La solidarietà nella Repubblica?

Nel comunismo la solidarietà è uno dei valori fondanti e non è possibile ridurla ad un solo significato.
Solidarietà significa accettare le differenze che ci sono tra di noi e vedere oltre, in direzione di una collettività unita.
Solidarietà significa l’abolizione dei confini e delle guerre perché è impensabile vivere in un’ostile separazione quando ci sono persone come me, come voi, dall’altra parte del muro.
Solidarietà significa lotta alle ingiustizie e difesa della libertà degli individui.
Solidarietà significa aiutare nel momento del bisogno coloro che sono in difficoltà, anche se non condividono i nostri ideali, per raggiungere un futuro comune e ideale.
E questi non sono tutti i significati di questa parola, e non sarebbe possibile elencarli tutti. L’essenza della solidarietà è ciò che ha animato il comunismo.

Come ho tentato di tradurre questa tensione in realtà? Attraverso l’attività politica e sindacale.  Mi pare che ci sia un filo rosso nelle cose che ho detto e fatto: la convinzione che l’emancipazione della classe operaia e della donna procedessero in parallelo.

Nel 1936 a Parigi fondai Noi donne, mensile che vide poi impegnata come direttrice Xenia Silberberg, moglie di Emilio Sereni. Il foglio, come saprai, a partire dal luglio 1944 uscì dalla clandestinità e venne stampato a Napoli sotto la direzione di Laura Bracco, con l’apporto di Nadia Spano e la collaborazione di Rosetta Longo. Mi furono molto utili tutte le cose che avevo imparato nel gestire la Voce, di cui mi trovai responsabile quando Luigi Longo si trovava in carcere nel ‘26. Nacque innanzitutto come forma di espressione delle donne antifasciste emigrate in Francia che sfidavano l’illegalità per mantenersi aggiornate su fatti che interessavano il loro Paese. In questo modo, le notizie giungevano anche alle italiane che non conoscendo il francese non potevano leggere Femmes fraçaises, settimanale dell’organizzazione femminile del partito comunista. Venni aiutata soprattutto da un collaboratore del nostro giornale, Il grido del popolo che mi suggerì di stampare ogni numero con un inchiostro di colore diverso e di illustrarlo. Le pubblicazioni continuarono anche nel pieno della Resistenza, ovviamente in modo clandestino e in condizioni molto difficili. Ricordo che soprattutto agli inizi, quando non c’era una spinta unitaria da parte del fronte antifascista, che ha avuto inizio circa nel 1934-1935, dovevamo usare un linguaggio allusivo, quasi sibillino, per evitare di essere scoperti e mandare in fumo la nostra attività clandestina. Poi, per esempio per diffondere le notizie anche in territori con regimi più rigidi, come in Italia, mettevamo giornali e documenti nelle valigie, tra la carta che le foderava all’interno e la struttura esterna.

Archivio storico della rivista "Noi donne"n. 47 del 1951