministri del governo De Gasperi (l’ultimo del Regno d’Italia e il primo della Repubblica Italiana) fissò le votazioni per il 2 giugno 1946. Per la prima volta, dopo le prove generali delle elezioni comunali per 436 comuni del 10 marzo 1946, tutti gli italiani si recarono al voto, uomini e donne in un’esperienza senza precedenti.
Come tanti dei diritti per cui le donne devono lottare, il diritto al voto fu accolto dalle donne tutte con stupore, incredulità, senso di potenza, gratitudine. Il giornalista Giampaolo Pansa racconta in un’intervista a L’Unità l’esperienza di sua madre Giovanna: “Una domenica pomeriggio mia madre mi dice: <<Prendi un foglio e scrivi in stampatello questa frase: “La signora Giovanna Pansa chiude il negozio perché va a votare per la prima volta a 43 anni”. Mettici un punto esclamativo. Anzi, visto che non costa nulla metticene due così domani tiro giù la saracinesca del negozio e ci attacco il cartello>>.
Le donne si recarono alle urne nella stessa percentuale degli uomini; nel sud e nelle isole la percentuale fu addirittura più alta.
Fu una vittoria e una svolta per l’elettorato attivo, ma anche per quello passivo: 2000 furono le donne consigliere comunali e 21 furono le donne elette per l’Assemblea Costituente, tra cui Nilde Iotti, che fece parte della Commissione incaricata della stesura della Costituzione e prima presidente donna della Camera dei Deputati.
1969: L’adulterio della donna non è più reato
Sin dalla Roma antica, quindi da sempre, ad essere incolpate per adulterio sono state le donne; se l’adulterio era commesso da un uomo, invece, poco significava.
Nel non lontanissimo 1930, l’articolo del Codice Penale circa l’adulterio stabiliva che “La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera./ La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito”.
Se oggi il tradimento non è un reato punito dal Codice Penale, lo si deve a due sentenze della Corte Costituzionale, che rispettivamente nel 1968 e nel 1969 hanno abolito il reato di adulterio (da parte della donna) perché contrario all’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e il reato di concubinato (da parte dell’uomo), che prima era punito solo se l’uomo aveva accolto la sua amante nella casa coniugale.
12 e 13 maggio 1974: il divorzio è legge
Il referendum sul divorzio fu il primo referendum abrogativo della storia della Repubblica italiana perché gli italiani e le italiane furono chiamati a intervenire su una legge dello Stato, la legge Fortuna-Baslini del 1970, rispondendo al quesito Volete che sia annullata la legge 1° dicembre 1970, n.898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”?.
Mentre nel 1970 in Parlamento si discuteva sull’ammissibilità o meno del divorzio, di fatto (come accade per tutti quei diritti non riconosciuti ma indispensabili a vivere), il divorzio esisteva per chi poteva permetterselo: i cattolici ricorrevano alla Sacra Rota, i più facoltosi si recavano a San Marino, dove il divorzio era possibile per i cittadini stranieri. Ma nella società della nuova ondata femminista, era necessario che il divorzio fosse riconsciuto anche a chi nei criteri precedenti non rientrava: insomma, era necessario che fosse riconosciuto un diritto elementare.
La legge Fortuna-Baslini introduceva la possibilità di divorziare in seguito a una separazione legale di almeno 5 anni, o per gravi motivi, come condanne per alcuni reati. Poche ore dopo l’approvazione della legge, tuttavia, un movimento di ispirazione cattolica annunciò la raccolta di firme che sarebbe stata necessaria per chiedere un referendum abrogativo, con cui gli italiani avrebbero potuto scegliere su questa legge.
Quattro anni dopo, il 12 e il 13 maggio 1974, gli italiani e le italiane non ebbero dubbi nel confermare la legge: era il segnale di un Paese cattolico che in politica sposava comunque il laicismo, era una vittoria delle coscienze.
1975: Riforma del diritto di famiglia
Il diritto di famiglia regola il rapporto tra i coniugi, l’educazione dei figli e il rapporto della famiglia con lo Stato.
Queste erano state tutte questioni attenzionate dai padri costituenti che, negli artt. 29, 30, 31 della Costituzione avevano sancito la parità di diritti e doveri tra i coniugi.
Tuttavia, durante l’epoca fascista, la riforma del Codice Civile del 1942 arretrò parecchio la condizione di parità, che in alcuni casi, nonostante fosse stabilita dalla legge, era comunque formale e non sostanziale: la legge fascista aveva stabilito una struttura fortemente gerarchica e patriarcale all’interno della famiglia, ponendo come vertice il pater familias a cui erano subordinati figli legittimi e moglie.
Soltanto nel 1975, con una votazione tenutasi in Parlamento il 19 maggio, si superò questa concezione della famiglia, approvando la legge 151 per il nuovo diritto di famiglia.
La riforma del diritto di famiglia prevede la parità giuridica dei coniugi, l’abolizione dell’istituto della dote, la tutela delle donne nubili (che, cioè, hanno avuto figli fuori dal matrimonio) che chiedevano parità per i loro figli considerati illegittimi e disonorevoli e la possibilità di ricercare la paternità dei loro figli chiamati “naturali”, la sostituzione della patria potestà con la “potestà genitoriale" (oggi “responsabilità genitoriale”).
1981: Questo è solo l’inizio
Il 26 dicembre 1965 Franca Viola, una ragazza siciliana di diciassette anni, venne stuprata ad Alcamo (Trapani) da un gruppo di uomini che la tennero segregata per 8 giorni. Lei denunciò e rifiutò il matrimonio riparatore, previsto in casi come questo, dicendo: “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l'onore lo perde chi fa certe cose, non chi le subisce”.
Dopo questo fatto, iniziò la discussione sull'abrogazione del delitto d’onore, che arriverà solo due decenni dopo.
Il 5 agosto 1981 fu un giorno di vittoria perché la legge 442 aboliva gli articoli del Codice Penale relativi all’”onore”, cioè quella reputazione, la stima di cui l’uomo doveva godere e che non poteva essere messa a rischio da un comportamento della donna.
La legge sanciva l’abolizione del matrimonio riparatore, celebrato per “riparare” alla violenza sessuale in modo da ottenere l’estinzione della pena, l’abbandono di un neonato per causa d’onore e il delitto d’onore. In particolare, quest’ultimo era un concetto che risaliva al Codice Zanardelli del 1889 e che legittimava l’uccisione di mogli, figlie, sorelle da parte degli uomini “in stato d’ira” a seguito di “illegittima relazione carnale” (in sostanza, per difendere l'onore proprio e della propria famiglia). La pena, in questo caso, era ridotta rispetto ai 21 anni minimi previsti in casi di uccisione. Con l’abolizione di questi articoli, la violenza sessuale diventava reato contro la persona e non è più reato contro la morale.
Il 1981 è anche l’anno di una delle conferme più importanti per le donne: con il referendum del 17 maggio 1981 gli italiani e le italiane furono chiamati al voto per esprimersi in merito alla legge 194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”, approvata il 22 maggio 1978.
Nel 1974 la mobilitazione partì dai radicali Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia, Adelaide Aglietta, Emma Bonino, i quali organizzarono manifestazioni che chiedevano l’abrogazione della legge fascista sull’aborto per renderlo legale. La discussione in Parlamento, invece, verteva sulle possibili modifiche alla legge esistente per evitare il referendum. In seguito a discussioni durate quattro anni, opposizioni, affossamenti delle modifiche proposte, il 18 maggio 1978 il Senato approvò in via definitiva la legge 194 che prevedeva l’interruzione della gravidanza entro 90 giorni in caso di pericolo per la donna o in caso di anomalie e malformazioni del concepito. Dopo i 90 giorni si poteva praticare l’aborto solo in caso di grave pericolo per la donna. Era comunque prevista l’obiezione di coscienza, cioè la facoltà di scelta data al medico di praticare o meno l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in accordo al proprio pensiero morale e religioso.
Eppure la discussione non si fermò perché nel 1981 fu fissato un referendum. Da una parte i Radicali, che chiedevano la piena liberalizzazione dell’aborto; dall’altra il Movimento per la Vita che chiedeva l’abrogazione della legge 194 oppure la legittimazione esclusiva dell’aborto terapeutico, cancellando gli articoli che riguardavano l’aborto come scelta della donna per autodeterminarsi.
