Pedofilia e Vecchiaia
NONNITA’ E PEDOFILIA
Dr.ssa Flavia Albani, Psicogerontologa
Riassunto
Ogni bambino è vulnerabile all’abuso sessuale. I genitori di oggi devono affrontare la possibilità che qualcuno possa ferire o approfittare del proprio bambino. Nessun problema si risolve con il silenzio, tantomeno quello della violenza sessuale sui minori, spesso taciuta per timore, indifferenza o vergogna. Chi è il pedofilo e cosa si agita nella sua mente? La pedofilia viene qui approfondita come comportamento sessuale deviante. Viene proposto il quadro psicopatologico del pedofilo nelle sue varie realizzazioni ed in particolare nell’età anziana. I pregiudizi sulla vecchiaia asessuata sono ancora presenti nella nostra società. Viene approfondito il modello biologico e neuropsicologico del comportamento pedofilo come disturbo da lesioni cerebrali. Infine, vengono trattati gli aspetti imbarazzanti dei comportamenti sessuali inadeguati di persone affette da demenza. Tale disibinizione a volte può manifestarsi a carico del comportamento sessuale, dando luogo a situazioni difficilmente gestibili e talvolta imbarazzanti sia nel più ristretto ambito familiare che in quello relazionale allargato. E’ importante una corretta formazione e informazione degli operatori e della collettività.
Parole chiave: Pedofilia, Omertà, Sessualità, Pregiudizio, Vecchiaia, Lesioni cerebrali, Demenza frontotemporale
Summary
Every child is vulnerable to sexual abuse. Today’s parents must face the possibility that someone may hurt or take advantage of their child. Silence doesn’t solve any problem, the children sexual abuse least of all! Often children do not tell anyone about sexually abuse because they are afraid noone will believe them, or blame themselves and feel too ashamed or embarassed to tell. Silence enables sexual abuse to continue. Who is the perpetrator of child sexual abuse and what sexual offenders tell us? Current perspectives on deviant sexual behaviour, psychopathological aspects of the paedophilia, and aetiology of sexual deviance, particularly in old age are discussed. We examined the most recent literature on paedophilia including the psychopathological aspects. In recent years, the subject of sexuality and aging has been a topic of much interest, but in our society cultural stereotypes and myths still prevail about sex in old age. Health and illness cause changes that affect the quality of the individual’s sense of sexuality and ability to attain fulfillment. A predisposition to paedophilia may be unmasked by hypersexuality and/or erotomania, from brain disease. Specific brain lesions could alter sexual orientation in predisposed individuals. Inappropriate and disturbing sexual behaviours among people with dementia: experts and people may need to be enlisted to deal with such emotionally sensitive subject.
Key words: Paedophilia, Silence, Sexual Deviance, Sexuality, Stereotype, Old Age, Brain Diseases, Frontotemporal Dementia
Flavia Albani
Laureata in filosofia e psicologia, Specialista in Psicologia Sociale, psicoterapeuta, floriterapeuta. Già collaboratrice esterna della Sezione di Psicogerontologia dell'Istituto di Psicologia della Facoltà Medica dell'Università degli Studi di Milano, è autrice di diversi articoli e saggi su riviste nazionali e internazionali.
Introduzione
Ogni bambino è vulnerabile all’abuso sessuale. I genitori di oggi devono affrontare la possibilità che qualcuno possa ferire o approfittare del proprio bambino. Nessun problema si risolve con il silenzio, tantomeno quello della violenza sessuale sui minori, spesso taciuta per timore, indifferenza o vergogna. Attualmente la pedofilia è diventata un fenomeno a carattere di massa, con consolidati interessi commerciali e turistici. L’incontro tra il mondo industriale occidentale e la fame dei popoli del terzo mondo permette che l’infanzia dei deboli venga violata sistematicamente su scala mondiale; basti pensare ai meniños de rua in Brasile, alla prostituzione infantile in Thailandia, in Romania, nelle Filippine, dove la miseria spinge migliaia di famiglie, spesso tratte in inganno, a cedere i propri figli agli intermediari dei bordelli delle capitali. Un’altra caratteristica attuale è la quantità di materiale erotico e pornografico in circolazione, che spazia dall’editoria alla produzione video (Montgomery, 1998). In Internet esistono canali di comunicazione, di aggregazione, di commercio e di offerta. La pedofilia, afferma Vittorino Andreoli (1998), “è assolutamente compatibile con tutte le realizzazioni tipiche della società: avere una famiglia, una professione rispettata e socialmente riconosciuta, rapporti di amicizia” (p.161). L’ONU considera lo sfruttamento sessuale di bambine e bambini e di minori un “crimine contro l’umanità”, definizione inserita nello statuto del Tribunale Penale Internazionale e stima che ogni anno un milione di bambini entri a far parte del mercato della prostituzione (Vecchia, 2000).
Spesso l’immagine popolare del pedofilo è quella di un uomo di una certa età, una sorta di “sporcaccione” generalmente in pensione o disoccupato che, oltre a molestare qualsiasi bambino che gli capita a tiro, può anche avere altre anomalie del comportamento sessuale, o “parafilie”, come l’esibizionismo, il voyeurismo o altro. Le statistiche più recenti indicano, invece, che l’abitudine di molestare i bambini inizia generalmente intorno ai 15-16 anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo e che quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della casa che non presenta apparenti anomalie di comportamento.
In Italia, il primo “Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza” pubblicato da Eurispes-Telefono Azzurro il 27 Ottobre 2000 riferisce 423 segnalazioni di abusi sessuali fatte a Telefono Azzurro, direttamente da minori o da persone che si dicono a conoscenza di fatti criminosi, tra il giugno 1999 e il luglio 2000. Nel 20% del campione esaminato la situazione di disagio è nota a uno o due persone del gruppo familiare o a conoscenti che “tacciono”. Dal rapporto Eurispes risulta che il 66% degli abusi sessuali si compiono in famiglia: ne sono responsabili il padre nel 35.8% dei casi, la madre (30.8%), fratello/sorella (2%), altri parenti (4.8%), convivente con madre/padre (2.1%), amici/conoscenti (8.0%), insegnante (4.4%), estraneo (3.7%). Tra i bambini abusati sotto i dieci anni il 44.7% è maschio e il 42.6% è femmina (Arnaboldi, 2000; Masina Buraggi, 2000). L’abuso sessuale si verifica frequentemente in famiglie di livello socioculturale medio e alto, a differenza di quanto avviene nelle situazioni di maltrattamento fisico e trascuratezza. “Nei dati da noi rilevati e analizzati – scrive Malacrea (1998) – relativi ai casi avuti in carico tra il 1990 e il 1995, solo il 36% delle famiglie era di ceto basso, e quasi il 20% apparteneva invece a quello alto” (p.45). E’ la famiglia il sistema da cui, a volte, prendono il volo le follie più raccapriccianti e in cui si sviluppano complesse dinamiche relazionali con regole spesso implicitamente condivise e rigidamente distribuite. Nella famiglia borghese ricorre, più frequentemente che in altre famiglie, il bisogno di complicità per eventi da nascondere e da occultare: è il bisogno di difendere, a volte lo status sociale, a volte gli stessi meccanismi perversi, che inducono, inconsciamente, la famiglia a negare la presenza di giochi in cui tutti i componenti sono parte attiva. (Polenta, 2000)
Secondo Howitt (2000), le caratteristiche chiave della parafilia, a cominciare da quelle che costituiscono i principali criteri diagnostici, sono:
Preoccupazione o fantasia erotica altamente eccitanti, persistenti e insolite.
Pressione a tradurre in atto questo pensiero dominante.
Disfunzione sessuale, come problemi di desiderio, di eccitazione o di orgasmo, durante il comportamento sessuale tradizionale con un partner.
Pedofili e molestatori di bambini condividono alcune caratteristiche: per la maggior parte sono maschi, e possono essere eterosessuali, omosessuali, o bisessuali; alcuni preferiscono un partner sessuale adulto ma scelgono i bambini in quanto sono disponibili e vulnerabili (Murray, 2000). La fantasia dei parafiliaci ha le proprie radici nell’infanzia e nell’adolescenza. Invecchiando, i parafilici spesso riferiscono come certe immagini erotiche li abbiano accompagnati per la maggior parte della loro vita. Il grado di pressione a tradurre nella vita reale queste fantasie erotiche varia grandemente. La masturbazione è comunemente usata per scaricare l’eccitazione fisica provocata dalla fantasia. In certi individui, la masturbazione frequente può interferire pesantemente sulla normale vita quotidiana. Molti parafilici sperimentano questa eccitazione sessuale come intrusiva, ricorrente quando non è desiderata. Essi si eccitano rapidamente quando, nelle riviste, nei video o altro, incontrano immagini attinenti alla loro fantasia.
La personalità dei pedofili è polimorfa. Ajuraguerra (1979) ritiene che la tendenza ad avere un contatto sessuale con i bambini può essere considerata secondo un continuum che va dall’individuo per il quale il bambino rappresenta l’oggetto sessuale scelto (pedofilia) a quello (l’altro estremo) per il quale la scelta di un oggetto sessuale immaturo è essenzialmente una questione di opportunità e di coincidenza. Nel secondo caso si tratterebbe di soggetti “adattabili” o “superficiali”, individui che non si pongono molti problemi e prendono ciò che capita o che viene loro offerto. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a spiegare il fenomeno del turismo sessuale, praticato non solo da pedofili ma anche da persone che di norma hanno rapporti sessuali con partner adulti.
L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce necessariamente in atti sessuali completi: il pedofilo può limitarsi a spogliare il bambino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza o ad accarezzarlo, può convincere il bambino a toccarlo a sua volta e così via.
C’è chi si limita a guardare materiale pornografico, oggi rintracciato abbastanza facilmente navigando in Internet. William Andraghetti nel Diario di un pedofilo (1996), in cui l’autore ripercorre la propria storia giudiziaria che lo ha portato alla condanna definitiva a 8 anni di reclusione per violenza sessuale, scrive: “Fra questi miei corrispondenti c’era anche Alessandro, una persona anziana, sui 70 anni, che si definiva amante dei “dolci tesori” (come lui li chiamava) e che era stato il primo pedofilo a entrare in contatto con me. Mi scriveva quasi regolarmente da Trieste due o tre lettere alla settimana, tanto che non riuscivo a rispondere a tutte. Lo avevo soprannominato il “pedofilo grafomane”. Ogni sua lettera conteneva informazioni sull’uscita di nuovi film super-8, video e riviste porno (e non) con ragazzini, i prezzi e le ditte che li vendevano, l’apertura di nuovi sexy-shop dove si vendeva questo genere di materiale… Conosceva l’inglese, il francese e un po’ di tedesco; questo gli permetteva di avere una fitta schiera di corrispondenti in tutta Europa. La maggior parte di loro scriveva da Amsterdam e Copenhagen. Spendeva tutta la sua misera pensione per comprare riviste e film con giovanissimi attori in azione. Lo si poteva considerare un “contemplativo”, dal momento che non aveva mai avuto rapporti diretti con ragazzini…” (p.20-21)
Alcuni praticano la pedofilia occasionalmente e non ricercano attivamente i bambini. Oltre ai pedofili attivi, ci sono anche i pedofili “latenti”, che non giungono a prendere l’iniziativa. Alcuni sono attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo “esclusivo”) altri sono talvolta attratti anche da adulti (tipo “non esclusivo”).
La maggior parte dei pedofili cerca di non maltrattare i bambini che riesce ad avvicinare, sia per l’attrazione nei loro confronti, sia perché vuole evitare che essi possano lamentarsi, parlare, “fare la spia”. Ci sono anche altri tipi di pedofili, “meno buoni” che praticano il cosiddetto “pedosadismo”(Oliverio Ferraris & Graziosi, 2001/a). In questo caso, l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme di sadismo più o meno spinto. Si tratta, quasi sempre, di individui privi di senso morale, spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e psicologico, che qualche volta finiscono per uccidere la loro vittima.
Spesso si tratta di violenze costruite sul segreto. Gli episodi di abuso avvengono ripetutamente quando la madre, la nonna, è assente da casa, e per molto tempo, a volte “per sempre”, rimangono protetti dal “patto del segreto”. Nella maggioranza dei casi, infatti, il rapporto tra chi abusa e chi subisce molestie si caratterizza come un segreto da mantenere. Così il patrigno, il nonno, lo zio, il vicino di casa, l’amico di famiglia, raccomanda alla bambina, al bambino, di non raccontare l’accaduto a nessuno. E’ il silenzio/assenso: il doppio codice dell’omertà.
L’interno dello spazio familiare è da sempre stato il regno della donna, custode della casa e del compito educativo dei figli. All’interno di una famiglia dove per anni si determinano certi accadimenti, con una figlia, quando non con un figlio, perché le madri, le nonne, riescono a non vedere? Quali sono le ragioni che possono spingere una madre a tacere? La subalternità culturale e psicologica della donna non può risolversi in un alibi che giustifichi il suo silenzio/assenso. Perché una donna, dal suo ruolo di madre, di nonna, accetta di condividere il peso di questo tipo d’uomo, marito, figlio, nipote? «Perché – afferma Maria Rita Parsi - grazie alla propria omertà può permettersi di gestire il marito. Che sa benissimo essere un mostro da temere, ma che pur sempre le garantisce una rispettabilità sociale che lei impugna e gestisce… Le persone intorno al pedofilo, quando anche non SANNO verbalmente, comunque avvertono. Capiscono distintamente. Ripongono il segreto, lo seppelliscono dentro per non venirne contagiate, per non esserne sporcate… Lo nascondono all’interno del mistero familiare. Dentro un meccanismo che impasta e lega in modo indissolubile. Anche dopo anni, è molto difficile penetrarvi… Succede spesso che il codice dell’omertà sia messo in opera perché la donna teme la vendetta del marito. E’ soggiogata dalla violenza, dalla continua brutalità. Questo tipo di persona è probabilmente stata vittima da bambina1. Magari del proprio padre, e per anni. E come vittima si è andata a ricacciare in una situazione analoga, l’unica che reputa possibile, nella quale ripete pavlovianamente il medesimo comportamento vissuto come figlia, con la variante di vestire ora gli abiti della madre. Una coazione tipica di buona parte delle patologie a sfondo sessuale. A questo, aggiungi anche la paura di entrare in conflitto con se stessa. Costringendosi a chiedere: posso essermi sbagliata fino a questo punto? E, soprattutto: cosa c’è in me che non va? Il semplice fatto di porsi queste domande, può portarla a provare repulsione per se stessa. Può spezzarla irrimediabilmente… L’ultimo motivo, forse il più terribile, è la necessità di mettere in moto, di agire una propria pedofilia. Mi fa orrore dirlo. Una sorta di voyeurismo perverso. Io non pratico la pedofilia: mi appago guardando.» (Camarca & Parsi, 2000, p.9-11)
Appartengano a una esplicita volontà di potenza o all’illusione di salvaguardarsi nell’apparenza, le diverse forme di omertà nascono pur sempre dalla pretesa di orientare l’esistente muovendo dal proprio potere, nell’esclusività del proprio punto di vista (Melchiorre, 1998). Il codice dell’omertà rappresenta da un punto di vista psicologico la difesa del proprio spazio familiare interno, dell’onore del proprio gruppo di appartenenza (Lo Coco, 1998). Nel campo delle relazioni familiari il “segreto” si pone come qualcosa di non detto, saputa ma non mostrata, da non condurre nel registro della svelatezza. Esistono temi ed eventi familiari sui quali è possibile esprimere parola, che possono essere pensati, condivisi, scambiati tra i membri del nucleo familiare, costitutivi della storia familiare. Su altri temi ed eventi vige al contrario il segreto, la necessità del non essere svelati, non detti e non parlabili, che rappresentano fonte di sofferenza e disagio psichico nella rete di relazioni parentali. Si pensi alla madre che si fa complice delle violenze paterne sui figli, per timore o per salvare l’immagine della famiglia. Si pensi al silenzio o alle finzioni con cui certi genitori cercano di nascondere le deviazioni di un figlio, anche se altri potrebbero soccorrere e venire in aiuto. Scrive Marinella Malacrea (1998): “Si può ben dire che il segreto, più che una scelta, sia l’impossibilità di sottrarsi all’incubo… Il primo e ovvio effetto del segreto è consentire all’abuso di iniziare e perpetuarsi nel tempo senza che vengano suscitati quegli interventi esterni che vi metterebbero fine” (p.35).
