"...Non vogliamo sogni piccoli come le stelle
minuscoli sprazzi di luce appesi nel buio
Noi vogliamo sogni grandi come il Sole
Quelli potenti che portano il giorno".
(Angela Ferrara, Vogliamo sogni)
Senise - Dopo due anni di fermo dovuto alla pandemia, venerdì 3 giugno è tornato, presso lo stadio comunale di Senise, l'incontro sportivo che ha da sempre affascinato grandi e piccini, la Partita del Cuore, il cui ricavato sarà devoluto in ricordo di Angela Ferrara di cui è stata letta, da una studentessa del Liceo Classico "Isabella Morra", una delle sue più belle poesie Il potere dei sogni. Tra gli spalti bambini e ragazzi di diversi istituti scolastici tra i quali Senise, Tursi, Sant'Arcangelo, Valsinni e San Giorgio Lucano.
Sono scesi con il cuore in campo contro la violenza sulle donne, la Nazionale Italiana Attori e gli Amici della Panchina Rossa. Speaker della partita, il conduttore Francesco Capodacqua; per l'occasione presenti anche tre tik toker della "Sturdust House" (Luca Campolunghi, Andreia Bacchini e Rama Lila) e Aisha, alunna dell'ultima edizione di Amici di Maria De Filippi.
Per la prima volta, grazie alla collaborazione della Regione Basilicata, del Gal "la cittadella del sapere" e di ben 23 comuni, l'evento ha previsto anche la "Lotteria del Cuore", che ha dato la possibilità di vincere 5 premi selezionati, tra cui due felpe originali del programma televisivo "Amici" e una crociera della durata di una settimana.
In contemporanea all'assegnazione dei premi, effettuata tramite il numero del biglietto acquistato, è avvenuta anche la consegna di alcune targhe in simbolo di ringraziamento alle scuole per la loro partecipazione. I premi sono stati affidati ai docenti di Scienze motorie e nel caso dell'I.I.S. "Leonardo Sinisgalli" al professore e vicepreside Mario Chiappetta.
[...] Con questo evento si conclude un anno scolastico importante, particolare, durante il quale gli studenti hanno riassaporato un briciolo di normalità, di spensieratezza, ma non per questo privo di difficoltà e sfide. Un anno che ha insegnato molto ai ragazzi, che li ha fatti crescere, maturare e resi consapevoli dell'importanza del contatto umano, dello stare insieme, della condivisione: "non siamo nati soltanto per noi stessi" (M.T. Cicerone).
di A. Calderaro, M. Chiorazzo, A. Consigliere, S. Tarantino, M. Totaro IIA LCdi M. Bellusci, R. Cuccaro, Lonetti A., Merchez M.R. IIA LC
L’attività extrascolastica presso un’azienda rappresenta un momento molto importante nel percorso di formazione di uno studente, poiché permette di sperimentare le competenze acquisite e prendere i primi contatti con il mondo del lavoro, seppure un periodo ridotto di tempo. Noi alunni di IV C abbiamo avuto l’opportunità di partecipare alle attività di PCTO dal 29/03 al 1/04. Siamo stati ospitati dalla Scuola Primaria “GIARDINI” a Senise, poiché uno dei nostri profili di uscita riguarda l’ambito educativo. Siamo stati divisi in tre gruppi a cui sono state assegnate tre classi diverse (1° , 2° , 3° elementare). E’ stato significativo poter rivivere le sensazioni di spensieratezza e giocosità che solo i bambini sono in grado di trasmettere. Per loro ogni insegnamento era una scoperta che alimentava la loro curiosità sul mondo. In ogni lezione i bambini erano molto partecipativi, si sbracciavano per poter intervenire alle domande poste dalla maestra. Nelle classi si era instaurato un bel clima di condivisione, non soltanto da un punto di vista disciplinare, ma soprattutto da un punto di vista emotivo: è proprio questa la fase in cui il bambino acquisisce le fondamenta dell’empatia. Infatti la pandemia ha limitato la socialità, che durante l’infanzia è fondamentale per la formazione della socializzazione secondaria, che determina lo stacco dal nucleo familiare. La partecipazione alle lezioni, per noi tirocinanti, era prevista dalle ore 8:30 alle ore 12:30. I nostri tutor aziendali ci hanno reso partecipi nelle attività svolte: abbiamo avuto modo di aiutare concretamente i bambini, ad esempio correggendo i loro compiti e rispondendo ad ogni loro richiesta di aiuto. Quest’esperienza ci ha aiutato a capire quale sarà la nostra strada da percorrere in futuro; ringraziamo infatti le corrispettive scuole per averci garantito quest’opportunità per la quale avevamo perso le speranze a causa delle limitazioni dal Covid-19.
di A. Cafaro , A. Ciancia, V. De Giacomo, A. di Giacomo, S. Graziano, F. La Rocca, F. Marrone, D., F. Spagnuolo IVC SUIl giorno undici marzo 2022 si è tenuto in Albania, al Teatro Metropol di Tirana, nell’ambito dello spettacolo Jehone Arbereshe a cura di Robert Bisha, un festival a cui hanno partecipato numerosi gruppi Arbereshe provenienti da tutta Europa, tra cui anche il nostro gruppo: Lule Sheshi.
Il gruppo, composto da persone di generazioni diverse, si è formato nel 2018 a cura dei professori Lorenzo e Nicola Scaldaferri per tutelare la tradizione di canti folkloristici.
Questo gruppo ci ha aperto diverse porte nel campo della musica e offerto diverse opportunità prima in Calabria, poi a Matera, in occasione delle manifestazioni come “Capitale Europea della cultura” e, la più recente, proprio al festival di Tirana. Vivendo in una comunità Arberesh quotidianamente veniamo a stretto contatto con la lingua, le tradizioni e i canti polifonici, che trattano temi religiosi e nuziali, e sono uno dei fattori più rilevanti della nostra tradizione. Fin dalla Scuola dell’Infanzia le maestre si prendono cura di far apprendere canti e balli tradizionali per tramandare il nostro patrimonio culturale.
Le origini di San Costantino Albanese risalgono tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Il paese fu fondato da profughi albanesi, scappati a causa dell’invasione del popolo ottomano che radicarono nell’Italia meridionale usi e tradizioni della loro comunità. Mentre da una parte in Albania tradizioni e lingua ebbero un’evoluzione, i popoli Arberesh stanziatisi in Italia mantennero per secoli usi, costumi e lingua delle origini.
Questo è il motto-saluto che da più di cento anni unisce il popolo di Kiev. Le origini risalgono alla guerra di indipendenza contro la nascente Unione Sovietica, e forse in questa frase c'è il destino di una nazione in continua lotta per la sua libertà. Oggi, alla luce dei recenti eventi bellici, è diventato ancora più diffuso e sentito. Slava Ucraini sento ripetere sui giornali, in tv, in famiglia: è un ritornello dolce e amaro.
Io sono Sofia, ho 15 anni e sono italiana, dentro di me però vive anche un'altra anima, quella dell'Est, quella ucraina, mia mamma infatti viene da quelle terre. Vorrei trattare di ciò che sta succedendo in questi giorni; non scriverò però di politica, di operazioni internazionali, di torti e di ragioni, anche perché non ne sarei capace, quello che vorrei trasmettere è ciò che si prova quando la guerra ti tocca da vicino, quando "la guerra entra in casa", sebbene si combatta a duemila chilometri di distanza. Parlo ovviamente del conflitto seguito all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
Quello fra Ucraina e Russia è stato sempre un rapporto difficile, fin dalla "nascita". Una delle tante testimonianze di ciò sono state le repressioni del 1918-1921, seguite alle rivolte per l'indipendenza dell'Ucraina, da parte dei sovietici e le "punizioni" staliniane che si trasformarono nella "carestia indotta", quella che è stata denominata Holodomor. Vorrei spendere qualche parola su questa ferita della storia che qui da noi non è conosciuta, in realtà non ne ho mai letto né sentito parlare se non in famiglia. Il termine Holodomor deriva dalle parole ucraine Holod (fame) e Moryty (uccidere) quindi, uccidere tramite “inedia”. Verso la fine degli anni Venti del ‘900 il presidente dell'URSS, Stalin, avviò una campagna di statalizzazione dell'economia e stabilì che anche le aziende agricole dovessero diventare "bene comune". In quest'ottica vennero statalizzati i terreni dei cosiddetti "Kulaki", proprietari terrieri (piccoli e grandi) e questo portò ad una grave crisi produttiva ed alla conseguente penuria di prodotti agricoli. Poiché non arrivavano più approvvigionamenti dalle campagne i contadini furono accusati di nascondere i prodotti e si attivarono vere e proprie "razzie di stato" attraverso agenti del governo (questo ricordo è ancora vivo nelle famiglie ucraine) e la popolazione fu ridotta alla fame. Fu anche una punizione politica inflitta ai patrioti ucraini. In definitiva tra deportazioni dei kulaki nei Gulag in Siberia e morti per la carestia le vittime furono circa sette milioni. Un vero e proprio genocidio taciuto. Nella Seconda Guerra mondiale l'Ucraina si ritrovò nel bel mezzo del conflitto, ed anche allora schiacciata fra due potenze, quella sovietica, di cui faceva parte, e quella tedesca. Anche la "separazione degli anni Novanta" col distacco dall'URSS comportò rinunce per l'Ucraina, in primis sugli armamenti (che adesso sarebbero necessari) in cambio del riconoscimento geopolitico della nazione e la promessa- oggi disattesa- di sovranità e inviolabilità territoriale.
Per comprendere il presente dobbiamo guardare al passato. Ed un popolo è soprattutto il suo passato.
Il passato non si trova solo nei libri di storia, il passato dell'Ucraina io lo trovo nei racconti di mia nonna e di mia mamma, nei ricordi di famiglia, nei profumi della cucina, nei fiori fra i capelli, nelle Vyshyvanke (le camicie ricamate), nei campi di girasoli e perfino nei semi di girasole. Sicuramente non è molto ma di certo non si può trovare in un manuale. Queste piccole cose costituiscono il collante di un popolo, la sua identità. La signora che dà al soldato russo dei semi -appunto di girasole- assume una valenza simbolica fortissima, non augura la morte al ragazzo, dice: "cosa ci fai qua, nella nostra terra?". Gli Ucraini hanno un inscindibile legame con la loro terra e le loro origini, questa è un'altra delle cose che ho capito ancor prima dei terribili giorni che stiamo vivendo: non mi sembra strano vederli combattere per la nazione, per loro la nazione è casa, forse noi "occidentali" abbiamo perso questo "amor di patria". Non abbandonano il loro Paese neanche avendone la possibilità -parlo per esperienza personale- com'è noto infatti la quasi totalità dei profughi è composta da donne e bambini. Mariti, padri e fratelli, li accompagnano alla frontiera per metterli al sicuro e tornano a difendere le loro case. E' davvero ammirevole. Realismo sul presente e ottimismo sul futuro. All'interno della stessa Ucraina si sono create due "aree", quella orientale, dove la guerra imperversa, e quella occidentale dove al momento è più blanda. E’ proprio in queste zone, dove vive la famiglia di mia madre, che arriva chi fugge dall'est dell’Ucraina e paradossalmente, prima di attraversare il confine, i “fuggitivi” diventano profughi in "casa loro", ospiti dei concittadini dell'ovest. Proprio mentre scrivo nella casa natale di mia mamma è stata accolta una famiglia proveniente da Kharkiv. I miei zii mi hanno spiegato chi sono queste persone che fuggono: i primi a scappare sono stati i "cittadini bene" della ricca Kiev con le loro grosse automobili, famiglie intere, uomini compresi. Poi con mezzi di fortuna, anziani, bambini e donne senza né mariti e né figli, rimasti a combattere. Sempre i più umili restano sul campo.
