L’uomo ha sempre dovuto confrontarsi con eventi catastrofici e lo ha fatto con paura, cedendo alla superstizione. Le malattie cambiano, ma il modo con cui l’uomo le affronta è pressoché lo stesso.
La solitudine
Come scrivono Paolo Diacono nell’opera Historia Langobardorum e Boccaccio nel Decameron, la solitudine è la parte caratterizzante di ogni morbo: oggi, non vediamo gente in giro, nei mezzi pubblici, nelle scuole e al tempo degli autori sopracitati non avremmo visto mercanti e folle riversarsi nelle taverne. La solitudine ha tante conseguenze: crollo di visite turistiche con conseguente crollo dell’economia; incrementa sempre più la paura e costringe allo sconforto che, come scrive Lucrezio nel De rerum natura, è una condanna a morte per le persone che morte non sono.
La preghiera
Un altro aspetto che accomuna tutti i morbi è la fede. Manzoni ne I promessi sposi scrive: “una campana del duomo dava il segno di recitar certe preci” riferendosi alla campana che tre volte al giorno richiamava le diocesi circostanti alla preghiera. Anche oggi, per alcuni, la preghiera è uno strumento per far fronte alla solitudine: al tempo del Manzoni i fedeli si affacciavano alle finestre, mentre oggi i fedeli si collegano via internet per pregare. Manzoni continua “avreste sentito un bisbiglio di voci e di gemiti, che spirava una tristezza mista pure di qualche conforto”: il conforto della peste di cui narra Manzoni è il conforto che i fedeli provano nel recitare un rosario o una preghiera, nell'assistere a una celebrazione liturgica. Lo storico Tucidide, invece, pensa che tutte le suppliche e le preghiere siano vane e scrive che anche la popolazione durante la peste di Atene (430 a.C.) capì che tutto ciò alimentava false speranze: si fece strada la rassegnazione.
I medici
Tucidide ricorda che i medici erano nella condizione di curare il morbo per la prima volta e molto spesso erano i primi a subire il contagio. Anche oggi i medici, i nostri soldati, combattono, non sanno di preciso cosa sia questa malattia, ma la combattono anche a costo della propria vita, come i medici descritti dallo storico ateniese.
La paura e la superstizione
Oggi gli strumenti di protezione individuale sono mascherine e guanti, ma al tempo di Manzoni, per esempio, le persone portavano al collo una boccetta con dell’argento vivo “persuasi che avesse la virtù d’assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilenziale”. E poi la paura di incontrare qualcuno: oggi la paura porta a cambiare strada, ma a quel tempo portava a camminare con un bastone. Poi, la superstizione: Tucidide narra che il popolo parlava di un avvelenamento dei pozzi come possibile inizio dell’epidemia. Ai tempi del COVID-19, si afferma che il popolo cinese, inconsapevolmente, abbia dato inizio all'epidemia mangiando dei pipistrelli.
Gli annunci
Tutti i giorni aspettiamo le 18:00 per “il bollettino”: ascoltiamo i numeri che esprimono sempre più la situazione drammatica. Intanto ci si prepara alla fase successiva, l’Europa è pronta per la “fase 2” durante la quale, come ha espresso la cancelliera Merkel, “non bisogna abbassare la guardia”. Ciò vuol dire che dobbiamo abituarci a vivere diversamente e che anche per fare uno sciopero, come quello organizzato a Tel Aviv, bisognerà rispettare le norme di distanziamento sociale e accettare anche ciò che ora sembra insormontabile.
I camion dell'Esercito e i monatti
L’immagine che qualche settimana fa veniva proposta era quella dei camion dell'Esercito che portavano via le bare dei morti a causa del COVID-19. Questa immagine può essere paragonata a quella che fornisce Manzoni: i monatti si fermavano presso le case dove vi era “una croce fatta col carbone”, cioè presso le case ove vi era un defunto. L’immagine agghiacciante dei camion è, quindi, incredibilmente simile a quella dei monatti del 1600 descritti da Manzoni.
L'assenza di cure uccide più del morbo
Lucrezio ricorda che i malati erano privi di cure ed è “l’assenza di cure che uccide” più del morbo. L’immagine delle fosse comuni scorre sui nostri schermi, fosse comuni simili a quelle descritte dall'autore latino che spiega come i corpi venissero ammassati. A quel tempo, tuttavia, vi era una possibilità: i famigliari potevano almeno seppellire i propri cari; oggi non ci è concesso per “evitare assembramenti”. I nostri cari muoiono, e noi possiamo solo limitarci ad aspettare che qualcuno li seppellisca al posto nostro.
Le conseguenze
Il crollo del sistema alberghiero e dell’economia è inevitabile: l’Italia, che prima di tutti gli altri, ha sperimentato gli effetti della pandemia, è un po’ diventata “l’untrice d’Europa” e le prenotazioni nell'ambito alberghiero e turistico sono in calo. Ai tempi della peste di Atene, la conseguenza fu la crescita della criminalità. Oggi, se la conseguenza non sarà la crescita della criminalità, il “dopo pandemia” sarà la povertà.
Una riflessione ...
Questa situazione può cambiare la società. Possiamo scoprire alcuni valori: lo stare insieme, l’importanza di un abbraccio e dei rapporti umani; può anche cambiare il nostro modo di vedere il mondo: non più come un ambiente indistruttibile, ma come un ambiente fragile, che può essere turbato e che merita il nostro rispetto.