C’è il “segreto” mantenuto da chi subisce l’abuso. Un bambino, ancora più dipendente di un adulto dal mondo esterno per confermare o validare le proprie conoscenze, non possiede in partenza parametri per giudicare le interazioni che gli vengono proposte dall’abusante. Il bambino, essendo costretto sia da spinte esterne che interne al segreto, e tanto più quanto più avvertirà confusamente che c’è qualcosa di peculiare in quel che gli succede, non avrà la possibilità di mentalizzare giudizi, stati d'animo, sensazioni personali. Più in generale, il segreto si configura come una barriera che impedisce persino di guardare se stessi e di comunicare. “Il segreto, afferma Malacrea (1998), funzionerà quindi come una potente interdizione a individuarsi e conoscersi all’interno di quella relazione, creando un’area oscura per il pensiero… Per il bambino che è detentore del segreto consegue uno svuotamento dei rapporti (quelli con i potenziali protettori) in cui non può essere riversata la comunicazione più importante, e un rafforzamento sempre maggiore del rapporto (quello con l’abusante) in cui questa è invece condivisa: il segreto contribuirà quindi a rendere significativa, attraverso una pericolosa alterazione delle naturali dinamiche che presiedono allo stabilirsi di fondanti relazioni di fiducia con gli adulti, proprio e prevalentemente quella relazione in cui si è sviliti e vittimizzati” (p.36).
Così, come accade alle vittime, anche per l’adulto potenzialmente protettivo il segreto non può essere abbandonato di colpo e totalmente: sarebbe troppo devastante; “Preferisce gravarsi della responsabilità di fare il giudice dall’interno della famiglia, decidere la pena per il colpevole, dosare la conoscenza degli avvenimenti in modo, se possibile, di salvare tutti” (Malacrea, 1998, p.45). L’ottundimento del pensiero (raggiunto attraverso il dubbio, l’incertezza sul da farsi, l’interrogarsi senza cercare davvero risposte) e l’ottundimento dei sentimenti sono entrambi forme di difesa; la seconda forse più pericolosa della prima in quanto scava un fossato tra l’adulto protettivo e la vittima che non può essere colmato con le parole, i ragionamenti, la comunicazione. Indursi una sorta di anestesia per evitare l’impatto di esperienze traumatiche è anche un meccanismo fisiologico. “Se è impossibile ‘non sapere’, scrive Malacrea (1998), almeno ‘non sentire’ può apparire istintivamente una via di fuga accettabile, per salvaguardare un equilibrio che, anche se non del tutto soddisfacente, sembra preferibile a una troppo brusca resa dei conti su fronti relazionali diversi e conflittuali” (p.126).
Pedofilia e anziano
«Ferrara. “Non vogliamo andare dal nonno”. Prima ha parlato la sorellina più piccola, 16 anni appena e un incubo che si porterà dietro fin che vive. Poi ha confermato tutto la sorella di 17 anni. Ma a confidare a mamma che non voleva più andare dal nonno perché il nonno l'aveva violentata quasi 4 anni prima, è stata la più piccina. Lo scetticismo della madre, quando ha saputo, ha lasciato il posto all'orrore quando la verità della piccola è stata ribadita dalla sorella di 17 anni, identica. Stesso racconto raccapricciante, stesse accuse: “Il nonno ci faceva...” e giù una serie di particolari che sembravano frutto di fantasie adolescenziali perverse. E invece, certificati ginecologici alla mano, tutto è risultato vero. La stesso autore non è un presunto violentatore, per sua stessa ammissione ha violentato le nipotine, “ma non le ho rovinate”, come ha ripetuto ossessivamente prima in un summit di famiglia in cui le accuse delle sorelline gli sono state sbattute in faccia. Poi anche nel corso di vari interrogatori cui l'hanno sottoposto i carabinieri ha ammesso le proprie responsabilità, ma non ha ammesso di essere andato fino in fondo. Insomma, si sarebbe fermato appena prima e non si sa se a trattenerlo sia stato un improvviso scrupolo di coscienza o chissà cos'altro. All'epoca delle violenze carnali, le due vittime erano poco più che bambine: 12 e 13 anni, la loro età. Affidate ai nonni perché i genitori dovevano lavorare, sono state violentate a turno: prima l'una e poi l'altra senza contare gli atti di libidine violenta, i palpeggiamenti e le molestie cui sono state sottoposte dal nonno di cui avevano il sacro terrore…(Caterina Veronesi, Il Resto Del Carlino – domenica 25 novembre 2001)
«Milano. L’incubo dell’orco per 31 minori rom; smantellata una comunità di nomadi; violenze da anni, garantite dall’omertà. Maltrattate, costrette a subire abusi sessuali e, in almeno un paio di casi, mandate a prostituirsi…10 bambine e 2 bambini sono stati costretti a subire le attenzioni particolari di alcuni membri della famiglia capeggiati da due anziani fratelli…Erano loro i primi ad abusare di figli e nipoti…All’interno del clan, una quarantina di persone in tutto, erano nate e continuavano ad esistere situazioni pesantissime di degrado morale con relazioni anche matrimoniali fra stretti consanguinei. Le violenze seguivano un elaborato rituale in cui il pedofilo arrivava a mascherarsi da jolly o da ‘buttafuoco’…Una ragazzina nomade – che proprio ieri compiva 15 anni – dal riformatorio dove era finita per una rapina a casa di un anziano, ha raccontato che il ‘colpo’ era arrivato dopo quattro ore trascorse nella casa del vecchietto che aveva approfittato di lei con il permesso dei genitori. Un’altra ragazza, ora maggiorenne, ha confermato di essere stata costretta a vendersi dai genitori che l’hanno ‘affittata’ ad anziani vicini di casa.» (Davide Parozzi, “Avvenire”, 29 novembre 2000, p.8).
Chiara, 29 anni, urla al padre la sua esperienza “indicibile”: «“.. perché non mi avete ascoltata? Perché avete preferito far finta di niente? Io ero angosciata! Struzzi, siete stati degli struzzi! Mamma non ha voluto mettere in discussione lo zio: tra me e suo fratello ha scelto lui, il grand’uomo della famiglia… ero soltanto una bambina… io parlavo e voi eravate sordi e muti. E’ stato un tradimento in piena regola! Dopo tutti questi anni, dopo le crisi, le terapie e tutto il resto ora so che il vostro silenzio è stato ben più dannoso di ciò che ha potuto farmi lui… La droga.. è stata la mia compagna in quel mare di solitudine e di abbandono in cui sono vissuta per anni e in cui tu e la mamma mi avete lasciata per salvare l’anziano zio, il ‘capofamiglia’. Perché non avevate il coraggio di affrontarlo!”… Chiara, all’età di nove anni, era stata oggetto delle attenzioni sessuali dello zio da cui si recava, due o tre volte a settimana, per fare i compiti… Chiara aveva cercato di parlare con i suoi genitori degli approcci sempre più espliciti dell’anziano parente, ma la mamma non le aveva creduto, anzi l’aveva sgridata, ingiungendole, con un tono di voce molto duro che non ammetteva repliche, di smettere immediatamente di raccontare ‘quelle orribili bugie che la facevano tanto soffrire’… Papà si era limitato a tacere e così le visite dallo zio ‘per fare i compiti’ erano continuate.» (Oliverio Ferraris A. (1998), Il Caso: un passato senza parole, “Psicologia Contemporanea”, N.147, p.26).
«Mondrian oggi ha 9 anni e non vuole assolutamente ricordare. Ogni volta che la famiglia di suo padre tenta di contattarlo, ha una crisi di nervi. Batte la testa contro il muro, piange, urla, distrugge tutto quello che gli capita a tiro. Nessuno può avvicinarlo fino a quando non gli garantiscono che i nonni non verranno. Quei nonni sono il suo incubo, la casa dei nonni è come l’antro di una strega dal quale è riuscito a trovare scampo, ma rimanendo psichicamente distrutto…Il nonno, un aitante signore di 60 anni con un passato di sportivo e di “tombeur de femmes”, dichiarava sorridendo, che poiché non poteva mostrare, per decenza, le foto con autoscatto che lui e la moglie erano soliti farsi durante gli ancora focosissimi amplessi, preferiva esibire le immortalate fattezze di Mondrian. Fotografarlo, fin dai primi giorni di vita, in varie pose, ma soprattutto nudo, sembrava il loro pallino fisso…E’ la madre, per prima, a capire che il suo bambino non è più quello di prima…Si fa strada, nei genitori di Mondrian e in chi lo cura, l’ipotesi che il bambino sia stato vittima di un abuso sessuale e che, ad abusare di lui, sia stato il nonno con la complicità della nonna e della macchina fotografica… Le foto di Mondrian sono state ritrovate su Internet in un sito per pedofili scambisti. Alcune sono di semplice nudità. Altre, invece, lo ritraggono, intontito, forse drogato, mentre “qualcuno” (un adulto) abusa di lui. Il cognome del padre di suo padre è tra quelli delle persone che hanno fornito materiale pornografico su bambini a quella “sporca navigazione”» (Maria Rita Parsi (1998), Le mani sui bambini: storie cliniche di abusi infantili, p.21-29)
Si tratta di storie di pedofili anziani. E’ possibile che un pedofilo possa mettere in atto questo comportamento per la prima volta in età senescente? Non è comune, infatti, che la pedofilia sia messa in atto per la prima volta in questo periodo della vita (Clark & Mezey, 1997). Sebbene alcuni individui raccontino di non essere stati eccitati dai bambini fino alla mezza età, nella maggior parte dei casi, la pedofilia inizia tra adolescenti, spesso maschi psicosessualmente ritardati. Naturalmente, è possibile che circostanze possano impedire che un individuo esprima le proprie tendenze pedofiliche fino all’età senescente, ma in tal caso si preferisce sospettare una causa organica o neurologica per tale comportamento attuato in tarda età. L’opinione che la maggior parte dei pedofili abbiano disturbi neurologici non è confermata dalla letteratura recente. Ciò nonostante, ci sono casi di pedofilia iniziati in tarda età dopo una lesione cerebrale. Le disfunzioni a carico della corteccia frontale2 che si riscontrano in diversi tipi di demenze, producono la perdita dell’autocontrollo, dell’empatia e causano fenomeni di disinibizione. Gli individui anziani che hanno sofferto di un leggero ictus o che stanno sviluppando una malattia demenziale che colpisca i lobi frontali possono infatti diventare sessualmente provocanti o aggressivi. Parti filogeneticamente antiche, ovvero appartenenti all’encefalo primitivo, preposto essenzialmente alla sopravvivenza della specie tramite comportamenti aggressivi, potrebbero entrare nel circuito reattivo di fronte a situazioni-contesto particolarmente frustranti e/o terrificanti. Per esempio, sappiamo che, in alcuni comportamenti aberranti, le cellule dell’amigdala sono particolarmente attive, insieme a quelle ipotalamiche. Amigdala e ipotalamo appartengono entrambi al sistema limbico, che consiste di una parte filogeneticamente antica del prosencefalo, alla quale, si sovrappone, circondandola, una parte neocorticale. L’interessamento delle strutture limbiche può causare docilità o aggressività, ipersessualità, disturbi delle normali sequenze comportamentali.
La pedofilia e l’aggressività nell’età senile è a tutt’oggi un settore della ricerca scarsamente esplorato. Molti sono gli studi condotti sugli autori di abusi sessuali in giovane età, pochi invece gli studi su molestatori anziani. Questo può aver fatto pensare che la vecchiaia sia accompagnata inevitabilmente da una diminuzione del desiderio e della funzione sessuale e di conseguenza può aver creato la convinzione che ci sia anche una diminuzione del rischio man mano che il giovane molestatore sessuale invecchia (Clark & Mezey, 1997). La letteratura medica geriatrica contiene riferimenti ai “vecchi sporcaccioni” che sono predisposti a molestare i bambini. Le parafilie possono ricorrere in soggetti con lesioni cerebrali, ma la natura di questa relazione non è nota. Gli autori spesso descrivono questi vecchi come sofferenti di demenza o di disturbi quali neurolue o infarti cerebrali.
Alcuni ricercatori hanno osservato le caratteristiche neuropsicologiche dei pedofili. Scott et al. (1984) hanno messo a confronto gli aggressori sessuali con pedofili. Tutti erano stati sottoposti a valutazione, in vista di una possibile classificazione di “trasgressori sessuali con disturbi mentali”. Gli individui con segni di menomazioni neurologiche (ad es. accessi critici, ritardo mentale o trauma cranico) furono esclusi. Il gruppo di controllo era formato, in larga parte da persone non ospedalizzate: «il 55% dei soggetti che avevano aggredito un maschio o una femmina adulti accusava danni al cervello. Un altro 32% poteva essere meglio descritto come borderline. Il 18% dei soggetti di questo gruppo si presentava entro limiti normali. Nel gruppo dei pedofili il 36% presentava le condizioni per la diagnosi di disfunzione cerebrale, il 29% apparteneva al gruppo borderline e il 36% era normale dal punto di vista neuropsicologico… Gli autori dichiarano che “per una larga percentuale degli stupratori e dei pedofili, le disfunzioni cerebrali possono rappresentare un fattore contribuente o predominante”». Wright et al. (1990) hanno esaminato l’interno del cervello di una certa varietà di trasgressori sessuali e gruppi di controllo formati da autori di reati non sessuali e non violenti. I pedofili differivano dai gruppi di controllo, dagli incestuosi e dagli aggressori di donne adulte – una ben maggiore percentuale di essi aveva l’emisfero sinistro più piccolo di quello destro. “Ciò indica, forse, che le anormalità strutturali sono più comuni nel cervello dei trasgressori sessuali” (in Howitt, 2000, p. 186-188).
Tra gli anziani l’aggressività può caratterizzare soggetti che la manifestavano già in fasi precedenti della vita o, al contrario, insorgere per la prima volta in età senile. “In quest’ultimo caso potrebbe rappresentare la slatentizzazione di una propensione presente sin dalla giovinezza (tratti di personalità? labilità dei circuiti serotoninergici?) o essere il correlato di modificazioni della personalità del soggetto affetto da patologie degenerative cerebrali” (Scocco, 2000, p.134). Le cause che conducono l’anziano al crimine sono poco conosciute. Tra queste la patologia demenziale pare avere un ruolo importante (Rayel, Land & Gutheil, 1999). I pazienti dementi, per esempio, oltre ai comportamenti aggressivi diretti (aggressività fisica, aggressività verbale e lamentazioni continue, vagabondaggio) possono manifestare atteggiamenti oppositivi nei confronti dei caregiver e del personale sanitario o comportamenti socialmente inadeguati e sessualmente disinibiti. Tuttavia non è stato ancora chiaramente stabilito se l’aggressività dell’anziano demente sia una manifestazione primaria della patologia degenerativa in sé o insorga come conseguenza dell’inabilità del demente a dominare un ambiente che mal si adatta alle sue esigenze.
