SAN GIOVANNI IN CONCA RIVIVE GRAZIE AD INTERNET
1. LA SUCCESSIONE - Alla morte di Giovanni Visconti, nel 1354, il dominio visconteo abbraccia buona parte dell'attuale Lombardia ed anche terre piemontesi, liguri, emiliane, toscane, svizzere. Gli succedono i tre nipoti Matteo, Galeazzo e Bernabò: nella solenne cerimonia d'insediamento è Francesco Petrarca, l'intellettuale più prestigioso del momento, a pronunziare l'orazione ufficiale. E non manca l'astrologo che, con involontaria comicità, cerca affannosamente di individuare l'attimo propizio per l'inizio della nuova signoria. Bernabò ha 31 anni. L'anno seguente, l'improvvisa morte di Matteo consente ai due fratelli Visconti di dividersi fra loro i possessi.
► Petrarca abitò a Milano in una casa accanto a S.Ambrogio da dove poteva godere di uno splendido panorama sulle Alpi. In seguito si trasferì in una casa vicino a S. Simpliciano. Cercava spesso la tranquillità di luoghi appartati, solitari, come fu per un soggiorno milanese nei pressi della Certosa di Garegnano. Rimase a Milano dal 1353 al 1361, ospite dei Visconti. Fu il padrino di Battesimo di Marco, figlio di Bernabò Visconti. Nella sua vita fu un instancabile viaggiatore.
2. IL CONSOLIDAMENTO - A Milano un grande palazzo, iniziato forse dallo zio Luchino, che Bernabò Visconti amplia, fortifica. Le ricerche più recenti [Rossetti] hanno mostrato che si trattava in realtà di un sistema di palazzi, con una pluralità di funzioni burocratiche, abitative, difensive. Questa struttura ingloba la chiesa di San Giovanni in Conca, che ne diventa così il "cuore", una sorta di "cappella di palazzo".
A due passi da lì, nella "contrata de Vicecomitibus" (poi "Via Visconti") fin da tempi lontanissimi, i Visconti si erano arroccati e da quella stretta contrada con i loro seguaci erano partiti alla conquista della città e del potere. La via Visconti fu cancellata negli anni Trenta del Novecento.
Bernabò "marca" il suo dominio con saldi presidi militari e non solo in città: a lui si deve, tra l'altro, la ricostruzione dell'imprendibile castello di Trezzo sull'Adda, dove un amaro destino lo condurrà a morte circa trent'anni dopo. A Milano percorsi sopraelevati (si legge in diverse fonti) collegavano il signore con punti strategici della città e con altri palazzi viscontei.
Rimane qualcosa dello straordinario complesso di edifici voluto da Bernabò ? (Cliccare qui e cercare il punto finale del capitolo)
3. IL PERSONAGGIO - La guerra e l'esercizio delle armi sono un tratto distintivo dell'irruente personalità di Bernabò Visconti: in un cortile del suo palazzo il "signore della guerra" fa allestire padiglioni per i tornei cavallereschi. E poi la caccia, di cui è appassionatissimo cultore; il suo amore geloso, possessivo, per i cani da caccia, ha poi assunto nell'immaginario popolare un carattere leggendario.
Se suo fratello Galeazzo, spesso assente da Milano, è cauto e prudente, Bernabò appare invece inesauribile, eccessivo, vorace, spesso brutale, spietatamente crudele nell'esercizio del potere. Ama circondarsi di giullari, ama il motto e lo scherzo gagliardo; il suo palazzo è una sorta di "caldo vivaio di donne": "non gli basta la moglie, l'animosa e splendente Regina della Scala, ha intorno una schiera di donne, schiere di figli". (Bellonci) Effettivamente si ha notizia di un numero di figli superiore alla trentina, fra "legittimi" e "naturali".
Alcuni storici sottolineano però anche altri elementi della sua personalità: una buona preparazione giuridica, l'interesse per la letteratura cavalleresca, la committenza di opere d'arte, le donazioni ad istituzioni religiose ed assistenziali ed il suo impulso a rendere giustizia ai sudditi, sia pure in modi improvvisati e sommari.