L. Giannasio23 aprile 2020Fonti:
Tucidide, Guerra del Peloponneso II Lucrezio, De rerum natura VIPaolo Diacono, Historia Langobardorum II, 4G. Boccaccio, Decameron, Introduzione par.20A Manzoni, I promessi sposi cap. XXXIVLink video: la paura del contagio svuota i luoghi simbolo; Italia, Paese sospeso; Il bilancio nel mondoDalle corti di Provenza al dolce stil novo, da Francesco Petrarca a Yeats, il tema dell’amore anima e strugge i cuori di poeti e lettori di ieri e di oggi.
Vi invito a leggere il sonetto di Francesco Petrarca Se la mia vita da l'aspro tormento. In esso la figura femminile diventa umana a causa del trascorrere inesorabile del tempo, che è evidente nel grigio dei capelli e nell'assenza della luce (de’ be’ vostr’occhi il lume spento) che una volta illuminava lo sguardo della donna; con l'avanzare degli anni la donna cambia interiormente, diventa più saggia e misericordiosa, tanto che proverà pietà per il dolore che ha causato all'amante. L’autore del Canzoniere prende le distanze dalla concezione dello stil novo e ci consegna una grande rivelazione: l’amore è un’illusione. Già Guido Cavalcanti si era reso conto dell'inesattezza della corrente letteraria a cui apparteneva, perché l'amore inizialmente benefico si rivela poi forza oscura, dunque un'illusione.
Echi del sonetto Se la mia vita da l’aspro tormento, si trovano nel poeta irlandese William Yeats (1865-1939). Ne è prova la poesia Quando tu sarai vecchia, scritta per l’attrice Maud Gonne. Quest’ultima viene immaginata nel futuro, intenta a leggere un libro, la donna si ritrova a pensare al passato “Quando tu sarai vecchia e grigia / Prenderai questo libro”. L’amata non ricambia il sentimento dell’autore, ma egli le suggerisce di ripensarci perché se ne pentirà, perché sarà l’unico ad amarla in tutti i suoi aspetti. La poesia è stata ripresa, nel 1986, da Angelo Branduardi che con perfetti accordi di chitarra le dona una musicalità tale da renderla indimenticabile.
L’azione del tempo sulla figura femminile è presente anche in Valzer per un amore di Fabrizio De André, brano del 1964. Il testo è rivolto a una innamorata reticente, invitata ad accettare l’amore che le viene offerto perché il tempo vola e raggiunta la vecchiaia lei si pentirà del suo rifiuto: “che per piangere il tuo rifiuto / Del mio amore che non tornerà”. A differenza di Petrarca, Yeats e De André hanno in comune il rimpianto della donna, ormai anziana, per aver rifiutato l’amore in gioventù.
S. Zambrino6 marzo 20208 marzo 2020 - L’intera umanità sta vivendo un periodo di grande paura, causato dalla diffusione del coronavirus, virus Sars-CoV-2, che causa una grave infezione respiratoria. In questo momento così difficile, la ricorrenza dell’8 marzo è occasione per ricordare le tante donne che nel lavoro e nella ricerca sono impegnate a contrastare la diffusione del virus. Costanza e bravura hanno condotto il team, composto da Maria Rosaria Capobianchi, direttore del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani di Roma, da Concetta Castilletti (dottoressa di Ragusa) e da Francesca Colavita (ricercatrice precaria molisana), a isolare il virus; il risultato ottenuto è fondamentale per poter studiare il virus, capire i meccanismi della malattia e identificare i farmaci in grado di attaccare il virus.
Notevole è stato nel corso del Novecento il contributo delle donne alla ricerca scientifica e in occasione della Giornata internazionale della donna vogliamo ricordare, delineandone un breve ritratto, tre donne la cui determinazione ha consentito loro di affermarsi in epoche e settori in cui essere donne di scienza non era e non è semplice. È il caso di Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e Samantha Cristoforetti.
Rita Levi Montalcini nacque a Torino il il 22 aprile 1909 da Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico, e da Adele Montalcini, pittrice. L’infanzia e l’adolescenza della Montalcini si collocano in un periodo in cui le donne non potevano votare, citare qualcuno in giudizio, né possedere alcuna proprietà, né esercitare una professione; il loro ruolo si riduceva a procreare e occuparsi della casa. Nel 1930, nonostante il parere contrario del padre, la Montalcini si iscrisse alla facoltà di medicina all'Università di Torino, dove si laureò con il massimo dei voti nel 1936. Specializzatasi in seguito in neurologia e psichiatria, a seguito dell’emanazione delle leggi razziali nel 1938 la Montalcini fu costretta a emigrare in Belgio, dove, ospite dell’Istituto di Neurologia dell’Università di Bruxelles, ebbe la possibilità di continuare gli studi sul differenziamento del sistema nervoso. Medico nelle forze alleate (1944), accettò poi un incarico alla Washington University. Nel 1951-52, scoprì una proteina che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche, scoperta che nel 1986 la portò a ottenere il Premio Nobel per la Medicina con la seguente motivazione: «La scoperta del NGF all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos». Nominata senatrice a vita senatrice a vita nel 2001 “per aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”, Rita Levi Montalcini morì il 30 dicembre 2012, all'età di 103 anni.