L’anziano viene generalmente considerato più propenso a subire e a temere la violenza o l’aggressività altrui. La fragilità e l’isolamento sociale che si accompagnano alla malattia o all’età avanzata rendono l’anziano più vulnerabile al crimine (Falzon & Davis, 1998). Bridges Parlet e al. (1994) osservano che il comportamento da loro stessi definito “aggressivo” nei dementi si era rivelato in realtà, nella maggioranza dei casi, “difensivo”, e chi si sentiva aggredito era il malato stesso. Crimini sessuali violenti quali lo stupro sono portati a termine da persone più giovani. Il vecchio molestatore in genere è più coinvolto in comportamenti esibizionistici o di pedofilia, come l’accarezzare o toccare senza tuttavia causare danni fisici. (Waltzman & Karasu, 1972)
Leslie Margolin (1992) dell’Università dell’Iowa ha condotto un interessante studio su 95 casi (11 maschi e 84 femmine) di abusi sessuali su minori, perpetrati da 76 nonni (75 maschi e 1 femmina) tra il 1985 e il 1986. L’abuso avveniva durante gli intervalli di cura temporanea dei nipotini e spesso quando si fermavano a dormire nella casa dei nonni. Il 60% dei nonni pedofili aveva negato qualsiasi responsabilità nell’abuso. In 19 casi i membri adulti della famiglia, genitori o nonne, erano a conoscenza dell’abuso sessuale perpetrato dal nonno, ma non avevano fatto alcuno sforzo per intervenire, forse per “assuefazione” alla violenza, o forse a causa del diffuso stereotipo che l’abuso sessuale del nonno non sia grave, atteggiamento che può portare a vedere le vittime dei nonni come meno credibili degli altri e meno meritevoli di supporto.
Rayel (2000,a/b) ha condotto uno studio descrittivo su 7 anziani maschi (facenti parte di un gruppo di 22 anziani coinvolti in atti di violenza), tra i 55 e i 67 anni di età, ammessi all’Ospedale Giudiziario di Bridgewater nel Massachussetts tra il Novembre 1995 e il Marzo 1998, imputati per stupro o atti osceni. La maggior parte dei molestatori sessuali (6) soffriva di disturbi dell’umore o psicotici. Uno solo aveva una storia di comportamento violento o aggressivo. In contrasto con altri studi in cui la diagnosi predominante è la pedofilia, uno solo di questi anziani presentava diagnosi di parafilia (62 anni, tentativo di suicidio dopo essere stato accusato di molestie sessuali su un bambino). Il 57% presentava una storia medica significativa.
Clark & Mezey (1997) giungono con loro studio a conclusioni diverse. Si tratta di 13 anziani pedofili, di età tra i 65 e gli 89 anni, ammessi al Servizio Specialistico nel Sud di Londra, dall’Aprile 1993 al Novembre 1995. Un soggetto all’età di 51 anni era già stato accusato di abuso sessuale della figlia ed ora a 78 anni era stato accusato di aver abusato anche della nipotina. Altri 4 soggetti avevano abusato dei propri nipotini; tra gli anziani di questo gruppo, uno presentava una storia di abusi sessuali subiti nell’infanzia. Infine, otto anziani avevano abusato di bambini conosciuti del vicinato. Nessuno di questi soggetti sembrava aver commesso il loro reato a seguito di disturbi organici. La natura dei contatti sessuali consisteva nella penetrazione digitale anale o vaginale, nella fellatio, nel toccare il petto o la vagina o il pene delle vittime, nel farsi masturbare. La maggior parte degli abusi erano avvenuti nella casa dell’abusante o della vittima. In 4 casi le violenze erano durate per più di 20 anni. Secondo gli autori, la cronicità nel comportamento suggerisce che questi anziani trasgressori sessuali fossero diventati esperti nell’evitare l’arresto e che per la maggior parte di loro l’abuso non fosse una aberrazione ma un’indicazione di un’attrazione verso il contatto sessuale con bambini presente in tutto l’arco della loro vita. In tal caso, l’interesse sessuale verso i bambini non era nato “de novo” in età avanzata.
Uno studio di Li (1991) descrive le motivazioni psicologiche che sottostanno ai rapporti con i bambini. Furono intervistati soggetti reclutati tra i pazienti di alcuni psichiatri, oppure contattati tramite le organizzazioni pedofile e annunci sulle riviste. L’autore avanza l’idea che il sesso non sia la motivazione primaria dei pedofili. Piuttosto, essi cercano l’amore e la sensazione di essere desiderati, cose che il mondo adulto non fornisce loro. Un pedofilo di 74 anni ha detto: “come boy-lover… non vado alla ricerca di ragazzi per il mio piacere personale. Semplicemente incoraggio, quelli che vengono da me e vogliono fare con me un po’ di giochi sessuali, e questo è sempre stato il mio modo di vedere. Non ho mai usato violenza ad un ragazzo.” (in Howitt, 2000, p. 90)
Sovente si può osservare, soprattutto nel soggetto maturo o anziano, il timore di non essere all’altezza di un partner sessuale adulto, con il conseguente indirizzarsi verso l’ambito infantile o prepubere, come garanzia nei confronti di un eventuale fallimento della relazione sessuale. Il bambino, infatti, almeno in teoria, dovrebbe non essere in grado di riconoscere questi fallimenti, né accorgersi di “vergognosi arrangiamenti” nella pratica sessuale, garantendo anche un certo silenzio di fronte agli adulti. (Callieri & Frighi, 1999, p.42)
Weinberg (1975) osserva che «In the absence of opportunity for direct sexual gratification, the need for sexual expression may indeed take on many forms. Without thinking of regressive maneuvers related to dynamic formulations of oral, anal, and phallic preoccupation, we should take into consideration the sublimated and socially acceptable expressions such as touch, or tactile contact, which in the younger adult may be acceptable and natural but in the older person is looked upon with curiosity, and often with suspicion and disapproval. The sick old man who reaches out a feeble hand to touch the young female nurse is an “old fool making a pass”. The sick younger man with the same gesture may also be making a pass, but he, of course is no “fool”. The aged man who reaches out to touch and pat the smooth, inviting skin of a youngster becomes the prototype of the dangerous molester despite the fact that statistically he ranks low on that scale. Nevertheless, it is quite true that the courts may be more lenient with the aged and ascribe their behaviour to confusion. (The number of aged molesters is quite negligible when compared to the number of young adult molesters).» (p.249)3
In uno studio condotto da Langevin et al. (2000) sul confronto tra tre gruppi di “sexual offenders”, il gruppo di 24 anziani maschi ecclesiastici accusati di abusi sessuali presentava per il 70.8% un disturbo sessuale, in particolare pedofilia omosessuale, disturbi endocrini e tendeva ad usare la violenza più spesso degli altri gruppi durante l’abuso sessuale. Cormier et al. (1995) hanno studiato episodi di pedofilia in età adulta e nella senescenza e descrivono come l’“acting out” in un particolare contesto emozionale possa aiutare il pedofilo a risolvere precedenti conflitti in relazione alla famiglia di origine o quella attuale. Gli autori, hanno riesaminato 36 casi seguiti dal 1980 al 1989 presso il Dipartimento di Psichiatria Forense della McGill University di Montreal, Quebec. In 12 casi hanno trovato una precedente storia di abuso sessuale da parte di uno sconosciuto, di un genitore, di un fratello, di un insegnante, o di altre figure autorevoli.
I fattori psicosociali sono particolarmente rilevanti negli anziani che hanno commesso reati sessuali. Nella “pedofilia senescente”, solitudine e isolamento sono spesso fattori precipitanti. Alcuni autori “sostengono che gli anziani che commettono tali reati presenterebbero un ‘tallone d’Achille’, una propensione – tenuta sotto controllo da soddisfazioni compensatorie o pressioni ambientali – che riemerge in momenti di stress, malattia fisica, disabilità e, appunto, età avanzata” (Scocco, 2000, p.149). Ricordiamo il caso di Sandro, riferito da Parenti (1990): “Sandro è un uomo di appena quarantasei anni, precocemente nonno e precocemente pensionato per un incidente sul lavoro. E’ alternativamente ospitato da due figlie sposate, che si assumono questo impegno ma non gli concedono molta attenzione. Lui trascina le sue giornate, pensando con nostalgia al suo precedente ruolo di operaio specializzato, a sua moglie morta da qualche anno per una malattia incurabile. La rivelazione terribile esplode inattesa. Una bambina confessa con imbarazzo alla madre che il nonno cerca sempre di toccarla 'lì’ Una breve, apprensiva inchiesta ricostruisce analoghi tentativi di Sandro nei confronti di altre due nipotine. Quando lo ricevo nel mio studio sono colpito dal suo aspetto, che non mi sembra per nulla congeniale al vizio. Ha un viso magro e scavato, due baffi grigi, un portamento eretto, mostra in apparenza tutta l’antica dignità del proletario evoluto. Da principio risponde a monosillabi, è reticente ma, quando affronto l’argomento direttamente, scoppia in un pianto irrefrenabile. Due frasi appena abbozzate affiorano automaticamente dai suoi singhiozzi: “Sono così solo… Nessuno mi ascolta!” Qui la pedofilia si delinea come una sconsolata, anche se lesiva, ricerca di comunicazione affettiva e sensoriale. Una ricerca che si indirizza verso le nipotine, forse le sole persone disposte a dargli qualche attenzione nelle due famiglie, nessuna delle quali è veramente sua”. (p.82)
Secondo Hucker & Ben Aron (1985) la solitudine e l’isolamento che segue la morte del coniuge, di amici, il pensionamento con la riduzione delle risorse economiche, sono fattori che possono aver giocato un ruolo importante nel reato di pedofilia, ed aver compromesso la capacità di giudizio degli anziani da loro esaminati, tale da mettere in atto impulsi deviati che normalmente tenevano meglio sotto controllo. Questi autori hanno messo a confronto un gruppo 43 anziani tra i 60 e gli 84 anni, ed un gruppo di 43 individui di età tra i 18 e i 29 anni, tutti accusati di reati sessuali, ammessi al Servizio Giudiziario del Clarke Institute of Psychiatry di Toronto (Canada), dal 1° luglio 1966 al 31 dicembre 1979. Gli anziani selezionati risultavano essere meno istruiti rispetto agli individui più giovani, differenza dovuta probabilmente alle migliori opportunità di istruzione rese disponibili negli anni più recenti. L’età delle vittime differiva tra i due gruppi: per il 67% degli anziani le vittime erano tra 1-12 anni ed erano per lo più già conosciuti o in relazione parentale; per il 49% degli individui più giovani le vittime avevano più di 16 anni e per lo più sconosciute (70%). Riguardo la natura dei contatti sessuali, lo stupro o il tentativo di stupro era praticamente assente nel gruppo degli anziani, ma presente rispettivamente per il 5% ed il 12% nei trasgressori più giovani. Nel gruppo degli anziani (63%) prevaleva il “touching”. Il 45% degli anziani, rispetto al 35% dei giovani, “ammetteva ma minimizzava” il reato; il 32% degli anziani, rispetto al 7% dei giovani, lo “negava”; il 21% degli anziani, rispetto al 52% dei giovani “ammetteva pienamente” il reato. Secondo gli autori, forse questi anziani avevano maggiore difficoltà nel riconoscere il reato commesso per paura di ulteriore ostracismo sociale o nella speranza che la loro credibilità e dignità sopravvivesse all’accusa.
Riguardo a condotte pedofile messe in atto da anziani con lesione cerebrale, Mendez e al. (2000) riportano lo studio di due maschi anziani che presentavano condotte pedofile di tipo omosessuale e lesione cerebrale, e approfondiscono l’aspetto neuropsichiatrico di questa condizione. Il primo paziente rispondeva ai criteri di demenza fronto-temporale; il secondo presentava una sclerosi ippocampale bilaterale. In entrambi, la tomografia ad emissione di positroni (PET) con tracciante 18-fluorodeossiglucosio (18-FDG) aveva rivelato notevole ipometabolismo al lobo temporale destro. Riassumiamo qui di seguito i due “case report”.
Paziente 1
Si tratta di un maschio di 60 anni, mancino, ospedalizzato dopo appostamenti, abbordamenti e tentativi di molestare dei bambini. Per 18 mesi egli aveva seguito con l’auto dei bambini dalla scuola fino a casa, e aveva cercato di toccarli. Un giorno, egli aveva abbracciato un ragazzino di 10 anni, e l’aveva picchiato quando aveva cercato di trascinarlo via. Stazionava spesso ai bordi della piscina fissando con intenzione i ragazzini; spesso esibiva i propri genitali ai bambini dei vicini di casa. I familiari avevano la sensazione che egli avesse notevolmente aumentato l’attività sessuale e le richieste coniugali, ed erano al corrente che molestava i bambini e che poteva essere per questo arrestato. Nei quattro anni precedenti il paziente aveva avuto un progressivo declino della memoria e della personalità. L’aspetto fisico era peggiorato: indossava sempre gli stessi vestiti e aveva smesso di lavarsi. Anche il comportamento alimentare era cambiato: mangiava in modo indiscriminato e prendeva il cibo dal piatto degli altri. Nelle settimane precedenti l’ospedalizzazione era diventato più aggressivo sia verbalmente che fisicamente. In precedenza il paziente lavorava al college come professore ed aveva divorziato dalla moglie a causa del proprio comportamento compulsivo. I membri della famiglia d’origine interpellati, riferivano due episodi particolari nella vita del paziente: che all’età di 18 anni aveva subito abusi sessuali da un superiore (minister) e che 35 anni prima il paziente stesso aveva molestato il proprio figlio quando era un bambino. Il figlio, interpellato, non aveva voluto discutere ulteriormente sull’argomento. Infine, la storia familiare del paziente era positiva per una non ben specificata demenza della madre. Durante i colloqui il paziente negava di avere un interesse sessuale verso i bambini e riteneva di essere in ospedale in quanto “il parlare con degli estranei non fosse la cosa giusta da farsi”.
I test neuropsicologici confermavano una diminuzione significativa della memoria, una lieve riduzione nelle funzioni esecutive, un punteggio relativamente scarso alla Wechsler Adult Intelligence Scale (Revised) considerato il suo background come professore. La risonanza magnetica (MRI) dell’encefalo non rilevava anormalità. Al contrario, la tomografia ad emissione di positroni (FDG-PET) mostrava una notevole riduzione dell’attività metabolica focale nella regione temporale inferiore destra, ed una attività metabolica meno ridotta nel lobo temporale sinistro. Il paziente rispondeva ai criteri del Lund & Manchester Groups (1994) per le demenze frontotemporali (FTD): cambiamento di personalità caratterizzato da un progressivo declino nella consapevolezza personale e sociale, diminuzione della capacità di giudizio, comportamento compulsivo, elementi tipici della sindrome di Klüver-Bucy4. Negli esseri umani questa sindrome può produrre un cambio nelle preferenze sessuali e ipersessualità. Il comportamento del paziente è risultato notevolmente migliorato, e diminuito il suo interesse sessuale verso i bambini, dopo una terapia farmacologica (20 mg qhs paroxetine, 500/750 mg valproato e 0.625 mg qd estrogeni) e un’appropriata supervisione.
Paziente 2
Si tratta di un maschio di 67 anni destrimane, artista, che si è presentato per una valutazione neurologica dopo essere stato in prigione 18 mesi per molestie a bambini. Egli aveva fatto un “massaggio” non richiesto ad un ragazzo di 14 anni. Il paziente negava l’intento sessuale e ribadiva di aver voluto soltanto dimostrare al giovinetto la tecnica del massaggio a digitopressione. Egli aveva mostrato un progressivo aumento dell’interesse sessuale soprattutto negli ultimi due anni, ricercando costantemente la compagnia femminile. Raccontava incessantemente dei suoi rapporti con molteplici “girl-friends”, naturalmente molto più giovani di lui. Il paziente presentava severi disturbi di memoria, depressione e ideazioni suicidarie. L’anamnesi storica segnalava angina pectoris (con uso di nitroglicerina sublinguale), e possibili aritmie cardiache. Aveva una lunga storia di abuso di alcol e droga (crack cocaine). Nella giovinezza aveva praticato a livello amatoriale la boxe, ma non gli era mai successo di perdere conoscenza durante gli incontri. I familiari interpellati avevano raccontato che il paziente a suo tempo era stato allontanato dal figlio. Il figlio, contattato dai ricercatori, aveva spiegato che da bambino, 30 anni prima, era stato molestato dal padre, e tuttora rifiutava di avere qualsiasi rapporto con lui. Anche la storia familiare era significativa per la presenza di tre zii e una zia suicidatisi.
