Petali di tradizione: dove le radici cantano e i fiori narrano storie
di S. Tarantino VA LC - Vocalist del gruppo “Sinis Music Band”
Un omaggio a una delle maggiori interpreti della comunità arbëreshe, Enza Scutari.
Così nasce Lule sheshi / Fiori di prato, un libro che mi piacerebbe definire come un racconto vivo, capace di intrecciare memorie personali, tradizioni orali e musicali, oltre alle voci di una comunità che ha saputo mantenere viva la propria identità culturale nel corso del tempo.
Il progetto prende forma attraverso la poesia e la musica, due linguaggi che la scrittrice Scutari ha sempre considerato fondamentali per l’educazione e la crescita dei bambini. Ogni testo, ogni nota racchiude l’anima di un popolo che si esprime attraverso la propria lingua, i propri ritmi e le proprie melodie.
Lule sheshi non è solo un tributo alla poetessa, ma è anche una testimonianza del valore della tradizione orale e musicale, un ponte tra passato e presente, tra le generazioni che hanno custodito e trasmesso questo patrimonio. Nel 2010, uno dei testi poetici di Enza Scutari, musicato da Nicola Scaldaferri, Lule sheshi, ha dato il titolo a un progetto poetico e musicale dedicato alla stessa autrice (Lule sheshi. Omaggio all’arte poetica di Enza Scutari, a cura di Alexandra Nikolskaya e Nicola Scaldaferri, con il contributo di Anna D’Amato e Carlo Serra), culminato nella realizzazione di un volume comprensivo di un CD che include una serie di brani originali (Lule sheshi, Maçi e miu, Kapuçeti i kuq, Trëndafila baxhanare), per i quali Scaldaferri ha creato nuovi arrangiamenti strumentali, collaborando con altri musicisti professionisti, come Mirkovic Ensemble, insieme ai membri del gruppo Vjesh di S. Costantino Albanese. Un tributo che restituisce uno spaccato vivido della vitalità di una tradizione in continua evoluzione.
Eredi di questa tradizione sono le giovani generazioni, che hanno l’opportunità di riscoprire e apprendere il repertorio musicale della propria terra, intrecciando un legame profondo con le radici della comunità cui appartengono. Questo percorso non si limita a un semplice trasferimento di conoscenze, ma si trasforma in un’esperienza emozionante, un viaggio che porta i ragazzi a esplorare le proprie origini e a riflettere sulla storia, sulla cultura e sull’identità che hanno forgiato il presente. La musica, con la sua straordinaria forza narrativa, emerge come uno strumento privilegiato in questo cammino. Ogni canto e ogni melodia raccontano il passato e proiettano una visione verso il futuro, offrendo una connessione viva e tangibile con le tradizioni.
Conoscere e comprendere le proprie radici culturali è essenziale per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità, permettendo ai giovani di sentirsi parte attiva nella costruzione di un patrimonio condiviso, che non solo si conserva, ma continua a evolversi nel tempo. Enza Scutari, con il suo instancabile impegno come insegnante, animatrice culturale e scrittrice, ha dedicato la sua vita a questa causa. Attraverso i suoi componimenti, ha saputo dare una nuova dignità espressiva alla lingua arbëresh, elevandola a un livello di prestigio e riconoscimento pari a quello delle più autorevoli lingue letterarie. Nata come Vincenzina Cetera nel 1926 a Farneta di Castroregio (Cosenza), la signora Scutari ha trascorso gran parte della sua vita a S. Costantino Albanese, in Basilicata, dove si è dedicata con passione all’insegnamento nella scuola primaria dai primi anni '50 fino agli anni '90. Poetessa e autrice bilingue, scrivendo in arbëresh e in italiano, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti come il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio e il Premio Giacomo Leopardi. Un’attività creativa, la sua, che si intreccia strettamente con la fede religiosa, la pittura, la musica e, soprattutto, con il suo ruolo educativo, considerato una vera missione di vita. Durante la sua carriera ha valorizzato gli aspetti culturali e linguistici arbëreshë, coinvolgendo gli alunni nella raccolta di tradizioni e nella conoscenza dell’alfabeto albanese, approfondendo le radici storiche della comunità e dell’Albania; operando in un periodo in cui le minoranze linguistiche non erano tutelate, il suo lavoro fu un modello esemplare di rara sensibilità.