Nel 1378 muore suo fratello Galeazzo: gli succede, nella porzione di dominio che gli spetta, il figlio Gian Galeazzo che diviene così nuovo co-signore insieme a Bernabò.
La chiesa di Santa Maria della Scala fu fondata nel 1381 da Regina della Scala, moglie di Bernabò. La sua demolizione fu decretata nel 1776 a seguito dell’incendio del teatro Ducale per fare posto al teatro Alla Scala. "Della Scala" era il nome della famiglia che governò Verona per più di un secolo.
La chiesa di S. Giovanni in Conca, a sinistra il palazzo degli Sforza di Caravaggio, e a destra quel che restava di un palazzo di Bernabò popolarmente chiamato "Ca' di Can" per la passione che il signore nutriva per i cani da caccia. Si favoleggiava che fossero cinquemila...
4. UNA FINE INGLORIOSA - Complesso e sfuggente il rapporto di Bernabò con il nipote Gian Galeazzo che, dalla morte del padre, governa sulla parte di domini ereditati: un giovane non ancora trentenne che ha sposato la cugina Caterina, figlia di Bernabò (sua sorella Violante un altro figlio di Bernabò, Ludovico) e che conduce vita ritirata, ma intanto aspetta in silenzio il momento di sbarazzarsi dello zio-suocero, mentre la tensione tra i due va crescendo.
Gian Galeazzo, che probabilmente appare a Bernabò timido ed imbelle, il 6 maggio del 1385 nei pressi di Sant'Ambrogio, riesce a farlo catturare e poi imprigionare nel castello di Trezzo. Qui morirà, forse avvelenato per ordine del nipote nel dicembre seguente, a 62 anni.
Le antiche cronache narrano di una serie di presagi infausti, che avrebbero annunciato la sua sventura: un cerchio di fuoco comparso in cielo nel quale si leggeva la forma di un teschio, un incendio ed un fulmine che avevano devastato il suo palazzo (e l'incendio, del 1379, potrebbe aver intaccato la chiesa). Dopo la cattura dello zio, Gian Galeazzo, per conquistarsi il favore dei sudditi, consente il saccheggio del palazzo di Bernabò (che era sede della "Curia Domini Bernabovis", cioè degli uffici di governo) ed è così che forse vanno dispersi i documenti del suo archivio).
Si sviluppa la "leggenda nera" sulle crudeltà, malvagità, nefandezze del defunto, favorita anche dalla propaganda di Gian Galeazzo, che mirava a rovesciare sullo zio ogni colpa e responsabilità per lo scontro. Il palazzo di San Giovanni in Conca viene indicato dalla voce popolare come luogo infestato da inquietanti presenze di fantasmi e va crescendo nel corso dei secoli la sua fama come luogo di ogni nequizia.
(Per altre informazioni su Bernabò, il suo sfrenato amore per la caccia ed i cani e sul suo palazzo a Milano, cliccare qui.)
1. LA CHIESA - San Giovanni in Conca vive la sua "età dell'oro" con Bernabò Visconti, determinato a fare della chiesa la sua "cappella di palazzo" e un vero e proprio mausoleo di famiglia (oltre a lui vi furono sepolti il figlio primogenito Marco e la moglie). Un cronista del tempo narra che il signore aveva abbellito la sua chiesa con pitture, altari, finestre, opere murarie. Lui stesso vi si era fatto ritrarre insieme al fratello Galeazzo, entrambi vestiti "alla fiamminga".
E' Bernabo', con ogni probabilità, il committente del ciclo di affreschi realizzato nella chiesa e che ci è giunto assai frammentario (oggi ciò che resta è conservato nei Musei del Castello Sforzesco).
Gli episodi rappresentati ("Storie di San Giovanni" ?) sono incorniciati da una ricca decorazione: ornati geometrici, motivi vegetali e finti intarsi marmorei, come si vede, ad esempio, anche nel castello di Pandino (Cremona).
Questi affreschi databili all'età di Bernabò, tra gli anni 1360-65 e 1370-75, vengono attribuiti ad un pittore ancor oggi senza nome, ma certamente educato sugli artisti giotteschi presenti a Milano intorno alla metà del secolo.