Tredici anni dopo la nascita della Montalcini, a Firenze nacque Margherita Hack. Conseguita la laurea in Fisica, con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi, nel 1954 si trasferì all'Osservatorio di Merate, poi nel 1964 a Trieste, dove iniziò a lavorare alla radioastronomia. Numerose le collaborazioni con università straniere, dalla l’Università di Berkeley (California), all’Institut d’Astrophysique di Parigi (Francia), agli Osservatori di Utrecht e Groningen (Olanda), arrivando a pubblicare oltre 250 lavori originali su riviste internazionali: il trattato Stellar Spectroscopy, scritto a Berkeley nel 1959 assieme a Otto Struve, è considerato ancora oggi un testo fondamentale. A Trieste, dove diede vita nel 1980 ad un “Istituto di Astronomia” che fu poi sostituito nel 1985 da un “Dipartimento di Astronomia”: la scienziata ne fu direttore fino al 1990, diventando così la prima donna in Italia a dirigere un osservatorio astronomico. Margherita Hack si è spenta il 29 giugno 2013 a Trieste.
L’ultimo breve ritratto è dedicato a Samantha Cristoforetti, classe 1977. Maturità scientifica a Trento nel 1996, laurea magistrale in ingegneria meccanica all'Università Tecnica di Monaco di Baviera nel 2001, Samantha Cristoforetti nel 2009 è stata selezionata come astronauta ESA e nel 2012 è stata assegnata alla spedizione 42/43 sulla Stazione Spaziale Internazionale, così il 23 novembre 2014 Samantha è partita per lo spazio dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakhistan ed è tornata sulla Terra l'11 giugno 2015, dopo aver trascorso 200 giorni nello spazio.
Queste donne sono la dimostrazione che con forza, passione, sacrificio e studio si possono realizzare grandi sogni.
S. Berardi 8 marzo 2020PCTO al "Giardini" di Senise
Nella settimana dal 3 al 7 Febbraio 2020 la classe IV D del Liceo delle Scienze Umane ha svolto il PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l'Orientamento) presso la scuola primaria plesso "Giardini" di Senise. I tirocinanti sono stati suddivisi in gruppi di due o tre nelle diverse classi, dalla prima alla quinta, affiancando le maestre. Alcuni hanno avuto modo di interagire con i piccoli allievi, aiutandoli negli esercizi assegnati dalle insegnanti e accompagnandoli nelle attività scolastiche quotidiane quali lettura, scrittura, calcolo e nozioni di base. I ragazzi sono stati accolti molto bene sia dai docenti che dai collaboratori scolastici.
Nell'ultima giornata, quella del 7 febbraio, si è tenuta una simbolica manifestazione di accoglienza, condivisione e confronto con i ragazzi del centro SPRAR, durante la quale non è mancata la partecipazione del preside dell'Istituto ospitante. La mattinata è trascorsa all'insegna di domande, musica, multiculturalismo e tanta emozione.
I piccoli scolari hanno accolto l’arrivo dei ragazzi dello SPRAR con un bellissimo girotondo iniziale sulle note della canzone Girotondo intorno al mondo di Sergio Endrigo e hanno successivamente rappresentato dinanzi al pubblico presente, composto da docenti e alunni, l’esibizione corale del canto intitolato Un amico di Cristina D’Avena. I ragazzi del Sinisgalli sono stati davvero felici e soddisfatti di aver vissuto questa bellissima esperienza,seppur troppo breve, poiché ha permesso loro di conoscere meglio il vivace e colorato mondo dei bambini e di mettere in pratica anche alcuni degli argomenti studiati in classe nell'ambito delle Scienze Umane quali: le tecniche di apprendimento in età scolare e lo sviluppo infantile (in psicologia), oppure i diversi metodi di studio e i modi di apprendere e di insegnare (in pedagogia). È stato un bellissimo viaggio!
M.F. Anastasio e R. D'Aranno10 febbraio 2020A scuola di emozioni: PCTO presso l'IC di Valsinni
Dal 3 a 7 febbraio, per le attività relative ai percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO), abbiamo avuto la possibilità di lavorare con i bambini della classe seconda della scuola primaria dell’I.C. “Isabella Morra” di Valsinni.
Affiancate dall'insegnante Pasqualina Olivieri, abbiamo organizzato un’attività sulle emozioni: “la cassetta dei segreti”. Attraverso un lavoro di gruppo e una discussione collettiva abbiamo parlato di emozioni lasciando spazio alla voce dei bambini e così uno di loro ha detto che l’emozione è la felicità che sente quando la mamma gli fa le coccole. In seguito sulle facce di un cubo, realizzato con del cartoncino, abbiamo disegnato le emoji, quali espressioni di rabbia, tristezza, felicità e paura. I bambini, lanciando il cubo, a seconda della faccina che usciva, hanno parlato dei momenti in cui hanno provato quell'emozione. Abbiamo lasciato loro una scatola, “la cassetta dei segreti”, in cui ogni bambino potrà inserire dei bigliettini dove scrivere o disegnare l’emozione provata, e l’insegnante, leggendo i bigliettini, potrà non solo conoscere la/le emozione/i della quotidianità o di momenti particolari, ma potrà, con la classe, riflettere e dialogare per conoscersi meglio.
L’esperienza è stata molto positiva e stimolante. Un ringraziamento particolare alla Maestra Pasqualina che ci ha accolto calorosamente e ci ha piacevolmente coinvolto nelle attività didattiche.