La risonanza magnetica (MRI) dell’encefalo rivelava un incremento nell’intensità del segnale ed una perdita di volume nei lobi temporali mediali lungo le formazioni dell’ippocampo, ed una notevole sclerosi bilaterale dell’ippocampo. La FDG-PET confermava una notevole riduzione dell’attività metabolica nel lobo temporale destro, meno ridotta in quello sinistro. I test neuropsicologici e clinici non indicavano un processo demenziale progressivo. I test sono stati ripetuti nei tre anni successivi. Durante questo periodo il paziente era stato condannato per aver molestato un bambino di 5 anni. Il comportamento del paziente è risultato migliorato dopo una terapia farmacologica (sertraline) e un’accurata supervisione ambientale.
Il paziente 1 soffre di una demenza frontotemporale (FTD) in particolare del lobo temporale destro. Questo disturbo può essere asimmetrico e coinvolge l’emisfero destro più che il sinistro, o i lobi temporali più che i lobi frontali. Comportamento bizzaro, atti di tipo compulsivo, cambiamenti di personalità sono preminenti nella FTD dell’emisfero destro. La variante di tipo temporale è responsabile per circa il 20% di pazienti con FTD e ipo-metabolismo nell’area temporale anteriore e basale frontale. In particolare, è il paziente con la variante di FTD temporale destra che risulta essere sessualmente aggressivo, che fa avances sessuali, e che ha un orientamento sessuale alterato. In generale, come nel caso del paziente 1, i pazienti con la variante temporale destra della FTD presentano inettitudine sociale, irritabilità e agitazione, pensieri eccentrici o bizzarri, scarsa igiene personale, idee eccentriche o intense, e cambiamenti visibili. (Cummings & McPherson, 2001) Viceversa, pazienti con la variante temporale sinistra della FTD sono per lo più afasici, ma socialmente appropriati.
Il paziente 2 soffre di una sclerosi ippocampale (HS) piuttosto che di una demenza progressiva. La HS è una potenziale causa di cambiamenti di memoria e di personalità, specialmente nei pazienti dementi ultra 80enni; tuttavia si riscontrano casi di HS anche in pazienti più giovani (59enni). Può risultare difficile discriminare i pazienti con HS da quelli con demenza di tipo Alzheimer. La presenza di un progressivo deterioramento nelle funzioni cognitive nei pazienti con HS può essere messa in relazione con altri cambiamenti patologici, come perdita di sinapsi neocorticali, o presenza di concomitanti placche neuritiche. Disturbi cardiovascolari, episodi di insufficienza cardiaca, o una storia di infarti al miocardio, sono presenti in circa l’88% di questi pazienti, implicando una etiologia anossica o ischemica per l’HS. L’area ippocampale è particolarmente vulnerabile a ipossie subcliniche o danni ischemici. Inoltre, come nel caso del paziente 2, la maggior parte dei pazienti con HS presentano sintomi depressivi, ma non una storia di colpi apoplettici.
Mendez et al. (2000) osservano che l’etiologia delle lesioni cerebrali di questi due pazienti era differente: sebbene uno avesse una demenza frontotemporale e l’altro una sclerosi bilaterale ippocampale, tuttavia i risultati della FDG-PET sono simili e concludono che la presenza di una disfunzione metabolica nel lobo temporale destro può avere avuto un ruolo significativo nella pedofilia di questi due pazienti. I colloqui con i familiari di entrambi i pazienti avevano anche messo in rilievo la presenza in età più giovane di un orientamento alla pedofilia. Gli Autori ribadiscono che l’aumento della sessualità da lesione del lobo temporale ha probabilmente smascherato in questi due pazienti una pedofilia latente.
A sostegno della loro tesi, Mendez e al. (2000) riportano nel proprio lavoro una serie di studi tratti dalla letteratura, piuttosto interessanti. Un uomo di 64 anni, arrestato per abuso sessuale di un minorenne, aveva una malformazione arterio-venosa frontale destra, che si estendeva alla regione del setto. Un maschio di 49 anni, che aveva molestato un bambino dopo aver subito una craniotomia frontale destra per rimuovere un meningioma soprasellare. Un uomo che presentava una progressiva ipersessualità e interesse verso i bambini, aveva un glioma che coinvolgeva l’ipotalamo e le parti superiori del cervello. Episodi di pedofilia incestuosa erano seguiti dopo ipossia cerebrale globale in pazienti che avevano sofferto di infarti al miocardio e sottoposti a cardioversione. L’8.3% di pazienti con infarto cerebrale all’emisfero destro, ma soltanto il 4.4% di pazienti con infarto cerebrale all’emisfero sinistro, presentavano aumento della libido. Un marcato aumento del desiderio sessuale era presente in pazienti con ictus che coinvolgeva il lobo temporale anteriore destro. Su 12 donne con manifestazioni sessuali ictali, 8 presentavano attività epilettica nell’area del lobo temporale destro, e 1 paziente aveva un astrocitoma nell’area temporale destra.
Questi casi e la letteratura suggeriscono quindi che il disturbo temporale bilaterale anteriore che interessa maggiormente il lobo temporale destro rispetto a quello sinistro, possa aumentare l’interesse sessuale5. Mendez e al. concludono il proprio studio affermando che l’ipersessualità deriva da disturbi di entrambi i lobi temporali, in modo particolare quello destro più che il sinistro e che questo cambiamento nella sessualità è ascrivibile allo spettro della Sindrome di Klüver-Bucy. L’ipersessualità può smascherare un precedente orientamento nascosto di molestare i bambini. L’ipersessualità potrebbe anche smascherare la predisposizione ad altre parafilie. Infine, la letteratura recente non rivela la presenza di una specifica “lesione pedofila” nel cervello. E suggeriscono che ulteriori studi sono necessari per comprendere la neuropsichiatria di questo disturbo, nonché la potenziale rispondenza agli anti-androgeni, estrogeni, all’inibizione dei recettori della serotonina, e altri trattamenti.
Sessualità e vecchiaia. Pregiudizi e disinformazione: non è un “vecchio sporcaccione”
La vita sessuale degli esseri umani non si esaurisce nell’appagamento di una pulsione: è il più delicato e complesso dei rapporti che intercorrono fra persona e persona, risente delle convenzioni sociali, variabili nei luoghi e nel tempo, è plasmata dal vissuto inimitabile di ogni individuo. Tutte le persone, senza limite di età o abilità, hanno necessità di “touch”, di contatto e amore, e desiderano una relazione affettiva e intima. Sessualità e intimità hanno un ruolo importante nella vita di ciascun individuo. Gli aspetti della vita sessuale sono i più diversi. Si può affermare che nella vita di ogni essere umano nulla vi sia di più personale e caratteristico del modo di vivere e di intendere la propria sessualità. “Nell’autunno della vita ciascuno porta, adeguate alla propria realtà biologica e cronologica, le caratteristiche psicoaffettive che, durante la giovinezza e la maturità, hanno rappresentato le note distintive estetiche e comportamentali della sua vita erotico-sentimentale. Come avviene nel bambino, così anche nel vecchio la sessualità è distaccata dalla riproduzione, assume sue caratteristiche proprie e trova di conseguenza difficoltà di comprensione da parte della collettività…” (Malizia, 1982, p.11)
Le conseguenze di questi atteggiamenti della società risultano tanto più devastanti se si considera che, nonostante la riduzione della frequenza dei rapporti, il sesso e la sessualità dimostrano di costituire per gli anziani parte integrante della loro esperienza esistenziale. La qualità della vita sessuale nell’età avanzata è strettamente legata alle caratteristiche che la stessa ha presentato nel corso degli anni antecedenti e soprattutto alla soddisfazione e alla frequenza (Waltzman & Karasu, 1972). Alla base della cessazione dell’attività sessuale vi possono essere svariate cause, la cui prevalenza è nettamente diversa nei due sessi: per l’uomo: propria inabilità sessuale (40%), propria malattia (17%), malattia del coniuge (15%), propria mancanza di interesse (14%), mancanza di interesse del coniuge (10%); per la donna: morte del coniuge (30%), malattia del coniuge (20%), inabilità sessuale del coniuge (20%), separazione e divorzio (11%), assenza di interesse propria (5%) o del coniuge (5%). Per il sesso femminile, quindi, le cause sono fondamentalmente legate alla presenza e alla capacità del coniuge, mentre per i maschi la cessazione dipende quasi sempre da una propria incapacità (Tammaro, 1996).
Negli anni recenti, l’argomento della sessualità e della vecchiaia è stato un tema di grande interesse. Tuttavia stereotipi, miti e tabù ancora prevalgono. Informazioni sui normali cambiamenti sessuali e sulla funzionalità non sono facilmente disponibili. Quando poi si affronta una malattia o disabilità, le funzioni sessuali in generale non vengono considerate e adeguatamente indirizzate finché non diventano un problema. Gli assistenti geriatrici, in particolare, hanno reali opportunità di misurare le preoccupazioni, le inquietudini e i problemi relativi all’intimità e alla sessualità dei loro assistiti. Problemi, che dovrebbero far parte della diagnosi e del trattamento, nell’impatto con la malattia e la disabilità, per indirizzare il paziente e la famiglia a come affrontarli e intervenire.
Johnson (1997) ha intervistato 1500 adulti senescenti, chiedendo loro di identificare i modi nei quali i caregiving e gli operatori sanitari potessero aiutare gli adulti senescenti ad affrontare i problemi o questioni sessuali. In generale, hanno sottolineato la necessità di “essere bene informati” ed il loro consiglio è stato di “essere franchi”, di “essere accoglienti” e di “dare ascolto”. L’intimità è necessaria, la sessualità e il problema dei comportamenti devono essere presto identificati non solo per affrontare comportamenti sessuali non appropriati, ma anche per insegnare i modi per proseguire con una sana vita sessuale. Salute e malattia possono causare cambiamenti che influiscono sulla qualità della sessualità dell’individuo. La malattia di Alzheimer (AD), per esempio, pone problemi significativi nel cercare di mantenere l’intimità e la sessualità nella coppia. Spesso le coppie anziane che lottano con la malattia di Alzheimer hanno domande mai espresse e rimaste senza risposta proprio sui problemi relativi all’intimità e alla sessualità. Il tema è così privato che difficilmente viene discusso apertamente. I giorni di assistenza aumentano e la mancanza di intimità e la perdita della relazione affettiva diventano gli stressors maggiori sia per la persona che assiste, sia per il malato stesso con AD. E’ pertanto importante formulare una informazione corretta sui comportamenti sessuali disturbanti e su come affrontarli (Szwabo, 2000).
L’uomo viene considerato in climaterio al massimo a 60 anni ed il pregiudizio fissa perciò a questa età il limite massimo dell’attività sessuale. Quando l’uomo continua ad esercitarla viene considerato spesso anormale, soprattutto da un punto di vista morale. Nella donna viene accettata una variabile più ampia: tuttavia la menopausa, tra i 45 ed i 55 anni, rischia in ogni caso di essere di fatto, il limite “accettato” dal sociale per lo svolgimento dell’attività sessuale. Scrive Aveni Casucci su questo argomento (1988): «Il mito della vecchiaia ‘asessuata’, del vecchio ‘sporcaccione’ quando cerca, anche con riserbo, di rispondere ai bisogni, alle pulsioni e forse anche ad un istinto che certamente non sono sopiti, sembra essersi approfondito, irrigidito, universalizzato in misura tale da condizionare, schiavizzare l’anziano. Egli deve rinunciare in nome di un moralismo acritico a qualsiasi manifestazione sessuale, addirittura di affettività, pena la censura, l’ostilità, il rimprovero e talora perfino il disprezzo, il ribrezzo, la ripulsa. Per l’uomo e per la donna anziana non vi è uno spazio soprattutto mentale, psicologico per la vita sessuale che è comunque circondata, oppressa, ghettizzata dalla congiura del silenzio… E’ ancora da rilevare che mentre l’uomo anziano ha, almeno in teoria, la possibilità di approccio con donne più giovani, la persona anziana di sesso femminile vede assolutamente precluso dalla morale corrente qualsiasi rapporto affettivo con uomini molto più giovani di lei. L’ilarità, il sarcasmo, l’ironia, il dileggio oltre in qualche caso l’indignazione, la riprovazione, la censura, colpiscono certamente in maggiore misura la donna piuttosto che l’uomo anziani che abbiano rapporti affettivi specie con partner più giovani». (p.150-1)
Questo pregiudizio diviene, con il passare degli anni, una profonda convinzione di tutti, anche nelle persone che invecchiano: esse sono vittime e contemporaneamente attori, promotori dello stereotipo della vecchiaia asessuata. E’ difficile sottrarsi a questo condizionamento che colpisce anche coloro che desidererebbero, almeno in un primo tempo, sottrarsi. Poiché, come è ovvio, l’uomo durante la sua vita ha la necessità di una partner per svolgere una regolare attività sessuale, risulta chiaro che nella senescenza e nella vecchiaia, per la morte di uno dei coniugi o per separazione o divorzio, o per malattie gravi fisiche o mentali, la persona anziana può essere spesso sola o comunque posta nelle condizioni di non avere più il compagno o la compagna di vita: ciò rende ancora più problematica la prosecuzione di una qualsiasi attività sessuale, qualora fosse gradita, ritenuta necessaria o in ogni caso desiderata.
L’anziano è dunque bersaglio di molti pregiudizi (Waltzman & Karasu, 1972; Pfeiffer, 1975; Aveni Casucci, 1988, 1992; Tammaro, 1996), retaggio di una società sessuofobica. Smentiamone, quindi, alcuni:
“Il vecchio ha raggiunto la pace dei sensi”: L’invecchiamento non comporta per sé l’incapacità a conservare una normale attività sessuale. La terza età non è una fase asessuata della vita: l’attività sessuale dell’anziano è un diritto che va pienamente riconosciuto, è un’attività possibile, legittima ed utile dal punto di vista fisiologico e psicologico. L’attività sessuale non è comunque un obbligo, ma una scelta esaltata dall’affetto e dall’amore. “La sessualità umana è una modalità intima di relazione tra due persone” (Aveni Casucci 1992). Il rapporto che ciascuno ha avuto per tutta la vita con la sessualità, continuerà a condizionarlo anche in età avanzata.
“La sessualità dell’anziano è sconveniente”. “Le case di tolleranza risolverebbero i problemi dei giovani e dei vecchi”: Questo modo di pensare è frutto di una mentalità maschilista, evidenzia paura del sesso, attrazione-disprezzo nei confronti della donna.
“La sessualità dell’anziano è deviante e criminosa”: Non lo è, come non lo è quella dei giovani se non è coartata e distorta da pressioni sociali negative. Fattori sociali negativi sono: ristrettezze economiche, coabitazione forzata in posizione subalterna o nelle residenze collettive dove vige una disciplina coercitiva.
“La sessualità dell’anziano è di per sé una malattia”. “Caratteristici dell’anziano sono l’esibizionismo, la masturbazione, il voyeurismo, l’omosessualità vicariante, la pedofilia, la corruzione”: Le deviazioni del comportamento sessuale in un contesto nevrotico o psicotico vanno curate a qualunque età si manifestino. Va tenuto presente che la più comune e tipica anormalità sessuale è la vita sessuale inibita, rigida, condizionata dall’ansia e fonte a sua volta di frustrazione. Le turbe psichiche individuali, gli squilibri interpersonali e sociali vanno individuati e corretti.