◄ Uno dei frammenti di affreschi dell'età di Bernabò. Essi originariamente si trovavano nella zona del presbiterio sulle pareti Nord e Sud e sulla parete destra e sinistra dell'arco trionfale che immetteva all'abside. Secondo gli studi compiuti, gli affreschi dell'arco trionfale appartenevano ad uno strato pittorico che si sovrapponeva ad una splendida Annunciazione del tardo Duecento (appartenente dunque ad un periodo anteriore). In questo frammento si riconosce la figura di un vescovo, che alza le mani pieno di stupore, accompagnato da un diacono.
2. BERNABO' MECENATE E COSTRUTTORE - Si può pensare che Bernabò abbia voluto qualcosa di davvero superbo per la sua chiesa: affreschi che, come quelli dei suoi castelli e come l'imponente statua equestre, fossero un'eloquente proclamazione del suo potere. Cesare Cesariano, architetto, pittore, ingegnere, scrittore d'arte, parla nel 1521 della brillantezza e luminosità dei dipinti murali della chiesa di San Giovanni in Conca (vi erano forse inseriti vetri, specchi, finte gemme?). Anche il veneziano Marcantonio Michiel ricorda (1518 circa): "in San Zuan de Conca le pitture a fresco antiche (...) oggidì risplendono come specchi" (M.Michiel). Il signore aveva voluto anche affreschi per la chiesa di Santa Maria Rossa di Monzoro vicina al suo castello di caccia di Cusago.
Forse il magnifico, tirannico, irruente, imprevedibile Bernabò pensava anche ad un "colpo di teatro": far collocare in San Giovanni in Conca, in posizione di assoluto rilievo, il suo monumento equestre, risplendente d'oro, come degna conclusione di questa campagna di rinnovamento e abbellimento.
La chiesa e l'attiguo palazzo sono anche lo sfondo di alcuni dei numerosi matrimoni con cui Bernabò accasava figli e figlie, imparentandosi con le dinastie europee. Certo egli pensava anche di trovare nella chiesa una splendida e perenne sepoltura per sé ed intanto vi faceva seppellire il figlio Marco e la moglie Regina, morta nel 1384 e definita "splendore d'Italia" nell'epitaffio funebre.
Anche il palazzo non passava inosservato: i porticati con colonne di marmo, le splendide pitture ricche d'oro, la bellezza delle mura e dei soffitti sono descritti con ammirazione dallo storico ed umanista Flavio Biondo intorno alla metà del Quattrocento nella sua opera "Roma triumphans". Abbagliato da tanta magnificenza, egli accosta il palazzo di Bernabò agli splendori degli edifici dell'antica Roma.
Dopo aver spodestato Bernabò, Gian Galeazzo concede alla folla una "licenza di saccheggio" dei palazzi dello sconfitto. Si sarà trattenuta questa folla tumultuante, dall'entrare anche nella chiesa di San Giovanni in Conca, in cui troneggiava ancora spavalda la statua del vecchio tiranno, per insultarlo e maledirlo?
Un codice miniato, oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia, fu commissionato da Bernabò, che amava i romanzi cavallereschi. Contiene una copia del romanzo "Guiron le Courtois" e riporta il monogramma "D.B." (Dominus Bernabos). E' uno dei capolavori della miniatura del Trecento e fu prodotto a Milano. Un ambasciatore francese scrisse qualche anno dopo la morte del Visconti che "Monseigneur Bernabe de Milan" aveva amato e beneficato gli uomini studiosi.
IL "CAVALLO". Durante la sua signoria, la corte di Bernabò e la chiesa di San Giovanni in Conca divengono luoghi di primaria importanza nella geografia del potere visconteo a Milano. Nella chiesa si vede lui, a cavallo, con la barba a due punte ("a forfecchino"), scolpito in marmo rifulgente d'oro, torreggiante ed incombente su tutto. Entro il 1363 il monumento equestre (e solo questo) è concluso.
