Che cosa significa essere una donna in politica




Vorrei partire da questo episodio: marzo 1931, Ottengo dal partito il permesso di operare in clandestinità tra Pordenone e Udine, importanti centri tessili. Su suggerimento di un compagno alloggio presso una grande casa in campagna. Si trattava di una grande casa patriarcale nella quale tutti lavoravano per il Partito, dai fratelli che erano responsabili dell'organizzazione locale e di quelle di fabbrica, alla sorella e alla fidanzata di uno di loro, che copiavano la stampa e la portavano fuori. Mi stupisce il fatto che le donne, operaie tessili da poco licenziate, non sono iscritte. Chiesi ad un compagno che il quale rispose stupito: ma sono donne di casa come potrebbero essere iscritte al Partito? Mi arrabbiai molto e mi scontrai con il peso di vecchie abitudini mentali. Quei compagni, bur bravi, attivi e pieni di spirito di sacrificio, avevano una strana opinione delle loro compagne. Le facevano lavorare e rischiare per il Partito ma pensavano che dovesse avvenire perché erano loro le donne e non perché fossero comunista quanto loro. Loro non sapevano della mia capacità di ritagliarmi importanti spazi di autonomia. A Mosca, nella quota riservata alla dirigenza comunista femminile, fui allieva della Scuola internazionale Lenin. Durante quei corsi condussi un’inchiesta sulla salute pubblica. Come referente del PCd’I seguii  i lavori del VI Congresso dell’Internazionale, poi per rappresentare la Confederazione generale del lavoro (CGdL) nel Profintern, l’Internazionale sindacale.

Entrare in politica mi fu possibile grazie al Partito anche se al suo interno erano radicati rapporti tra i sessi stereotipati. Vorrei fermarmi su questo punto, molto delicato e intimo per me. Non posso tacere la contraddizione tra il costante riferimento al modello sovietico, caratterizzato da relazioni di genere egualitarie, e la realtà vissuta nelle famiglie dei compagni soprattutto con l’affermarsi della Repubblica, tanto che al di là delle differenze sul piano ideologico, molto spesso nelle riviste di sinistra venivano indicati comportamenti e pratiche simili  a quelle cattoliche. 

In Assemblea costituente gli uomini non mi prendevano sul serio, pensavano che io e le mie compagne - un piccolo gruppetto di donne in confronto alla quasi totalità di maschi presenti - fossimo lì con valore puramente formale, e non perché volessimo far sentire le nostre idee. Vedi, dopo che le donne conquistarono il diritto di voto a seguito della Liberazione, gli uomini in politica aula non si mostrarono completamente d’accordo con questa “concessione” di un diritto che è sempre stato fondamentalmente nostro, soprattutto a seguito di tutti i sacrifici che molte donne durante l’occupazione fecere in nome della libertà dello stato. La retorica dell’epoca riteneva infatti che data l'arretratezza persistente tra le grandi masse femminili - specialmente in quelle delle campagne e del Meridione - ancora in prevalenza dominate dalla Chiesa, avrebbero portato solo milioni di voti alla Democrazia Cristiana. Ma queste argomentazioni retrograde e mirate a screditare la neonata presenza femminile in politica non ci fermarono.

Vorrei raccontarti un’altro importante momento della mia esperienza di donna in politica: la legge sulla maternità. All’epoca la situazione era molto diversa da adesso. Le donne, se rimanevano incinte, rischiavano di perdere il lavoro, non ricevevano alcun supporto economico prima e dopo la gravidanza e, quando nasceva il bimbo, per potersi sostentare dovevano tornare subito a lavorare, spesso compromettendo la propria salute e quella del figlio. Io provengo da una famiglia povera di lavoratori e ho sperimentato sulla mia pelle la fatica di crescere dei figli mentre si lavora a tempo pieno: mi animava un desiderio quasi personale di ottenere una legge che tutelasse concretamente tutte le mamme lavoratrici. Questa legge dovemmo elaborarla noi, donne comuniste elette per la prima volta in Parlamento nel 1948 e, anche se non avevamo nessuna esperienza legislativa, ci mettemmo a studiare e a informarci il più possibile. L'elaborazione del nostro progetto di legge non risultò facile. Ma tutti collaborarono offrendoci un valido aiuto, anche se dovemmo affrontare discussioni accanite che qualche volta degenerarono in veri e propri litigi. Organizzammo piccole riunioni, assemblee di operaie nelle fabbriche, chiedemmo il parere di esperti quali medici, giuristi e ci incontrammo ripetutamente soprattutto con i compagni della Fiot. Bisognava ascoltare tutti i pareri, tener conto degli interessi e delle richieste delle operaie e delle impiegate, delle funzionarie e delle contadine, delle braccianti e delle casalinghe, delle lavoratrici a domicilio e delle disoccupate. La nostra aspirazione era infatti quella di elaborare una legge che tutelasse proprio tutte le mamme che lavoravano, non importava quando né dove né come.Questo fu il primo progetto di legge di iniziativa parlamentare presentato al Parlamento della Repubblica Italiana. Ciò avvenne infatti il 2 giugno 1948 proprio all'inizio della prima legislatura. Ma assai più che di iniziativa parlamentare sarebbe giusto chiamarlo di «iniziativa popolare». Esso infatti fu il primo, se non l'unico finora, a essere elaborato dalle lavoratrici interessate: discusso da esse articolo per articolo, corretto e rielaborato in grandi assemblee di donne e di madri, redatto poi definitivamente da una commissione eletta dalle stesse. Ricordo ancora l’esaltazione e la gioia che provai quando il progetto a cui avevamo lavorato così duramente divenne ufficiale, ma sopra la commozione e la felicità mi sentii orgogliosa. Orgogliosa di essere una donna in politica e di aver contribuito a migliorare sensibilmente la vita di molte altre donne lavoratrici come me.




Archivio storico della rivista "Noi donne"n. 30 del 1948

Credo sia utile affermare che l'emancipazione femminile comincia dal NO della donna. Imparare a dire di NO… ecco il primo necessario passo per affermare la propria personalità… Imparare a dire di NO al padrone, al capo ufficio, al direttore, al compagno di partito. Imparare a dire di NO allo sfruttamento alle esosità, alle ingiuste pretese di chi, perchè ha la possibilità di comprare la forza - lavoro di quelli che la devono vendere per poter vivere,crede di poterne comprare anche la dignità, la coscienza, la libertà di opinione, un NO a tutte le ingiustizie, a tutte le oppressioni… non si deve solo parlare di emancipazione, bisogna cominciare ad emanciparsi