Mercoledì 5 febbraio, nell'ambito delle attività di SanremoSol, le classi terze dell'IIS “L.Sinisgalli” di Senise hanno incontrato a Villa Ormond il maestro Enzo Campagnoli. Originario di Afragola, Campagnoli è uno dei migliori musicisti italiani, alla terza esperienza, dopo il 2016 e il 2017, come direttore d'orchestra al 70° festival di Sanremo. Il maestro ha parlato di quanto sia difficile emergere in mezzo a una folla, quando spesso la paura può avere il sopravvento; ha raccontato momenti della sua carriera di musicista, dei sacrifici e del coraggio che gli hanno consentito di realizzare i suoi sogni e gli hanno fatto raggiungere il teatro Ariston. Si è poi soffermato sugli elementi che, nelle esibizioni di un artista, determinano una buona performance: controllo delle emozioni e capacità di esprimersi sulla scena. Dalla fase teorica si è poi passati alla fase pratica: il maestro ci ha coinvolti in una breve ma interessante attività musicale. Per me è stato un onore e un piacere suonare davanti a un maestro d’orchestra e i consigli ricevuti saranno sicuramente utili per me che suono per passione e da autodidatta. È stato veramente molto emozionante ricevere gli applausi dei miei compagni nonostante qualche mia imprecisione. Infine, in cinque minuti, dando degli accordi per la tastiera e per la chitarra, è riuscito a creare un gruppo che insieme ha cantato e suonato Il mio canto libero di Lucio Battisti e Briganti si more di Eugenio Bennato. Al termine del seminario, che tutti hanno trovato molto interessante, lo abbiamo salutato; insomma un’esperienza che rifarei altre cento volte… peccato sia finita troppo presto.
V. Golia10 febbraio 2020Si viaggia tanto e talvolta anche inconsapevolmente: la mente è infatti uno dei mezzi più preziosi che possediamo in grado di portarci ovunque. Possiamo viaggiare addirittura in dimensioni che non esistono concretamente, ma che sono semplice frutto della nostra immaginazione. Da questi viaggiatori si distinguono, poi, i viaggiatori veri e propri, quelli col biglietto in mano, la valigia a fianco a sé e la stanza dell'hotel prenotata già da qualche settimana.
Ecco, è proprio questa la tipologia di viaggiatori che abbiamo incarnato noi studenti dell’IIS “Leonardo Sinisgalli” di Senise, quando, impegnati a Sanremo nelle attività del progetto di alternanza scuola lavoro SanremoSol, il giorno 6 febbraio, abbiamo avuto la possibilità di visitare la città di Nizza.
Nizza è - nel suo splendore più assoluto - una di quelle città da cui, se osservate con attenzione, è sempre possibile prendere qualcosa: un valore, una modalità di amministrazione, una strategia. Perciò il modo migliore per conoscerla è girovagare per la città, frequentando la gente del posto (anche solo per prendere un caffè al volo), osservandone l'organizzazione. E allora solo così potrai vivere Nizza, molto più di quanto potresti fare attraverso una guida turistica: credo sia stato proprio questo l'aspetto accattivante, che ha colpito un po’ tutti. E così inizi a sentirti un vero nizzardo, anche se questi conosce a stento il francese (il riferimento è a noi studenti in giro per la città, che, avendo a disposizione pochissime nozioni di lingua francese, ci siamo dovuti esprimere grossomodo in inglese). Non semplici turisti, che lì è frequente trovare, ma comuni cittadini a passeggiare come tanti, tantissimi lungo la Promenade des Anglais, il "lungomare degli Inglesi", emblema della città di Nizza dal 1821 (anno in cui fu costruito il lungo viale che costeggia il mare, Costa Azzurra). Qui è doveroso il richiamo alla memoria, al ricordo di quelle 86 vittime (innocenti) dell'attentato terroristico avvenuto tre anni fa, il 14 luglio 2016. Cammini e guardi il mare, calmo e infinito, per poi voltarti dalla parte opposta e scorgere la città, che è in perfetta armonia con quanto osservato precedentemente: non c’è alcun distacco; tutto è perfettamente coordinato. Anche con un occhio disattento è impossibile non notare il massiccio utilizzo di biciclette, l'aria pulita, l’impossibilità di trovare rifiuti agli angoli della strada. Emerge insomma subito l'immagine di una smart city, risultato delle tante innovazioni che il turista percepisce con occhi quasi meravigliati. Potremmo dunque prendere come esempio l'installazione in città di diversi sensori utili a regolare l'illuminazione pubblica, che aumenta o diminuisce in base al numero di veicoli in circolazione, all'orario ecc., così da garantire un notevole risparmio di energia elettrica. Ma vi sono, naturalmente, anche sensori per il controllo del traffico automobilistico, gestione dei parcheggi nonché ottimizzazione della raccolta rifiuti.
Visitare Nizza è una delle occasioni più belle che ti possano capitare nella vita.
C. Ciancio10 febbraio 2020Leggenda fuori e dentro al campo, icona del basket, vincitore di molti trofei e di un Premio Oscar con il cortometraggio Dear Basketball, Kobe Bryant ci ha lasciato il 26 gennaio, vittima di un brutto incidente in elicottero nel quale hanno perso la vita anche la figlia Gianna e altri otto passeggeri.