Un altro pregiudizio individuale e sociale, da rimuovere riguarda la deprecabilità della masturbazione e di altre pratiche di autoerotismo, come la visione di materiale a contenuto sessuale e le fantasie (Waltzman & Karasu, 1972; Pfeiffer, 1975). “Queste attività – scrive Tammaro (1996) - contribuiscono a mantenere un buon livello di desiderio e anche di funzionalità dei genitali” (p.25). L’affettività e la sessualità esercitate correttamente possono realmente essere terapeutiche per l’anziano istituzionalizzato e non, nella nostra società. Ed allora per quegli anziani che (in istituto) non trovano un partner, il bisogno che sembra imperioso e irrinunciabile viene soddisfatto anche attraverso la masturbazione. Un’interpretazione psicologica è proprio quella che addebita alla carenza, alla solitudine affettiva e non certo alla impossibilità, all’insufficienza del rapporto sessuale inteso nella sola accezione fisica l’esercizio della masturbazione.
In Italia gli anziani rappresentano attualmente il 17% della popolazione, nel 2020 saranno il 23%. La demenza è una delle più gravi patologie che affliggono l’anziano; la sua prevalenza aumenta rapidamente con il progredire dell’età poiché raddoppia ogni 5 anni dopo i 60 anni. Colpisce l’1% dei soggetti di età compresa fra i 60 e i 64 anni e il 30-50% di quelli che superano gli 85 anni. Il 60% delle demenze è dovuta alla malattia di Alzheimer. In Italia circa mezzo miglione di persone ne sono affette e si prevede che il loro numero raddoppierà entro il 2020 (Vergani, 2001). Nella popolazione clinica affetta da demenza di Alzheimer (AD), i sintomi neuropsichiatrici presenti sono: l’apatia-indifferenza è il sintomo più comune (72%), seguito dall’agitazione-aggressione (60%), ansietà (48%), comportamento motorio aberrante (38%), disforia-depressione (38%), disibinizione (36%), delirio (22%), allucinazioni (10%), ed euforia-esaltazione (8%). In pazienti affetti da Corea di Huntington, il sintomo “disibinizione” ricorre nel 24% dei pazienti. (Cummings & McPherson, 2001)
La demenza si presenta con un’ampia variabilità di quadri clinici; indipendentemente dalla condizione eziologica, in tutti i pazienti sono presenti sintomi cognitivi e sintomi non cognitivi, la cui frequenza dipende dallo stadio della malattia e della causa. Le manifestazioni cliniche dipendono dall’interazione fra il danno neurobiolgico e variabili quali la personalità dell’individuo, la sua storia, i livello di istruzione, la salute fisica, la rete familiare e sociale. Tra i sintomi non cognitivi (presenti nel 90% dei pazienti affetti da demenza) le alterazioni del comportamento sessuale sono ascrivibili ai sintomi neurovegetativi; comportamenti disinibiti sono ascrivibili ad alterazioni della personalità. I disturbi del comportamento rappresentano i più gravi e difficili sintomi non cognitivi della demenza, ed uno degli aspetti di maggior impatto negativo della demenza per il malato e per chi si prende cura di lui. Le variabili ambientali e di contesto, hanno una importanza decisiva per lo scatenamento del disturbo, e possono essere corretti (Guaita, 2001). Secondo Bianchetti & Trabucchi (2000), la frequenza del disturbo “disibinizione” osservato in un campione di 102 soggetti affetti da demenza di Alzheimer, in relazione alla gravità della malattia, è risultato essere presente nel 25% di pazienti con demenza lieve, nel 20,4% di pazienti con demenza moderata, e nel 28,1% di pazienti con demenza grave. La presenza, nelle fasi iniziali della demenza, di un comportamento socialmente inappropriato, associato a irritabilità, euforia oppure apatia, disibinizione sessuale, bulimia, che preceda la comparsa del disturbo mnestico, è più comune nella demenza fronto-temporale.
La coppia in età avanzata deve sempre più spesso affrontare il problema del deterioramento di uno dei due coniugi, evento che influisce sull’intera vita cognitiva, comportamentale e relazionale. Dal punto di vista cognitivo, il coniuge non affetto da demenza deve fare i conti con la riduzione della memoria, con le difficoltà di ragionamento e di attenzione, con il disorientamento e la confusione del partner. “Una moglie che aveva accompagnato il marito in ospedale per essere curato, riferì di non avere problemi ad assisterlo, ma le era stato detto che una volta peggiorato avrebbe iniziato a manifestare una seconda giovinezza e si sarebbe esibito davanti alle bambine. Simili pregiudizi – che sono già pericolosi e offensivi di per sé – assumono una rilevanza etica particolarmente allarmante quando provengono da individui che, per competenza professionale, dovrebbero prendersi cura delle persone malate e dei loro congiunti (come specialisti, personale sanitario e assistenziale, ecc.)” (Falchero & Sgaramella, 1998, p.280)
Peggy A. Szwabo (2000) sottolinea l’importanza di incoraggiare il mantenimento della vita intima della coppia, in funzione del deterioramento del paziente demente, e sostenere emotivamente il coniuge di fronte a questi cambiamenti complessi, e nell’affrontare le reazioni degli “altri”, preparandolo al fatto che non sempre saranno reazioni mature, cortesi o piacevoli. In conseguenza della malattia, alcuni pazienti manifestano una marcata diminuzione del desiderio sessuale, mentre altri hanno un incremento dell’appetito sessuale. Per esempio, nel caso di determinate lesioni cerebrali, può accadere che il paziente avanzi continue richieste sessuali al partner. Ciò nonostante non è detto che tali richieste siano sinonimo di una iperattività sessuale: semplicemente, il malato potrebbe essersi dimenticato di avere appena avuto un rapporto sessuale con il coniuge. Molto spesso, ciò che la persona malata sta richiedendo non è necessariamente un rapporto sessuale, ma l’affetto connesso all’essere toccati e tenuti stretti.
Nel corso di ricerche Zeiss, Davies e Tinklenberg (1996) hanno monitorato i comportamenti manifestati da persone affette da differenti forme di demenza, in diversi setting (familiare, istituzionale, sociale), e in svariati momenti della giornata. Solo una piccola parte del campione studiato manifestava comportamenti sessuali inadeguati, per la maggior parte di brevissima durata o secondari ad altri episodi scatenanti. Comportamenti che possono essere considerati ambigui o fraintesi, quali la masturbazione o gesti esibizionistici, che generalmente fanno pensare al “vecchio sporcaccione”, gli autori ne attribuiscono le cause a momenti di confusione o all’incapacità di prendersi totalmente cura di sé, oppure l’individuo sta semplicemente mettendo in atto un comportamento che gli procura piacere. Questo però non significa che necessariamente passerà a comportamenti sessuali pericolosi (per gli altri) o offensivi. Che la masturbazione sia atto fisiologico, necessario ed utile è una verità ormai assodata – anche se non da molto – ma il radicato vizio sessuofobico che, non più di cinquant’anni fa, la faceva considerare fonte di ogni depravazione morale e di ogni malattia fisica, rispunta a proposito degli anziani, perché in fondo non è ancora del tutto superato. E’ del tutto ovvio e naturale che per i vecchi si tratta di un’attività vicariante, come vicarianti sono, in varia misura, le altre “perversioni” (Peruzza, 1982). Anzi, nell’anziano con problemi di deterioramento mentale è più probabile che il piacere autoerotico rientri in un atteggiamento di tipo autistico e perciò totalmente innocuo. In questi casi, come in altre situazioni analoghe, la cosa migliore da fare – se la situazione è socialmente imbarazzante – è tentare di distrarre il malato e aiutarlo a rivestirsi, con calma e dolcezza, senza spaventarlo con tono di voce o atteggiamenti allarmanti. Lo stesso vale per gli altri comportamenti sessuali apparentemente inadeguati. E’ inutile reagire come se ci si trovasse di fronte a un pericoloso maniaco perché questo servirebbe solo ad aumentare l’imbarazzo sociale, oltre che spaventare il malato stesso e le persone che si trovano occasionalmente ad assistere alla scena. (Falchero & Sgaramella, 1998)
Conclusioni
Non esiste una definizione unica valida del concetto di pedofilia. La limitata e ridotta produzione scientifica di studi e ricerche su questo argomento dovrebbe essere considerata come una delle cause principali delle tante ombre che avvolgono la pedofilia, in quanto tuttora risultano particolarmente carenti, oltre che le ricerche statistiche, anche gli studi indirizzati su singoli casi, che senz’altro rappresenterebbero un’osservazione maggiormente approfondita ed intensiva del fenomeno. Anche la ricerca offre dati discutibili e non probanti.
E’ luogo comune pensare che la vecchiaia sia accompagnata inevitabilmente da una diminuzione del desiderio e della funzione sessuale; questo pregiudizio può aver creato la convinzione che ci sia anche una diminuzione del rischio di commettere abusi man mano che il giovane molestatore sessuale invecchia. E’ anche possibile che circostanze possano impedire che un individuo esprima le proprie tendenze pedofiliche fino all’età senescente, ma in tal caso si preferisce sospettare una causa organica o neurologica per tale comportamento attuato in tarda età.
Nella persona anziana, la pedofilia può presentarsi come un orientamento “latente”, rivelata da una ridotta attività metabolica dei lobi temporali, in particolare di quello destro. In genere, questi pedofili “latenti”, non solo anziani, manifestano un’attenzione morbosa verso quei bambini che alimentano le loro fantasie erotiche, ma non giungono a prendere l’iniziativa; essi si accontentano di guardare l’oggetto del desiderio mentre gioca, mentre fa il bagno, la doccia o altro, oppure in filmati e foto erotiche.
La cronicità nel comportamento parafilico suggerisce che gli anziani trasgressori sessuali, che non presentano disturbi organici, siano invece diventati esperti nell’evitare l’arresto e che per la maggior parte di loro l’abuso non sia una aberrazione ma un’indicazione di un’attrazione verso il contatto sessuale con bambini presente in tutto l’arco della vita. In tal caso, l’interesse sessuale verso i bambini non nasce “de novo” in età avanzata.
L’ipersessualità che deriva da disturbi di entrambi i lobi temporali, in modo particolare quello destro più che il sinistro e il cambiamento nella sessualità che ne deriva, è ascrivibile allo spettro della Sindrome di Klüver-Bucy. Tuttavia, la letteratura recente non rivela la presenza di una specifica “lesione pedofila” nel cervello. Pertanto, anche le ricerche sulle lesioni cerebrali non forniscono una dimostrazione significativa che i pedofili abbiano un funzionamento cerebrale diverso dai normali.
nfine, le modificazioni comportamentali e di personalità che progressivamente colpiscono i pazienti affetti da demenza influiscono sulla loro vita relazionale, affettiva e sessuale. Nella nostra società è ancora presente la tendenza a non considerare il diritto alla vita affettiva ed erotica di alcune categorie di individui: ci riferiamo agli anziani in perfette condizioni di salute, a quelli colpiti da demenze, a portatori di handicap fisici e psichici, a pazienti affetti da gravi patologie. Per esempio, qualora sollecitate dagli stessi congiunti, molto spesso le informazioni fornite sulla sessualità delle persone affette da demenza sono vaghe, lacunose, imprecise e deformate da un pregiudizio di fondo.
L’informazione errata che viene trasmessa, quella cioè che questi malati (dementi) sviluppino comportamenti sessuali inadeguati, è un luogo comune e svilente. In realtà la ricerca scientifica ci dimostra che i comportamenti sessuali incongrui non sono affatto frequenti nelle persone affette da demenza. Anzi, in alcuni casi, può accadere esattamente il contrario, ossia che individui malintenzionati tentino di approfittare dello stato confusionale di questi malati. Ricordiamo con Guaita (2001) che: il comportamento è in larga parte appreso; i problemi comportamentali sono relativi a specifiche situazioni ambientali; i problemi comportamentali sono suscettibili di cambiamento; il comportamento non implica sempre la consapevolezza da parte del paziente (demente); il cambiamento implica sempre la consapevolezza di chi ha in cura il paziente.
Bibliografia
AGUGLIA E, RIOLO A (1999) La pedofilia nell’ottica psichiatrica Il Pensiero Scientifico Editore Roma
AJURAGUERRA J (1979) Manuale di psichiatria del bambino Masson Milano
ANDRAGHETTI W (1996), Diario di un pedofilo Stampa Alternativa Tipografia Graffiti Roma
ANDREOLI V (1998), Dalla parte dei bambini, Rizzoli Superbur (ed.2000), Milano
APRILE A(2000) La segnalazione dei casi di abuso sessuale sui minori: una riflessione su alcuni aspetti problematici in: “Maltrattamento e abuso all’infanzia” Vol. 2, N. 1, Marzo 2000, p-79-94, Franco Angeli, Milano
ARNABOLDI M (2000), Abuso sessuale infantile e pedofilia, “La famiglia”, n.204
AVENI CASUCCI MA (1988), La sessualità e l’anziano, Cap. 14, in: SQUADRITO G, CERUSO D, NICITA-MAURO V, Geriatria Oggi, Editoriale Bios, Cosenza, p.147-161
AVENI CASUCCI MA (1992), Psicogerontologia e ciclo di vita, Mursia Editore Milano
BAUER M (1999), Their Only Privacy is Between Their Sheets. Privacy and the Sexuality of Elderly Nursing Home Residents, “J. Geront. Nurs.”, Aug. 25(8):37-41
BIANCHETTI A, TRABUCCHI M (2000), La valutazione clinica del demente, in: TRABUCCHI M, Le demenze, Torino, UTET Periodici
BONINO S (1996), L’abuso sessuale: tra esecrazione e compiacimento “Psicologia Contemporanea”, 137, Sett-Ott., p.38-39
BOUTROS N.N, CARRINGTON REID M, PETRAKIS I, CAMPBELL D, TORELLO M, KRYSTAL J (2000), Similarities in the Disturbances in Cortical Information Processing in Alcoholism and Aging: A Pilot Evoked Potential Study, “International Psychogeriatric”, Vol. 12, N.4:513-525
BRIDGES PARLET S, KNOPMAN D, THOMSON T (1994), A descriptive study of physically aggressive behaviour in dementia by direct observation, “J Am Geriatr Soc”, 42:192-7 – citato da: GUAITA A (2001), La valutazione dei disturbi del comportamento”, “Giornale di Gerontologia”, 49:147-151
BUSSE EW (1973) Mental Disorders in Later Life-Organic Brain Syndromes Chapter 6, in: BUSSE EW & PFEIFFER E (eds) Mental Illness in Later Life, American Psychiatric Association, Washington, p.79-106
CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie Romane Roma
CAMARCA C, (1998), I santi innocenti, Baldini & Castoldi Milano
CAMARCA C, PARSI MR (2000), SOS Pedofilia. Parole per uccidere l’orco, Baldini & Castoldi Milano
CAPODIECI S (1994), La sessualità nella terza età, in DE LEO D, STELLA A (a cura di) Manuale di Psichiatria dell’anziano Piccin Padova
CLARK C, MEZEY G (1997), Elderly sex offenders against children: a descriptive study of child sex abusers over the age of 65, The Journal of Forensic Psychiatry, Vol. 8 No 2 September 1997, p. 357-369
CLARK D.L, BOUTROS N.N (1999), The Brain and Behaviour: an Introduction to Behavioral Neuroanatomy, Blackwell Science Inc.