I risultati delle urne furono chiari: la legge 194 non si doveva toccare.
Questo è solo l’inizio, importante certo, ma l’inizio di una strada ancora lunga. Tante sono le contraddizioni in termini ad oggi quando si parla di “diritti delle donne”. Ad esempio, le donne possono votare, ma non sempre possono parlare senza che la loro opinione non venga presa sul serio solo “perchè di una donna”; l’adulterio non è più reato, ma in caso di tradimento si ricerca prima la responsabilità femminile; il divorzio è legge, ma molti uomini non accettano la richiesta da parte della donna che la fa, così come non accettano un suo “no” (oppure non ne richiedono il consenso) anche se il delitto d’onore è stato abolito e lo stupro è considerato un reato contro la persona; l’aborto è possibile, anche se le procedure devono essere aggiornate, devono essere più inclusive, anche se il numero dei medici obiettori rende l’aborto impossibile in alcune regioni; la prevalenza del pater familias all’interno del nucleo familiare non c’è più, ma alcune donne devono scegliere tra il lavoro (e quindi l’indipendenza economica) e i figli, e se scelgono il lavoro devono sentirsi in colpa per non passare del tempo a casa ad accudrli (tipicamente affare da donne).
Prendere coscienza è il primo passo verso la risoluzione del problema.
Fonti:Podcast Qui si fa l’Italia di Lorenzo Baravalle e Lorenzo Pregliasco, Spotify (puntate 2 giugno 1946. è nata la Repubblica italiana e La strada dei diritti: divorzio e aborto)Memorie-Fatti e persone da ricordare, puntata Divorzio: è referendum, Rai Playhttps://www.lanazione.it/ https://maremosso.lafeltrinelli.it/https://www.diritto.it/https://www.raiscuola.rai.it/https://www.ilgiornale.it/Per le immagini:https://www.difesa.it/https://www.tgcom24.mediaset.it/ https://tg24.sky.it/https://www.paesesera.toscana.it/ https://medium.com/“L'ho fatto perché l'amavo troppo…”,”mi ha lasciato e non lo accettavo..”, “mi ha tradito per questo l'ho uccisa…”. Sono queste alcune delle motivazioni più ricorrenti che vengono fornite da uomini, fidanzati o ex fidanzati dopo che hanno tolto la vita a donne, donne innocenti, donne che volevano riacquistare la libertà sottratta loro da questi uomini, donne che volevano vivere felici e che avevano tutta una vita davanti a sé ma che gli è stata tolta.
Purtroppo oggi è sempre in forte aumento il numero di donne ammazzate, abusate, violentate e picchiate. Si celebra il 25 novembre la Giornata contro la violenza sulle donne, ma una sola giornata non basta, i minuti di silenzio non bastano a risolvere questi crimini crudeli, a calmare la rabbia e la tristezza di famiglie alle quali vengono tolte senza pietà le proprie figlie o ii figli a cui vengono strappate le madri. Oggi una madre, un padre purtroppo sono costretti a vivere con la paura che le loro figlie possano trovarsi in situazioni come queste. Una donna non può uscire da sola la sera e stare tranquilla, non può vestirsi come vuole. Oggi in una relazione una donna non ha il diritto di dire NO se qualcosa non va, non ha la libertà di chiudere una relazione per paura che il compagno non accetti la sua scelta e, come è successo, può entrare a casa sua e ucciderla nel sonno. Una donna non può prendersi una pausa nel suo rapporto con il partner per paura che lui la rapisca e la uccida poco prima di potersi laureare. Questi sono alcuni dei casi più recenti che ci hanno sconvolto ma che purtroppo non sono rari e non vengono condannati nel giusto modo: attenuanti di buona condotta, attenuanti per aver confessato, presenza di problemi e malattie mentali e così via portano a ridurre le pene, a prendere diversi provvedimenti. Si parla oggi di “rieducare” questi uomini: e Giulia? Chiara? Tutte queste donne che ormai non ci sono più? Donne che non hanno più la libertà di vivere? Non ci pensiamo a loro, a tutto quello che hanno dovuto affrontare, subire, nascondere, non solo per le violenze fisiche ma anche quelle psicologiche, che vengono messe in secondo piano ma che sono anche le più dure. Un livido guarisce, ma la manipolazione mentale, gli abusi verbali e le libertá private sono cose che nella testa di una donna non vanno via così facilmente. Questo è un tema che tocca ognuno di noi, ma dobbiamo capire che non basta ricordarlo per un solo giorno o fare un minuto di silenzio: bisogna ricordarlo sempre, tutti i giorni, e invece di fare silenzio c’è bisogno di fare rumore, tanto rumore per prendere consapevolezza e farla prendere a tutti, per rendere eterne queste vite tolte così ingiustamente a donne che, come tutti noi, hanno il diritto di vivere e di vivere felici e amate, ma amate per davvero.
“Non è vero che il mondo è brutto, dipende da che mondo ti fai”
di L. Giannasio VA LCMichela Murgia è stata un’attivista, critica letteraria, drammaturga, opinionista, e scrittrice, vincitrice del Premio Campiello nel 2010 con il romanzo Accabadora. Ma a detta di tutti coloro che l’hanno conosciuta è stata molto di più: femminista cattolica, madre d’anima, ideatrice di un nuovo tipo di famiglia non vincolata a legami di sangue, difenditrice della sua Sardegna, persona divertente nel senso etimologico del termine (come dice parlando di lei Francesco Leone, il Chirù del suo omonimo romanzo), battagliera nella vita pubblica come in quella privata, empatica, virtù che, come dice suo marito Lorenzo Terenzi, aveva preso dalla politica e dalla lotta, empatia che lei metteva in tutto perché “non riusciva a vedere il problema altrui come il problema di un estraneo”.
Michela Murgia è stata un ingombro per tanti, fin da bambina quando nel liceo di Oristano subì bullismo per il suo corpo, che negli anni seguenti è diventato il suo strumento politico; è stata di intralcio per una buona parte del Paese, confessava di avere paura di quello che qualcuno, senza conoscerla attraverso le sue parole e i suoi scritti ma solo sulla base del “sentito dire” da parte di una buona parte della scena politica, poteva farle; non è stata sempre compresa, salda sulle sue posizioni, le ha sempre difese con quella fermezza che appartiene a chi sa di cosa stia parlando, con rabbia nei confronti di chi non era disposto a capirla, alzando figuratamente la voce per farsi sentire.
In quanto scrittrice, per Murgia le parole avevano sempre un peso, le sceglieva con precisione, ne faceva un uso accurato perché “il modo in cui chiami le cose è il modo in cui finisci per viverle”; per lei “la scrittura confina sovente con la psicanalisi”, e di questo potere della narrativa ha parlato soprattutto a proposito del suo ultimo libro Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, pubblicato lo scorso maggio. L’ultimo libro di Murgia ha segnato il suo ritorno alla narrativa, che per lei era “una scrittura faticosa perché attinge direttamente dall’esperienza”, ed è un romanzo fatto di dodici racconti i cui personaggi cambiano e sono privi di un nome, tutti accomunati dallo star attraversando un periodo di crisi che li porterà ad un cambiamento “verso una nuova forma di sopravvivenza emotiva”.
Se la sua ultima uscita in libreria sia di carattere autobiografico non è dato saperlo, visto che per la scrittrice “tutto è autobiografico, niente è autobiografico”, ma sicuramente rappresenta il congedo letterario di una personalità tra le più complesse e sfaccettate che la nostra generazione abbia avuto la fortuna di conoscere.
Nata a Caracas, in Sardegna, il 3 giugno 1972, Michela Murgia ha avuto una famiglia difficile, in cui ha vissuto un’infanzia difficile di cui era solita saltare la narrazione: un padre violento, una madre biologica, la scelta anche di una “madre d’anima”, come per la prima volta ha definito una “madre per scelta” nel suo romanzo Accabadora.
È proprio da Accabadora che si può partire per esaminare due delle direttrici fondamentali del suo percorso: la Sardegna e i legami d’anima. Murgia era molto legata alla sua regione, difendeva l’importanza della lingua sarda e della Sardegna tutta. Si candidò come governatrice della regione per risollevarla e per dimostrare l’assenza di giochi di potere, nominò gli assessori prima delle elezioni. Come per la sua regione, anche per l’Italia tutta, sognava una democrazia agevole e accessibile.