Nato nel 1978 a Philadelphia ma con cuore italiano, Kobe ha trascorso la sua infanzia nel nostro Paese per seguire il padre, giocatore di basket a Reggio Calabria, Rieti, Reggio Emilia e Pistoia. Intanto il nonno dall’America gli mandava le videocassette di Michael Jordan perché potesse imparare da Air Jordan, “il più grande atleta nordamericano del XX secolo”. Ha esordito a 17 anni nella NBA (la principale lega professionistica di pallacanestro degli Stati Uniti d’America), saltando il college, per poi passare ai Los Angeles Lakers che non ha lasciato più, infatti è stato il primo giocatore a militare nella stessa squadra per venti stagioni di fila. Con i Los Angeles ha conquistato 5 titoli e con la nazionale statunitense ha vinto due ori olimpici, a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012. Kobe era molto spavaldo e sicuro di sé, soprannominato showboat (fenomeno) anche se lui amava farsi chiamare black mamba, uno dei serpenti più velenosi al mondo; in campo era fantastico, nei momenti difficili era lui che si faceva avanti dimostrando di essere un vero leader. In campo non si poteva scherzare, era un maniaco del lavoro e competitivo al massimo, riguardava le partite giocate momento per momento per non commettere gli stessi errori e per studiare a fondo gli avversari; ogni mattina si alzava alle quattro per allenarsi, anche dopo il ritiro dalle competizioni per dare l’esempio ai figli. Kobe diceva sempre di aver sbagliato molti canestri ma si diventa Kobe Bryant se sbagli tanto e insisti e riprovi. Alla fine della sua strepitosa carriera, nella gara di addio, e in una serata storica, Kobe Bryant è riuscito a conquistare la settantatreesima vittoria stagionale e superare il record dei 60 punti; il 18 dicembre del 2017 i Lakers, in suo onore, hanno ritirato sia la maglia numero 8 che la maglia numero 24. Kobe, nel 2015, ha lasciato la sua tifoseria, i suoi Lakers e il suo basket con una lettera divenuta poi il cortometraggio da Oscar.
F. D'Onofrio27 gennaio 2020Lettera di addio al basket di Kobe Bryant
Caro basket,
dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre
e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum
ho saputo che una cosa era reale:
mi ero innamorato di te.
Un amore così profondo che ti ho dato tutto
dalla mia mente al mio corpo
dal mio spirito alla mia anima.
Da bambino di 6 anni
profondamente innamorato di te
non ho mai visto la fine del tunnel.
Vedevo solo me stesso
correre fuori da uno.
E quindi ho corso.
Ho corso su e giù per ogni parquet
dietro ad ogni palla persa per te.
Hai chiesto il mio impegno
ti ho dato il mio cuore
perché c’era tanto altro dietro.
Ho giocato nonostante il sudore e il dolore
non per vincere una sfida
ma perché TU mi avevi chiamato.
Ho fatto tutto per TE
perché è quello che fai
quando qualcuno ti fa sentire vivo
come tu mi hai fatto sentire.
Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker
e per questo ti amerò per sempre.
Ma non posso amarti più con la stessa ossessione.
Questa stagione è tutto quello che mi resta.
Il mio cuore può sopportare la battaglia
la mia mente può gestire la fatica
ma il mio corpo sa che è ora di dire addio.
E va bene.
Sono pronto a lasciarti andare.
E voglio che tu lo sappia
così entrambi possiamo assaporare ogni momento che ci rimane insieme.
I momenti buoni e quelli meno buoni.
Ci siamo dati entrambi tutto quello che avevamo.
E sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò,
che rimarrò per sempre quel bambino
con i calzini arrotolati
bidone della spazzatura nell’angolo
5 secondi da giocare.
Palla tra le mie mani.
5… 4… 3… 2… 1…
Ti amerò per sempre,
Kobe
Da ormai sei anni ha luogo in Italia “La notte del liceo classico”, evento che mette in comunicazione tutte le sedi del liceo a livello nazionale. La manifestazione nasce da un’idea del prof. Rocco Schembra, docente di latino e greco presso il liceo Gulli e Pennisi di Acireale, coordinatore e portavoce al Ministero da cui ha ottenuto l’approvazione. La connessione è davvero straordinaria: tutti i licei classici d’Italia coinvolti, ben 436, si danno appuntamento nello stesso giorno e durante la stessa fascia oraria organizzando esibizioni teatrali, declamazioni di poesie, esposizioni viventi e tanto altro nello spirito di tenere viva la cultura classica.
Anche il liceo classico "Isabella Morra" di Senise vi prende parte, quest’anno per la seconda volta. Ho deciso di capire di più di quest’evento e delle sue emozioni, intervistando Camilla Marino alunna della classe III A.
Siamo alla 6^ edizione nazionale e la 2^ per il nostro liceo "Isabella Morra" de “La notte del liceo classico”. Che significato ha per te questo evento?
"Credo che la notte del liceo sia un modo per riscoprire e custodire la bellezza della cultura. Ogni giorno siamo a contatto con la cultura classica ma è solo durante questo evento che ognuno di noi riesce a sentirsi parte di un qualcosa di più grande: un mondo parallelo che si ferma tra tradizione e modernità".
Il XXI secolo è soprannominato “il secolo digitale”. Cosa rappresenta in questi tempi stare a continuo contatto con un mondo che sembra sempre più lontano?