Nel corso degli anni ’80, perfezionò l’espressione poetica in arbëresh, traducendo grandi autori come Neruda, García Lorca e Ungaretti, e sperimentando con raccolte poetiche bilingui: tra queste ricordiamo Bubuqja, Gemme, del 1984. Da sempre attiva in campo culturale e sociale per il paese, a lei si deve la formazione di un primo gruppo folkloristico, la realizzazione di un Circolo culturale volto alla valorizzazione del patrimonio culturale albanese e la rivista Vatra Jone, dove verranno pubblicate le sue prime poesie. L’immagine, il disegno, la pittura e la fotografia costituiscono lo spunto iniziale per le creazioni della Scutari, a cui si fonde una minuziosa ricerca della musicalità da conferire ai versi, che dovevano “suonare come una melodia”. La penna della poetessa rivela il valore delle piccole cose spesso dimenticate, trasformandole in simboli di profonda introspezione attraverso un linguaggio figurativo e ricco di allegorie. La parola, nelle sue opere, diventa uno strumento potente capace di evocare immagini, emozioni e ricordi, che invitano alla contemplazione e alla riscoperta della bellezza intrinseca del quotidiano.
Nelle riflessioni dell’autrice emergono con forza le tragedie collettive come il terremoto e la guerra, che scuotono tanto il mondo esterno quanto quello interiore (lo si legge in Asaj mbrëmje… - Quella sera…, ispirata al terremoto del 1980 in Irpinia, le cui scosse sono state avvertite anche a S. Costantino); la nostalgia struggente per il proprio paese, che si intreccia alla riscoperta del suo significato in un mondo irrimediabilmente trasformato (ciò è evidente in Katundi im - Paese mio, in cui Enza Scutari dà voce alle emozioni di chi è costretto a lasciare la propria terra, la culla della propria infanzia, il proprio nido alla ricerca di nuove opportunità, esplorando la tensione tra l’aspirazione verso il "lontano," colmo di promesse e speranze, e il potente richiamo delle radici, che mantengono l’individuo saldo nella propria identità); e il recupero del popolare, quale espressione di un profondo desiderio di custodire ciò che è autentico, in un contesto in cui le antiche melodie, insieme alla parlata arbëresh, rischiano di scomparire per sempre nel nostro mondo globalizzato.
In quest’ottica, per garantire un’interpretazione accurata dei testi poetici donati da Enza Scutari, nasce la necessità di approfondire lo studio dell’alfabeto arbëresh, con particolare attenzione agli aspetti fonetico-fonologici del sistema vocalico e consonantico, per preservare e valorizzare la lingua dei componimenti della poetessa. Inoltre, il volume arricchisce la comprensione della lingua attraverso spiegazioni dettagliate ed esempi pratici, sottolineando le differenze non solo grafiche che la distinguono dall’italiano. Ma a parlare in Lule sheshi è la musica: il CD raccoglie delle canzoni d'autore composte sui versi della Scutari, con canti tipici della tradizione di San Costantino che conservano e trasmettono l’identità culturale della comunità, a cui si affiancano i brani dedicati all’infanzia, caratterizzati da una vena ironica che li rende strumenti preziosi per accompagnare i più piccoli nella scoperta del patrimonio linguistico, oltre ad offrire loro delle riflessioni sulla vita.
Due brani, in particolare, emergono per la profondità dei loro significati: Lule sheshi e Trëndafila baxhanare, testi che offrono riflessioni diverse ma complementari sulla comunità e l'individuo, attraverso un linguaggio poetico e simbolico. In Lule sheshi (Fiori di prato), il prato fiorito rappresenta una metafora carica di significati, in cui i fiori simboleggiano le tradizioni e l'identità culturale della comunità arbëreshe, capaci di prosperare grazie alla protezione e al nutrimento del "sole" che, richiamando le radici storiche e la continuità del passato, è fondamentale affinché i fiori, vale a dire le nuove generazioni, possano sbocciare e prosperare. La canzone celebra l'armonia naturale e culturale, evidenziando come la tradizione sia parte integrante di un ciclo vitale che continua a rinnovarsi e a fiorire nel tempo. Il paesaggio naturale si erge così custode e narratore della memoria collettiva, evidenziando la necessità di preservare queste radici per garantirne la trasmissione futura.
Il secondo brano, Trëndafila baxhanare (La rosa vanitosa), racconta di una rosa che si isola dagli altri fiori a causa della sua presunzione, simboleggiando l’individualismo e la vanità, che sfociano inevitabilmente nella solitudine. In tale contesto, la bellezza della rosa si svuota di significato, perdendo il suo valore se vissuta lontano dalla comunità. L’allegoria evidenzia come la vera bellezza e realizzazione si trovino nell’unione e nella cooperazione con gli altri, mentre l’orgoglio e l’autocompiacimento conducono a un’esistenza vuota. Senza condivisione e riconoscimento reciproco anche la più grande bellezza diventa fugace e priva di senso.