Anche la guerra - come la vita- non è uguale per tutti.
Fondamentalmente però il popolo ucraino è fortemente coeso, combattono fianco a fianco medici e portantini, maestri e allievi, padri e figli. Emblematici sono i tanti sindaci combattenti delle piccole e grandi città, su tutti, i famosi fratelli Klitschko, uno dei quali sindaco di Kiev, e naturalmente il presidente Zelensky il "servitore del popolo", come viene chiamato, passato dalla fiction alla realtà.
Così stanno le cose.
Dicevo all'inizio: la guerra entra nelle case di tutti, non fa eccezioni. Nella mia c'è entrata dalla porta principale portando incredulità, preoccupazione, rabbia, disgusto.
Spari, fuoco, fumo, terra insanguinata, case distrutte, bambini mutilati, donne abbandonate e vecchi violentati; questo il suo biglietto da visita listato a lutto.
Una sola la risposta: BASTA.
Senise - Nella giornata del 21 Aprile 2022 presso l’IIS “L. Sinisgalli”, organizzato dal gruppo di lavoro della Biblioteca d’Istituto LiberaMente*, si è tenuto l’incontro con lo scrittore lucano Pino Rovitto autore del Il Belpensante e E qualcosa rimane, il primo testo su Enzo Spaltro, il secondo su Nicola Chiaromonte, intellettuali e filosofi lucani.
Enzo Spaltro, nato a Milano il 3 luglio 1929 da genitori lucani, è stato autore di testi che affrontavano tematiche che furono la base e il fondamento della sua attività e della cultura organizzativa in Italia. Nel corso della sua vita, ha studiato e si è interessato alla Psicologia del lavoro e nel 1978 ha fondato l’Università delle persone. Pino Rovitto lo definisce un “maestro segreto” che ha dedicato la sua vita a battaglie come quella relativa alla sicurezza sul posto di lavoro, che spinto dalla curiosità, osservava e rifletteva in maniera discreta aspetti della vita riguardanti nel complesso l’essere umano.
Nicola Chiaromonte, nato a Rapolla il 12 Luglio 1905, è stato un intellettuale e un filosofo complesso, chiuso e intransigente, ma allo stesso tempo devoto alla cultura e al sapere. Dedito alle sue passioni e al raggiungimento dei propri obbiettivi, incontra figure illustri con le quali si confronta, si dedica alla rivista culturale indipendente “Tempo Presente”. Un “insegnante”, come lo definisce Pino Rovitto, “inteso non come colui che sa e istruisce qualcun altro che non sa, ma come colui che tenta di ricreare un argomento o un pensiero nella mente di chi legge o ascolta e fa riconoscere a chi lo segue ciò che già sa”.
Comparando i due intellettuali, l'autore li ha definiti come “due rette parallele che non si incontrano mai, ma che si intrecciano nella volontà di conoscere e trascrivere il loro sapere, non con il fine di trasmetterlo, ma dettato dall’amore nei confronti della cultura”.
Rovitto, attraverso la figura di questi due intellettuali, ricrea un quadro informativo con lo scopo di valorizzare la cultura lucana e sensibilizzare i giovani come gli alunni delle classi che hanno partecipato all’incontro e che hanno letto i testi di Rovitto riflettendo su tematiche di attualità come la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’informazione culturale dei giovani, la cultura locale...
Il lavoro che compie l'autore nella stesura di questi due testi è molto complesso, ma come lui stesso lo ha definito, “interessante e affascinante”. Una lettura agevole e piacevole che mette in risalto la Lucania che l’autore, non solo ricorda attraverso la figura di Enzo Spaltro e Nicola Chiaromonte, ma elogia per il suo essere madre di grandi personalità, la maggior parte delle quali, purtroppo, poco conosciute.
La cultura è presente in ogni luogo basta saperla riconoscere proprio come fa l’autore Pino Rovitto: amante della Lucania, la nostra terra, ricca di sapere.
* il gruppo di lavoro della Biblioteca d'Istituto è costituito dal Prof. Filippo Gazzaneo, dalla Prof.ssa Rosanna Lobefalo, dalla Prof.ssa Maria Retta e dalla Prof.ssa Giulia Console.
di M. Bellusci IIIA LC"Sono nato in Alba il 1° marzo 1922 e in Alba vivo da sempre, a parte le lunghe assenze impostemi dal servizio militare e dalla lotta partigiana. Scrivo per un'infinità di motivi. Per vocazione, anche per continuare un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma. Non certo per divertimento".
Trailer Una questione privata
realizzato da S. Zambrino, A. Taccogna, C. Ciancio, S. Castelluccio, S. Berardi VC SULe Notti Bianche è un racconto giovanile pubblicato nel 1848 da Fëdor Dostoevskij, famoso scrittore e filosofo russo dell' Ottocento. Il racconto ci fa conoscere la figura del sognatore, descritta come una persona solitaria che vive al di fuori dalla realtà, ma che riesce farci intraprendere un percorso introspettivo e quindi a farci conoscere il nostro “io” interiore. San Pietroburgo è la tela su cui si dipingono i colori di questo breve racconto, che narra di un incontro tra, appunto, il sognatore e una ragazza chiamata Nàstenka. A livello temporale è suddiviso in quattro notti e una mattina, e in questo arco di tempo i due iniziano a parlare instaurando un certo rapporto, tale da far nascere un sentimento da parte del sognatore che lo porta a provare quello che definisce “il primo amore”, ma il cuore di Nàstenka appartiene già ad un'altra persona che lei sta aspettando da tempo. Dostoevskij con questo racconto ci porta a riflettere su due temi importanti: la solitudine e l’amore; il sognatore prende consapevolezza del fatto che si ritroverà di nuovo solo e che non proverà mai più un sentimento così forte e puro, che i sogni servono per ispirarci e per essere realizzati e non per evitare ciò che noi riteniamo reale, quella sarebbe un'esistenza senza coraggio e senza colore.
di N. Mastrosimone IIB AFMAlda Merini
21 marzo giornata mondiale della poesia
La guerra Russia-Ucraina raccontata attraverso video e immagini
di P. Capalbo, J. Ciminelli, L. Giannasio, A. Gioia, C. Rossi IIIA LCSenise lunedì 7 marzo 2022
di S. Zambrino e V. Golia VC SULa generazione Z* è quella tecnologica per eccellenza, quella che spesso pone le relazioni reali in secondo piano. Se si vedono gruppi di ragazzi in giro è molto più probabile che stiano di fronte ad un cellulare e lo dico perché lo so, cerco sempre di lottare con i miei amici affinché, quando decidiamo di uscire insieme, loro non stiano incollati allo schermo, ma questo con scarsi risultati, perché la risposta è sempre “cosa dovremmo fare altrimenti?” e in verità la risposta non so dargliela. Molti trovano online amici e amori, e la trovo una bella cosa perché, se nella vita reale si è condizionati dal proprio aspetto e dall’ambiente circostante, su internet a volte è più facile essere se stessi e riuscire ad esprimersi, ed è più facile apprezzare l’altro per ciò che è, per cui penso che non sia sbagliato avere relazioni virtuali, perché al giorno d’oggi esistono e non trovo il senso di privarsene, anche perché non sempre nelle vicinanze si trova gente che condivide con noi passioni e hobby. Va comunque attribuita la giusta importanza ad ogni tipo di relazione, virtuale e non, per far sì che nessuna delle due prevalga, perché è sbagliato chiudersi nel virtuale ma lo è anche non dare spazio all’innovazione.
Ad essere sincera la tecnologia mi spaventa perché io amo confrontarmi sui più svariati argomenti, ma spesso non si trovano interlocutori perché si è sempre distratti “da quel messaggio o da quella notifica”, e la conversazione che si stava provando a creare finisce immediatamente come i temporali estivi. Nessuno più ama i discorsi profondi perché si è abituati a quelli superficiali, ai pettegolezzi sugli influenzer e i “trend” che si accendono ardenti si affievoliscono e si spengono come candele, se ne inizia di nuovi ma nessuno di essi lascia un segno, così noi cresciamo senza alcuna personalità, tutti uguali, tutti a ridere delle stesse battute perché solo quelle conosciamo, perché quelle siamo abituati a sentire. Quando qualcuno osa dire qualcosa di diverso, viene definita una persona pedante che non sa divertirsi, e allora si esordisce con quella fatidica frase “se fai così rimarrai solo” ed è la verità, “chi non è pecora non ha gregge”.
Ho promesso a me stessa che farò buon uso di internet, perché io voglio una vita profonda, una vita della quale si potrebbe raccontare molto, non una vita delle tante. Internet è un posto meraviglioso anche perché è possibile trovare materiale di ogni tipo, va solo saputo selezionare, cosa può significare qualcosa e cosa invece è solo spazzatura. Ma mi chiedo: se ora abbiamo questi mezzi, già così potenti, cosa succederà in futuro? Spero che prima o poi scappare dalla realtà non diventi una cosa possibile.
*Con il termine Generazione Z ci si riferisce alla generazione dei nati tra il 1996 e il 2010. Un aspetto importante di questa generazione è il suo diffuso utilizzo di Internet sin dall'infanzia. I membri della Generazione Z sono considerati come avvezzi all'uso della tecnologia e dei social media, che incidono per una parte significativa sul loro processo di socializzazione. Pertanto, essi sono stati definiti "nativi digitali".
Se declinato in tutti i suoi aspetti, l’amore vince su tutto. È questa la chiave di lettura del romanzo Figlio Unico di Maria Lovito, presentato il 22 febbraio presso l’Aula "Don Pino Terracina” dell’Istituto Leonardo Sinisgalli di Senise, che ha visto coinvolte le classi VA Classico, VC Scienze Umane, VA A.F.M., VA C.A.T.
“Quello che più mi ha colpita del romanzo è stato il garbo e la delicatezza con cui il tema è stato affrontato. Il tema dell’omosessualità molto dibattuto, un po’ spinoso, in cui è facile scadere in un contesto stereotipato e tendere all’oscuro e all’osceno”. Afferma la Professoressa Lobefalo, che dà il benvenuto immergendosi immediatamente nel cuore del romanzo, che racconta della storia di Caterina, una donna tenera ma forte, che dopo una vita difficile, piena di problemi, superati, si trova in un momento di riconquista dell’equilibrio che aveva perduto. Ma l’equilibrio viene sconvolto da una novità: si troverà faccia a faccia con il tema dell’omosessualità. “Non deve essere un problema chi voglio amare io e chi vuoi amare tu - afferma l’autrice - Quando si parla di omosessualità si pensa immediatamente al rapporto sessuale che turba, non è sempre la vita degli omosessuali quella che ci fanno vedere nei film, spinta, o nei gay-pride, fenomeni provocatori, bisogna rompere le bolle dove certi argomenti vanno a finire”.