Il romanzo Accabadora è ambientato, appunto, in un paese della Sardegna degli anni Cinquanta in cui una donna si aggira, quasi come uno spettro, per adempiere al suo lavoro, rivelato dal nome del romanzo: acabar, in spagnolo, significa “finire”, e il suo mestiere è quello di uccidere le persone agonizzanti su richiesta dei familiari. L’accabadora ha uno stretto legame con Maria Listru, la protagonista: Maria è la fill’e anima dell’accabadora, una figlia adottiva che all’inizio del libro le viene ceduta dalla madre biologica che non poteva occuparsene.
I concetti di figli e madri d’anima sono stati concetti importanti per Murgia: nel corso della sua vita ha sempre affermato l’importanza di legami che non fossero solo quelli di sangue o di destino, ma che fossero legami scelti, legami d’anima dove per anima è da intendersi il “superamento del dicibile”, come spiega Teresa Ciabatti.
Michela aveva quattro figli d’anima (Raphael Luis, Francesco Leone, Michele Anghileri e Alessandro Giammei) e una grandissima famiglia queer, una famiglia che lei in occasione del suo matrimonio con Lorenzo Terenzi lo scorso 15 luglio ha definito come “un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno”. Murgia e Terenzi si sono sposati in articulo mortis, una cerimonia che assumeva la forma di un contratto con lo Stato il cui unico scopo era garantire diritti al coniuge, secondo schemi che lei aveva riconosciuto come patriarcali e limitati, spiegando “Il numero 2 è il contrario di quello che siamo”.
La famiglia queer è una delle innovazioni di Murgia: “famiglia fuori dagli schemi”, “famiglia libera”, “famiglia non convenzionale”, “famiglia idealistica” sono tutte le definizioni che si attribuiscono a questo tipo di famiglia che, forse, per come avrebbe voluto Murgia, una collocazione precisa nel lessico tradizionalista non deve averla, perchè lei stessa una collocazione precisa non voleva averla.
Dimostrazione di ciò è anche il fatto che Michela Murgia sia stata una femminista cattolica, cosa difficile da essere per un mondo in cui la pratica femminista non può avere contatto con la pratica religiosa, considerata solida base patriarcale. Ma per Murgia questo discorso non valeva. In gioventù fu animatrice dell’azione cattolica, era teologa, sostenitrice del fatto che prima o poi anche nella Chiesa italiana le donne avrebbero fatto sentire la propria voce. Murgia voleva scrivere un catechismo femminista, e lo ha fatto nel pamphlet God save the queer. Chatechismo femminista, in cui afferma che la prospettiva femminista e quella cattolica possono convivere, che si può essere femministe e anche cattoliche “perchè la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede è cosa buona".
Come dice Marinella Perroni, Murgia aveva una fede che chiariva e interpellava, interpellava i credenti, quelle donne che non volevano rinunciare alla loro libertà, i figli d'anima in un certo qual modo presenti anche nella Scrittura. E così, arriva a sostenere che il rifiuto del patriarcato è inscritto nelle chiese, che la fede è testimonianza, che la fede è personale ma è anche politica, soprattutto per un personaggio pubblico.
In quanto personaggio pubblico, Murgia ha saputo combattere. Veronesi, parlando di lei, dice che Michela Murgia sceglieva, non faceva tutto quello che le veniva proposto ed escludeva dalla propria vita alcune cose per tenerci dentro altre nelle quali voleva tenersi dentro. Era brava a seguire il conflitto ed era consapevole che certe cose le si può ottenere solo tramite il conflitto, anche se di sconfitte ha dovuto registrarne anche a lei.
E come personaggio pubblico se n'è andata.
Nel maggio 2023 Murgia aveva reso noto, senza abbattimento, di avere un carcinoma al quarto stadio. Parlando della malattia, aveva detto “Quando arriva il bene nessuno pensa perchè proprio a me? Pensiamo tutti di meritarcelo. Quando arriva qualcosa che categorizziamo come negativo diciamo perchè proprio a me? La domanda che mi faccio è perché non a me? Io non sono speciale”. Ha ribadito più volte di voler affrontare gli ultimi mesi di vita come chi non ha più nulla da perdere, e forse per questo, nel bene e nel male, negli ultimi mesi si è parlato tanto di lei.
I funerali di Murgia si sono svolti due giorni dopo la sua morte, avvenuta per una coincidenza astrale il 10 agosto, nella Chiesa degli Artisti a Roma. Il funerale di Michela è stato “un atto politico", come ha detto Saviano, politico, nel senso che a partecipare è stata una comunità, una folla numerosissima, non solo i suoi figli d’anima, ma anche chi Michela non ha mai conosciuto, tutto il popolo che, però, con le sue parole aveva aiutato: insomma, tutta la sua grandissima famiglia queer.
Fonti:Podcast Morgana, di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, ep.48 Michela Murgiahttps://www.mondadorieducation.it/www.lanazione.itwww.ilfattoquotidiano.itwww.ilpost-itPost instagram page @substrato_Ci sono voluti trent’anni per dare voce ad Elisa, ritrovata dopo 17 anni nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza.
La mattina di domenica 12 settembre 1993 uscì di casa dicendo al fratello Gildo che si sarebbe recata a una funzione religiosa nella vicina chiesa insieme a un'amica e che sarebbe rientrata entro le 13 per raggiungere la famiglia, che doveva pranzare nella casa di campagna di Tito. Elisa però quel 12 settembre non tornò a casa, nessuno poteva immaginare che sarebbe morta quel giorno per mano di Danilo Restivo. La famiglia Claps per 17 anni non si diede pace, cercarono in tutti i modi di dare giustizia ad Elisa fino a quando Danilo non fu arrestato in Inghilterra per aver commesso un altro omicidio. La giustizia così arrivò finalmente anche in Italia. Dopo trent’anni Elisa ha avuto voce ed è stata conosciuta da tutta Italia grazie ad una miniserie prodotta dalla Rai intitolata Per Elisa- Il caso Claps, in questa miniserie si racconta tutta la battaglia della famiglia Claps per trovare la verità ed avere giustizia.
Tutto questo però porta a far conoscere Elisa ma ancora non a renderle onore, facendo combattere alla famiglia Claps l’ennesima battaglia.
Il 3 novembre 2023, infatti, è stata celebrata la prima messa nella Chiesa della Santissima Trinità, riaperta al culto il 24 Agosto 2023, a 13 anni di distanza dal ritrovamento del corpo di Elisa. "Prendiamo atto ancora una volta dell'assoluta mancanza di rispetto e dell'arroganza del vescovo Ligorio che ieri ha celebrato Messa nella chiesa della Trinità", si legge nel messaggio diffuso da Gildo, fratello di Elisa; così tutti hanno preso consapevolezza di quanto quella chiesa sia irrimediabilmente macchiata dal sangue e dalle menzogne che tra quelle mura si sono consumate. Anziché il silenzio, come aveva peraltro indicato Papa Francesco, la Curia potentina sceglie ancora una volta la rimozione di quanto accaduto. “Una preghiera la rivolgo io a quanti entreranno ad ascoltare le funzioni religiose: fermatevi a leggere la targa che celebra le virtù di Don Mimi Sabia e respirate a fondo il messaggio ipocrita che risuona in quella chiesa", ha concluso la famiglia Claps. La mamma di Elisa, Filomena, aveva espresso profonda indignazione dopo essere venuta a conoscenza della riapertura della Chiesa ."Io non è che sono contraria – ha precisato - ho detto che avrebbero potuto riaprirla tranquillamente, però ci sono tre cose che voglio che vengano rispettate, anche per onorare Elisa. Perché mia figlia è stata sacrificata come un agnello sull'altare. Potete dire tutte le messe che volete, però nell'orario in cui è morta Elisa, dalle 11 alle 13, non si devono celebrare; poi vorrei che venisse fatto qualcosa di bello per Elisa, come un museo o un centro antiviolenza. Terzo: in quella chiesa non si devono più celebrare sacramenti, dal battesimo alle cresime fino a matrimoni e funerali. Ci sono tante chiese, non è necessario che dovete celebrarli là".