"A cosa servono il greco e il latino? Questo è ciò che si domandano molti genitori insieme ad intere schiere di alunni. Nessuno entra in negozio e si esprime in queste lingue. Nonostante questo però, il loro studio offre buone possibilità lavorative: comprendere le origini e la storia della cultura occidentale, riflettere in modo critico sulla realtà contemporanea in modo efficace ed ampliare il proprio lessico attraverso lo studio etimologico e semantico delle parole. Studiare queste lingue non significa escludere le conoscenze tecnologiche, ma arricchirle al fine di avere una visione più ampia di ciò che ci circonda".
Alcuni sostengono che “la notte del liceo classico” sia solo un mezzo per pubblicizzare un indirizzo anacronisticamente legato all'idea di essere una scuola “superiore”. Cosa rispondi?
"Non credo sia vero. La notte del liceo non nasce come reazione ad uno stereotipo, che ritiene questo indirizzo espressione di un modello formativo troppo elitario, selettivo e per alcuni aspetti anacronistico, ma come ricerca, esaltazione e manifestazione dell’arte in tutte le sue forme. Io sono convinta che ogni indirizzo sia particolare a modo suo e sicuramente lascia una traccia nella matrice cognitiva ed emotiva di colui che lo frequenta. Ed è grazie allo studio delle materie classiche che sviluppare questo pensiero diviene facile. Basti pensare che una delle prime cose che si acquisisce dal contatto con la cultura classica è la sensibilizzazione dell’anima nei confronti delle altre culture. Gli stessi romani forgiarono la loro grandezza imparando dai popoli vicini o sottomessi".
Dunque l’iniziativa sembra funzionare, e anche molto bene. La notte del liceo classico infatti riesce pienamente nel suo intento di mantenere questo indirizzo ancora “al passo coi tempi”.
P. Castronuovo17 gennaio 2020Minori sfruttati nel mondo del lavoro; ieri come oggi un fenomeno da debellare
Il lavoro minorile è mentalmente, fisicamente, socialmente e moralmente pericoloso e dannoso per i bambini; interferisce con la loro istruzione privandoli dell'opportunità di frequentare la scuola, obbligandoli ad abbandonarla prematuramente o richiedendo loro di cercare di conciliare la frequenza scolastica con un lavoro troppo lungo e pesante. Si tratta di attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e lo sviluppo morale dei bambini. Il fenomeno è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta. L'età minima generale, nell'ambito del lavoro minorile, deve essere fissata in misura non inferiore all'età in cui termina la scuola dell’obbligo, né in ogni caso inferiore ai 15 anni. Già nell'antichità esistevano forme di sfruttamento legate alla schiavitù o al lavoro agricolo, i bambini partecipavano attivamente alle attività produttive e sociali, come l'accudimento dei bambini, la caccia e l'agricoltura. Bambini e adolescenti hanno sempre lavorato, ma il fenomeno non è stato considerato un problema sociale se non dopo l'avvento della rivoluzione industriale, che introdusse tempi e metodi di lavoro fortemente penalizzanti per il lavoratore (pesante attività in fabbrica, lunghi tempi di lavoro) e diede inizio allo sfruttamento sistematico del lavoro infantile. I bambini erano apprezzati per l'agilità e le dimensioni ridotte dei loro corpi, caratteristiche particolari che li rendevano più adatti degli adulti per alcuni lavori dove era necessaria destrezza manuale e precisione. Spesso le condizioni in cui lavoravano erano letali o potevano causare gravi danni soprattutto al fisico. Lavoravano addirittura dalle 10 alle 14 ore al giorno e contraevano spesso malattie quali asma, allergie, scoliosi, rachitismo. Intorno agli inizi dell'Ottocento,in Italia, quasi l'80% dei minori era impiegato in tutti i settori produttivi, principalmente nell'agricoltura ma anche nelle fabbriche e nelle miniere. In Asia, Africa e America del Sud la situazione era devastante. Verso la seconda metà dell'Ottocento, il lavoro minorile cominciò a diminuire in tutte le società industrializzate, grazie alle regolamentazioni e ad alcuni fattori economici, tra cui la crescita dei sindacati. L'introduzione della scuola dell'obbligo fu il fattore più decisivo per ridurlo in Europa. Agli inizi del Novecento, cominciarono a essere messe in campo misure per abolire definitivamente il lavoro infantile nei paesi industrializzati. A livello internazionale furono create l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e l'UNICEF, rispettivamente dopo la prima e la seconda guerra mondiale, per portare condizioni di lavoro più sicure per gli adulti, istituire limiti minimi di età per il lavoro, migliorare le condizioni di lavoro per i bambini ed eliminare il lavoro minorile in tutto il mondo. Furono inoltre create alcune ONG, locali e internazionali come l’IPEC (Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile) fondato nel 1992 dall'ILO. Il 12 giugno 2002 fu proclamata la prima "Giornata internazionale contro lo sfruttamento del lavoro minorile”. Secondo indagini dell'ILO del 2016 si stima che nel mondo ci siano circa 218 milioni di bambini lavoratori, di cui 152 sono vittime di lavoro minorile. Al giorno d’oggi, l’Africa Sub-sahariana è la regione del pianeta con il più elevato tasso di lavoro minorile. Solitamente i minori sfruttati nel mondo del lavoro provengono da famiglie povere e da una classe sociale bassa. I settori produttivi in cui vengono prevalentemente impiegati sono: agricoltura, industrie e servizi, lavoro domestico, lavoro coatto e schiavitù, guerra (si parla, infatti, di “bambini soldato”, impiegati in operazioni militari o illegali in tutto il mondo). La responsabilità del lavoro minorile va attribuita in primo luogo alla povertà. Nonostante i numerosi provvedimenti attuati, i bambini vittime di schiavitù, maltrattamenti e privi di educazione sono ancora molti; diamoci pertanto da fare per cercare di cambiare le cose.