Fa poi chiarezza sul significato del titolo, in principio figlio unico concerne la quantità: Giovanni, non avrà fratelli o sorelle; in seguito sarà invertito in unico come qualità: non c’è nessun altro uguale a lui, da nessuna altra parte.
La Lovito parte da una storia vera, arricchita da testimonianze, ricavate dall’attività svolta nell’associazione Agedo, “a parlare sono nella maggior parte dei casi, le mamme spaventate, che temono il futuro dei propri figli, i padri sono restii al dialogo”.
Alla domanda “perché una donna che scopre l’omosessualità del proprio figlio sente necessariamente del dolore?”, l'autrice risponde che “C’è dolore in maniera schietta, c’è una sensazione di fallimento, occorre rompere lo schema per rimettere poi insieme tutti i pezzi. La prima cosa che si chiedono le mamme è se hanno sbagliato qualcosa, l’errore parte dalla netta separazione tra femmina e maschio, indistruttibile come concetto, invece si parla dell’identità che differisce dall’appartenenza al genere.”
Il tema è certamente la questione della sessualità ma anche il tema del passato e del presente, come sottolinea il Professor Gazzaneo: “Il passato di Caterina è lì più presente del presente”; “la particolarità è data da scrittura di terra - continua il professore - cioè una scrittura radicata, non è liquida, non è aeriforme, dà il senso della parola dentro l’umano”. L’autrice conferma che le scrittrici raccontano della loro terra, è inevitabile scrivere di se stessi “Virginia Wolf e le donne dei suoi tempi vivono nei salotti quindi non possono che scrivere unicamente di questo”.
La chiave di lettura è dunque l’amore, l'amore, che - come afferma la Dirigente Prof.ssa Rosa Schettini - non è teoria, l’amore è amore se si pratica, è penitenza, rinuncia perché deve incontrare sempre la volontà dell’altro: è qui che viene il dolore, la sofferenza.
Dietro Caterina, Giovanni, Rita c’è un tratto di universalità, si nasconde la storia di ciascun uomo, un continuo ricercare un equilibrio.
di S. Berardi e S. Zambrino VC SU
Il racconto Ferro, tratto dalla raccolta di racconti Il sistema periodico di Primo Levi, ha per protagonista Sandro Delmastro, Ferro per l’autore.
“Sandro era un isolato” in mezzo a tante altre matricole dell’Istituto Chimico, e come lui, in un'Europa in cui si sentiva chiaro il “puzzo delle verità fasciste”, lo stava diventando anche Levi, che sentiva allontanarsi tutti i compagni cristiani. I due erano “come un catione e un anione”, l’uno schivo come un gatto, l’altro socievole, l’uno generoso e un po’ spavaldo, l’altro loquace; erano come due mercanti “ricchi di merci da scambiare”: Levi aiutava Sandro (“la sua media balzò dal 21 al 29”) e Sandro “sentiva il bisogno di prepararsi [e di prepararlo] per un avvenire di ferro”.
Sandro era ferro che si doveva legare, magari alla chimica e alla fisica, magari alla montagna, magari a Levi.
L’amicizia con la chimica e con la materia gli derivava dai natali: i suoi avi “fabbricavano chiodi sulla forgia a carbone, cerchiavano le ruote dei carri col cerchione rovente, battevano la lastra fino a che diventavano sordi”, quando intravedeva su una roccia il colore vermiglio del ferro, sembrava aver trovato un amico. Nel sangue Sandro aveva la chimica, le sue origini gli avevano tramandato la stessa resilienza, la stessa fermezza, la stessa durezza tipica del ferro: come accade nei legami più forti, nelle amicizie di vecchia data, anche se avesse voluto staccarsi dalle sue origini non ci sarebbe mai riuscito e non per dipendenza ma per bisogno.
L’amicizia con la montagna derivava sempre dalle sue origini (“Era nato sulla sella d’Ivrea […] e passava le estati a fare il pastore. Non il pastore d’anime: il pastore di pecore, e non per retorica arcadica né per stramberia, ma con felicità, per amore della terra e dell’erba, e per abbondanza di cuore.”) ma lo vedeva attivamente partecipe: se non la coltivi, un’amicizia cade, si sgretola e finisce, non può essere interessata solo una parte in un legame così vivo. Sandro aveva saputo alimentare quell’amicizia singolare che non tutti riescono ad avere, che lo faceva evadere dalla chimica teorica per passare sul campo ad analizzare la vera materia. E quell’amicizia era così luminosa, così chiara che anche un estraneo poteva accorgersene: Levi, infatti, scrive “Vedere Sandro in montagna, riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto […]: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accende”. Sandro viveva la natura, aveva trovato nella montagna una maniera di evadere dalla sua realtà, di evadere da un mondo in cui avere vent’anni era difficile, da un Paese che puzzava di dottrine false, che nulla avevano a che vedere con la scienza. Solo in montagna Sandro poteva ridere, poteva avere vent’anni, sbagliare, mangiare la carne dell’orso, vivere.
L’amicizia con Levi era invece un legame covalente: ognuno dei due metteva in compartecipazione il suo elettrone per raggiungere e far raggiungere la stabilità. “Non era affatto l’amicizia tra due affini: al contrario, la diversità delle origini ci rendeva ricchi di “merci” da scambiare”: erano diversi, profondamente opposti nelle idee e nel carattere ma mettevano in comune la loro diversità per uscirne rafforzati, stabili, come accade nelle amicizie sincere, semplici e necessarie. L’uno non era eclissato dall’altro, erano entrambi protagonisti di un legame prezioso, nato nel bel mezzo di una catastrofe storica in un semplice laboratorio di chimica, un legame tra due matricole intente a fare bene ciò che avrebbe potuto salvarle dalle false dottrine fasciste, dalla propaganda pseudoscientifica delle radio. Levi sentiva il bisogno di aiutarlo nella teoria, Sandro sentiva il bisogno di aiutare Levi nella pratica. Sandro apriva il suo legame con la montagna a un terzo elemento e contemporaneamente apriva la sua amicizia con Levi a un’altra protagonista, la montagna, come chimico esperto certo che non ci sarebbe stata una deflagrazione. Oltre alla teoria di cui si cibavano in Istituto, esisteva la carne dell’orso, che sarebbe potuta servire a Sandro se i fascisti non l’avessero ucciso e che è servita a Levi. La carne dell’orso, “il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare e padroni del proprio destino”, che Sandro aveva offerto a Levi era forse il sodalizio di quel legame, la formula chimica della loro amicizia, l’oro del tesoro che si trova quando si trova un amico.
di L. Giannasio IIIA LCLEGGI IL RACCONTOIl 18 febbraio ha avuto luogo, nella biblioteca dell'Istituto Sinisgalli di Senise, il quarto incontro del gruppo di lettura Liberamente per discutere del romanzo Il Maestro e Margherita, scritto dal drammaturgo russo Michail Bulgakov, il libro per antonomasia della letteratura russa e unico nel suo genere. Il Maestro e Margherita ha spaccato a metà il gruppo, da un lato chi non è stato catturato dal romanzo perché troppo “pesante”, dall'altro chi ne ha apprezzato la struttura narrativa. La capacità di trasportare il lettore attraverso la narrazione, permettendogli di immaginarsi all’interno della Mosca di Stalin alle prese con le diverse entità del diavolo (da quella malfattrice a quella più comica), le numerose situazioni grottesche narrate nel corso del romanzo, create spesso dal gatto Behemoth che tenta di comprare un biglietto per viaggiare in tram o che si dipinge i baffi d’oro per farsi bello, sono stati tra gli aspetti più apprezzati del romanzo. D’altro canto, sono emerse, all’interno del romanzo, situazioni che hanno messo in difficoltà le lettrici del gruppo, come il forte e più volte sottolineato contesto storico in cui gli eventi si svolgono, che rende il romanzo sicuramente più impegnativo per la lettura, e la difficoltà nel ricordare i nomi, russi e addirittura più di tre. Insomma, Il Maestro e Margherita è stato sicuramente una sfida per molte delle lettrici del gruppo e un romanzo da “incorniciare” per molte altre.
Per il prossimo incontro il gruppo si è confrontato sui seguenti titoli: Lolita di Vladimir Nabokov, La mite di Fëdor Dostoevskij e I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe. La scelta è ricaduta su Lolita, portando ancora una volta le lettrici del gruppo ad intraprendere un viaggio all’interno della letteratura russa.
Il prossimo incontro si terrà tra un mese, il 18 marzo presso la sede centrale dell’Istituto.
Donne e scienza: un rapporto ancora da consolidare, abbattendo ostacoli e pregiudizi
Il “Sinisgalli” e in particolare la classe IIA AFM, il giorno 11 Febbraio, ha attenzionato, attraverso dibattiti e confronti la “GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E DELLE RAGAZZE NELLE SCIENZE” una ricorrenza istituita nel 2015 dall’ONU, per promuovere la parità di genere in campo scientifico.
Nel mondo, le donne sono solo il 30 % dei ricercatori e sono presenti soltanto per il 12% nelle Accademie Scientifiche.
In Italia, il problema è diffuso allo stesso modo, solo il 16% delle ragazze si laurea in facoltà scientifiche, contro il 37% dei ragazzi. Ma qualcosa sta cambiando: infatti, secondo i dati Save the Children, in Italia nel 2021 si è registrato un incremento delle iscrizioni da parte delle ragazze alle facoltà STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).
Lo stereotipo di genere relega le donne a ruoli scelti in base a ciò che per convenzione è socialmente definito e accettato. In base a questa rigida distinzione le scelte e le carriere delle ragazze sono influenzate, condizionate o se non addirittura scoraggiate a prendere una determinata piega piuttosto che un'altra. l gender gap - cioè lo squilibrio di opportunità a sfavore delle donne - non è una prerogativa solo italiana: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, ha posto fra gli obiettivi strategici la parità di genere. L’obiettivo 5 dell’Agenda si propone infatti di «raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze».
Rita Levi Montalcini è stata una delle più importanti scienziate del Novecento, ha ricevuto il premio Nobel per la medicina nel 1986 e fu senatrice a vita dal 2001 fino alla sua morte, nel 2012.
Rita Levi Montalcini era nata in una ricca famiglia ebraica di Torino e il suo maestro negli studi medici era stato Giuseppe Levi, padre della scrittrice Natalia Ginzburg. La sua carriera si può dividere in tre parti.
Nonostante i dati sconfortanti, la storia della scienza è costellata da figure femminili, donne che hanno, senza dubbio, lasciato un fondamentale contributo alla ricerca ed al benessere dell’umanità, basti pensare a Marie Curie, Maria Montessori o Samantha Cristoforetti che hanno dedicato, e dedicano ancora oggi, la loro vita alla Scienza.