Concludo con il dire che tutte noi, care ragazze, dobbiamo sentirci toccate un po' da questa vicenda perché noi siamo tutte Elisa, ragazze piene di prospettive, sogni ed emozioni. Non sentiamoci escluse da quello che ci succede intorno, facciamolo per Elisa: lottiamo per quello che vogliamo e quando una cosa non ci sta bene facciamo sentire il nostro grido affinché tutti lo sentano. Facciamolo per tutte quelle ragazze e donne che non hanno avuto voce o non sono state ascoltate.
Esserci è tempo trasversale
di M. Totaro, S. Tarantino IVA LCSintesi del saggio concorrente alle Romanae Disputationes 2024 “Quid est tempus” - coordinamento del Prof. Filippo Gazzaneo“Exigua pars est vitae qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est", “Esigua è la parte della vita che viviamo. Di certo tutto il resto non è vita, ma puro tempo”, riportando il concetto di Seneca sulla brevità della vita e il valore del tempo, sottolineando che solo una piccola parte della vita è veramente vissuta, mentre il resto è solo tempo trascorso, si critica l'avidità dell'uomo nel gestire il tempo, sprecandolo in occupazioni vane e inutili. Si esorta alla saggezza nel vivere intensamente il presente e nell'impiegare il tempo in attività utili e significative. Durante il Rinascimento, l'uomo inizia a rendersi conto di queste considerazioni, criticando i propri vizi e l'incapacità di utilizzare saggiamente il tempo. Si discute anche del concetto di avarizia come motore della creazione di scienze e arti durante il secolo dei lumi, anche se vengono criticate come strumenti per adornare i vizi umani. Si evidenzia che l'uomo non è completamente colpevole della sua avidità, poiché è corrotto dalla civilizzazione e dagli altri uomini. Si conclude sottolineando l'importanza di riflettere sulla vanità delle cose e di vivere virtuosamente.
Tramite l’esplorazione del concetto di tempo si possono confrontare le visioni greche e moderne. Mentre la lingua italiana utilizza un unico termine per definire il tempo, il greco offre diverse sfumature. Il concetto di "αἰών" rappresenta un tempo eterno, senza inizio né fine, mentre "καιρός" indica il momento opportuno da cogliere rapidamente. Vi è poi il tempo ciclico, "ἐνιαυτός", che rappresenta la ripetizione degli eventi. "ἦμαρ" è il tempo come destino sperimentato dall'individuo, mentre "Κρόνος" è la forma temporale del divenire e del perire. Quest'ultimo diventa "Chronos", il padre-tempo che avanza inesorabilmente, il quale permette un’ esplorazione anche nelle rappresentazioni artistiche, come quella di Goya, che raffigura il tempo come un dio cannibale che tenta di sopravvivere consumando tutto.Una metamorfosi bestiale quella del dio Kρόνος, una follia disperata “Quella del tempo che per vivere consuma e distrugge; un rincorrere forsennato la propria stessa fine. Un impulso di morte che si esprime in disperata e cieca volontà di vita”. Una conseguenza della condizione precaria dell’uomo è narrata nel libro biblico di Qoèlet: “Tutto è come un soffio di vento: vanità, vanità, tutto è vanità”, forse lo stesso soffio di cui si parla nella letteratura omerica; la ψυχή, un alito vitale che con la sua ultima esalazione indica la fine del tempo terreno, provvisorio e passeggero, e l’inizio di quello ultraterreno.
Ampliando il concetto del tempo in senso lato, vi sono numerosissimi riscontri nell’ambito filosofico; si possono esplorare le diverse interpretazioni filosofiche del concetto di tempo nel corso della storia, da Parmenide a Einstein, da Nietzsche a Heidegger. Parmenide considerava il tempo un'illusione legata alla percezione sensibile, mentre Einstein lo vedeva come relativo e legato allo spazio. Aristotele lo collegava al movimento e al cambiamento, mentre Agostino d'Ippona lo interpretava come distensione dell'anima e Nietzsche come eterno ritorno. Leibniz lo definiva come l'ordine degli eventi non contemporanei, mentre Kant lo vedeva come una categoria fondamentale della mente umana. Heidegger aggiungeva un aspetto qualitativo al tempo, considerandolo esperienza essenziale dell'essere umano.
Il concetto di tempo può essere considerato sia come astrazione che come misura cronologica, evidenziando il suo impatto nella nostra comprensione del passato. Il tempo storico non è solo una sequenza lineare di eventi ma un contesto dinamico in cui si svolgono le vicende umane. Esistono paradossi legati al tempo, contrari alla concezione comune, e la fisica offre una visione del tempo come retta infinita su cui scorre un punto inesteso. Tuttavia, il tempo è considerato anche un "concetto a grappolo", suggerendo che gli eventi storici non possono essere compresi solo in termini fisici. Il tempo non scorre, ma è l'uomo che si muove nel costante presente. Inoltre, fenomeni come la tecnologia hanno influenzato la percezione del tempo e creato dubbi sulla sua natura e irreversibilità. Eventi storici come la Rivoluzione Francese mostrano la complessità della questione temporale, con cambiamenti nel corso degli eventi e interventi come la creazione del calendario rivoluzionario. Anche la Rivoluzione Industriale ha influenzato la regolamentazione del tempo, mentre Max Weber riconduce la Riforma protestante alla concezione del tempo come professione. In sintesi, il tempo è un elemento centrale nella vita umana, su cui l'uomo cerca di imporsi nel desiderio di controllarlo.
È dunque necessario riflettere sull'importanza di porre domande sul tempo, poiché ciò implica una riflessione sull'uomo e sulla sua condizione esistenziale. Il tempo è variegato: può essere considerato un momento fugace, un ciclo ripetitivo o una successione di istanti, ma comunque l'uomo è immerso in esso. Il passato dovrebbe renderlo consapevole del futuro, come suggerito da Cicerone con la frase "Historia magistra vitae", che indica come il passato possa insegnare all'uomo quali errori evitare. Tuttavia, per Nietzsche, la storia può essere vista come un peso, poiché sembra ripetere gli stessi schemi senza progresso. Montale e Gramsci evidenziano che le cause delle guerre rimangono le stesse nel tempo, suggerendo che gli uomini siano cattivi studenti della storia. Freud descrive l'aggressività intraspecifica come una caratteristica distintiva dell'essere umano, mentre l'espressione "homo homini lupus" di Hobbes riflette una natura egoistica dell’uomo, che mosso dall’istinto personale, senza alcuno scrupolo danneggia l’altro, determinando una guerra di tutti contro tutti, dove ciascuno ne esce sconfitto. Perché sconfitto è l’uomo che ha perso il senso del tempo, dell’umanità, della storia, della sua stessa vita. Perché sconfitto è l’uomo indifferente all’uomo e al suo dolore.
Come una scultura che cambia aspetto a seconda della posizione assunta dall’osservatore, allo stesso modo il tempo rivela varie sfaccettature della sua natura. Tante le definizioni impiegate per chiarire l’essenza di un tempo che sembra essere tutto e allo stesso tempo niente. È l’indefinibilità a caratterizzarlo e renderlo ancora a distanza di millenni argomento di fascino e dubbio agli occhi degli uomini. “Che cos'è quindi il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”, dirà Agostino enucleando la tematica temporale come problema, rimasta ancora inalterata e incerta.
È forse questa stessa incertezza permanente a spingere l’uomo a superarsi nel tentativo di dare una risposta a quella che rimane una sfida. Che sia un istante o un’eternità, difficile è afferrarlo. Che scorra o rimanga fermo, è l’uomo a vivere il tempo e a muoversi in esso in modalità diverse. Il tempo narra di noi, e noi narriamo di lui, forse commettendo errori, inevitabili per un uomo che è anche questo, fallo e imperfezione.
Nella vibrante città di Bologna, l'atmosfera culturale è stata alimentata da un evento senza precedenti: l’undicesima edizione delle "Romanae Disputationes". Questo prestigioso confronto accademico ha attirato studenti, accademici e pensatori da ogni angolo d’Italia per discutere e analizzare l’argomento scelto come tema per questa edizione: Quid est tempus?
L'evento, tenutosi presso il "Teatro Duse” del capoluogo romagnolo durante le giornate 20 e 21 Marzo grazie all’ospitalità del direttore del concorso Marco Ferrari, ha rappresentato un crocevia per le lezioni e discussioni tenute da insegnanti e alunni. Gli argomenti affrontati, dalla filosofia alla politica, dalla medicina alla tecnologia, hanno offerto un quadro completo delle attuali sfide e opportunità che l'umanità, tenuta ad interfacciarsi con una nuova concezione di tempo, deve affrontare.