CORMIER B.M, FUGÈRE R, THOMPSON-COOPER I (1995), Pedophilic Episodes in Middle Ange and Senescence: An Intergenerational Encounter, “Canadian Journal of Psychiatry”, April, 40(3), 125-9
CUMMINGS JL, MCPHERSON S (2001), Neuropsychiatric assessment of Alzheimer’s disease and related dementias, “Aging Clinical and Experimental Research”, 13:240-246
DSM-IV (1996), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, trad.it. ANDREOLI V., CASSANO GB, ROSSI R, eds, Masson, Milano
EHRENFELD M, BRONNER G, TABAK N., ALPERT R, BERGMAN R (1999), Sexuality Among Institutionalized Elderly Patients With Dementia, “Nurs. Ethics”, Mar. 6(2):144-149
FALCHERO S, SGARAMELLA TM (1998) Non è un “vecchio sporcaccione”: è solo un malato di Alzheimer in GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) Pedofilia: gli abusi, gli abusati, gli abusanti, Edizioni del Cerro Firenze, p.277-284
FALZON AL, DAVIS GG (1998), A 15 Year Retrospective Review of Homicide in the Elderly, J. Forensic Sci, 43(2): 371-374
FEIERMAN J R (1990), Pedophilia: Biosocial Dimensions, Springer-Verlag, New York
GALIMBERTI U (1999) Dizionario di Psicologia Garzanti Torino
GELFAND MM (2000), Sexuality Among Older Women “J.Women Health Gend Based Med.” 9(suppl 1):S15-S20
GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, Edizioni del Cerro Firenze
GUAITA A (2001), La valutazione dei disturbi del comportamento”, “Giornale di Gerontologia”, 49:147-151
GUERRINI G.B. (1991) Niente sesso: siamo anziani(?), in: Anni d’argento. Consigli per vivere al meglio dai 60 ai 100 anni, Vol. 1, Cap. 16, EDISPI, Roma, p.155-163
HOPPER J (1998), Sexual abuse of males: prevalence, lasting effects, and resources, in: http://www.jimhopper.com”
HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, Centro Scientifico Editore Torino
HUCKER SJ, BEN-ARON MH (1985), Elderly Sex Offenders, in: LANGEVIN R, Erotic Preference, Gender Identity, and Aggression in Men: New Research Studies, Hillsdale, Lawrence Erlbaum Associates Publishers, p.211-223
ICD-10 (1992), Sindromi e disturbi psichici e comportamentali, a cura di KEMALI D, MAJ M, CATAPANO F, LOBRACE S, MAGLIANO L, Milano Masson
JENKINS P (1996), Pedophiles and Priests: Anatomy of a Contemporary Crisis, University Press, New York
JOHNSON B (1997) Older adults’ suggestions for health care providers regarding duscussion of sex “geriatric Nursing” 18 65-67
KINGSBERG SA (2000), The Psychological Impact of Aging on Sexuality and Relationships, “J.Women Health Gend Based Med”, 9(suppl 1):S33-S38
KORN ML (2000), Trauma survivors and psychiatric manifestations, American Psychiatric Association, 153rd Annual Meeting - Report
KUPFERMAN I (1998), L’Ipotalamo e il sistema limbico: neuroni peptidergici, omeostasi e comportamento emozionale, Cap. 47, in KANDEL ER, SCHWARTZ JH & JESSEL TM (a cura di) Principi di Neuroscienze, 2a ed., Casa Editrice Ambrosiana, Milano
LÀDAVAS E, SARTORI G, ZAGO S (1995), “Le basi della Neuropsicologia”, in UMILTÀ C (a cura di), Manuale di Neuroscienze, Il Mulino, Bologna
LANGEVIN R, CURNOE S, BAIN J (2000), Study of Clerics Who Commit Sexual Offenses: Are They Different from Other Sex Offenders?, “Child Abuse Negl.”, Apr, 24(4):535-545
LEWIS CF, STANLEY CR (2000), Women Accused of Sexual Offenses, “Nehav Sci Law”, 18 (1): 73-81
LI CK (1991), “The main thing is being wanted”: some case studies on adult sexual experiences with children, “Journal of Homosexuality”, 20 /1/2), 129-143, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
LO COCO G (1998), L’omertà nella famiglia mafiosa, “Famiglia Oggi”, n.11
THE LUND AND MANCHESTER GROUPS (1994), Clinical and neuropathological criteria for frontotemporal dementia, “J Neurol Neurosurg Psychiatry”, 57:416-418
MAES M, VAN WEST D, DE VOS N, WESTENBERG H, VAN HUNSEL F, HENDRIKS D, COSYNS P, SCHARPE S (2001), Lower baseline plasma cortisol and prolactin together with increased body temperature and higher mCPP-induced cortisol responses in men with pedophilia, “Neuropsychopharmacology”, Jan. 24(1):37-46
MALACREA M (1998), Trauma e riparazione. La cura nell’abuso sessuale all’infanzia, Raffaello Cortina Editore, Milano
MALIZIA E (1982) Eros e fantasia , in: Terza età e vita sessuale “Quaderni Schiaparelli” Anno II – Supplemento al N. 1, p.11-14
MARAINI D (1999), Buio, Rizzoli BUR, Milano
MARGOLIN L (1992), Sexual Abuse by Grandparents, Child Abuse & Neglet, Vol. 16, p.735-741
MASINA BURAGGI C (2000), L’inferno della pedofilia, “La famiglia”, n.204
MAZZARA B.M. (1997) Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna
MAZZONI G (1999), Abusi sessuali. I bambini raccontano “Psicologia Contemporanea” Gen-Feb, 151:4-11
MELCHIORRE V (1998), “Dire” e “non dire” in famiglia, “Famiglia Oggi, n.11
MENDEZ M.F, CHOW T, RINGMAN J, TWITCHELL G & HINKIN C.H (2000), Pedophilia and Temporal Lobe Disturbances, “The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences”, 12:71-76, February 2000, American Psychiatric Press, Inc.
MILLER A (1998), Le vie della vita. Sette storie, Garzanti, Milano
MONTGOMERY H (1998), Children, Prostitution, and Identity: A Case Study from a Tourist Resort in Thailand, in: KEMPADOO K & DOEZEMA J (eds), Global Sex Workers: Rights, Resistance, and Redefinition, Rourtledge, New York
MURRAY JB (2000), Psychological Profile of Pedophiles and Child Molesters, “J Psychol”., Mar, 134(2):211-224
OLIVERIO FERRARIS A. (1998), ), Il Caso: un passato senza parole, “Psicologia Contemporanea”, N.147, p.26-27
OLIVERIO FERRARIS A, GRAZIOSI B (2001/a), Nella mente dei pedofili, “Psicologia Contemporanea”, Gen-Feb, 163:4-11
OLIVERIO FERRARIS A, GRAZIOSI B (2001/b), Pedofilia. Per saperne di più, Editori Laterza, Bari
PARENTI F (1990) Alla ricerca del sesso smarrito: viaggio con lo psicologo tra conflitti e deviazioni dell’eros, De Agostini, Novara
PARSI MR (1998), Le mani sui bambini: storie cliniche di abusi infantili, Oscar Mondadori, Milano, febbraio 2000
PERSICO G, SEGATI D (2000), Il giardino segreto della sessualità infantile, Newton & Compton Editori Roma
PERUZZA M (1982), Anziani e sesso: contro pregiudizi e disinformazione, in: Terza età e vita sessuale “Quaderni Schiaparelli” Anno II – Supplemento al N. 1, p15-21
PFEIFFER E & BUSSE EW (1973) Mental Disorders in Later Life-Affective Disorders; Paranoid, Neurotic, and Situational Reactions, Chapter 7, in: BUSSE EW & PFEIFFER E (eds) Mental Illness in Later Life, op.cit., p.107-144
PFEIFFER E (1975) Sexual Behavior, Chapter 14, in: HOWELLS JG (ed) Modern Perspectives in the Psychiatry of Old Age, Brunner/Mazel, New York, p.313-325
POLENTA G (2000), Il luogo in cui non voglio stare. Incesto, Pedofilia, Violenza Carnale, Edizioni Del Cerro Tirrenia
PONTIUS AA (1988), Introduction to biological issues, with neuropathological case illustrations, “Annals of the New York Academy of Science”, vol. 528, p.148-153, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
RAYEL MG, LAND WB, GUTHEIL TG (1999), Dementia as a Risk Factor for Homicide, J. Forensic Sci, 44(3): 565-567
RAYEL MG (2000/a), Elderly Sexual Offenders Admitted to a Maximum-Security Forensic Hospital, J.Forensic Sci, 45(6):1190-1192
RAYEL MG (2000/b), Clinical and Demographic Characteristics of Elderly Offenders at a Maximum-Security Forensic Hospital, J.Forensic Sci, 45(6):1193-1196
ROSENZWEIG M.R, LEIMAN A.L, BREEDLOVE S.M. (1998), Psicologia Biologica, ediz.italiana a cura di BISIACCHI PS & CASSINI A, Casa Editrice Ambrosiana Milano
SCOCCO P (2000) L’aggressività nell’anziano in: DI FIORINO M (a cura di) Pericoloso a sé e agli altri: Violenza, Suicidio e Disturbi Mentali, “Psichiatria e Territorio”, suppl. al Vol. XVIII n.1, p.133-169
STONE TH, WINSLADE WJ, KLUGMAN CM (2000), Sex Offenders, Sentencing Laws and Pharmaceutical Treatment: A Prescription for Failure, “Behav. Sci. Law”, 18(1):83-110
SZWABO P.A (2000), Sexuality and Alzheimer’s Disease, “IPA Bulletin”, Vol. 17, No.2, June 2000, p.15-16&20.
TAMMARO AE (1996), Vita sessuale, Cap. 4, in: TAMMARO A.E, CASALE G, FRUSTAGLIA A (eds), Manuale di Geriatria e Gerontologia, Mc Graw-Hill, Milano, p.22-25
THE SEXUAL ASSAULT CRISIS CENTER OF KNOXVILLE, TN. (2000), Child Sexual Abuse, http://www.es.utk.edu/~bartley/sacc/childAbuse.html
TRABUCCHI M (a cura di) (2000), Le demenze, 2a ed., Utet, Torino
VECCHIA S (2000), Ladri d’innocenza: un missionario contro i pedofili, Editrice Monti, Saronno
VERGANI C (2001), Presentazione a ”Il Cervello dell’Anziano”, Quaderni AGER-3, Milano
WALTZMAN S A, KARASU T B (1972), Sex in the Elderly, in: KARASU T B, SOCARIDES (eds), On Sexuality, Chapter 8,, p.123-160
WEINBERG J (1975) Pyschopathology, Chapter 10, in: HOWELLS JG (ed) Modern Perspectives in the Psychiatry of Old Age, op.cit., p.234-252
WERTHEIMER J (1991) Affective Disorders and Organic Mental Disorders “International Psychogeriatrics Journal” vol. 3 Supplement, p.19-27
WIJERATNE C, HICKIE I, SCHWARTZ R (1997), Erotomania associated with temporal lobe abnormalities following radiotherapy, “Aust N.Z. J. Psychiatry”, Oct. 31(5):765-8
ZEISS AM, DAVIES HAD & TINKLENBERG JR (1996) An observational study of sexual behaviour in demented male patients “Journal of Gerontology”, Series A, Biological Sciences and Medical Sciences, 51 325-329 (cit. da FALCHERO S, SGARAMELLA TM (1998) Non è un “vecchio sporcaccione”: è solo un malato di Alzheimer, op.cit., p.282)
Note
1 In Le vie della vita. Sette storie di Alice Miller (1998), Garzanti, Milano (sette incontri, occasioni di dialogo aperto e rispettoso dei sentimenti tra persone che hanno avuto esperienze simili, ma anche tra figli ormai adulti e genitori anziani che cercano una comunicazione autentica), leggiamo nel racconto dal titolo “Anika almeno un tentativo”: «La madre di Anika è divorziata da molti anni e ora vive in una casa di riposo. La figlia – quarant’anni passati… va a farle visita. E’ contenta di poter parlare con la madre in un ambiente neutro, che non desti alcun ricordo della sua infanzia… Oggi … è decisa di parlare di se stessa e dei suoi problemi…”Voi eravate dodici figli, nati in rapida successione: giusto? Suppongo quindi che tu ti sia sentita trascurata dai tuoi genitori, e anche che i tuoi due fratelli maggiori abbiano sessualmente approfittato di te”. “Chi te lo dice?” “Lo immagino. Mi spiegherebbe, fra l’altro, come mai hai lasciato che lo zio George abusasse sessualmente di me. Ritengo che, quando eri piccola, nessuno ti abbia protetta dagli abusi, e in particolare da quelli sessuali i quali, nonostante tutto il ritegno che c’è nel parlarne apertamente, erano e sono diffusi. Tua madre, la persona che avrebbe dovuto proteggerti, si era sposata quando aveva appena sedici anni e, se non era alle prese con un parto o con un aborto, aveva sempre da fare in negozio. Evidentemente per i tuoi fratelli è stato semplice e facile appagare i loro appetiti sessuali abusando delle loro sorelle”. “Non credere che non ci abbia riflettuto, però ai miei tempi, quando ero giovane, non era neanche permesso pensare a certe cose”. “Appunto. Le vittime non dovevano ‘neanche pensare’, e quindi men che meno parlare. Per questo era semplice approfittarsi di loro. Venivano sfruttate sessualmente ed erano loro che dovevano vergognarsene. Non c’è da stupirsi che, condizionate da simili principi, rimuovessero tutto quello che subivano. La vergogna di essere usate come un oggetto, di essere ignorate e disprezzate come persone, è un sentimento straziante, di cui ci si vuole a tutti i costi sbarazzare”. “Forse hai ragione. Ho sofferto da bambina, però senza mai volerlo ammettere. Mi vergognavo e pensavo che quelle cose mi capitassero perché ero cattiva, marcia. Ero persuasa che la colpa fossa mia, di tutto… Non ne parlavamo mai, neanche fra noi sorelle. Ciascuna di noi sopportava in silenzio la propria vergogna… E hanno continuato a farlo, anche quando ero già più grande. Come avrei potuto parlarne? E a chi avrei dovuto confidarmi? Sono cose di cui, nella mia famiglia, non si parlava mai”.» (p.71-84)
2 La corteccia frontale umana costituisce almeno un terzo dell’intera superficie corticale. Nella porzione posteriore la corteccia frontale comprende le regioni motorie e premotorie. La parte anteriore viene spesso chiamata corteccia prefrontale. La regione prefrontale può essere ulteriormente suddivisa in un’area dorsolaterale e in una regione orbitofrontale. Lesioni di queste aree della corteccia prefrontale provocano differenti effetti sul comportamento: il ritratto clinico di pazienti con lesioni frontali rivela una raccolta di cambiamenti emotivi, motori e cognitivi. Pazienti con lesioni frontali possono presentare incapacità ad inibire reazioni emotive inadeguate. Le normali convenzioni sociali vengono messe da parte a favore di attività impulsiva e, qualche volta, di un comportamento sessuale disinibito.
3 Weinberg (1975), Traduzione: “Nell’assenza di opportunità per una gratificazione sessuale diretta, la necessità di una espressione sessuale può avviarsi su altre modalità. Senza pensare a manovre regressive che riguardino le formulazioni dinamiche di tipo orale, anale e fallico, possiamo considerare le espressioni sublimate e socialmente accettabili quali il “toccare”, o il “palpare”, che nel giovane adulto può essere accettabile e naturale, ma nella persona anziana è visto con curiosità, e spesso con sospetto e disapprovazione. L’uomo vecchio, ammalato, che allunga una mano debole per palpare la giovane infermiera è un “vecchio folle che si rende ridicolo”. Lo stesso gesto fatto da un uomo ammalato più giovane, può anche essere ritenuto sconveniente, ma il giovane non viene ritenuto un “pazzo”. Il vecchio che allunga la mano per toccare e carezzare la pelle liscia e invitante di un ragazzino diventa il prototipo del molestatore pericoloso, malgrado il fatto che statisticamente egli si colloca sul fondo della scala. Ciò nonostante, è vero che i giudici possono essere più indulgenti con i vecchi e attribuire il loro comportamento a confusione (Il numero dei vecchi molestatori è piuttosto trascurabile se comparato al numero dei molestatori sessuali più giovani)”.
