Che cosa ho fatto nell'Assemblea Costituente

Innanzitutto è bene ricordare che ho partecipato anche ai lavori della Consulta, prevista dall’aprile 1945, prima forma di rappresentanza nazionale benché né io né gli altri componenti fossimo eletti ma indicati dai partiti politici secondo numeri stabiliti. In particolare io fui una delle 37 nominate dal PCI.

La storia della Consulta non è troppo nota ma è altrettanto importante. Essa assunse, infatti, temporaneamente il ruolo di rappresentanza politica generale (ricordati che le ultime elezioni libere si sono tenute nel 1924). Era chiamata a formulare pareri sui problemi generali o su provvedimenti legislativi emanati dal Governo soprattutto in materia d’imposte e legge elettorale. Certo il Governo, che in quella fase di transizione deteneva sia il potere legislativo che esecutivo, non era vincolato a seguire le indicazioni. Tuttavia fu un passaggio importante perché segnò il ritorno a forme di rappresentanza politica, in cui, per la prima volta, erano presenti le donne. Si potrebbe dire un ponte tra la vecchia e la nuova Italia.

Io in particolare feci parte della Commissione del lavoro, poiché desideravo occuparmi dei problemi che sentivo più vicini a me, quelli sindacali. Mi dedicai con passione a due schemi di provvedimenti. Il primo riguardava l’assistenza materiale dei  reduci, la concessione di sussidi temporanei (io preferivo chiamarli provvidenze), uniformemente distribuiti sul territorio nazionale, la precedenza nelle assunzioni e la consegna delle merci e dei prodotti tessili sequestrati al mercato nero. Nella seduta del novembre del 1945 difesi l'idea che per restituire loro dignità occorresse renderli partecipi della produzione. Sentivo il problema particolarmente mio dato che ero reduce di un campo di concentramento. Invece, per quanto riguarda il secondo schema di provvedimento prevedeva il reclutamento straordinario di ufficiali e agenti ausiliari di polizia. Lavorando in Consulta per la prima volta avevo avuto l’occasione di entrare in contatto con gli esponenti di tutti i partiti che avevano partecipato alla Resistenza, e per questo fu qualcosa di indimenticabile. Il confronto era talvolta anche molto aspro, ma sempre leale sugli obiettivi di fondo. Insomma per me rappresentò un’esperienza altamente formativa da un punto di vista politico. 

Ma la storia non si è fermata a questo punto: nel 1946, in seguito al Referendum post-bellico del 2 giugno che per il il 54,3 % - una cifra che si è scolpita nella mia memoria - ha reso l’Italia una democrazia, venne istituita l’Assemblea Costituente. A partire dal 25 giugno di quello stesso anno, cominciò il lungo lavoro che portò a formulare i principi della nuova democrazia. Io mi misi a studiare leggi, i codici, la legislatura fascista e anche quella di altri Stati come Francia e Russia. Sentivo il peso della fiducia che le donne riponevano in noi, 21 donne Costituenti: per la prima volta le rivendicazioni femminili venivano portate in discussione dalle donne stesse esprimendo la volontà di giustizia sociale repressa negli anni precedenti. Di certo non fu sempre semplice farsi valere, anche perchè rimanevamo una minoranza, ma sono particolarmente soddisfatta del fronte unitario che riuscimmo a costituire nonostante l’appartenenza a partiti politici molto diversi. Tutte ci impegnavamo per ottenere la libertà, la pari dignità, e un’uguaglianza di fatto che prevedesse un livello di benessere economico, sociale e culturale per tutti. Ovviamente non posso dimenticare la solidarietà, perché per cambiare le cose non si può essere soli, la collaborazione è la fiamma della rivolta.

Essendo una delle candidate del Pci più votate a livello nazionale, entrai a far parte della Commissione dei 75, insieme anche a Maria Federici, Nilde Jotti e Tina Merlin. Avevamo l’incarico di scrivere la Carta Costituzionale con l’obiettivo di definire i valori alla base della vita sociale, politica ed economica della nuova democrazia: dovevamo cercare di rendere il più possibile concreti quei principi di libertà e uguaglianza che erano stati alla base della lotta di Resistenza. 