Tra queste, riscontriamo anche l’importante figura di Rita Levi Montalcini.
Quella iniziale in Italia, durante la quale portò avanti le proprie ricerche sul sistema nervoso in un laboratorio costruito nella sua camera da letto a Torino, dopo l’espulsione dall’università in seguito alle leggi razziali del 1938 (in rapporto alle sue origini ebraiche, si definì sempre “totalmente laica”).
La seconda iniziò dopo la guerra, quando venne invitata alla Washington University di St. Louis, in Missouri. La invitò l’embriologo Viktor Hamburger, che insieme al suo gruppo di ricerca lavorava su temi simili ai suoi. Rita Levi Montalcini partì e, invece del semestre previsto, rimase negli Stati Uniti per ventisei anni.
La scoperta principale per cui Rita Levi Montalcini vinse il Nobel per la medicina, insieme al suo collega Stanley Cohen, fu quella dell’NGF, il Nerve Growth Factor. In una lunga serie di ricerche, che si conclusero nei primi anni Settanta e che vennero inizialmente accolte con un certo scetticismo tra gli altri biologi, Rita Levi Montalcini, Cohen e i loro collaboratori identificarono uno dei primi e dei più importanti fattori della crescita, sostanze prodotte dal corpo e responsabili di una grande quantità di processi cellulari. L’NGF in particolare è essenziale per la crescita e il mantenimento dei neuroni, oltre ad avere un ruolo importante nel sistema immunitario.
La terza fase della sua attività scientifica iniziò quando si trasferì di nuovo in Italia, dopo il suo pensionamento nel 1977. In realtà Rita Levi Montalcini era sempre rimasta in contatto con il suo paese d’origine e fin dai primi anni Sessanta il CNR di Roma le aveva assegnato un laboratorio, che crebbe fino a diventare uno dei massimi centri di studi biologici in Italia.
Rita Levi Montalcini affascinava per l'eleganza, incantava per l'intelligenza, la tenacia, lo slancio verso il futuro a dispetto dell'età.
di K. Bellusci e L. De Biase IIA AFM
Com'è la vita a cento anni?
"Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.
E quando muore il corpo?
“Quando muore il corpo sopravvive quello che hai fatto, il messaggio che hai dato”.
Intervista Rita Levi Montalcini, per lo scrittore Paolo Giordano.
Ambientato ai tempi di Carlo Magno, Il cavaliere inesistente, di Italo Calvino, è l’ultimo racconto della trilogia I nostri antenati. Il protagonista è Agilulfo, uno dei tanti paladini, uomo di grande intelligenza e precisione. Conosciuto per la sua candida, rifinita e brillante armatura, Agilulfo è un cavaliere che non c’è, presente in battaglia non fisicamente, ma solo attraverso la forza di volontà. Non ha un corpo, non ha un volto, solo pura anima. Per via della sua diversità, l’unico con cui conversa è Rambaldo, schieratosi nell’ esercito con il solo intento di vendicare il padre. Si ritrova lui stesso in un’imboscata salvato da un’affascinante cavaliera, Bradamante, di cui egli s’innamora perdutamente ma che ha occhi esclusivamente per l’irresistibile Agilulfo. Altro co-protagonista è Gurdulù, personaggio alquanto buffo che crede d’essere tutto ciò che vede. Il racconto parla di una certa suor Teodora, costretta a scrivere racconti come compito all’interno del Convento, e che alla fine del racconto si rivela avere una doppia personalità. Ultimo co-protagonista, ma non per importanza, è Torrismondo che rivela d’essere il figlio di Sofronia, donna alla quale Agilulfo salva la verginità e grazie alla quale ottiene la sua carica in esercito. La presenza di un figlio mette evidentemente in discussione la sua verginità di allora, e di conseguenza anche il merito di Agilulfo, che parte in cerca della verità.
Consiglio la lettura di questo libro poiché dietro tanta fantasia e tanti colpi di scena si nascondono molti significati e insegnamenti. Il racconto fa riflettere sull’apparenza, su ciò per cui si fatica quotidianamente, per paura di non piacere all’altro o per paura di non essere abbastanza. Si vive cercando di cambiare, si tenta di diventare quello che, magari, neanche ci piace, solamente per piacere agli altri. L'apparenza ci fa dimenticare cosa siamo realmente, ci cambia e in negativo, ci toglie la nostra vera identità, proprio come Agilulfo, apparentemente affascinante, abile in battaglia, intelligente, “precisino”, antipatico quasi a tutti, ma dietro quella perfetta e invidiata armatura, non c’è nulla, il vuoto, l’oscurità. Agilulfo ama le sue vesti e il suo modo di essere, ma contemporaneamente soffre, non può gustare un buon pranzo e bere un bicchiere di vino, non gode, insomma, di una vita da umano. Si giudica e non si pensa come e perché una persona appare per ciò che non è. Si è bravi a valutare e disprezzare i gesti e le scelte altrui, senza chiedersi cosa c’è dietro e quanto fa soffrire. Calvino, attraverso Agilulfo e il suo non esistere, ci fa anche riflettere sulla forza di volontà. Anche se Agilulfo non c’è realmente ha imparato ad esserci e ad adattarsi anche senza un corpo. Con l’aiuto della sua passione e volontà è diventato il miglior soldato, e pur non essendo in carne ed ossa è presente. Allo stesso modo nella vita se si vuole si può, si può essere ciò che si vuole e si può fare quel che si desidera. Solo attraverso noi stessi possiamo raggiungere i nostri obiettivi.
di S. Leone IIIC SUTikTok, ormai tutti sanno cos’è e per i meno informati non è certo difficile cadere nelle sue “grinfie”. Molto di più di un semplice social, TikTok, in origine Musical.ly, spopola nel 2016 in America e successivamente in Italia. I contenuti virali sulla piattaforma erano per lo più brevi balletti di circa 15 secondi che riuscivano a smuovere il mercato musicale e dei trend. Tra i Musers ricordiamo gli italiani Elisa Maino, 6 milioni di follower, Marta Losito, 4,5 milioni di follower, e Luciano Spinelli, 7,6 milioni di follower, e la ballerina statunitense Charli D’Amelio che nel 2020 è stata la prima persona a raggiungere 100 milioni di follower.
L’impatto del social network cinese sugli adolescenti è enorme e riguarda molti ambiti: la creatività, la cultura generale e in minima parte anche l’ambito quotidiano con piccoli life hacks (piccole soluzioni a problemi quotidiani). La chiave del successo di Tik Tok è l’inclusività: ognuno può diventare “famoso” da un giorno all’altro. È il miglior trampolino per farsi notare, così è stato per il diciannovenne Matteo Romano, partecipante alla settantaduesima edizione del festival di Sanremo, che deve il suo successo proprio a TikTok e al suo algoritmo che, il 12 maggio 2020, manda virale un breve video contenente il primo minuto del suo primo inedito Concedimi pubblicato successivamente a novembre dello stesso anno. Da lì l’ascesa: partecipazione a Sanremo giovani, apertura dei concerti estivi di Emma Marrone, pubblicazione di altri due brani e infine partecipazione a Sanremo.
In questo periodo di pandemia, inoltre, la piattaforma è stata sfruttata al meglio per sensibilizzare alla sicurezza, al protocollo igienico e perfino alla campagna vaccinale. Per non parlare di tutti quei video che, a partire da marzo 2020, hanno strappato un sorriso in un momento in cui il mondo si è fermato.
Molti ritengono che TikTok sia un “social brucia cervelli”, causa alienazione delle capacità comunicative e distacco dalla realtà, credo, al contrario, che basterebbe dare il giusto peso e non sbilanciarsi, perché in fondo è solo un social dove ognuno mostra la parte di sé che vuole mostrare, e dove ognuno fa autopropaganda. “Di certo non tutti possono essere star in un mondo di groupie”, e proprio per questo l’algoritmo fa una selezione “darwiniana”, ma nulla a che vedere con altri social più tiranni, ad esempio Instagram dove la notorietà è molto più ristretta e riguarda un numero minore di persone.
Le conseguenze poi sul mondo del lavoro sono molte, con la nascita di nuove professioni come quella del Social Media Manager, che si occupa, attraverso la gestione dei canali social media, di promuovere brand, prodotti ecc. La cosa che lascia più a bocca aperta è che brand internazionali, come per esempio Pandora, scelgono persone note sui social per promuovere un prodotto: tutti possono essere su una copertina anche se non rientrano in canoni prestabiliti. TikTok è riuscito a rivoluzionare anche il mondo dell’alta moda, a partire dalla presenza di numerosi creator italiani e internazionali alle sfilate della Milano Fashion Week, come Dolce&Gabbana o Prada. Per non parlare del settore editoriale che ha visto affermarsi alcuni titoli mai emersi prima o riconfermare titoli classici attraverso il lancio dell'hashtag #Booktok, sottocomunità di TikTok nella quale ogni utente può trovare consigli su libri e/o recensioni.
Di certo è un mondo complesso e paradossale quello di TikTok: è il social che dimostra che si può emergere anche senza essere come vuole la società.
di M. Totaro IIA LCVenerdì 21 dicembre, presso l’Aula Blu del nostro Istituto, si è tenuto il primo incontro del gruppo Liberamente, coordinato dalla professoressa Rosanna Lobefalo. Riguardo al titolo da leggere e discutere, il gruppo ha indirizzato la propria scelta sul romanzo italiano L’acqua del lago non è mai dolce.
L’acqua del lago non è mai dolce è il romanzo più acclamato tra quelli scritti dalla giovane autrice romana Giulia Caminito, romanzo che le ha già procurato notevole fama e importanti riconoscimenti. È, difatti, proprio L’acqua del lago non è mai dolce ad aggiudicarsi l’ambito premio Campiello per l’anno 2021, e anche la critica non si è di certo risparmiata sul conto di Giulia Caminito. Acclamato dai più per l’emotività di cui è carico, il romanzo presenta un’attenta analisi sociale dell’Italia dei primi anni Duemila, toccando temi di spessore, attraverso scampoli di vita quotidiana.
La storia parla di donne, e di donne che lottano. La protagonista è Gaia, figlia di Antonia, moglie di un uomo rimasto invalido a seguito di un infortunio sul lavoro, e mai risarcito dallo Stato, e madre di quattro figli: due gemelli che richiedono attenzioni, un figlio che ha in testa la rivoluzione, Mariano, e Gaia.
Il romanzo si articola descrivendo una vita - o più vite insieme - fatta di classismo, scelte discutibili e lotta, lotta per stare al mondo. È sulle sponde del lago di Bracciano che Gaia cresce e "scalcia, molesta, si dimena per farsi posto, come i cigni portati nel lago”, ed è qui che scoprirà che l’acqua del lago non è mai dolce.
Trattasi di un romanzo che si assume il compito di parlare a voce grossa di piccoli nuclei ed esistenze ordinarie, talvolta esasperato nel desiderio di descrivere la realtà e la verità.