Il convegno finale è solo l’ultimo gradino di una salita fatta di apprendimento, confronto e lavoro lungo 6 mesi, durante i quali ogni studente, che voglia partecipare all'evento, ha la possibilità di cimentarsi nella stesura di un saggio, di un monologo, nella realizzazione di un contenuto multimediale o nella preparazione di un topico da dibattere con la squadra avversaria nella giornata conclusiva del concorso.
Durante il processo di progettazione e conclusione del percorso sono stati forniti ai partecipanti degli spunti di riflessione; in maniera particolare nella lezione tenuta da Carmine Di Martino, professore dell’Università degli Studi di Milano, intitolata “Tempo ed Esistenza” e in quella tenuta dal filosofo e giornalista Bruno Mastroianni intitolata “Il tempo è il messaggio”, Mastroianni, partendo dai monologhi finalisti, ha analizzato la funzione comunicativa dell’elemento temporale.
Agli studenti e insegnanti aderenti al concorso è stata offerto di partecipare alla serata musicale “Si muove la città” in onore di Lucio Battisti intrattenuta da Matteo Scelsa e promossa da Incontri Esistenziali. Nella seconda e ultima giornata, dopo le dispute finali per la categoria “Age contra”, i presenti sono stati partecipi di un esperimento della rubrica di Antonio Casanova per Striscia la notizia “Striscia la magia” e il trucco che non è mai accaduto.
Le Romanae Disputationes del 2024 hanno rappresentato non solo un momento di confronto intellettuale, ma anche un'opportunità per costruire ponti tra culture, discipline e punti di vista diversi. Mentre l'evento si conclude, le sue discussioni e conclusioni continueranno a influenzare il dialogo globale e a guidare il progresso umano verso un futuro più luminoso.
Nella società odierna mostrare le proprie debolezze è un tabù: accostiamo la parola debolezza alla fragilità, un difetto di cui vergognarsi e da non mostrare agli altri. Gli studi psichiatrici affermano, in opposizione al pensiero comune, che la fragilità ha il vantaggio di generare la comprensione dei bisogni propri dell’essere umano. In una società equilibrata, pacifica e comprensiva è necessario parlare delle proprie debolezze, accettarle, sentirsi accettati e sentisi liberi di mostrarle.
Lo stato italiano, all interno della Costituzione, tutela le diversità e si fa carico di rimuovere gli ostacoli di carattere sociale, che possono provocare insicurezza e stress psicologico, come citato nell’articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Questo però non basta.
Nella società odierna un importante ruolo lo rivestono i social media, che impongono modelli perfetti, quindi ideali, per questo irraggiungibili. I social media di per sé non rappresentano un pericolo, ma il bisogno di riconoscimento sociale li rende tali. I giovani, nel tentativo di emulare i comportamenti degli “influencer”, si spingono oltre i propri limiti, diventanti addirittura irriconoscibili. Tra i più condizionati gli adolescenti, talmente immersi nella realtà virtuale da arrivare a pensare che i propri difetti siano unici al mondo, che appartengano solo a loro. Spesso il fine del messaggio degli influencer ha effetti negativi nonostante l'intento sia l'opposto. “L’influenzato” di conseguenza si sente sbagliato, in difetto e diverso dal tutti gli altri, considerandolo un fattore di vulnerabilità. Una delle motivazioni che spinge il ragazzo a chiudersi in se stesso e a mostrarsi perfetto è proprio la vulnerabilità, cioè la predisposizione ad essere facilmente attaccato e danneggiato. Questo tema però, non ha solo aspetti negativi: il periodo di vulnerabilità si può trasformare in una grande forza che permette di fare scelte importanti e ridisegnare le priorità della vita sia a livello personale che professionale.
Essere vulnerabili vuol dire mostrare le proprie emozioni, le proprie debolezze. Conviene esserlo? Mostrarsi per come si è aiuta nella creazione di rapporti veritieri, poiché ci si mostra senza maschere, anche se tutto ciò è difficile che accada nella società odierna, poiché l’uomo ha il costante bisogno, di natura, di proteggere se stesso da eventi spiacevoli, quali sentirsi giudicato, tradito, e non accettato dai pari. Il desiderio di essere accettati dai coetanei spinge i giovani ad indossare delle maschere, le quali celano l’autentica identità dell’adolescente. È necessario conoscersi e accertarsi per garantire il proprio equilibrio interiore, in modo tale da non permettere ad altri di annientare le nostre debolezze. Esse sono punti di forza, ci distinguono dalla massa e se privi di esse siamo “diamanti allo stato grezzo”.
Primo Levi, attraverso le opere Se questo è un uomo, La tregua, è riuscito a raccontare la crudele realtà che ha vissuto in prima persona nei campi di concentramento, ma Primo Levi è anche l’autore de Il sistema periodico, un’opera in cui Levi è stato in grado di coniugare la sua professione di chimico e il suo “hobby” di letterato, autodefinendosi un "centauro", quindi un essere ibrido. L’opera non è un trattato di chimica, né un’autobiografia, ma è semplicemente la microstoria di un mestiere con tutte le vittorie e le sconfitte che lo caratterizzano.
Levi, facendo riferimento a ventuno elementi chimici della tavola di Mendeleev, ha dato vita a racconti in cui è riuscito ad associare le caratteristiche proprietà di questi elementi alle caratteristiche umane delle persone con cui si relazionava nell’ambiente di lavoro e nella sua vita privata. Parte dall’argon (un gas nobile) fino ad arrivare all’elemento che ritiene il più importante fra tutti, riservandogli, per questo, l’ultimo capitolo: il carbonio.
Levi fa notare che il carbonio è alla base della vita, di ogni forma di vita. Le lunghe catene carboniose che forma entrano a far parte di un ciclo vitale molto vasto destinato sempre a ripetersi. L’autore fa iniziare il viaggio del carbonio dal carbonato di calcio della roccia in cui è prigioniero e la sua storia prende vita dalla sua separazione dal calcare arrostito in una fornace e così si libera e passa nell’aria. Libero nell’aria, “Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso. Si sciolse per tre volte nell’acqua del mare, una volta nell’acqua di un torrente in cascata, e ancora fu espulso. Viaggiò col vento per otto anni, ora alto, ora basso, sul mare e fra le nubi, sopra foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio; poi incappò nella cattura e nell’avventura organica. Ebbe la fortuna di rasentare una foglia di vite, di penetrarvi, e di essere inchiodato da un raggio di sole che attraverso il gioco a tre (anidride carbonica, clorofilla, sole) entra a far parte della catena della vita”. Da qui passa nel vino, nello stomaco del bevitore e poi in giro per il mondo con il vento come anidride carbonica fino a penetrare in un cedro del Libano e successivamente nel tarlo che lo rode dall’interno. Ciclo continuo tumultuoso, obbligato che si ripete da milioni di anni sempre uguale quello del carbonio. Senza questo ciclo non esisteremmo.
La lettura di questa opera ci dà l’opportunità di riflettere e l’analisi in termini tecnici, più propriamente chimici, di questo elemento diviene più chiara.
Agli inizi del XIX secolo Berzelius classificò come “organiche” le sostanze che venivano isolate dagli organismi viventi. L’analisi di tali sostanze rivelò che il carbonio è la loro base strutturale e tali molecole hanno un comportamento chimico che si discostava da quello delle molecole inorganiche. La chimica di queste sostanze fu definita “chimica organica” poiché le sostanze esaminate erano state isolate da organismi viventi. In seguito si riscontrò la presenza di molecole a scheletro carbonioso anche in strutture non derivate da organismi viventi e da allora la chimica di tali composti è detta “chimica del carbonio”.
Per le sue caratteristiche proprietà strutturali (dimensioni atomiche e configurazione elettronica) e chimiche (ibridazioni e capacità di formare legami σ e π, elettronegatività intermedia), il carbonio è capace di formare, senza grande dispendio energetico, catene carboniose molto lunghe e molecole capaci di dare vita a serie isomere con la conseguenza che il numero di tali composti organici si fa enorme e le capacità funzionali diventano molteplici. Se ci riferiamo alle molecole biologiche (proteine, polisaccaridi, lipidi, acidi nucleici) tipiche molecole carboniose e ai processi metabolici cui danno vita (fotosintesi, respirazione, produzione di polimeri glucosio, proteine DNA, RNA ATP), si comprende perché si deve dare al carbonio, il primato tra gli elementi del sistema periodico poiché senza questo “magico” atomo noi esseri viventi non esisteremmo.