I 75 deputati erano ulteriormente divisi in 3 sottocommissioni: io facevo parte di quella dedicata a diritti e doveri nel campo sociale ed economico. Questo fu il momento in cui parlai di più: mi impegnai ad assicurare garanzie economico-sociali per l’assistenza della famiglia. Infatti, se i primissimi articoli della Costituzione già stabilivano a livello ideale che la famiglia è fondamentale per la coesione dello  Stato e per la formazione dell’individuo, ciò che mancava era trasformare tali principi in realtà. Volevo in particolare che le donne e i loro figli ottenessero maggiori tutele in quanto soggetti più vulnerabili: è qualcosa che ho sperimentato sulla mia stessa pelle, durante i momenti difficili in cui mi trovai sola con un figlioletto piccolo e il mio ex-marito in prigione. 

Ho sufficiente memoria per ricordare cosa scrissi nella relazione introduttiva:

La Costituzione democratica della Repubblica italiana non può limitarsi ad affermare dei diritti: deve indicare anche come intende garantire il godimento di questi diritti a tutti i cittadini italiani.

Tale posizione era largamente condivisa dalle principali forze politiche, DC, PSI e Pd’Azione anche se nella concreta discussione parlamentare emergevano distinzioni che rendevano a rendere meno impegnativa la tutela dei diritti sociali. Come scrissi per me non era possibile parlare di eguaglianza civile e politica tra sessi eludendo il tema della parità salariale, della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, cruciale nel definire la qualità dell’esistenza, soprattutto della donna. 

Insieme a Angela Merlin e Maria Federici  ci impegnammo a far sì che venisse elaborata una dicitura che dando importanza alla famiglia permettesse di tutelare anche le donne, sia all’interno della famiglia, sia nella società. Ottenemmo  l’articolo 31, non senza resistenze. Pensa che un’obiezione alla nostra richiesta di riconoscere l’importanza del ruolo della donna e quindi i suoi conseguenti diritti fu che sarebbe potuto tornare il matriarcato! Gli uomini! Ricordo che ci furono intense e accese discussioni e che la formulazione di questo articolo richiese ben tre sedute in Senato. 

Nei miei colleghi uomini agiva un tipico pregiudizio: parlare di donna coincideva con il parlare di famiglia, per cui la funzione della donna in fin dei conti si esauriva nella famiglia. Ecco, io e le mie colleghe cercammo con ogni modo di tenere distinti gli ambiti.

Nella citata relazione sostenni in particolare che le condizioni economiche, igieniche e sanitarie in cui nascevano i bambini facevano sì che in Italia ci fosse il più alto tasso di mortalità infantile e una percentuale considerevole di mortalità tra le gestanti anche a causa di un diffuso analfabetismo e di scarsa educazione. Perciò affermai la necessità di considerare la maternità non solo una funzione naturale, ma anche e soprattutto una funzione sociale, in quanto elemento di coesione sociale. Di conseguenza la maternità diventava un interesse collettivo e pertanto lo Stato si sarebbe dovuto occupare sia della salute delle madri, sia dello sviluppo dei figli attraverso misure concrete. Per esempio proposi di pagare a salario completo le operaie durante il periodo di riposo necessario al parto, di stabilire un’assistenza medico-ostetrica a tutte le donne gestanti, la creazione di asili-nido nei quartieri popolari e in provincia, il completamento dell’istruzione elementare con corsi pre-professionali. Nello stabilire i termini per la dicitura del nuovo articolo cercai di fare in modo di coinvolgere il maggior numero di individui da tutelare. 

Questo articolo, come il 29 (uguaglianza dei coniugi)  e il 30 (i diritti dei figli nei confronti dei genitori), si occupa del benessere dei figli e della tutela della famiglia. Essi sono alla base di quella legislazione di tutela della maternità che nel corso degli anni si è arricchita di nuove tutele in relazione a nuovi bisogni sociali. Per me è importante che tu capisca un punto: gli articoli costituzionali hanno tracciato una strada che è nostro compito percorrere o rivedere se è necessario. 

Lavorai direttamente anche all’elaborazione dell’articolo 37 che afferma che 

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti, e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino adeguata protezione.

Ho sempre pensato, sin da quando lavoravo nel sindacato tessile che in quest’ultimo articolo si concretizzasse l’articolo 3 - cui contribuì direttamente - al fine di raggiungere piena parità di diritti tra uomo e donna. È stato molto difficile conciliare i diversi punti di vista: ogni articolo è frutto di numerose discussioni in Senato, in cui si proponevano diverse formulazioni, poi messe ai voti, e nuovamente discusse e riformulate. 

Come vedi donna, lavoratrice, madre: tre angolature diverse ma che necessitano d tutele strettamente intrecciate