È in marmo di Candoglia, opera di BONINO DA CAMPIONE: Bernabò vi appare severo, maestoso, mentre impugna il bastone del comando e siede altero su una sella da parata che ne innalza la figura. Il destriero è possente, la sontuosa armatura costellata di stemmi, motti, "imprese", fra cui spicca il biscione dei Visconti. E' possibile che la testa di Bernabò risultasse allora coperta da un elmo con un vistoso cimiero a forma di drago.
Due figure femminili in lunghe vesti, che rappresentano le virtù della "Fortezza" e della "Giustizia" accompagnano nobilmente il signore, collocandosi sotto di lui ed arricchendo l'intento celebrativo dell'opera (un signore "forte" ma anche giusto e virtuoso).
UNA GRANDE ARCA. La grande arca funebre che oggi vediamo al Castello Sforzesco di Milano, è alta circa sei metri. Consta di due parti: quella superiore (il "dominus" a cavallo) è collocata sopra una cassa sepolcrale: le figure degli Evangelisti, una "Crocifissione", un' "Incoronazione della Vergine" ed una "Pietà" adornano i lati della cassa, insieme a varie immagini di santi.
UNA RAPIDITA' "SOSPETTA". Uno studio approfondito del monumento [Vergani] ha dimostrato che la parte inferiore dell'arca (attribuibile a collaboratori di Bonino da Campione) fu realizzata in tempi brevissimi, utilizzando anche materiali di recupero provenienti da altre sepolture. Gian Galeazzo Visconti fece dunque concludere rapidamente il monumento sepolcrale dopo la morte dello zio da lui spodestato e imprigionato, per poi tributargli, come tramandano le cronache, esequie fastose. La vestizione della salma con un prezioso tessuto d'oro, il lutto ostentato del nuovo signore, il concorso del popolo richiamato da generose elargizioni, i cavalli coperti da lugubri gualdrappe. Forse anche per allontanare da sé ogni sospetto, il nuovo signore archivia rapidamente la memoria di Bernabò.
Così, da allora, le due parti dell'arca convivono, in un suggestivo dialogo tra un Bernabò a cavallo al culmine della gloria ed il sarcofago della "frettolosa" sepoltura, simbolo della sua disfatta...
Oggi rimane solo il 15-20% della sontuosa doratura e coloritura del monumento che, stesa probabilmente in momenti diversi, impreziosiva l'opera e le donava un' immediata visibilità.
Tra la fine del 1813 e l'inizio del '14 l'arca di Bernabò viene trasportata a Brera, entrando a far parte delle raccolte di un museo che si andava allora costituendo. Nel corso di questo spostamento, la parte inferiore dell'arca viene scomposta in una sessantina di pezzi; il monumento equestre vero e proprio, scolpito in un unico blocco, viene mosso a parte.
Soltanto nel 1867 s'inaugura il Museo patrio di Archeologia nella ex chiesa di Santa Maria di Brera ed il monumento viene collocato al centro della navata, accompagnato dal sepolcro marmoreo della moglie.
֎ G. A. VERGANI è l'autore dello studio forse più documentato e completo sull'arca di Bernabò, uscito nel 2001. In un saggio del 2013 è tornato sull'argomento. Per leggere questo saggio clicca qui
֎ Una ditta specializzata ha compiuto il restauro dell'arca di Bernabò nel 2001 e poi ancora nel 2015. In un sito essa spiega i segreti del suo affascinante lavoro. Per saperne di più...
BONINO DA CAMPIONE E I "MAESTRI CAMPIONESI"
I "Maestri campionesi" erano architetti, scultori, abilissimi artigiani della pietra e del marmo, originari della zona dei laghi di Como e di Lugano. Furono attivi tra la seconda metà del 12° secolo e la fine del 14° soprattutto nell’Italia settentrionale (Modena, Bergamo, Monza, Milano).
Per Milano sono importanti i nomi di Ugo da Campione (autore di alcune statue della Loggia degli Osii nell’ attuale Piazza Mercanti: 1316-1330 circa) e di Bonino e Giacomo da Campione, coinvolti, dalla fine del ‘300, nel cantiere del Duomo.