D: Buongiorno e grazie per aver accettato l’invito a rispondere alle nostre domande e per aver partecipato alla nostra scorsa assemblea d’istituto con interventi esaustivi.
Innanzitutto ci puoi spiegare che cos’è una setta e quali sono i segnali che ci fanno capire che una persona è stata attirata in una di esse?
R: Una setta è un gruppo o un movimento con a capo un leader carismatico e un’ideologia. Questo leader offre tutte le risposte a tutte le domande della vita e richiede un forte impegno da parte dei membri. Il leader è l’ideatore del gruppo, è un grande manipolatore, capace di leggere le persone, offrirà messaggi che risuoneranno per loro e userà i propri seguaci per reclutare altre persone.
Ecco i segnali che ci fanno capire che una persona a noi cara è entrata in contatto con un culto distruttivo:
Se in una persona cara noti
Allontanamento dalla famiglia
Incapacità di prendere decisioni autonome e perdita del pensiero critico
Venerazione per una persona
Modifica dei comportamenti alimentari
Interruzione o modifica improvvisa dei trattamenti medici, se in atto
Modifica dei modi di vestire
Risposte vaghe ed evasive a domande inerenti la sua nuova vita
Potrebbe essere entrato in contatto con una setta
D: Com’è nata l’idea di questa associazione?
R: La pulce nell’orecchio nasce come risposta a quanto accaduto a mia sorella..
Il nome quindi della nostra pagina Instagram prima, e dell’Associazione poi, sta a indicare lo scopo della nostra mission: insinuare il dubbio, porre un interrogativo, aprire la strada a varie ipotesi. Perché per abbattere il muro delle bugie serve alimentare il pensiero critico e se questo è impossibile nei confronti di chi è già “nella tela del ragno” è doveroso verso chi gli sta vicino e può salvarlo. A lui/lei, a loro ci rivolgiamo.
D: Ti va di raccontarci i punti salienti della tragica storia di Roberta?
R: Roberta era una ragazza intelligente, brillante, ricca di talenti, illustrava storie per bambini con i suoi acquerelli, lavorava la ceramica, cuciva, cucinava, aveva una sua agenzia immobiliare e insegnava yoga. Insomma, un vulcano di energie.
Apparentemente molto forte e coraggiosa (si era lanciata col paracadute!) Ma anche fragile, come noi tutti. E la sua sfortuna è stata avere incontrato chi, per la procura di Genova e per le perizie dell’accusa, di questa fragilità si è approfittato, ossia il guru del Centro anidra, un centro olistico adibito anche ad agriturismo in Liguria, Italia.
Roberta conosce il Bendinelli e quindi il Centro nel gennaio 2008 e vi arriva su invito di un caro amico di infanzia che aveva conosciuto questa comunità perché sorta su terreni appartenuti a suoi discendenti. Roberta frequenta un primo seminario con l’allora fidanzato Federico, divenuto poi marito nel 2012 con nozze celebrate anche dallo stesso Bendinelli seguendo un rito della tradizione celtica. In un primo momento Roberta appare turbata dal Bendinelli, annota addirittura in un diario (ne ha scritti moltissimi e sono quelli, insieme alle sue chat e alle mail, che ci hanno permesso di presentare un esposto alla procura della Repubblica Italiana) di avere avuto la netta percezione che seguire quell’uomo le avrebbe rovinato la vita. Eppure lo segue perché il fidanzato credeva che il seguire quei corsi li avrebbe aiutati nei loro problemi di coppia. Inoltre si sente accolta dagli altri membri del gruppo e valorizzata nei suoi talenti. E’ iniziata la fase del love bombing. Roberta frequenta assiduamente il Centro, ogni weekend, ogni momento del suo tempo libero. Inizia a saltare le ricorrenze familiari, compleanni, cene in famiglia. Il suo compleanno non lo passerà mai più con noi, ogni 24 aprile resta con loro. Rinuncia alle vacanze, era solita farne. Dal 2008 in poi le sue “ferie” le trascorre al centro anidra. Io queste cose le vedevo, e ne soffrivo. Ma mia sorella sembrava felice, aveva , ai miei occhi, trovato una comunità di persone che la facevano stare bene e quindi, pensandola appagata, non insistevo più di tanto, pareva aver trovato la sua strada. Inizia però a cambiare le sue abitudini, alimentari, mediche, comportamentali. Interrompe i rapporti con le vecchie conoscenze ,con le sue amiche del cuore, Non effettua più visite mediche specialistiche. Modifica come dicevo le sue abitudini alimentari, cambia il suo modo di vestire. Mi ripeto, io queste cose negli anni le ho notate, le vedevo e mi facevano soffrire, dalla sua assenza in famiglia, alla sua trascuratezza, al suo affidarsi in modo cieco al Bendinelli. Ma vi era in me comunque la certezza che se mai mia sorella avesse dovuto affrontare un qualunque problema, fisico, di salute, materiale..si sarebbe rivolta o a me o ai miei genitori. Ma mi sbagliavo.
Dalle indagini è emerso che nell’ottobre 2018 a mia sorella è stato asportato un neo su un tavolo della cucina del Centro dal Dottor Paolo Oneda, senza anestesia ne conseguente esame istologico, alla presenza di paolo Bendinelli, guru di quella che la procura di Genova ha definito essere una psicosetta. Mia sorella da subito ha iniziato ad avvertire dolori forti e chiedeva aiuto agli imputati i quali consigliavano tisane, meditazione, saune, digiuni. Roberta è morta il 9 ottobre 2020, a 40 anni, per colpa di quel neo diventato un melanoma. E’ stato un omicidio che è durato due anni, a noi familiari non ha mai parlato dei suoi dolori, ma agli imputati sì. E Roberta poteva sopravvivere.
D: Visto l’esito negativo della sentenza, continuerai a lottare per ottenere giustizia sul caso di tua sorella?
R: Assolutamente sì.. La recente sentenza di secondo grado ha assolto da ogni accusa Paolo Bendinelli, il guru, perché il fatto non sussiste nonostante per la Procura di Genova fosse responsabile di omicidio volontario, maltrattamenti, violenza sessuale e circonvenzione di incapace (richiesti 16 anni) e ha condannato Paolo Oneda, il medico chirurgo che ha asportato un neo sul tavolo della cucina del centro senza anestesia ne successivo esame istologico, ad 1 anno e 4 mesi (la Procura aveva richiesto 14 anni per omicidio volontario). E’ una sentenza che ha toccato e colpito me, i miei familiari e tutti quanti mi sostengono da anni. Le sentenze si accettano e si rispettano, ma oserei dire si subiscono anche. Recentemente sono state depositate le motivazioni di questa aberrante sentenza e, per i Giudici, mia sorella ha scelto di non curarsi perché si sarebbe “liberamente orientata verso l’opzione per uno stile di vita naturista, che abbia autonomamente ricercato una profonda conoscenza di sé”. Sempre per i giudici, mia sorella poteva chiamarsi un’ambulanza, nel momento del bisogno. Tutto ciò a parer mia è estremamente disumano e purtroppo il grande vuoto normativo in tema di manipolazione mentale non aiuta affatto. Se mia sorella fosse stata lucida non si sarebbe sottoposta ad un intervento del genere, l ‘ha fatto solo perché totalmente soggiogata. Ricorreremo quindi in Cassazione, perché mia sorella merita giustizia.
D: Ti sono arrivati dei riscontri positivi in questo primo anno di associazione? Quali?
R: I riscontri positivi ci sono stati, e molti. L’ aver aiutato tante persone a riconoscere in un amico o in un parente i comportamenti tipici di chi sta entrando in una dinamica settaria è per me il risultato miglior, e questo è accaduto. Io vorrei solo che quanto successo a mia sorella, intelligente, colta, brillante ma fragile come noi tutti, non si verificasse mai più e fare prevenzione, sensibilizzare nelle scuole, negli eventi, nelle trasmissioni televisive, in radio credo sia importantissimo per raggiungere tale obiettivo e mettere la pulce nell’orecchio a più persone possibili.