Seppur coinvolgente, a mio avviso il romanzo presenta una scarsa caratterizzazione dei personaggi, ai quali la scrittrice avrebbe potuto dedicare maggiore spazio e coinvolgimento, arricchendo la trama tessuta attorno alla storia principale.
Unico personaggio ampiamente caratterizzato è Gaia, la protagonista. Sicuramente non è una protagonista alla quale affezionarsi: Gaia si coprirà spesso del manto della vittima, seppur molte volte sarà proprio lei a vestirsi dei panni di carnefice, il più spietato di tutti. Gaia è certamente una vittima: vittima della società, vittima dell’Italia, vittima del classismo e di una fanciullezza ingiusta, ma scarsa è stata l’attenzione prestata al non far risultare tutta questa ingiustizia quasi ridondante, trasformandola in “vittimismo”. Ho trovato un’eccessiva voglia di aggiungere pathos, creare empatia con il lettore, e provare ad ottenerla in tutti i modi, obiettivo che molti scrittori, soprattutto giovani, ricercano.
Credo che L’acqua del lago non è mai dolce abbia sortito un effetto così positivo sul pubblico adulto, proprio per via di un gap generazionale. Sarà forse che i genitori, gli adulti, ci vedono come tanti Gaia? I giovani invece non si riconoscono nella protagonista, seppur l’autrice, proprio con quest'opera, provi ad avvicinarsi alla realtà delle nuove generazioni.
Ne consiglio comunque la lettura, soprattutto per l’interessantissimo dibattito e confronto generazionale che ne deriva: di certo in questo Giulia Caminito è riuscita.
Non resta che darci appuntamento al 18 febbraio, data del prossimo incontro di Liberamente, con Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Vi aspettiamo!
di M. Bellusci IIA LCIl Sinisgalli ricorda l'orrore della shoah
Il Giorno della memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 Gennaio per commemorare le vittime dell’Olocausto. Data particolarmente importante poiché in quell’esatto momento fu liberato il campo di concentramento di Auschwitz nel 1945. La scoperta di questo luogo rivelò tutta la crudeltà e la follia nazista, ma anche il lato peggiore del genere umano. Proprio per questo, per evitare di arrivare a commettere altri errori del genere, il senso della storia va curato conservando nella nostra memoria l'abominio di uno sterminio con milioni di morti tra ebrei, oppositori politici, omosessuali, portatori di handicap e diverse altre minoranze etniche e religiose. La scelta del titolo è stata ispirata al film La musica della memoria, storia di un giovane violinista di origine ebraica che viene accolto in una famiglia dove vi è un ragazzo della sua stessa età. I due diventano presto amici, tuttavia la Seconda guerra mondiale è alle porte. I violini hanno un ruolo importante nella storia della giornata della memoria: le note di questi strumenti portano un messaggio di speranza e di pace che, partendo dall’Olocausto, vuole essere di monito all’umanità affinché lo sterminio di un popolo non si ripeta mai più. L’ I.S.I.S Sinisgalli, come ogni anno, commemora la giornata della memoria durante l’Assemblea d’istituto tenutasi il giorno 27 Gennaio 2022. La nostra scuola per onorare questa giornata dedica un’ora di attenzione a questo importante evento. Significativo è stato l’intervento di uno dei rappresentanti di istituto, Maria Carmela Altieri, che ha detto: “È giusto poter immedesimarsi ma nessuno potrà mai capire il dolore di quel periodo oltre alle persone che l'hanno vissuto”. Dopodiché abbiamo visionato un monologo che sensibilizza sull’argomento facendo anche un collegamento con la canzone Esseri umani di Marco Mengoni. Interessante è stato l’attimo in cui è stato citato un estratto del libro di Anna Frank: “È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare, eppure me li tengo stretti perché malgrado tutto credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore”.
Per concludere l’ora di assemblea si è tenuto un minuto di silenzio accompagnato dall’espressione “il silenzio vale più di mille parole”.
di M. Belcore, V. Cirigliano IIB AFM
L’inquinamento è una problematica che colpisce sia l’uomo che la natura. Si è soliti pensare che si tratti di un fenomeno sviluppatosi recentemente, ma in realtà è sempre esistito, infatti possiamo dire che l’inquinamento odierno è solo il risultato finale di una successione di cambiamenti precedenti.
Originato da varie cause, che influenzano negativamente la condizione naturale dell’uomo e il contesto ambientale di riferimento, l’inquinamento è un problema globale che interessa tutti. Lo studio realizzato da Green Peace Italia in collaborazione con ISPRA ha indagato i settori maggiormente responsabili dei fattori inquinanti in Italia, principalmente il particolato che è un mix di particelle solide o liquide sospese in aria. Nel loro studio è preso in considerazione sia il particolato primario che quello secondario.
Globalmente si possono individuare eventuali cause inquinanti tra le quali la produzione di materiali non riciclabili e scarichi nocivi di vario tipo che vengono rigettate nell’ambiente come ad esempio gli scarichi industriali o delle imbarcazioni.
A seguito dei mutamenti ambientali l’agricoltura è passata da tradizionale a industriale incrementando l’uso di sostanze chimiche in agricoltura di fertilizzanti e di pesticidi non naturali e addirittura alla creazione di prodotti OGM in laboratorio. Da questi fattori sono nate varie problematiche che hanno delle ripercussioni non solo sull’ambiente ma anche sull’uomo, le quali variano da problemi respiratori a tumori della pelle ma anche allergie. Queste conseguenze sono dovute anche all’aumento della plastica che ha generato la formazione delle isole di plastica, portando a uno sbilancio alimentare e all’estinzione di alcune specie.
L’inquinamento ha portato a un innalzamento delle temperature causando problematiche come il riscaldamento globale da cui a sua volta derivano altre problematiche: la desertificazione, che rende incoltivabili i terreni causando uno squilibrio alimentare ed economico (aumentando il tasso di povertà nelle regioni colpite da tale fenomeno), lo scioglimento delle calotte polari (che ha portato ad un innalzamento del livello del mare), la confusione delle stagioni e fenomeni meteorologici estremi (trombe d’aria, inondazioni, piogge acide). A livello atmosferico vi è un danneggiamento a causa delle emissioni di CO2 e di polveri sottili che generano smog. Esempio eclatante è la situazione in India dove è stato proclamato il primo lockdown del Paese per via dello smog.
Per tutto ciò vi sono delle soluzioni sia a livello personale che globale. Esempio per le nuove e vecchie generazioni è il movimento Friday For Future, partito dalla svedese Greta Thunberg, attivista per lo sviluppo sostenibile contro il cambiamento climatico. Nel Friday For Future l’obiettivo è protestare per chiedere ai governi di rispettare gli accordi di Parigi sulle riduzioni delle emissioni di anidride carbonica. Tra gli altri accordi ricordiamo COP 26 Glasgow, che ha come obiettivi quelli di azzerare le emissioni a livello globale entro il 2030, puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°, diminuire i consumi per salvaguardare gli habitat naturali e la biodiversità, mobilitare i finanziamenti e collaborare. Inoltre bisognerebbe sostituire l’energia nucleare con quella rinnovabile come l’energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica e biomasse, perché si trattata di fonti a basso impatto ambientale.
Abbiamo potuto notare che l’energia nucleare, i gas di scarico e le fonti di inquinamento sopracitate, hanno avuto minore impatto durante la pandemia da Covid-19. Questo perché l’uomo è stato costretto a una stato di reclusione che gli ha impedito di danneggiare ulteriormente la natura, così quest’ultima si è potuta riprendere. Per evitare delle nuove lesioni bisognerebbe avvicinarsi al pensiero di Giordano Bruno: “L’uomo è natura”. Per il filosofo questa espressione indica un legame indissolubile tra l’uomo e la natura, poiché facciamo parte di essa e ferendola danneggeremmo anche noi stessi.
Classe IVD SUDopo quasi due anni di pandemia, di contagi, di tamponi, di lunghe chiusure intervallate da brevi, quasi fugaci periodi di aperture, di DAD poi divenuta DDI e di difficoltà relative al “nuovo modo” di vivere la scuola, gli studenti e le studentesse dell'Istituto d'Istruzione Superiore Leonardo Sinisgalli di Senise sono ritornati tra i banchi di scuola, seppur con mascherine e distanziamento, e con loro sono ritornate anche le assemblee studentesche in presenza; ritorna, per quanto minimo ed esiguo, un pizzico di normalità.
Lodevole l’iniziativa dei neo-eletti rappresentanti (Amendolara Rocco 5^A a.f.m., Ponzio Giuseppe 5^A c.a.t., Pangaro Antonio 5^A l.c., Altieri Maria Carmela 4^A l.c.) di trattare nella loro prima assemblea d'istituto, tenutasi sabato 27 Novembre 2021 presso i locali della palestra, le tematiche del bullismo e del cyberbullismo e, in merito a questo, di intavolare una discussione finalizzata alla prevenzione, al contrasto e alla sensibilizzazione di tali episodi che logorano vite, che sfiniscono famiglie.
La professoressa Luciana Critone, referente del bullismo e del cyberbullismo presso la sede centrale dell'Istituto, catturando fin da subito l'attenzione dei ragazzi, ha dato inizio all'assemblea studentesca, proponendo la visione di un filmato come spunto di riflessione (“morire di cyberbullismo: la storia di Carolina”), in seguito ad una breve ma decisa introduzione circa quei fenomeni, quegli episodi di violenza oggigiorno “sempre più insistenti e persistenti - sottolinea la prof.ssa Critone - che smuovono rabbia e commozione, che toccano nel profondo, così come la spiacevole vicenda di cui è protagonista Carolina, suicida a 14 anni.”
“Le parole fanno più male delle botte. Ma a voi non fanno male? Siete così insensibili?”, scriveva così, nella sua lettera d’addio, proprio lei, Carolina, una ragazza intelligente, altruista e sognatrice, amica di tutti, sempre sorridente e carismatica la cui vita si è fermata nel novembre del 2013 quando, diventato insostenibile sopportare gli insulti, le offese in rete, i commenti denigratori, l’umiliazione di vedersi, priva di coscienza, in un video virale sui social mentre alcuni suoi coetanei simulavano con il suo corpo atti sessuali, si è lanciata nel vuoto spegnendo per sempre la sua gioia di vivere e il suo sorriso.
“Il problema del bullismo e del cyberbullismo nella scuola deve essere affrontato con diverse strategie; – continua la prof.ssa Critone - è necessario prevenire e contrastare fenomeni simili, bisogna parlare, formare ed informare anche solo partendo dalle piccole realtà circostanti per apportare una modifica, per cambiare qualcosa, per fare in modo che la storia di Carolina non si ripeta più. Agire è la parola chiave, e sarete voi, ragazzi, gli artefici del cambiamento di cui abbiamo bisogno.”
Si è conclusa in questa maniera la prima parte dell'assemblea studentesca che, con le sue tematiche importanti, reali, concrete, ha offerto agli studenti una grande occasione di maturazione e crescita personale.
S. Tarantino IIA LCAntonia Pozzi, poetessa dalla breve e controversa esistenza, nacque a Milano, da una famiglia alto-borghese, il 13 febbraio 1912, divenendo poi un’autrice di grande talento, dimenticata e fortunatamente riscoperta.