M.F. Anastasio e R. D'Arannogennaio 2020Per l’intero anno di “Matera Capitale Europea della Cultura 2019” è stata allestita nella città di Matera la mostra d’arte La Persistenza degli Opposti, dedicata all’artista catalano Salvador Dalì. Oltre 200 opere originali sono state esposte tra le mura delle chiese rupestri di San Nicola dei Greci e Madonna delle Virtù. Il movimento artistico del Surrealismo, sviluppatosi fra le due guerre mondiali, a cui Dalì aderisce si caratterizza per il singolare accostamento di oggetti apparentemente senza un ordine logico, distribuiti in scenari normali, con lo scopo di testare l’immaginazione dello spettatore. Sono questi gli anni in cui il neurologo e psicologo Sigmund Freud fonda la psicoanalisi, teoria inerente il procedimento di indagine di processi psichici inconsci. Il pensiero freudiano influisce profondamente sull’arte di Dalì, il quale cerca di inglobare all’interno del proprio mondo il nuovo, rivoluzionario, concetto di inconscio. La scultura in bronzo Donna in Fiamme, realizzata nel 1980, è un eccezionale esempio dell’interiorizzazione che Dalì fa, attraverso la propria arte, delle scoperte freudiane. L’opera occupa un posto di rilievo nella produzione scultorea daliniana e sintetizza efficacemente la sua fase surrealista .
Donna in Fiamme presenta due delle tematiche più care a Dalì: il fuoco e l’immagine della figura femminile scomposta in cassetti. Ad esse si aggiungono numerosi oggetti-feticcio caratteristici del simbolismo daliniano (protuberanze, stampelle). Lo stile dell’artista è ricco di simboli e immagini ricorrenti, per lo più tratti dalla vita quotidiana, per mezzo dei quali egli elabora le sue paure e ripropone i suoi oggetti preferiti, divenuti simboli eterni dell’essenza stessa del suo pensiero surrealista. I cassetti del corpo umano sono simbolo della memoria inconscia ed è così che Dalì dimostra apprezzamento e ammirazione per l’opera di Freud, il quale affermava che “il corpo umano è pieno di cassetti segreti che solo la psicanalisi è in grado di aprire”. La figura femminile dal corpo arcuato all’indietro è avvolta dalle fiamme che rappresentano una passione ardente che si diffonde dai piedi verso l'alto a dare l’impressione che l’intera figura sia consumata dal fuoco. In tal modo, le fiamme simboleggiano la parte latente del desiderio femminile. La scultura è compartimentata in nove cassetti semi-aperti, disseminati lungo il corpo femminile. I cassetti sono un’allegoria dell’inconscio in quanto fungono da ingresso in quel mondo interiore femminile, popolato di sentimenti, desideri, misteri, manie, fobie, e rappresentano la sessualità nascosta delle donne. Esprimono, inoltre, la naturale tendenza umana a esplorare quanto vi è di chiuso. Rappresentati leggermente aperti, i cassetti suggeriscono che i segreti custoditi sono ormai noti e non vi è più bisogno di temerli. Alcune parti del corpo sono prolungate a formare protuberanze sostenute da stampelle che appaiono quasi come scettri, così da metterne in rilievo l’autorità e l’importanza; sono simbolo di morte e di resurrezione ed infondono un senso di sicurezza e di sostegno, di forza e di stabilità. Priva di volto, la figura rappresenta simbolicamente tutte le donne e la sua bellezza deriva non solo dalla forma sensuale, ma da un senso di mistero interiore che sembra scaturire da ciò che sceglie di nascondere piuttosto che da quanto desidera rivelare.
D. Cascino e R. LofiegoUscita didattica 13 dicembre 2019La mostra “Il Pane e i Sassi”, allestita in una casa palaziata, tipica del Sasso Barisano è stata promossa dalla Galleria degli Uffizi e dalla Fondazione Sassi. L’evento rientra nel progetto “La Terra del Pane” che ha previsto una serie di attività attinenti alla tematica del pane visto sotto il punto di vista artistico; ciò ha portato a contatti con le realtà artistiche più prestigiose d’Italia e in particolar modo con la galleria degli Uffizi, alla quale è stato richiesto un prestito di 14 opere, degli anni d’oro dell’arte italiana (1500-1700), che avessero attinenza con il pane da un punto di vista delle nature morte, delle nature di genere e delle pitture a carattere sacro.