Bonino da Campione è ritenuto autore della statua equestre di Bernabò Visconti (1360 circa) già nella chiesa di San Giovanni in Conca. A lui, ed anche, ma più probabilmente, alla sua bottega, sono attribuiti il sottostante sarcofago dello stesso Bernabò e quello della moglie (opere più tarde).
Com'era e dov'era il sarcofago della moglie di Bernabò ? Vai a questo capitolo e cerca la parte riguardante la cripta.
A destra ricostruzione ipotetica della collocazione dell' intera arca funebre di Bernabò prima dello spostamento ordinato da Carlo Borromeo.
SIGNORE ASSOLUTO. "Non sai, poltrone, che io sono Papa, Imperatore e Signore in tutte le mie terre?" Eccessivo e brutale come (quasi) sempre, Bernabò si rivolse con queste parole nientemeno che all'arcivescovo di Milano, Roberto Visconti, che si era rifiutato di esaudire un suo ordine. Tempestosi - soprattutto per motivi politici - i rapporti di Bernabò con l'autorità ecclesiastica: fu scomunicato quattro volte ed il papa Urbano V nel 1363 lo proclamò eretico, scismatico, e sciolse la moglie di Bernabò dal dovere coniugale verso il marito (la coppia in realtà ebbe quindici figli!)
UN IDOLO SOPRA L'ALTARE. Dove volle Bernabò che fosse collocata la sua statua a cavallo? Jean de Hesdin, teologo francese, ricorda scandalizzato di aver visto nella chiesa un "abominabile idolum super altare Dei" (e il Petrarca gli risponde per le rime, confutandone la tesi). Addirittura "sopra" l'altare, sopra la sacra mensa? Se questa frase non è da prendere alla lettera, bisogna comunque pensare ad una posizione assolutamente privilegiata nel luogo più sacro della chiesa. Un gesto di orgogliosa affermazione del proprio io e del proprio potere da parte di Bernabò, una sfida alla Chiesa per sottolineare una ferma concezione assolutistica. (O forse Bernabò voleva indirettamente suggerire che a lui era destinato il premio eterno in Paradiso?)
Un "Ritratto virile" in marmo, di piccole dimensioni (cm.15×11x12,5), è stato ritrovato nei depositi del Museo d'Arte antica del Castello Sforzesco durante una radicale campagna di catalogazione del materiale lapideo. Non si sa neppure quando ed in quale occasione esso sia entrato a far parte delle raccolte del Castello. Il distacco del volto dal resto del corpo sembra sia avvenuto in modo traumatico.
Ma chi rappresenta? L'uomo che si affaccia alle soglie della vecchiaia è probabilmente Bernabò, ad un soffio dalla sua irreparabile sconfitta. Questa l'avvincente ipotesi avanzata da L. Palozzi sulla scorta di una serie di intuizioni, osservazioni, confronti e suggerimenti, che inducono lo studioso a definirlo (2012) uno dei ritratti più sorprendenti del Trecento italiano.
Come attestano le iscrizioni riprodotte nella foto e visibili nella controfacciata della chiesa, i resti mortali di Bernabò e della moglie riposano oggi insieme (a due passi dalla cripta di San Giovanni in Conca) nella chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia: quelli di Bernabò dal 1814, quelli di Regina solo dal 1892.
Una trentina di anni prima il sarcofago della moglie di Bernabò, che si trovava nella cripta di San Giovanni, era stato aperto: oltre agli avanzi dello scheletro, erano stati rinvenuti resti di stoffa verde, con tracce di fili dorati e alcuni grani in legno appartenenti ad un rosario o ad una collana. Tristi reliquie di colei che era stata nobile ed altera compagna del signore di Milano.
"OSSA BERNABOVIS" : le prime due parole dell'iscrizione funebre.
► Sembra che un accordo di fondo abbia unito questi due coniugi dalla fortissima personalità. I loro temperamenti furono probabilmente complementari. Bernabò affidò spesso alla moglie compiti amministrativi e politici. ll giorno della sua morte scrisse in una lettera ai suoi sudditi : “La sua morte ha trafitto l’anima nostra con l’aculeo di un fortissimo dolore”