D: Ci puoi raccontare se è possibile qualche esempio concreto di richiesta di aiuto ricevuta attraverso l’associazione? E se si, in che modo è stata gestita?
R: Come primo consiglio, una volta ricevuta una richiesta di aiuto, invitiamo a non giudicare il parente o amico entrato in contatto con un culto, a non essere troppo critici perché questo comporterebbe un allontanamento. Inoltre consigliamo di prendere nota di tutti i nomi e indirizzi che il loro caro nomina, di non inviare denaro ma piuttosto aiutarlo con vestiti o cibarie, di non sentirsi soli perché purtroppo si tratta di una situazione comune a migliaia di persone in tutto il mondo. Come ultima cosa, ma più importante, denunciare alle Autorità Competenti se si hanno dubbi o addirittura certezze di reati.
Le pietre preziose sono molto apprezzate per la loro bellezza, rarità e durata.Tagliate e lucidate per migliorare il loro aspetto, esse sono utilizzate in gioielleria, in oggetti decorativi e in varie forme d’arte. I minerali, invece, sono utilizzati come materie prime in vari settori (estrazione mineraria, edilizia, energia, elettronica, agricoltura) e vengono utilizzati anche nella produzione di metalli, ceramica, vetro, prodotti chimici, fertilizzanti e altri prodotti.
Le pietre si formano attraverso una varietà di processi geologici e reazioni che si verificano in profondità all'interno della crosta terrestre. Nel tempo, l’interazione tra elementi come il calore, la pressione e i composti chimici porta alla formazione di cristalli minerali che alla fine si trasformano nelle pietre. Un minerale è una sostanza solida inorganica presente in natura che ha una composizione chimica specifica e una struttura cristallina. I minerali sono gli elementi costitutivi delle rocce, che sono costituiti da uno o più minerali.
Sia le pietre che i minerali possono essere utilizzate in ambito medico, industriale, artistico ecc. Il quarzo, per esempio, viene utilizzato negli orologi o nelle lampade o per realizzare parti ottiche per usi scientifici; il lapislazzuli veniva utilizzato dai pittori come colorante per gli affreschi; il topazio viene lavorato come gemma e utilizzato in gioielleria… Ma, fin dall’antichità, i cristalli vengono utilizzati anche come talismani o amuleti. Gli sciamani fecero largo uso dei cristalli a cui, in seguito, sono state riconosciute diverse proprietà terapeutiche.
Oggi esiste una disciplina olistica che utilizza i cristalli per riequilibrare il corpo, la mente e lo spirito, si tratta della “cristalloterapia”, per eliminare i dolori e le disfunzioni posizionando i cristalli sulle diverse parti del corpo. Secondo la suddetta disciplina, i cristalli possiedono una particolare frequenza, che entrando a contatto con le vibrazioni del corpo, per la legge fisica della risonanza, produce una vibrazione che porta a riequilibrare il disturbo. Fra le patologie curate con la cristalloterapia ci sono stati di ansia, stress e insonnia. Così l’occhio di tigre (varietà di quarzo originaria del Sud Africa) aiuterebbe a sviluppare volontà e ottimismo; il colore verde dello smeraldo porterebbe l’energia tipica della natura, donando empatia e amorevolezza; i lapislazzuli, splendide pietre collegate da sempre alla spiritualità e alla regalità, migliorerebbero la creatività e le capacità comunicative; il topazio, minerale legato all'energia calda del sole, conferirebbe a chi lo indossa praticità, ottimismo e allegria; il quarzo rosa, noto anche come pietra dell'amore, aiuta a superare vecchi dolori, a raggiungere una buona autostima e una piena accettazione di sé stessi. Secondo la cristalloterapia, una volta utilizzati, i cristalli, poiché entrati in contatto anche con energie negative, vanno purificati regolarmente e frequentemente e poiché ogni cristallo ha una sua storia, “giovane” o lunga milioni di anni, lo si fa ripartire da zero attraverso una purificazione, cioè svuotato della sua energia e poi ricaricato.
L’efficacia della cristalloterapia non è provata scientificamente, i suoi effetti sono attribuiti all’effetto placebo, ma pietre e cristalli sono utilizzati da numerose persone che ne apprezzano i benefici a livello mentale, spirituale, emotivo e fisico.
Fonti:D. Nepgen, M. Fiorani, M. Crippa, Scienze Naturali, A. Mondadori Scuolahttps://www.treccani.it/enciclopedia/effetto-placebo-e-nocebo_%28XXI-Secolo%29/ https://it.wikipedia.org/wiki/Cristalloterapia https://www.cure-naturali.it/enciclopedia-naturale/terapie-naturali/medicina-naturale/cristalloterapia.htmlUna questione privata è un romanzo di Beppe Fenoglio pubblicato postumo nel 1963 dalla casa editrice Garzanti.
Narra del giovane partigiano badogliano Milton, che trascorre la sua giovinezza tra un amore folle e la vicenda storica della Resistenza, posta come sfondo alla storia principale. Milton è follemente innamorato di Fulvia, con la quale, insieme all'amico Giorgio, trascorre l’estate del 1942. Dopo quell’estate Milton e Giorgio prenderanno parte alla Resistenza, separandosi da Fulvia.
Due anni dopo, Milton, durante una perlustrazione, si ritrova davanti alla villa di Fulvia: “La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava sulla città di Alba. Il cuore non gli batteva, anzi sembrava latitante dentro il suo corpo”. Qui ha inizio un lungo e, allo stesso tempo, sconvolgente dialogo, nel quale la domestica della villa metterà in dubbio tutte le certezze di Milton riguardanti il suo rapporto con Fulvia e quello tra Fulvia e Giorgio, tra i quali, secondo la donna, potrebbe esserci stata una relazione amorosa.
Milton riuscirà a scoprire la verità? E cosa sarà disposto a fare per scoprirla?
Un libro dall'intramontabile fascino e attualità, dallo stile semplice e chiaro, che si sofferma in modo impeccabile sulla Resistenza, ne emergono le vicende, le emozioni e le follie. Quella di Milton è una follia che non concede tregue o perdono, è determinata dalla questione privata, in contrasto con il contesto storico, con la questione pubblica. La vicenda è contrapposizione tra l’affare privato di Milton e l’affare pubblico della guerra partigiana, è, inoltre, quête, cioè ricerca di una verità da cui dipende l’esistenza del protagonista (Angelo Jacomuzzi). Questione pubblica e quête portano Milton da un luogo all'altro delle langhe piemontesi, un'incessante corsa destinata ad un grande finale.
Attraverso questo libro, l'autore racconta una parte della sua vita: la Resistenza. Nato ad Alba il 1° marzo 1922, Beppe Fenoglio diventa partigiano badogliano; grande appassionato di letteratura, in particolare inglese, si dedica alla scrittura, pubblicando negli anni Cinquanta i suoi primi racconti. Ad oggi tra i suoi scritti ricordiamo I ventitrè giorni della città di Alba, La malora, Primavera di Bellezza, Il partigiano Johnny e Una questione privata, che lo ha portato ad essere uno degli scrittori italiani più importanti del Novecento.
Negli ultimi anni, il panorama della scrittura è stato profondamente plasmato dai giovani, la cui relazione con questo antico mezzo di espressione è ora caratterizzata da una combinazione di creatività senza limiti e sfide uniche.
La tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui i giovani scrivono (quando e se scrivono). I giovani di oggi si immergono in una molteplicità di forme di scrittura che spaziano dai blog personali ai micro-racconti su piattaforme social. Piattaforme come Instagram, Twitter e TikTok hanno ridefinito il modo in cui i giovani comunicano attraverso la scrittura. La necessità di condensare pensieri complessi in brevi caption (didascalie) o tweet ha portato a una scrittura più concisa e diretta, emoji e abbreviazioni diventano una parte integrante del linguaggio scritto, trasmettendo emozioni e toni con una semplicità che va al di là delle parole. Nonostante la brevità delle comunicazioni quotidiane, molti giovani esplorano la scrittura creativa come mezzo di espressione personale. Blog personali, storie su piattaforme come Wattpad e racconti su Reddit offrono spazi in cui i giovani possono condividere la propria voce in maniera più approfondita. Questi spazi digitali diventano terreni fertili per la creatività e l'esplorazione di nuovi stili e generi, riflettono l'urgenza di esprimere il proprio pensiero in modi unici e personalizzati. La scrittura quindi diventa uno strumento di potenziamento, permettendo ai giovani di comunicare la propria identità e di condividere esperienze con un vasto pubblico. Sebbene la creatività e l'innovazione siano parte integrante della scrittura giovanile, il contesto scolastico presenta sfide uniche.
