Liliana Segre

Liliana Segre, nata a Milano nel 1930 da una famiglia ebraica, venne deportata nel lager di Auschwitz Birkenau a soli 13 anni, dove perse il padre e i nonni. Viveva a Milano in una casa della piccola borghesia insieme alla sua famiglia. Sua madre morì poco dopo la sua nascita. Andava a scuola come una normale bambina ma, nell’estate del 1938, dopo aver terminato la seconda elementare in una scuola pubblica del suo quartiere, il padre le spiegò che essendo ebrea non avrebbe più potuto frequentare l’attività scolastica.

“Quel momento ha segnato una censura tra il Prima e il Dopo; era difficile per mio padre, con un sorriso commosso, spiegarmi quel fatto: io che mi sentivo così uguale a tutte le altre bambine, invece ero considerata diversa…”

Nel 1990 ha iniziato a raccontare la sua esperienza da sopravvissuta, ricevendo numerosi riconoscimenti e onoranze per il suo impegno di testimone. Nel gennaio 2018 è stata nominata Senatore a vita.

“…Vedemmo arrivare gli americani e fu una visione festosa, incredibile, perché questi ragazzi americani che venivano dalle prime linee, erano ragazzi bellissimi e vidi la prima jeep americana con la stella bianca. Questi ragazzi buttavano dal camion, senza distinguere se eravamo prigionieri o soldati, perché ancora ne sapevano poco, sigarette, cioccolato, frutta secca. Quel giorno, il primo maggio, mi ricordo che ricevetti un'albicocca secca, squisita, mangiandola subito: da quel momento, il giorno della liberazione è legato per me al sapore dell'albicocca secca. Vidi, il giorno dopo, unirsi le due armate vincitrici: era una visione molto particolare poiché, dopo molto tempo, qualcuno era pronto a darci del cibo commestibile. L'armata russa passò di corsa, composta da ufficiali a cavallo senza sella, carri armati cigolanti, che fungevano da cucine improvvisate, tirando dietro capre e bestiame vario; era così differente rispetto l'armata americana così ben organizzata. Furono dei giorni particolari: passarono 4 mesi prima di essere divisi a seconda della nazionalità. Furono gli americani a organizzarci per farci tornare a casa. Quando arrivai a Milano, la mia casa era chiusa. Spero che, almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi, li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri in modo che, quando nessuna delle nostre voci si alzerà a dire «io mi ricordo», ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia sì che 6 milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate. Ma se ogni tanto qualcuno sarà candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sarà più forte del fanatismo e dell'odio dei nostri assassini”. "...A noi restava questa grande, straordinaria, terribile esperienza: il dolore, che non passerà mai, di aver avuto Auschwitz nella nostra vita. E il dovere di testimoniare di quello che è stato, noi che abbiamo avuto salva la vita, per tutti quelli che non possono più parlare..."

Liliana Segre fu una dei protagonisti della Shoah: il 30 Gennaio 1944 caricarono lei e suo padre su un vagone verso una meta sconosciuta. Con loro vennero deportati altri 600 ebrei, dei quali solo 22 furono i sopravvissuti. A Liliana fu strappata la sua infanzia e questo fu un chiaro esempio dell’indifferenza e della ferocia nazista. Liliana Segre è stata nominata senatrice a vita poiché, dagli anni ’90, si è data la missione di raccontare ai ragazzi la sua esperienza. Ha raccontato per lasciare alle generazioni future la memoria di quello che è accaduto, facendolo senza odio e senza spirito di vendetta.

“(…) delle ragazze francesi che erano lì da 15 giorni ci spiegarono dove eravamo arrivate: ci spiegarono cos’era quell’odore di bruciato che permeava nel campo: è l’odore della carne bruciata, perché qui gasano e poi bruciano nei forni. Noi ci guardavamo l’una con l’altra e tra noi pensavamo che quelle erano pazze, ma che cosa stanno dicendo che qui bruciano le persone. Ci mostrarono la ciminiera in fondo al campo dicendoci che lì bruciavano le persone e dicendoci che si chiamava crematorio. Noi non volevamo credere loro, ma poi ci spiegarono perché la neve era grigia e c’era la cenere, che eravamo diventate schiave e che per un sì o per un no potevamo andare anche noi al gas”.

Tratto da Testimonianza di Liliana Segre

“E io non capivo, me ne stavo lì, come se avessi fatto qualcosa di male, a domandarmi se tutto era cambiato per colpa mia”.

Con questa frase Liliana mette in evidenza come il suo animo fosse ferito per quello che aveva subito. Stare nel lager era durissimo, quello che era costretta a subire da altri esseri umani era talmente assurdo, tanto da farla sentire inadeguata. Quando si viene umiliati e maltrattati per lungo tempo, si finisce per pensare di essere gli stessi colpevoli di ciò che ci accade. Tutto cambia, anche l’anima di una persona viene schiacciata dal dolore che diventava in quella situazione sempre più insopportabile.

«Come si fa a vivere in queste condizioni? Sopportare tutto questo? Perché l’uomo è fortissimo e questo io l’ho sperimentato. Io ero una ragazzina di 13 anni, non avevo nessuna particolarità, semmai ero una ragazzina viziata, cresciuta in una famiglia che aveva fatto in modo di preservarmi da tutti i problemi della vita; la forza che c’è in ognuno di noi è grandissima, ed è di questa che noi dobbiamo far tesoro. Tutti i ragazzi devono credere in questa forza, perché se loro crederanno di avere questa grandissima forza psichica più che fisica, allora non diranno male di nessuno, della famiglia, della scuola, della società se non riescono a fare qualcosa. Ognuno di noi è un mondo e se si impegna può assolutamente fare della sua vita un capolavoro o una piccola vita normale che, se sarà onesta e per bene, sarà comunque un capolavoro. Noi abbiamo scelto la vita (…)»

L’essere umano è grande, ha mille risorse, soprattutto nelle situazioni spiacevoli. E proprio di questo parla Liliana: la forza che aveva dovuto tirar fuori durante la sua permanenza nel lager era stata veramente enorme. Ci si doveva dimenticare totalmente della vita agiata di prima per riuscire a sopportare quella fatta solo di privazioni e torture. L’appello di Liliana è rivolto principalmente ai giovani, che danno tutto per scontato e non investono alcuna energia nelle cose più semplici. merita.