4 Nel 1939 lo psicologo tedesco Heinrich Klüver e il neurofisiologo statunitense Paul C. Bucy avevano osservato che alcune scimmie sottoposte a lobotomia temporale, in cui erano state distrutte sia la corteccia temporale che le strutture sottostanti, cioè l’ippocampo e l’amigdala, mostravano comportamenti emotivi del tutto inappropriati al tipo di stimolazione, cioè diventavano mansuete, esibivano scarse reazioni emotive, presentavano anche un considerevole aumento dell’appetito sessuale che poteva arrivare alla monta di oggetti e di animali di specie diversa e, se affamate, a mettere in bocca qualsiasi tipo di oggetto, mangiabile e non (sindrome di Klüver-Bucy). La lesione dell’amigdala provoca l’insorgenza delle tendenze orali, dell’ipersessualità e della sottomissione. (Kupferman 1998, p. 761) In breve tempo queste scimmie venivano abbandonate dal gruppo a causa di comportamenti che ne compromettevano la capacità di sopravvivere in natura. Gli studi sull’uomo hanno messo in luce deficit più selettivi e meno gravi. Le ricerche su pazienti con lesioni circoscritte hanno evidenziato che l’amigdala è importante per le risposte a stimoli spiacevoli, in particolare a stimoli paurosi, per il riconoscimento del volto di persone e dell’espressione mimica delle emozioni, nel condizionamento a stimoli dolorosi o paurosi. E’ probabile che nell’adulto la rete di risposte emotive secondarie apprese durante lo sviluppo sia fissata in altre strutture connesse all’amigdala e che quindi parte delle risposte emotive non sia gravemente alterata. Le ricerche attuali fanno supporre che un difetto di funzionamento dell’amigdala sia tipico dei soggetti sociopatici, individui che spesso non manifestano paura e non sono sensibili alle punizioni, mentre un’iperfunzionalità della stessa caratterizzerebbe gli individui fobici, quelli soggetti ad attacchi di panico e in generale gli ansiosi cronici. (Galimberti, 1999, p.45)
5 Studi sugli animali hanno definito le regioni critiche per il comportamento e l’orientamento sessuale. In definitiva, l’espressione del comportamento sessuale dipende dall’ipotalamo e dalla regione del setto. All’attività dei centri ipotalamici sono connesse le tensioni inerenti ai bisogni istintivi quali l’assunzione di cibo, di acqua, l’attività sessuale, il sonno. In particolare, alla sessualità è deputata la parte anteriore dell’ipotalamo, sensibile alla presenza nel sangue degli ormoni prodotti dalle gonadi responsabili delle manifestazioni caratteristiche dell’attività sessuale a cui non sono estranei fattori ambientali accessibili attraverso le informazioni sensoriali. La stimolazione di una stessa area dell’ipotalamo laterale mediante diversi agenti chimici può indurre, in animali di entrambi i sessi, comportamenti maschili o comportamenti materni; ciò lascia supporre la coesistenza di strutture potenzialmente collegate a manifestazioni maschili e femminili in ciascun individuo. (Galimberti, 1999, p.559) Negli animali, la stimolazione del nucleo preottico dell’ipotalamo si risolve nella copulazione, mentre dalla sua ablazione deriva la perdita dell’attività sessuale. L’attività di alcuni neuroni preottici è massima dopo il contatto visuale con un potenziale partner sessuale. Inoltre, le sensazioni sessuali sono facilmente elicitate stimolando il nucleo del setto rostrale alla commissura anteriore. Parti dei lobi frontale e temporali sono deputati alla regolazione del comportamento sessuale proveniente dall’ipotalamo e dalla regione del setto. Il lobo temporale destro partecipa all’espressione delle emozioni e alla loro interpretazione, elementi che sono coinvolti nella modulazione della normale eccitazione sessuale. Tuttavia, l’assenza di disturbi severi nel comportamento di pazienti con lobotomia temporale destra, indica che i cambiamenti nel comportamento sessuale richiedono il coinvolgimento bi-temporale. (Mendez e al., 2000)
PEDOFILIA E VECCHIAIA
Dr.ssa Flavia Albani, Psicogerontologa, Psicoterapeuta
Introduzione. Aspetti psicopatologici delle condotte pedofile. Sessualità e vecchiaia: pregiudizi e disinformazione. Pedofilia e anziano. Cervello e comportamento. Non è un “vecchio sporcaccione”. Conclusioni. Bibliografia.
Introduzione
Ogni bambino è vulnerabile all’abuso sessuale. I genitori di oggi devono affrontare la possibilità che qualcuno possa ferire o approfittare del proprio bambino. “Non c’è dubbio che un numero consistente di minorenni è esposto ad esperienze sessuali non volute, o non autorizzate, con adulti. Le cifre precise dipendono da scelte, come includere o meno l’abuso senza contatto e come e dove condurre la ricerca” (Howitt, 2000, p.36). Alcune ricerche indicano che almeno 1 su 4 bambini sarà vittima di abuso sessuale (The Sexual Assault Crisis Center of Knoxville, TN, 2000) e che 1 su 6 ragazzi è stato vittima di abuso sessuale prima dei 16 anni (Hopper, 1998)
Ne sono vittime sia bambini in tenera età, sia adolescenti. La maggior parte di questi bambini sarà abusato da qualcuno che conosce e di cui ha fiducia: un parente, un amico di famiglia o chi si prende cura di lui (un genitore, un educatore, un insegnante, una baby-sitter, un prete, ecc.).
Attualmente, per poter considerare pedofilica l’attività sessuale con minori è necessario che gli stessi abbiano meno di 13 anni, che siano prepuberi, che il soggetto pedofilo abbia almeno 16 anni e almeno 5 anni più del bambino. Il disturbo avrebbe inizio solitamente con l’adolescenza, anche se alcuni soggetti riferiscono di non aver provato eccitamento verso i bambini fino alla mezza età. Il decorso è cronico, specialmente per i soggetti attratti dai maschi. La frequenza di tale comportamento pedofilo è fluttuante e in relazione agli stress psicosessuali.
La famiglia borghese è uno dei sistemi in cui ricorre, più frequentemente che in altre famiglie, il bisogno di complicità per eventi da nascondere, a volte lo status sociale, a volte gli stessi meccanismi perversi, che inducono, inconsciamente, la famiglia a negare la presenza di giochi in cui tutti i componenti sono parte attiva. Inoltre quando il nemico mortale veste i panni del padre e/o della madre, la questione psicologica identitaria diventa, sicuramente, molto complessa: la percezione della realtà e la costruzione affettiva e cognitiva del mondo relazionale è distorta, come è probabile che siano distorte, deformate e perverse le figure affettive a cui si legherà la vittima di violenza sessuale: la vittima di oggi, con grande probabilità, sarà il carnefice di domani.
Ricordiamo che le deviazioni sessuali sono definite con il termine di parafilia, che: “sottolinea il fatto che la deviazione (para) dipende dall’oggetto da cui la persona è attratta (filia)”. Secondo il DSM-IV (1996), le Parafilie sono caratterizzate da ricorrenti e intensi impulsi, fantasie, o comportamenti sessuali che implicano oggetti, attività o situazioni inusuali e causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento. Includono l’Esibizionismo, il Feticismo, il Frotteurismo, la Pedofilia, Il Masochismo Sessuale, Il Sadismo Sessuale, il Feticismo di Travestimento, il Voyeurismo, e la Parafilia non altrimenti specificata.
Di solito chi devia costruisce dentro di sé la finzione che la modalità sessuale scelta, anche se atipica, sia quella che gli è più congeniale, senza confessare ( e senza confessarsi) che in realtà l’incontro normale con un partner lo spaventa… A volte il partner può esser temuto perché propone un meccanismo di collaudo della credibilità maschile o femminile del soggetto, facendo affiorare un suo complesso d’inferiorità riguardante il ruolo socio-sessuale. La deviazione si presenta allora come una strada più facile, potenzialmente libera dai rischi di umiliazione. In altri casi le motivazioni profonde delle scelte sostitutive sono di natura aggressiva e polemica. Nelle deviazioni che evitano il rapporto fisico diretto con un partner, come il voyeurismo e l’esibizionismo, possono esistere difficoltà più generali di comunicazione, che coinvolgono settori anche estranei alla sessualità. La ricerca di un piacere che si prova ‘da lontano’ può esprimere la paura di ‘essere vicino’ e, quindi, un senso d’inferiorità in campo relazionale. (Parenti, 1990)
Consideriamo il pedofilo che rivolge la sua attenzione ai bambini. Egli compie atti lesivi nei confronti di esseri umani incapaci di difendersi e di comprendere e rappresenta perciò un pericolo per gli altri individui e la società
Secondo il Dizionario di Psicologia (Galimberti, 1999) la “pedofilia” (detta anche “efebofilia” «è un’attrazione erotica per bambini o adolescenti del proprio o dell’altro sesso che non si traduce necessariamente in atti sessuali come nel caso della “pederastia”. In ambito psicoanalitico si fa notare, oltre all’evidente incapacità di reggere un rapporto amoroso adulto, anche una componente narcisistica che si manifesterebbe nella tendenza del pedofilo ad amare, nel bambino, se stesso nel periodo della propria infanzia, adottando lo stesso trattamento subito o il suo opposto. Non manca chi vede nella sublimazione della pedofilia l’origine di una propensione pedagogica.» (p.749)
Hans Giese (1962) definisce per la diagnosi di pedofilia quanto segue: “Contrariamente al comportamento dell’eterosessuale o dell’omosessuale ai quali interessa, nell’esperienza sessuale, essenzialmente il sesso dell’altro, il desiderio del pedofilo si aggira appena secondariamente intorno al sesso del partner, in primo luogo importa a lui l’età, e precisamente l’infanzia di un eventuale partner sessuale. La diagnosi di pedofilia si orienta dunque fin verso un limite di età entro il quale un bambino o fanciullo viene considerato sessualmente desiderabile (appetibile). L’età si estende dalla prima e primissima infanzia fino all’inizio o termine della pubertà (non adolescenza). La ragazza che dispone di un seno in sviluppo o il giovane a cui incomincia a crescere la barba non presentano uno stimolo adeguato per il pedofilo. Ne consegue la brevità dei rapporti. Di personale non può essere sviluppato nulla di durevole in quanto il desiderio sessuale va scemando a poco a poco, ma costantemente, parallelamente alla progressiva maturazione fisica del partner. E’ da aggiungere che la personalità pedofila si presenta molto spesso, forse di regola, per principio bisessuale: ciò è probabilmente in relazione con l’essere appetibile appena secondariamente attraverso il sesso esteriore…. L’autentica pedofilia è in ogni caso molto più rara di quanto comunemente si pensi…. Individui pedofili rimangono strutturati profondamente come tali anche se sono capaci di presentare un atteggiamento normale persino nel caso di una psicoterapia. La tendenza pedofila rimane nello sfondo come possibilità potenziale e può essere rimessa in moto per un caso, ad esempio per mezzo della vista, nella vita quotidiana, di un bambino ritenuto desiderabile”.
Secondo Howitt (2000), le caratteristiche chiave della parafilia, a cominciare da quelle che costituiscono i principali criteri diagnostici, sono:
Preoccupazione o fantasia erotica altamente eccitanti, persistenti e insolite.
Pressione a tradurre in atto questo pensiero dominante.
Disfunzione sessuale, come problemi di desiderio, di eccitazione o di orgasmo, durante il comportamento sessuale tradizionale con un partner.
La fantasia dei parafiliaci ha le proprie radici nell’infanzia e nell’adolescenza. Invecchiando, i parafilici spesso riferiscono come certe immagini erotiche li abbiano accompagnati per la maggior parte della loro vita. Il grado di pressione a tradurre nella vita reale queste fantasie erotiche varia grandemente. La masturbazione è comunemente usata per scaricare l’eccitazione fisica provocata dalla fantasia. In certi individui, la masturbazione frequente può interferire pesantemente sulla normale vita quotidiana. Molti parafilici sperimentano questa eccitazione sessuale come intrusiva, ricorrente quando non è desiderata. Essi si eccitano rapidamente quando, nelle riviste, nei video o altro, incontrano immagini attinenti alla loro fantasia.
Parti filogeneticamente antiche, ovvero appartenenti al cervello primitivo, preposto essenzialmente alla sopravvivenza della specie tramite comportamenti aggressivi, potrebbero entrare nel circuito reattivo di fronte a situazioni-contesto particolarmente frustranti e/o terrificanti. Per esempio, sappiamo che, in alcuni comportamenti aberranti, le cellule dell’amigdala sono particolarmente attive, insieme a quelle ipotalamiche. Amigdala e ipotalamo appartengono entrambi al sistema limbico, che consiste di una parte filogeneticamente antica del prosencefalo, alla quale, si sovrappone, circondandola, una parte neocorticale. L’interessamento delle strutture limbiche può causare docilità o aggressività, ipersessualità, disturbi delle normali sequenze comportamentali.
Pedofili e molestatori di bambini condividono alcune caratteristiche: per la maggior parte sono maschi, e possono essere eterosessuali, omosessuali, o bisessuali; alcuni preferiscono un partner sessuale adulto ma scelgono i bambini in quanto sono disponibili e vulnerabili. (Murray, 2000)
Spesso l’immagine popolare del pedofilo è quella di un uomo di una certa età, una sorta di “sporcaccione” generalmente in pensione o disoccupato che, oltre a molestare qualsiasi bambino che gli capita a tiro, può anche avere altre anomalie del comportamento sessuale, o “parafilie”, come l’esibizionismo, il voyeurismo o altro. Le statistiche più recenti indicano, invece, che l’abitudine di molestare i bambini inizia generalmente intorno ai 15-16 anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo e che quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della casa che non presenta apparenti anomalie di comportamento.
Parenti (1990) osserva che «L’attrazione sessuale per i bambini ha radici culturali antiche che affondano nel costume della Grecia classica. La sua messa in atto comporta sempre una violenza reale o almeno implicita per vizio di consenso. Non di rado si inserisce in più estese modalità di maltrattamento che si propongono oggi alla società come un grave problema. Il pedofilo cerca sempre un confronto non paritario, un ruolo schiacciante che nasconde la sua inferiorità di fondo… Sandro è un uomo di appena quarantasei anni, precocemente nonno e precocemente pensionato per un incidente sul lavoro. E’ alternativamente ospitato da due figlie sposate, che si assumono questo impegno ma non gli concedono molta attenzione. Lui trascina le sue giornate, pensando con nostalgia al suo precedente ruolo di operaio specializzato, a sua moglie morta da qualche anno per una malattia incurabile. La rivelazione terribile esplode inattesa. Una bambina confessa con imbarazzo alla madre che il nonno cerca sempre di toccarla 'lì’ Una breve, apprensiva inchiesta ricostruisce analoghi tentativi di Sandro nei confronti di altre due nipotine. Quando lo ricevo nel mio studio sono colpito dal suo aspetto, che non mi sembra per nulla congeniale al vizio. Ha un viso magro e scavato, due baffi grigi, un portamento eretto, mostra in apparenza tutta l’antica dignità del proletario evoluto. Da principio risponde a monosillabi, è reticente ma, quando affronto l’argomento direttamente, scoppia in un pianto irrefrenabile. Due frasi appena abbozzate affiorano automaticamente dai suoi singhiozzi: “Sono così solo… Nessuno mi ascolta!” Qui la pedofilia si delinea come una sconsolata, anche se lesiva, ricerca di comunicazione affettiva e sensoriale. Una ricerca che si indirizza verso le nipotine, forse le sole persone disposte a dargli qualche attenzione nelle due famiglie, nessuna delle quali è veramente sua.» (p.82)
La personalità dei pedofili è polimorfa. Ajuraguerra (1979) ritiene infatti che la tendenza ad avere un contatto sessuale con i bambini può essere considerata secondo un continuum che va dall’individuo per il quale il bambino rappresenta l’oggetto sessuale scelto (pedofilia) a quello (l’altro estremo) per il quale la scelta di un oggetto sessuale immaturo è essenzialmente una questione di opportunità e di coincidenza. Nel secondo caso si tratterebbe di soggetti “adattabili” o “superficiali”, individui che non si pongono molti problemi e prendono ciò che capita o che viene loro offerto. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a spiegare il fenomeno del turismo sessuale, praticato non solo da pedofili ma anche da persone che di norma hanno rapporti sessuali con partner adulti.