Ricevette, anche grazie alla tradizione culturale della famiglia, una vasta e completa formazione, dedicandosi allo studio di musica, arte e scultura, di varie lingue, e numerose attività sportive, quali nuoto, sci e alpinismo, oltre che alla scrittura, per la quale mostrò interesse sin dall’adolescenza.
Le sue opere, fortemente caratterizzate dalla sua passione per la montagna, lasciano trasparire un forte sentimento malinconico, descritto metaforicamente attraverso narrazioni e descrizione di paesaggi montani, in maniera particolare Pasturo, luogo di villeggiatura della famiglia, il quale diverrà per lei rifugio e luogo di pace, dove dedicarsi alle sue passioni, cercando di sfuggire dal chiuso e antiquato ambiente familiare, il quale arrecherà non poche delusioni alla poetessa, costretta dal padre ad allontanarsi dall’amato, Antonio Maria Cervi, e oppressa, dal padre anche successivamente, con la forte censura delle sue opere.
Il velo malinconico dei suoi componimenti è tangibile, emerge in testi noti come Acqua alpina, nel quale ella afferma di aver “scordato il morso dei ghiacci”, riferendosi metaforicamente al suo stato d’animo, o come in Distacco dalle montagne, in cui afferma che la piccola chiesa di montagna in cui si dirige nell’ora del distacco “accoglie la sua malinconia”. Ancora, è possibile cogliere tale sentimento nel componimento Attendamento in cui, per descrivere le nuvole, si utilizza l’aggettivo “lacerate”, che ancora lascia intendere un qualcosa di più profondo, una sofferenza forte e differente, incompresa.
L’autrice, laureatasi nel 1935 e divenuta insegnante presso l’Istituto Schiaparelli di Milano, continuò ad essere accompagnata da quella che lei stessa definisce come una “disperazione mortale”, tale da portarla, nel 1938, all’età di soli 26 anni, a togliersi la vita, scordando, a suo modo, il "morso dei ghiacci."
di A. Arrigosi IIIA CLGrande partecipazione alla giornata di mobilitazione nazionale di venerdì 19 novembre 2021, più di duecento studenti la necessità di maggiori tutele. Il corteo, scortato dalla polizia municipale, è partito alle 9:00 da Via Persiani Aquilante. Queste le ragioni della manifestazione: edilizia, trasporti e percorsi formativi rivolti all’educazione sessuale e al benessere psicologico.
Le difficoltà inerenti ai trasporti, nonostante siano passati due anni dall’inizio della pandemia, ancora sono persistenti. I pendolari, sostenuti dal resto della collettività studentesca, dicono ’’no’’ ad un viaggio sovraffollato e poco sicuro che mette a rischio l’incolumità dei ragazzi. Altro problema è quello dell’edilizia scolastica, tanti ancora gli edifici da mettere in sicurezza.
È poi necessario cambiare la scuola, anche nei contenuti. L’educazione alla sessualità è uno dei percorsi formativi più interessante da svolgere soprattutto se indirizzato agli adolescenti. Esso include non solo la sessualità intesa come comportamento sessuale, ma anche l’educazione affettiva che è parte indispensabile della saluta e del benessere individuale. Promuovere l’educazione sessuale è inoltre sinonimo di manuale attraverso il quale si vive consapevolmente la propria sessualità.
La presenza di uno psicologo all’interno di alcune comunità scolastiche, come in quella del Sinisgalli, è una figura di grande importanza, segno della particolare attenzione che la scuola pone allo sviluppo e alla crescita individuale di ogni alunno.
foto e testo di M. Marino IIIA LCNella giornata del 16 novembre 2021 presso l’I.S.I.S. “L. Sinisgalli”, si è tenuto il primo incontro del neo-gruppo di lettura della Biblioteca d’Istituto LiberaMente in seguito all’adesione da parte della nostra scuola, a partire dal maggio 2021, al Patto Locale per la Lettura del Lagonegrese. Proposto a istituzioni pubbliche e private, il Patto per la Lettura, adottato dal CEPELL (Centro per il Libro e la Lettura), mira a rendere la lettura un’abitudine sociale diffusa, a riconoscere il diritto di leggere e a valorizzare le biblioteche.
Moderatrice del primo incontro è stata la Professoressa Rosanna Lobefalo, responsabile della Biblioteca d’Istituto con il professore Filippo Gazzaneo e la professoressa Maria Retta; presenti all'incontro la già citata Prof.ssa Retta, la Prof.ssa Totaro e la Prof.ssa Console. Il primo appuntamento ha visto la partecipazione straordinaria di Rosita Forastiere, referente del Patto per la Lettura del Lagonegrese, che, al termine di una presentazione generale del progetto, ha sottolineato la positiva influenza dei giovani nelle statistiche riguardanti la popolazione lettrice. Il gruppo, basato sulla condivisione di una lettura comune proposta, discussa e scelta insieme, sul confronto e l’ascolto di opinioni differenti, ha la finalità di stimolare la curiosità dei ragazzi nei confronti del mondo dei libri incoraggiando l‘approccio a nuovi generi attraverso una discussione costruttiva. Partecipare ad un gruppo di lettura - come sostiene la professoressa Lobefalo, testimone anche del gruppo di lettura MULA+, “fa apprezzare la lettura ancora di più in quanto al piacere solitario si aggiunge la bellezza della condivisione", condividiamo ancora il pensiero della professoressa, appassionata lettrice, quando afferma che "la lettura ha qualcosa di magico, ci fa uscire da noi stessi, ci fa incontrare l'altro e, nello stesso tempo, ci dà una maggiore consapevolezza di noi stessi."
I trentadue ragazzi partecipanti sono stati accolti dai docenti con la consegna di alcuni segnalibri realizzati per l’occasione riportanti i 10 diritti del lettore secondo Daniel Pennac come augurio di una piacevole permanenza.
È seguita la presentazione da parte dei ragazzi di alcuni titoli e passi significativi di letture passate, in particolare dal Circe e da La canzone di Achille di Madeline Miller e da Perché essere felice quando puoi essere normale? di Jeanette Winterson. Il titolo selezionato per questo primo mese è L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, libro vincitore del Premio Campiello 2021.
L’incontro si è concluso con l’augurio che il numero dei partecipanti possa aumentare, che questa avventura possa proseguire nel migliore dei modi e che possa essere guidata dal puro piacere di leggere e di condividere nuove esperienze.
La nostra impressione, dopo un primo confronto con questo nuovo progetto, è stata sicuramente positiva, speravamo in un’iniziativa del genere in quanto appassionate alla lettura e pronte ad accogliere varie opinioni in un confronto costruttivo su una materia di interesse comune. Perciò, sentiamo di invitarvi a partecipare, sicure che non ve ne pentirete!
J. Ciminelli, L. Giannasio, C. Rossi IIIA LCLo scorso 24 Febbraio siamo riusciti finalmente ad incastrare i nostri orari con quelli, sicuramente più caotici, del vicepreside dell’Istituto L. Sinisgalli di Senise Mario Chiappetta. Ne è venuta fuori un’intensa e formativa chiacchierata. Ringraziamo di nuovo il prof che si è reso totalmente disponibile sottraendo forse tempo ai suoi cari alunni per far posto a cinque “aspiranti giornalisti”. Rompere il ghiaccio con il prof non è stato affatto faticoso e il taglio formale è subito sparito lasciando spazio ad una più confidenziale conversazione.
Gli annali dell’Istituto Sinisgalli ci raccontano di una sua presenza fissa degli ultimi anni, presupponiamo insegni da tanto tempo qui.
“Dalla notte dei tempi. Sono qui dal 1986, quindi sono circa trentaquattro anni.”
È qui in veste di professore di Scienze motorie, possiamo definirla una scelta abbastanza inusuale?
“La scelta deriva dal fatto che sono sempre stato appassionato sin da piccolo dello sport in generale e quindi poi tutto l’iter scolastico, dal punto di vista universitario, aveva come secondo fine quello di poter fare Scienze motorie. Mi sento appagato della scelta fatta poiché è stato un obiettivo che ho perseguito nel tempo e oggi posso affermare che sto facendo ciò che volevo.”
Aspetto fondamentale dell’istruzione è sicuramente il rapporto con gli alunni, i segreti del successo dove possiamo ritrovarli?
“Credo che sia la cosa più bella che si possa avere, perché se sono ancora qui la forza la trovo proprio nel rapporto con i ragazzi. Andare in classe penso sia la cosa più bella che un insegnante possa avere al di là di quello che dicono, mantiene giovani. L'età passa, ma il rapporto con gli adolescenti non solo ti fa sentire più giovane e ... ti carica anche di tanti problemi. Li vedi crescere, cerchi di stargli vicino, cerchi di aiutarli, pretendi da loro ... sono la forza di questo lavoro. Chi non ha questa empatia e chi non ha questa voglia di stargli vicino, di assecondarli e di aiutarli viene con cattiva voglia a scuola.”
Insegnare è un’attività complessa che si porta dietro pro e contro...
“Ripeto, il rapporto con i ragazzi è quello che ti dà la forza di andare avanti giorno per giorno, i contro sono quelli che poi si trovano in qualsiasi altro lavoro: il rapporto con i colleghi e con il personale che non può essere uguale con tutti, le difficoltà oggettive perché fare questo lavoro non è semplice” .
Oggi, rispetto agli inizi, ricopre anche il ruolo di vicepreside, sicuramente sarà cambiato il suo approccio alla scuola e anche il suo modo d’insegnare.
“Sì, la differenza la fa il doppio ruolo. Prima in questa scuola, quando facevo solo il docente e l’allenatore all’esterno, organizzavo tornei. Con gli alunni facevamo incontri con altre scuole come può testimoniare la bacheca ricca di trofei dei campionati studenteschi che facevano i ragazzi e che mi vedevano sempre al loro fianco. Successivamente quando ho iniziato a collaborare con i dirigenti chiaramente il tempo è diminuito, è difficile far camminare insieme le due cose.”
Restando in ottica cambiamenti, è impossibile nascondere come il Covid abbia drasticamente mutato le nostre vite, immaginiamo abbia avuto problemi a insegnare una materia di movimento come la sua davanti uno schermo.
“Mi sono sempre posto il problema del rapporto con i miei alunni, specialmente per alleggerire la situazione. Devo dire che, però, sotto il punto di vista della partecipazione, sono stato fortunato ad avere dei ragazzi che hanno compreso, hanno capito, si sono messi a disposizione e hanno lavorato nei limiti del possibile, sempre secondo la mia idea del non essere un peso in più. Sicuramente il Covid mi e ci ha penalizzato molto perché, essendo una disciplina pratica, con tutti questi vincoli è stata molto condizionata.”
Ci ha raccontato della viva e forte passione per lo sport, il che ci lascia intendere che la sua sia e sia stata una vita da sportivo.