La mostra figurativa è allestita in quattro sale delle quali la prima è dedicata alle nature morte, soggetti a carattere pittorico che da Caravaggio in poi diventano dei veri e propri generi. Punto di diamante della mostra l’opera Natura morta con pane, formaggio, porri e fiasco di Velasquez, con riferimenti alla pittura di Caravaggio, grazie al gioco di luci e ombre, la presenza del fondo nero e la centralità di ogni singolo elemento nella scena. Gli elementi visti nel loro insieme rappresentano due tipi differenti di storia: da un lato una storia di tipo cristologica di rimando al martirio di Cristo, dall'altro lato diversi elementi che rimandano alla religione dell’orfismo. Sono presenti il pane e il vino come rimando al corpo e al sangue di Cristo, il coltello come rimando al martirio, il formaggio come rimando alla morte poiché si realizza dalla scissione tra latte e caglio come la morte si realizza dalla la scissione tra corpo e anima. Il canovaccio sul tavolo rappresenta il sudario e la sindone e il piatto d’argento con il riflesso del formaggio al suo interno rappresenta la resurrezione. Fuori dal tavolo gli elementi di rimando all'orfismo: il contenitore aperto come corpo che è morto e lascia liberare l’anima, i porri rappresentano l’anima vera e propria perché sono ancorati alla terra finché qualcuno non li raccoglie esattamente come l’anima è ancorata alla terra finché il corpo non muore, così lo slancio verso l’alto è simile allo slancio che ha l’anima quando si libera. Le interiora rappresentano il corpo come contenitore, Velasquez mette in primo piano il cuore; all'interno delle interiora dell’animale si possono osservare due differenti autoritratti dell’autore: uno frontale e uno di profilo.
Altre opere riprendono episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento: Riposo dalla fuga in Egitto di Francesco Albani (1659-1660), modello della pittura paesaggistica (o pittura di paesaggio) del Seicento; Ultima cena di Leandro Bassano (circa 1590), uno dei capolavori della pittura italiana del XVI secolo, in cui la drammaticità della scena è caratterizzata dallo stato d’animo degli apostoli - pescatori scalzi - che appaiono sconcertati all'annuncio del tradimento di uno di loro; La raccolta della manna di Fabrizio Boschi (circa 1594-1597), che reinterpreta uno dei temi più significativi dell’arte cristiana; La messe di Arturo Tosi (1926), opera capace di esprimere armonia e quiete della natura; Il mulino di Filippo Napoletano (1620-1621), che mette in luce la verità del lavoro quotidiano.
La mostra, dunque, come ha chiarito il direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Schmidt, “è un’opportunità unica per gli appassionati d’arte di ammirare la bellezza originale di queste opere che raccontano un alimento singolo nella città capitale Europea della Cultura 2019”.
S. Berardi e A. TaccognaUscita didattica 13 dicembre 2019Matera con i suoi 60.388 abitanti è la seconda città più popolosa della Basilicata: luogo unico e straordinario, patrimonio dell'umanità dal 1993. Affascinante e coinvolgente, la città dei sassi, scelta come Capitale Europea della cultura 2019, è un piccolo gioiello, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato.
Capitale Europea della cultura per il 2019, nel corso dell'anno, Matera ha offerto ai tanti visitatori numerosi spettacoli, mostre, eventi (tra i più significativi indubbiamente la sfilata dei Carnevali antropologici) e l’indiscutibile bellezza del suo paesaggio caratterizzato dalla presenza di tante chiese rupestri. Risalenti al periodo storico dell’alto Medioevo, le chiese rupestri erano collegate all'insediamento nel territorio di tante istituzioni ecclesiastiche e civili come i benedettini.
Proprio all'interno di due chiese rupestri - la Chiesa di Madonna delle virtù e la Chiesa di San Nicola dei Greci - è stata allestita la mostra “Salvador Dalì, La persistenza degli Opposti” con circa 150 opere tra sculture grandi e piccole, illustrazioni in vetro e arredi dell'artista. La Chiesa di Madonna delle Virtù risale, secondo alcune fonti, al XII secolo come periodo di escavazione e, come tutte le chiese rupestri del territorio materano, si contraddistingue per la sua “architettura in negativo” che la rende unica nel suo genere. La Chiesa di San Nicola dei Greci si sviluppa in due navate divise da un muro e terminanti entrambe in un presbiterio. La cripta acquista valenza soprattutto per la sopravvivenza di importanti affreschi che, nonostante l’ingiuria del tempo e le continue erosioni delle pareti rocciose, permangono a testimoniare la successione, nelle diverse epoche, del gusto e della cultura locale.
Da segnalare anche la mostra “Il pane e i sassi”, in collaborazione con la Galleria degli Uffizi di Firenze sul tema della panificazione, elemento fondamentale della cultura e della storia di Matera, e, presso il Museo Palazzo Lanfranchi, la mostra “Il Rinascimento visto da Sud” con più di 180 opere provenienti da prestigiosi musei italiani ed europei.
Crediamo che il progetto più importante e più significativo sia stato “Matera 2019 - Capitale per un giorno”, rivolto a tutti i comuni lucani, finalizzato a sostenere le proposte creative dei singoli comuni per valorizzarli dal punto di vista turistico. attraverso la realizzazione di attività culturali. Il progetto si è dimostrato molto significativo perché Matera è stata valorizzata l’intera Basilicata.
Che dire, questo anno, ormai concluso, è stato per Matera, e per la Basilicata, un anno ricco di esperienze, emozioni e soddisfazioni, raggiunte grazie all'impegno e all'entusiasmo dei cittadini e delle associazioni.
R. Aloia e S. Castellucciodicembre 2019