Il volume Fiori di prato si colloca esattamente in quel delicato equilibrio, espresso dai due brani citati, tra memoria collettiva e identità individuale. Da un lato, tra le pagine che rendono omaggio alla poesia di Enza Scutari, leggo un invito rivolto ai giovani a riscoprire e far rivivere la propria cultura attraverso il canto, la poesia e la musica. Dall'altro, emerge un'importante riflessione sull'educazione e la trasmissione del sapere culturale. Per la poetessa, infatti, l'educazione trasmessa attraverso la musica e la poesia, diventa un viaggio emozionale, un percorso che aiuta le nuove generazioni a connettersi con le proprie radici. Il folklore arbëresh, reinterpretato in Lule sheshi, evidenzia come le tradizioni non siano mero retaggio del passato, ma elementi vivi e attuali, capaci di arricchire il presente. Proprio come i fiori dei prati continuano a sbocciare, le tradizioni si mantengono vive, grazie alla determinazione di chi vuole preservarle e sa valorizzarle. Si comprende, dunque, perché abbia voluto descrivere Lule sheshi come un racconto vivo, una narrazione dove le tradizioni arbëresh non rappresentano mere reminiscenze di tempi trascorsi, ma una linfa vitale che alimenta il presente. Concludendo con il ricordo di Enza Scutari, non dimentichiamo dove siamo nati/ canzoni, versi e canti sacri/ noi ricordiamo su questo suolo/ che ci ha voluto molto bene/ e ci ha accolti come rondini//. (tratto da Vit, vit pas vit - Anno, anno dopo anno).
Il solido e salvifico Altrove di Giovanni Falcone
Prof.ssa Enza BerardoneChi si occupa di educazione e formazione non può non avere cura della memoria storica. Credo sia un dovere morale e civile ricordare alle nuove generazioni, tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita e libertà per la giustizia e la legalità. Si tende, spesso, a commemorare, in modo asettico e distaccato stragi, eventi luttuosi gravi, che hanno destabilizzato, ferito, offeso, segnato la nostra società, senza far sentire la gravità di ciò che è accaduto.
La memoria è quel filo che lega il passato al presente e condiziona pesantemente il futuro.
Il 23 maggio non è soltanto il giorno della morte di Falcone, ma un giorno in cui i vivi dovrebbero riflettere sulle conseguenze del modus operandi di tutti i mafiosi del mondo, dell’omertà di chi sa, tace e si gira dall’altra parte, del compromesso morale, della solitudine dei servitori dello Stato, abbandonati al proprio destino, perseguitati e continuamente ostacolati.
Giovanni Falcone non è stato soltanto un grande giudice, coraggioso, coerente, testardo, un uomo probo, ligio all’etica della professione, che ha combattuto la mafia, senza mai arretrare di un passo dinanzi alle minacce, e alla possibilità di perdere il bene più prezioso: la vita, ma un ostinato e concreto utopista, sognatore, che ha tentato di consegnare ai giovani un diverso modo di stare al mondo, di insegnare loro, con l’esempio, di cercare e tutelare sempre e comunque la verità.
Il suo Altrove è un Altrove possibile, solido, vivo, autentico, senza orpelli e infingimenti, che respira con l’anima e rivive attraverso le nostre idee, i nostri buoni propositi; un mondo che si ciba ancora di legalità, di rettitudine morale, di giustizia, senso di responsabilità e senso del dovere, di un tempo e di uno spazio perduti, smarriti e ritrovati, polline, seme che darà frutti e nuova vita.
Falcone ci ha insegnato che la vera utopia la si costruisce giorno dopo giorno, che la legalità è un sentimento, uno stato d’animo, un mezzo potentissimo e non il fine, che non può e non deve essere slegata dalla giustizia sociale, che non bisogna arrendersi al peggio, che si è liberi quando si è giusti, empatici, capaci di attraversare il vento del cambiamento, senza barattare la propria dignità e il proprio futuro per paura, comodità e per pochi spiccioli, disposti a cambiare il mondo malato, morto dei morti vivi che tentano di anestetizzare le coscienze.
Tutto comincia dalla volontà di ogni singolo individuo, dal rifiuto di un mondo che ci disgusta, ci mortifica e non ci rappresenta, dalla capacità di vivere all’insegna di principi quali il rispetto, il senso civico, la coerenza verso i propri ideali e le proprie idee. Egli non si è mai fermato alle apparenze, è andato sempre oltre, il suo lascito morale credo consista proprio in questo suo spendersi sempre in prima persona, per difendere ciò in cui credeva fermamente, nonostante le umane, legittime paure e fragilità. Affermò con forza che gli esseri umani passano, ma i nobili valori di cui sono portatori continuano a vivere incorrotti.
Oggi, come non mai, sento il bisogno di dire a tutti giovani che oltre alla corruzione, al guadagno facile, al malaffare, alle imprese losche, alla violenza becera esercitata a danno dei più fragili ed indifesi, alla sopraffazione, alla volgarità della rinuncia esiste un altro Paese, desideroso di raggiungere altre mete, che si nutre di speranze, di bellezza, di dignità, di luce, di sogni, di emozioni, di libertà.
“La libertà non è una corsa alla cieca, ma la capacità di discernere la meta e di seguire le vie migliori di comportamento e di vita”.