“Io volevo fare l’insegnante, all'epoca, di Educazione fisica ora Scienze motorie, e questo è stato l'obiettivo che ho sempre perseguito. Non era semplice perché la facoltà di Scienze motorie prima era a numero chiuso e la selezione era molto dura. Abitavo a Napoli, quando ho fatto il concorso per entrare eravamo più di 5000 aspiranti, solo nella provincia. Dopo aver preso il titolo, ho dovuto fare il concorso, l’ho vinto e sono entrato a scuola. La mia è una passione che riguarda tutto lo sport in generale, poi in particolare giocavo a calcio a Napoli, in giovane età facevo entrambe le cose; a 23 anni ho iniziato a lavorare e quindi mi sono dovuto spostare ed è venuto meno il discorso agonistico. La scuola è la scuola, io sono uno che quando fa qualcosa deve farla in un determinato modo e quando fai più cose il tempo viene meno, non è facile... Ho visto che mi toglieva tempo, quindi ho lasciato l’attività da calciatore, mi sono preso il patentino e ho iniziato ad allenare qui nei dintorni.
L’allenatore ... ruolo che nel mondo dello sport possiamo inquadrare un po’ come l’equivalente dell’insegnante nel mondo della scuola e a lei immaginiamo avrà aiutato tanto il doppio ruolo.
“La parte relativa alla docenza ti insegna e ti dà tanto perché si studia la psicologia, si studiano i rapporti interpersonali e questo ti aiuta tanto nell’attività: la gestione e l’organizzazione del gruppo, la preparazione degli allenamenti o di un pre-campionato.”
Con uno sportivo come lei non possiamo che concludere con una domanda sul mondo dello sport e sui relativi cambiamenti degli ultimi anni...
“La tecnologia ... se pensiamo solo ai materiali che c’erano 10/20 anni fa ci rendiamo conto delle differenze. Le scarpette, di calcio o di pallavolo, erano fatte in un determinato modo, poi la tecnologia le ha completamente rivoluzionate. Anche la programmazione, come per una squadra di calcio, prima bisognava trascrivere tutto a mano, adesso basta un clic e trovi tutto. Quindi sicuramente la tecnologia è stato il cambiamento maggiore.”
a cura di M. Bellusci, R.Capalbo, F. Cervini, J. Ciminelli, A. Di Sario IIIA LCIn modalità remota, il 2 marzo 2021 abbiamo intervistato il professore Filippo Gazzaneo, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Classico di Senise (PZ), coordinatore della rete OTIS e del Progetto d'Istituto Teatro, referente dei PCTO e scrittore.
Contento e orgoglioso di essere stato scelto per questa intervista, il Prof. ha reso piacevole il clima di quella che definiamo una discussione sulla filosofia e sulla storia, sugli impegni scolastici e il rapporto con le nuove generazioni.
Quando è perché è nato il suo interesse per la filosofia e la storia?
“L’interesse per lo studio della filosofia e quello della storia è nato nell'ambito liceale quando già all'epoca avevo una predilezione per queste materie. Considerando che parliamo di alcuni decenni fa, la partecipazione alla vita civile, politica e culturale era diversa rispetto ad ora: non migliore o peggiore, ma diversa. È proprio da questo che si è sviluppata la mia attenzione verso la storia moderna e contemporanea. Storia significava rispondere a un’esigenza di partecipazione alla vita civile, cioè conoscere bene il passato significava capire bene anche come muoversi nel presente: ecco la motivazione fondamentale.’’ Per quanto riguarda la filosofia, l’ho scoperta in ambito universitario ma è proprio durante la fase dell’insegnamento che mi sono riscoperto in questa materia e me ne sono appassionato”.
Qual è il ruolo della filosofia nella sua vita?
“La filosofia è una parte importante della mia dimensione esistenziale: ovviamente ci sono anche gli affetti familiari, gli amici, in questo momento, però, la filosofia è il mio rapporto con la lingua, con la parola. Ora ho un rapporto molto diretto e intimo con le mie parole, le scopro dentro, ci lavoro dentro e me ne escono tante. In questi ultimi tempi ho scritto tantissimo, di tutto, quindi la filosofia è proprio il riuscire a lavorare con le mie parole, ad avere un rapporto diretto con esse. La Filosofia sono le mie parole, questo è quello che mi sento di dirvi.”
In quale filosofo si rivede, oppure qual è il filosofo che le sta più a cuore?
“Man mano ci si innamora dei filosofi e adesso sono innamorato moltissimo di Hannah Arendt, una filosofa politica, sia per la scrittura intricata, non tecnica, ma cunicolare sia per la sua sorprendente capacità di dare delle risposte inusuali. È un’ebrea che ha un rapporto molto particolare con la Shoah, molto critico, rispetto non solo a ciò che hanno subito gli ebrei, ma anche rispetto al modo con cui hanno affrontato questo tema. Ha dato una lettura di Marx in una forma completamente inaspettata, che mi ha stupito, e questo credo sia il mio innamoramento più grande.”
Visto che la storia è stata sempre considerata come uno strumento per riuscire a capire gli errori fatti in passato, così da non ripeterli, anche per lei è così? Per lei è maestra di vita?
“La storia è una disciplina molto complicata e complessa, molto più della filosofia. La ho scoperta tramite uno storico francese Marc Bloch il quale ha intravisto nella storia la possibilità di modificare il modo stesso di considerare il passato, non presentato in forma di racconto, di narrazione. Colui che narra il passato decide di selezionare alcuni documenti e quindi di tralasciarne altri, perciò diciamo che non c’è una vera e propria storia oggettiva, non può essere mai il racconto di tutto. La particolarità della storia e che non abbiamo una panoramica del tutto, quello storico vede sempre una parte, una piccola parte del tutto anche delle storie universali, la storia invece va considerata come una modalità di osservazione per capire cosa è successo in forma analitica come un biologo, fisico guarda le molecole. Questo può fare lo storico: deve dare messaggi per il futuro, lo storico è un osservatore partecipe del passato, ma non è né un narratore perché diventa un narratore parziale e né un tacitore di messaggi, di insegnamenti, gli insegnamenti sono la vita quotidiana.”
Insegnare è stato sempre un suo desiderio oppure una conseguenza del suo interesse per la filosofia e la storia?
“Devo essere sincero: la scuola è diventata per me una passione molto forte, soprattutto scoprendo il rapporto con voi studenti. Tuttavia, il mio primo pensiero all'epoca era un altro: dedicarmi all’attività politica e giornalistica; la scuola, comunque, non è mai stata una seconda scelta.”
Generalmente come si approccia con gli alunni. Come si sta approcciando con loro in questo periodo di didattica a distanza?
“La mia modalità è quella del dialogo: un dialogo con un significato filosofico, che prende in considerazione punti di vista differenti cercando di trovare punti di incontro ma soprattutto di ascoltare perché il dialogo è anche ascolto.
Per quanto riguardo la Didattica a Distanza, penso che ci siano degli aspetti negativi e positivi. Sono convinto che la DaD, ancora oggi, sia limitante nell’attività dell’insegnamento. Mi sta facendo, però, scoprire aspetti positivi, quali l’uso del mezzo, del medium, che diventa fondamentale. Sto sperimentando nuove metodologie, per esempio riguardo alle verifiche orali: affido loro un tema, una questione, dando del tempo per ragionare così da farli parlare ininterrottamente per tre o quattro minuti; oppure, propongo loro di scrivere dei saggi a partire dal materiale consegnato affinché facciano dei lavori più dettagliati.”
Anche lei è dell’opinione che i giovani di oggi siano sempre disattenti e disincantati, che non si meraviglino più anche di materie scolastiche come quelle che insegna?
“Io ho esattamente l’opinione contraria, secondo me è un luogo comune. Quando parlo con i miei amici dico sempre che i giovani di oggi sono migliori di quelli che eravamo noi, innanzitutto per una conformazione concettuale e intellettuale. Confrontandomi con i colleghi, notiamo questa conformazione concettuale, una mentalità molto più aperta e un linguaggio molto più fluido e più intenso. Un altro aspetto che percepisco dagli sguardi, dagli istanti è la partecipazione, purtroppo limitata dalla DaD.”
L’anno prossimo inizieremo a studiare filosofia, qualche consiglio su come approcciarsi alla materia?
“Dovete approcciarvi con la più ampia disponibilità all’apertura mentale, a mettere in discussione il linguaggio e a sfidarlo, accettando la sfida del linguaggio complesso. L’anno scorso ho iniziato a fare filosofia in un modo diverso, cioè andando subito in profondità sul livello teoretico; per un po’ di tempo vedevo delle facce perplesse, però credo che bisogna avere il coraggio della sfida, del mettersi in discussione, soprattutto dal punto di vista logico-concettuale: smontare i preconcetti e andare con un’apertura culturale, concettuale e teoretica: essere pronti a essere sfidati da un linguaggio un po’ complesso.”
Lei è referente dei PCTO. Che cosa sono e che ruolo occupa in questa attività?
"PCTO, ex alternanza scuola lavoro, sono un’esperienza validissima, se fatti in presenza e non attraverso uno schermo, poiché in questa modalità diventano come un qualsiasi corso che si può fare a distanza. Sono la possibilità di avere uno sguardo nella realtà dei territori, un’attività fondamentale, per l’aspetto culturale. Alcuni ragazzi, per esempio, hanno lavorato in archivi, in biblioteche del territorio, in studi dove è stato possibile fare anche attività creativa, in archivi di chiese. Mi è stato affidato questo compito dalla preside e coordino questo percorso per il liceo.”
Com’è nata l’idea del progetto di un corso teatrale a scuola? Da quanti anni va avanti?
“Il corso teatrale è nato per caso. Io avevo un’esperienza amatoriale e sulla base di questo abbiamo creato il progetto che ha dato dei frutti molto molto interessanti. Abbiamo intrapreso una collaborazione con la rete internazionale OTIS e abbiamo avuto la possibilità di entrare in grandi teatri italiani, come Il piccolo Eliseo di Roma, piuttosto che in Russia. Abbiamo fatto queste esperienze, trattato e rielaborato testi teatrali. Il teatro è tre cose: pensare guardando, forma di ironia, incontrare te stesso e l’altro sul palco.”
Che valore ha per lei il teatro?
“È importantissimo. Ho iniziato tardi, avevo già superato i cinquant’anni, misurandomi con un personaggio che, inizialmente, non riuscivo a interpretare ma che mi ha sottoposto a una sfida, mi ha messo in discussione: ho sempre parlato in pubblico ma mai avrei immaginato di poter salire su un palco.
Poi la cosa cambia: quando sali sul palco da attore, da quel palco non vuoi scendere più perché inizia un rapporto strettissimo con il pubblico, hai l’adrenalina che da un lato ti mette ansia quando devi entrare in scena, ma quando lo si è e si comincia ad avere un rapporto con il pubblico diventa una cosa intensa, di cui è difficile fare a meno.”
Siamo venuti a conoscenza che la nostra scuola è compresa nella rete OTIS. Secondo lei è importante fare degli scambi interculturali? Perché?
“Sì perché l’interazione culturale è importante: voi me lo insegnate. La vostra generazione è una generazione che vive nel mondo, a differenza della nostra, voi già da subito siete catapultati nelle relazioni internazionali.