Il curriculum tradizionale spesso pone l'accento sulla grammatica, sulla struttura formale e sui contenuti accademici, limitando la libertà espressiva. Molti giovani trovano difficile conciliare la loro espressione personale con le aspettative accademiche, dando vita a una tensione tra creatività individuale e conformità scolastica.Un cambiamento nell'approccio educativo potrebbe favorire una scrittura più inclusiva e appassionante. Incorporare la tecnologia e le forme di espressione digitale nel processo di insegnamento potrebbe permettere ai giovani di sviluppare competenze linguistiche in sintonia con il mondo contemporaneo. Inoltre, incoraggiare la creatività e la diversità di stili nella scrittura scolastica potrebbe stimolare l'interesse e l'innovazione.
Secondo dati Istat, nel 2022 poco meno di 4 italiani su 10 hanno letto, in un anno, almeno un libro per motivi di intrattenimento: è il numero più basso degli ultimi 25 anni. È vero anche, però, che la quota maggiore di lettori si osserva tra i giovani fino a 24 anni. Chi legge di più, in Italia, sono le ragazze fino ai 24 anni: 6 su 10 hanno letto almeno un libro nel 2022 (La Repubblica). Con i dati alla mano risulta chiaro che in questi ultimi decenni il tasso di avvicinamento alla lettura e analogamente alla scrittura sia sceso drasticamente, nonostante ciò, i dati relativi all’ultimo periodo come poc’anzi riportato lasciano ben sperare.
Indipendentemente dal contesto, la scrittura rimane una competenza essenziale per la crescita personale e professionale. La capacità di esprimersi chiaramente e persuasivamente è cruciale in qualsiasi campo. Pertanto, è fondamentale incoraggiare una visione integrata della scrittura che abbracci sia le forme informali che quelle formali.
Il rapporto dei giovani con la scrittura è in continua evoluzione, plasmato da fattori culturali, tecnologici ed educativi. La sfida per educatori e società è quella di coltivare una cultura che riconosca e valorizzi la diversità di espressione, garantendo nel contempo che i giovani acquisiscano le competenze necessarie per navigare con successo in una società sempre più centrata sulla comunicazione scritta.
Il 29 settembre, in occasione della Notte Europea dei Ricercatori, (promossa dal 2005 dalla Commissione Europea in più di trecento città dell'U.E. l'ultimo venerdì di settembre) la IVA del Liceo Classico è stata premiata presso l'Università degli studi della Basilicata a conclusione del progetto “SuperScienceMe - ReSearch is your Re-Source 2022/2023”. Lo scorso dicembre, in seguito alla lezione di storia tenuta dalla Prof.ssa Donata Violante, gli studenti si sono trasformati a tutti gli effetti in piccoli ricercatori, per documentare una produzione agricola locale e soffermarsi in maniera particolare sull'aspetto della sua sostenibilità.
Lo scorso dicembre, in seguito alla lezione di storia tenuta dalla Prof.ssa Donata Violante, gli studenti si sono trasformati a tutti gli effetti in piccoli ricercatori, per documentare una produzione agricola locale e soffermarsi in maniera particolare sull'aspetto della sua sostenibilità.
Dunque, quale occasione migliore di questa per poter parlare dell'oro rosso lucano, i peperoni IGP di Senise, anche noti, in dialetto senisese, come “zafarani cruschi”.
L'attività portata avanti dal gruppo classe è stata un'assoluta novità, per quanto riguarda l'argomento e soprattutto per la modalità di lavoro. La ricerca non è stata priva di difficoltà, riscontrate soprattutto in relazione alla mancanza di fonti scritte attendibili che documentassero la coltivazione del prodotto fin dagli inizi e la sua produzione nel tempo, motivo per cui alla base del progetto di ricerca vi sono le testimonianze orali, i volti di nonni, zii, i racconti, dal valore inestimabile, di coloro che il peperone lo hanno coltivato da sempre. Essenziale anche la disponibilità delle aziende che hanno accolto alcuni degli alunni nei luoghi di coltivazione, per dare loro l'opportunità di esaminare più da vicino il metodo di produzione del rinomato prodotto IGP.
Il “SuperScienceMe” ha offerto un'importante occasione di crescita agli studenti, ha rafforzato in loro la consapevolezza dell'importanza della conoscenza, della condivisione, dell'incontro con altre realtà e del confronto tra esse, in grado di arricchire e di costruire menti libere e forti. Incoraggiati dalla Prof.ssa Ornella Albolino, responsabile del dipartimento di Scienze Umane presso l'Unibas e referente del progetto, ci auguriamo che questo filo rosso possa rappresentare solo l'inizio di una lunga collaborazione all'insegna di nuovi e stimolanti progetti di ricerca.
Il giorno 8 novembre, gli studenti dell'indirizzo Servizi per la sanità e l'assistenza sociale hanno partecipato all'incontro con l'associazione L'Oasi del sorriso Clownterapia e musicoterapia di Matera.
L'incontro, svoltosi presso l'aula blu del nostro Istituto, è stato reso possibile grazie alla Prof.ssa O. Ielpo, alla dirigente Prof.ssa R. Schettini e alla disponibilità dell'associazione materana. Gli alunni hanno potuto ascoltare le testimonianze di chi ogni giorno cerca di strappare un sorriso a persone affette da patologie e non solo.
Successivamente è stata proposta un'attività di musicoterapia, a cui gli studenti hanno partecipato con entusiasmo. L'evento ha fatto riflettere tutti i presenti sull'importanza di sorridere e di come la musica sia in grado di unirci, nessuno escluso perché, come dice l'inventore della Clownterapia Patch Adams, "Ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina".
Avreste mai pensato che l’inventore di due dannosissimi esplosivi potesse diventare il protagonista di un premio? È proprio ciò che accadde a Alfred Bernhard Nobel, un chimico svedese che macchiò di rosso la propria fedina penale per aver creato la dinamite e la balistite; diventando, pertanto, il simbolo delle applicazioni belliche. A causa di un equivoco venne creduto morto; solo grazie alla pubblicazione di tale notizia su un giornale comprese il giudizio degli altri in merito alla propria persona: era diventato “il mercante di morte”. Ma non tutti i mali vengono per nuocere ... Nobel si rifiutò di vendere la propria anima al pubblico in questo modo e cercò di riscattarsi cedendo tutto il suo patrimonio alla cultura, in particolare a tutti coloro che fossero stati capaci di apportare benefici all’umanità. In quel momento, “il mercante” non cambiò solo la sua storia, ma quella di tutto il mondo: a partire dal 1901, nacque e venne assegnato il Premio Nobel dedicato a diversi ambiti del sapere, quali la medicina, la letteratura, la fisica, la chimica, la difesa della pace e, a partire dal 1969, l’economia.
Annualmente, il 10 dicembre, il premio viene assegnato a Stoccolma (ad Oslo, invece, solo quello per la pace) a seguito di un’attenta analisi compiuta da uno specifico comitato dell’Accademia di Svezia.
Ma parliamo del Premio Nobel per la letteratura: secondo quali criteri viene eletto il vincitore? Ebbene, il tutto si svolge secondo la volontà del chimico Nobel, il quale decise di premiare “la più eccezionale opera in una direzione ideale”, ossia l’opera che superasse le altre per l’importanza dei contenuti, degli ideali e delle seguenti riflessioni. Fondamentale nell’attribuzione del primato è anche il valore civile dell’opera in gara; non a caso, durante la cerimonia di premiazione, ogni vincitore pronuncia un discorso non solo circa il mondo letterario, ma anche e soprattutto la sfera civile e politica con evidenti riferimenti all’attualità, denunciando ciò che ancora può e deve essere migliorato.
Cliccando sul seguente link, potrete tornare indietro nel tempo per incontrare alcuni dei grandi Nobel della letteratura.
Nobel per la letteratura 2000-2023
Nobel per la letteratura 1990-1999
Buon viaggio!