Il modo con cui ci confrontiamo con la rete OTIS è particolare perché vengono fuori esperienze tra di loro completamente diverse e da cui si ricava un arricchimento: io stesso ho imparato molte più cose.”
Professionalmente, c’è una domanda a cui non ha mai saputo dare una risposta?
“Per fortuna non si riesce a rispondere a tutte le domande. Un insegnante deve poter ascoltare le domande e renderle sue, ma non deve dare molte risposte, soprattutto sulla base di quello che è e di quello che sa, rispetto alle proprie esperienze, rispetto al modo in cui si sta con i ragazzi.
‘’L’autenticità, la passione, l’intensità che si mette nel lavoro, questo è il modo in cui si deve rispondere ai ragazzi.’’
Io credo che i ragazzi non vogliano risposte prefabbricate, gli studenti non vogliono dagli adulti delle “ricette”. Marx diceva “io non sono colui che prefabbrica le ricette per l’osteria dell’avvenire”. Andavano da lui e chiedevano come si facesse la rivoluzione, ma lui rispondeva che dovevano essere loro a saperlo, ognuno per le proprie condizioni storiche e politiche. Quindi l’insegnante non deve dare delle ricette, deve trasmettere la passione, deve far vedere che è vero, questo anche nell’errore, nello sbaglio, nell’ironia, perché si è veri sempre, anche quando si sbaglia, soprattutto quando si sbaglia. Quindi, io non credo a ricette, io dico sempre la mia ai miei studenti, nettamente.”
Al termine di questa piacevole intervista-discussione, ringraziamo il professore Gazzaneo per la sua disponibilità, per i suoi consigli e per i suoi pensieri profondi e sinceri.
a cura di L. Giannasio, A. Gioia, M. Marino, V. Ricciardi, A. Tuzio IIA LC a.s. 2020/21Senise, 27 febbraio 2021. In occasione del suo ritorno nel nostro Istituto, abbiamo deciso di conoscere meglio la Prof.ssa Rosa Papaleo. L’intervista si è tenuta presso il Liceo Classico “Isabella Morra” e la tensione iniziale è stata immediatamente sciolta solo grazie a lei e al suo forte umorismo. La professoressa è emozionata, gentile nell’animo e nelle parole, disponibile ad ascoltare e raccontare ciò che in pochi sanno, ha gli occhi lucidi quando parla del suo passato. Donna estremamente forte e solare, Rosa Papaleo spinge i suoi alunni a lottare.
Partendo proprio dal suo lavoro, come e quando nasce la sua passione per la giurisprudenza? E se potesse tornare indietro, rifarebbe lo stesso percorso lavorativo intrapreso?
“Sì, lo rifarei. La mia passione per la giurisprudenza non nasce subito, infatti nel momento in cui ho scelto questa facoltà nemmeno sapevo in cosa consistesse. Io, come voi, ho frequentato il liceo classico; al tempo, però, non si studiava diritto. Il mio obiettivo per il futuro era, ed è, aiutare gli altri. Per questo motivo ero indecisa tra la facoltà di medicina e giurisprudenza. Decisi la seconda, pur non sapendo a cosa andassi incontro. Capii solo lavorando che ciò che stavo facendo mi piaceva. Ho imparato, ad esempio, lo svolgimento di un processo autonomamente, facendo pratica su me stessa. Il tutto è stato molto difficile poiché, sfortunatamente, questa è solitamente una professione ereditaria ed io non avevo nessuno alle spalle. Nonostante ciò sono andata avanti facendomi forza, ecco perché spingo sempre i miei alunni a capire che la volontà può portarli lontano.”
In quale ramo del diritto è specializzata?
“Mi sono specializzata in processi penali e d’ufficio.”
Ricorda un caso da lei risolto, durante la sua carriera da avvocato, che le è rimasto particolarmente a cuore?
“Non esiste un caso più importante dell’altro, ognuno di loro lo è stato per me. Quando si pensa a un avvocato, si pensa sempre a una persona senza cuore. Io invece ci ho sempre messo il cuore, non ho mai fatto nulla per interesse personale. Ho sempre cercato di immedesimarmi nei miei clienti. Ricordo soprattutto casi di persone fragili, come quello di un ragazzo affetto da molte patologie e abbandono. Egli si trovava spesso nei guai a causa della sua incapacità, ma sono sempre riuscita a farlo assolvere. Ad un certo punto, però, sono stata costretta ad abbandonarlo, poiché la mia professione era incompatibile con quella di amministratore di sostegno. Sono rimasta davvero amareggiata. Ho capito che le persone sole sono destinate ad esserlo.”
Il 10 gennaio è la Giornata Internazionale degli avvocati in pericolo, dedicata a 5 avvocati giuslavoristi che furono uccisi nella Matanza de Atocha nel 1977. Ha mai temuto per la sua incolumità?
“No, non ho mai avuto paura, neppure quando seguivo il ragazzo di cui parlavo prima. Tutti mi dicevano di stare attenta e che fosse violento, ma io sapevo che a me non avrebbe fatto mai nulla. Non ho temuto mai nemmeno quando mi è capitato di difendere persone legate alla mafia.”
Oltre ad essere un avvocato, sappiamo che è anche un insegnante di diritto. Cosa l’ha spinta ad avvicinarsi al mondo scolastico?
“La curiosità. La curiosità di conoscere un mondo diverso da quello degli adulti. Il mondo di voi ragazzi mi spaventava inizialmente, credevo fosse una realtà più complessa e particolare. Ma la mia curiosità andò anche oltre a questo: avevo intenzione di vedere se la scuola fosse cambiata o meno dai miei tempi, volevo capire se finalmente esistesse quel rapporto alunno-insegnante che tutti desideravamo.”
In questi anni di insegnamento, quale rapporto ha instaurato con i suoi alunni?
“Spero vivamente di aver instaurato un buon rapporto. I primi tempi non sapevo come approcciarmi, perciò ho sempre cercato di pensare a come io, alla vostra età, volevo che stessero le cose. Ho sempre sognato di instaurare un rapporto di empatia con i miei alunni, al di là della disciplina insegnata. A me non piace il distacco, e avendo insegnato in diversi istituti ho capito che tutti i ragazzi, soprattutto quelli più scalmanati, hanno bisogno di questo rapporto. Provo ad insegnare anche valori, facendo capire che lo studio deve avvenire per sé stessi, senza tener conto del voto, esso è l’ultima cosa.
Le è mai capitato di avere in classe un alunno di origine straniera? Se sì, come si è approcciato con il resto degli alunni?
“Sì, ho avuto esperienze sia con alunni stranieri che disabili. Esse sono state differenti a seconda delle scuole; alcune di esse avevano alla base giusti principi ed erano più inclusive, altre invece no. L’anno scorso, ad esempio, insegnavo in una classe in cui c'erano due ragazzi di origine indiana. A causa della loro cultura non venivano accettati dal resto degli alunni ed erano sempre esclusi dal contesto classe. Allo stesso modo lo erano anche i ragazzi disabili. Al contrario, ho insegnato in altre scuole aventi ampia inclusione nei loro confronti; un esempio lo è la scuola di Venosa che, pur essendo piena di ragazzi disabili e stranieri, era ben amalgamata.”
Molto probabilmente questi ragazzi provenivano da Paesi molto distanti culturalmente dall’Italia. Come si sono approcciati a questa materia?
“Partendo dal presupposto che i ragazzi erano preparati e volenterosi di imparare, posso affermare che l’unico vero problema era la lingua: c’era chi riusciva a capire l’italiano e chi invece era costretto ad usare supporti, come Google traduttore. Questi problemi derivavano dal fatto che non sempre le scuole riuscivano ad orientare i ragazzi, ovviamente prima dell’inizio del percorso scolastico. Di conseguenza, molti ragazzi erano esonerati da alcune materie, tra cui la mia. In generale, pur venendo da culture diverse, i miei alunni stranieri erano interessati alla materia.”
Sostiene che sia di rilevante importanza l’insegnamento del diritto in tutti gli istituti superiori? Se sì, perché?
“L’insegnamento del diritto è estremamente importante in tutte le scuole di ogni indirizzo: solo conoscendolo possiamo essere cittadini consapevoli. Inoltre, solo studiando e imparando la materia possiamo comprendere quanto essa sia legata a tutte le altre discipline.”
Se avesse il potere di modificare un qualsiasi procedimento da attuare o in Parlamento o in Governo, quale sarebbe e come lo cambierebbe?
“Innanzitutto, modificherei tutto ciò che riguarda la Pubblica amministrazione e la burocrazia, perché molte delle loro attività sono lente e fanno perdere tempo, facendo rimanere l’Italia indietro rispetto ad altri stati. Licenzierei anche tante persone che non hanno uno scopo ben preciso e abolirei il centro per l’impiego. Snellirei l’Iter legislativo visti i tempi tanto lunghi, perché ciò comporta la ricorrenza continua al Governo. Penso questo poiché l’organo adibito alla creazione delle leggi e alla rappresentanza dei cittadini è il Parlamento, non il Governo. Infine, rivaluterei la giustizia: non è possibile che si sia bloccato tutto a causa di una pandemia.”
Se si fosse trovata nei panni dei costituenti nel 1946, quale articolo della Costituzione avrebbe contestato? Quale avrebbe aggiunto?
“Nessuno. La Costituzione Italiana è un testo perfetto, ogni singolo articolo è perfetto. Posso solo contestare il fatto che non viene applicata da noi cittadini.”
Quest’anno ha ricevuto l’opportunità di ricoprire un nuovo incarico, quello di coordinatrice della nuova materia di “educazione civica”. Cosa pensa circa il suo inserimento nella scuola? Quale importanza ha?
“L’insegnamento dell’educazione civica è fondamentale. In realtà non fa altro che applicare ciò che già si doveva fare prima dell’obbligo da parte del Ministero. Questa disciplina è estremamente importante perché accentua la trasversalità tra le materie insegnate.”
Per concludere, cosa le manca maggiormente del suo lavoro, sia come professoressa che come avvocato, prima della pandemia?
“Il contatto sociale. Io non sono fatta per i video, ma per il contatto fisico, sono abituata a tenermi in stretto contatto con i ragazzi. Mi manca proprio la relazione sociale; tutto ciò mi ha portato apatia, mi ha fatto diventare un po’ meno solare ed espansiva di quanto lo fossi prima, ma provo comunque ad esserlo. Io sono così, mi piace essere così e sono fiera di essere così.”
Non possiamo fare altro ringraziare nuovamente la nostra professoressa per il tempo che ci ha dedicato, togliendone un po’ da uno dei suoi momenti di riposo e rispondendo così sinceramente alle domande come solo lei è in grado di fare. Con quest’intervista una grande donna ha avuto l’opportunità di lasciare il segno e di fare quello che lei già fa tutti i giorni con ottimi risultati: insegnare a noi ragazzi i veri valori della vita perché, infondo, chi meglio di un avvocato sa cosa è giusto e cosa no?
di R. Amendolara, L. Ferrara, G. Grieco, M. Mastropierro, C. Rossi IIA a.s. 2020/21