Nass (1954), al termine di uno studio su alcuni casi di pedofilia, descrive la personalità pedofila come immatura e scarsamente evoluta dal punto di vista psicosessuale e con un’affettività non ancora legata agli aspetti erotici.
Anche Ugo Fornari (2000) nella Presentazione dell’edizione italiana del testo di Dennis Howitt, riconosce che per quanto si riferisce alle caratteristiche di personalità del pedofilo, in alcune ricerche, rare peraltro, sono state sottolineate l’immaturità e la bisessualità che lo caratterizzerebbero: tratti questi, non significativi, e perché non tutti i pedofili li presentano e perché essi possono essere riscontrati anche in soggetti che mai hanno praticato la pedofilia. Inoltre molti pedofili hanno una loro sessualità adulta eterosessuale, che maschera la loro perversione, per cui è come se viaggiassero su due binari distinti e paralleli.
Le donne pedofile sono più rare degli uomini, spesso isolate o affette da una qualche forma di squilibrio psichico. Come gli uomini, anche le donne possono creare notevoli dissesti psicologici. Quando una donna obbliga un bambino (o una bambina) a pratiche erotiche o sessuali, gli effetti possono essere devastanti, soprattutto se si tratta della madre. Per un figlio, infatti, la madre è la figura di attaccamento principale. Da lei si attende protezione e rispetto più che da qualsiasi altro adulto di sua conoscenza.
Per quanto poi si riferisce alle abusanti donne, i dati della ricerca sono molto poveri. Esistono infatti pochi studi su molestatrici sessuali o donne accusate di molestie sessuali. A questo proposito, occorre tenere presente che l’indice di occultamento in capo di devianze sessuali è altissimo e la cifra nera, per ragioni socio-culturali facili da intuire, è molto più elevata quando si indaghi su trasgressori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile. Questo non significa che le donne abusino meno degli uomini: semplicemente, che il reato femminile resta un problema nascosto e facilmente occultabile, anche perché le forme dell’abuso sessuale compiuto dalle donne sono diverse da quelle messe in atto dagli uomini (provocazione, iniziazione, accudimento protratto, riparazione, consolazione e altri atti in genere più gradevoli e gentili rispetto a quelli commessi da uomini su fanciulle). Studi condotti da Lewis & Stanley (2000) su alcune donne accusate di molestie sessuali su minori e sulle loro vittime, facenti capo al William S. Hall Psychiatric Institute di Columbia in South Carolina, dal 1987 al 1997, hanno confermato l’alta presenza di donne esse stesse vittime in passato di abusi sessuali e fisici.
L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce necessariamente in atti sessuali completi: il pedofilo può limitarsi a spogliare il bambino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza o ad accarezzarlo, può convincere il bambino a toccarlo a sua volta e così via.
C’è chi si limita a guardare materiale pornografico, oggi rintracciato abbastanza facilmente navigando in Internet. William Andraghetti nel Diario di un pedofilo (1996), in cui l’autore ripercorre la propria storia giudiziaria che lo ha portato alla condanna definitiva a 8 anni di reclusione per violenza sessuale, scrive: “Fra questi miei corrispondenti c’era anche Alessandro, una persona anziana, sui 70 anni, che si definiva amante dei “dolci tesori” (come lui li chiamava) e che era stato il primo pedofilo a entrare in contatto con me. Mi scriveva quasi regolarmente da Trieste due o tre lettere alla settimana, tanto che non riuscivo a rispondere a tutte. Lo avevo soprannominato il “pedofilo grafomane”! Ogni sua lettera conteneva informazioni sull’uscita di nuovi film super-8, video e riviste porno (e non) con ragazzini, i prezzi e le ditte che li vendevano, l’apertura di nuovi sexy-shop dove si vendeva questo genere di materiale… Conosceva l’inglese, il francese e un po’ di tedesco; questo gli permetteva di avere una fitta schiera di corrispondenti in tutta Europa. La maggior parte di loro scriveva da Amsterdam e Copenhagen. Spendeva tutta la sua misera pensione per comprare riviste e film con giovanissimi attori in azione. Lo si poteva considerare un “contemplativo”, dal momento che non aveva mai avuto rapporti diretti con ragazzini…” (p.20-21)
Alcuni praticano la pedofilia occasionalmente e non ricercano attivamente i bambini. Oltre ai pedofili attivi, ci sono anche i pedofili “latenti”, che non giungono a prendere l’iniziativa. Alcuni sono attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo “esclusivo”) altri sono talvolta attratti anche da adulti (tipo “non esclusivo”).
La maggior parte dei pedofili cerca di non maltrattare i bambini che riesce ad avvicinare, sia per l’attrazione nei loro confronti, sia perché vuole evitare che essi possano lamentarsi, parlare, “fare la spia”. Ci sono anche altri tipi di pedofili, “meno buoni” che praticano il cosiddetto “pedosadismo”(Oliverio Ferraris & Graziosi, 2001/a). In questo caso, l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme di sadismo più o meno spinto. Si tratta, quasi sempre, di individui privi di senso morale, spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e psicologico, che qualche volta finiscono per uccidere la loro vittima. Spesso l’eliminazione fisica del bambino non è premeditata, ma si verifica come reazione alla paura di essere scoperti. Dagli studi emerge, in particolare, che i pedofili violenti, per lo più sono stati a loro volta vittime di violenza nell’infanzia soprattutto di tipo omosessuale. Anche i pedofili non violenti hanno avuto frequentemente esperienze sessuali, basate però sulla seduttività e sull’affettuosità.
Anche le tecniche per adescare i bambini sono di vario tipo. Naturalmente, quelle degli estranei sono più sofisticate di quelle dei familiari. C’è chi in spiaggia corteggia la mamma per poi avvicinare la figlioletta, chi addirittura sposa una donna separata per avere accesso ai bambini, chi cerca di diventare amico di famiglia e ottenere la fiducia dei genitori, chi avvicina i bambini con carenze affettive o trascurati e via dicendo.
Ma se è vero che lievi contatti o frasi scherzose su parti del corpo dell’uno o dell’altro possono essere innocui, non altrettanto si può dire per carezze capziose, approcci subiti, o addirittura dolorosi che vengono fatti a un soggetto che non è consenziente né non consenziente, in quanto non sa che cosa sta per accadere. Non è affatto semplice, anche nei casi considerati “lievi”, stabilire ciò che è innocuo, piacevole o opportuno per un bambino nel rapporto erotico, con un adulto e ciò che invece, non potendo essere integrato alle altre sue esperienze infantili, turba la gradualità del suo sviluppo, i ritmi della crescita, resta “incluso” nella sua psiche come un nodo irrisolto che potrà in seguito creargli dei problemi, tra cui quello di ricercare compulsivamente lo stesso tipo di rapporti che ha subito, perpetuando così, generazione dopo generazione, in ciclo dell’abuso. Oliverio Ferraris & Graziosi (2001/a) sottolineano che “I punti cruciali di tutta la questione restano, da un lato, l’asimmetria tra adulto e bambino, ossia la disparità di potere e di consapevolezza che c’è tra l’adulto appunto e il bambino ignaro e, dall’altro, il grosso equivoco su cui si basano i contatti fra pedofilo e bambino, vale a dire il fatto che da un adulto che mostra interesse e disponibilità nei suoi confronti un bambino non si aspetta altro che protezione e supporto”. (p.11)
Aspetti psicopatologici delle condotte pedofile
Secondo molti psicologi e psichiatri, i pedofili hanno una personalità immatura, problemi di relazione, o senso di inferiorità, che non consentono loro di reggere un rapporto amoroso adulto, “alla pari”: si focalizzano sui bambini perché possono controllarli e dominarli. Con loro non provano sentimenti di inadeguatezza. L’immaturità emerge anche dall’incapacità di questi individui di assumere un ruolo responsabile. E’ vero che un bambino di tanto in tanto può assumere degli atteggiamenti “provocanti” o seduttivi, ma chi si lascia attivare sessualmente da tali atteggiamenti disinibiti e per lo più inconsapevoli è una persona che non sa tenere conto del contesto. Quegli stessi atteggiamenti e movenze suscitano, in una persona responsabile, un sentimento di tenerezza o di divertimento, non una reazione di tipo sessuale.
Secondo la psicoanalisi classica “i pedofili sarebbero rimasti ‘fissati’ a quelle emozioni intense e a quegli schemi estetico-erotici che ora cercano di esplorare e rivivere, senza riuscire ad evolvere verso forme diverse di erotismo, incuranti della differenza tra generazioni e negando l’esistenza di ruoli e funzioni adulte”. Nei casi in cui il disturbo narcisistico di personalità sia associato a gravi tratti asociali, le determinanti inconsce del comportamento sessuale possono pericolosamente connettersi alle dinamiche del sadismo. La conquista sessuale del bambino, in questo caso, rappresenta uno strumento di vendetta per gli abusi subiti, una sorta di puntello alla scarsa stima di sé. Un senso di trionfo e di potere può accompagnare la trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente: “il bambino è così visto come un oggetto che può essere facilmente dominato e terrorizzato, che non provoca frustrazione e non si vendica”. (Oliverio Ferraris & Graziosi, 2001, p.10)
Aguglia & Riolo (1999) suggeriscono di valutare se il pedofilo non abbia sofferto (o non soffra) di disturbi della coscienza dell’io, in particolare di disturbi della coscienza di identità, intesi come interruzione di quel continuum che cesella le varie esperienze dell’io, sicché l’io si sente sempre se stesso; sappiamo, infatti, che tali alterazioni si possono verificare nella normale evoluzione puberale in un individuo, per cui, alla luce della considerazione che una larga parte di pedofili hanno subìto a loro volta un trauma di natura sessuale nella fase di sviluppo, non è da escludere per loro un disturbo di depersonalizzazione e/o uno sdoppiamento della personalità (inquadrabile, peraltro, come disturbo dell’unità dell’io) stante anche l’osservazione che spesso il pedofilo è un soggetto rispettabilissimo, dalla condotta apparentemente irreprensibile e che si colloca nella scala sociale in posizione elitaria, godendo della stima altrui.
“Esempio tipico in cui due personalità sono presenti contemporaneamente in maniera ben definita e indipendenti fra di loro potrebbe essere quella dell’insegnante di ottimo livello che cela un sottostante vissuto di malattia, o del professionista del tutto dedito al lavoro che intraprende, di tanto in tanto, i suoi viaggi di piacere alla scoperta del sesso proibito nel Sud-Est Asiatico. Questi casi, neanche tanto limite, configurano soggetti in grado di funzionare da un punto di vista psico-sociale al più alto livello per poi tramutarsi in spietati carnefici. Tra l’altro le esperienze di sdoppiamento della personalità possono essere ricondotte ad un modello di tipo simil-schizofrenico o più verosimilmente, a nostro avviso, ad uno di tipo simil-isterico…In generale, comunque, dovremmo ammettere che nell’ambito della coscienza dell’unità dell’io si potrebbe profilare per alcuni pedofili un disturbo proprio di questo aspetto coscienziale dell’io, dove le diverse manifestazioni dell’individuo non appaiono più espressione di un nucleo unitario della personalità.. Ricordiamo tra l’altro l’input offertoci dal taglio psicodinamico che interpreta la depersonalizzazione proprio come il tentativo di risolvere un conflitto narcisistico tra identità dell’io e rappresentazione del sé”. (Aguglia & Riolo, 1999, p.27-28)
Bouchet-Kervella (1996) suggerisce, a tale proposito, che l’investimento erotico e narcisistico dell’oggetto feticcio, da un lato potrebbe costituire la valvola di sfogo per una liberazione dagli istinti di morte che affliggono il pedofilo, e dall’altro servire a ricucire una trama affettiva prematuramente interrotta durante lo sviluppo puberale.
Aguglia & Riolo (1999) riportano l’ipotesi di Travin di un modello di pedofilia come equivalente di un disturbo affettivo: in linea generale sappiamo che individui affetti da parafilie soddisfano, talora, i criteri diagnostici “lifetime” per un disturbo distimico o per un episodio depressivo maggiore, laddove il trattamento farmacologico timolettico oltre a migliorare i sintomi depressivi ha delle positive ricadute sul piano delle condotte parafiliche. Sebbene questo sia un dato aspecifico, tuttavia merita di essere approfondito con studi sul campo, proprio per individuare quei punti di ancoraggio che rendano l’intervento terapeutico meglio integrato con i bisogni complessivi del paziente, nell’ottica di una salute mentale che per lui non può risolversi unicamente con la correzione di una sessualità deviata.
Viceversa, laddove ci si avvicini ad un livello più strutturato di perversione, in questo caso è più utile forse recuperare e verificare un modello ossessivo-compulsivo di malattia. Ancora Travin (1995) ipotizza che la compulsività parafilica sia dettata dal bisogno di ridurre l’ansia piuttosto che da un desiderio sessuale vero e proprio, sicché il soggetto oscilla continuamente tra ossessioni (il livello cognitivo) e compulsioni (il livello comportamentale). Anche qui la letteratura segnala che, rispetto a siffatto scenario di malattia, l’approccio farmacologico di tipo serotoninergico consente un miglioramento del quadro clinico.
Il coinvolgimento della sfera affettiva trova ulteriore conferma in alcuni studi che hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa fra umore negativo e fantasie sessuali deviate (McKibben et al., 1994). Gli Autori sostengono come la noia, l’umore depresso, l’ansia e la solitudine, più che un qualsiasi conflitto che peraltro il pedofilo tende ad evitare, possano essere immediati precursori di un abuso sessuale. In tal modo, le fantasie sessuali coi bambini e il successivo abuso proteggerebbero questi soggetti dal precipitare in una depressione franca.
Non mancano, inoltre, alcuni spunti che interpretano il comportamento parafilico come esperire appetitivo e tossicomanico. Allnutt et al. (1996) riportano per l’alcolismo percentuali di prevalenza tra i pedofili tra il 28% e il 65%; tra gli incestuosi le percentuali variano dall’8% al 72%, a seconda dei vari studi. Esiste quindi una relazione fra alcol e pedofilia, malgrado non sia semplice chiarire se l’alcol abbia effetti diretti o indiretti sul comportamento di questi pazienti.
Bradford (1996) sottolinea il ruolo di importanti neurotrasmettitori come la serotonina che potrebbero risultare coinvolti in tutti quei comportamenti che esprimono una violazione di legge, includendo, non ultima, la pedofilia.
Comings (1994) ritiene che cambiamenti genetici a livello del metabolismo della serotonina e della dopamina possono ripercuotersi in una pluralità di espressioni sessuali, comprendenti l’omosessualità e tutte le varie forme di parafilie.
Maes et al. (2001) del Dipartimento di Psichiatria e Neuropsicologia dell’Università di Maastricht (Olanda), hanno condotto uno studio sul ruolo delle alterazioni ormonali e serotoninergiche in soggetti parafiliaci. I pedofili, in particolare, hanno mostrato concentrazioni significativamente più basse di cortisolo e di prolattina, ed una temperatura corporea più alta, rispetto ai soggetti normali “volontari”. Le risposte comportamentali al meta-chlorophenylpiperazine (mCPP) nei pedofili erano significativamente maggiori di quelle dei normali volontari. In questi ultimi l’mCPP provocava ipertermia, non osservata nei pedofili. Tuttavia l’mCPP induceva risposte comportamentali differenti nei pedofili rispetto ai maschi normali. Nei pedofili, ma non negli maschi normali, l’mCPP aumentava le sensazioni: capogiri, agitazione, e confusione, ma diminuiva la sensazione di fame. Gli Autori ritengono che nei pedofili siano presenti diversi disturbi serotoninergici e ipotizzano che i risultati ottenuti siano compatibili con una diminuzione dell’attività presinaptica neuronale della serotonina ed una iper-sensibilità del recettore postsinaptico 5-HT2.
Aguglia e Riolo (1999), ritengono che il riferimento a fattori biologici alla base della pedofilia, oltreché suffragato da limitatissimi studi, dovrebbe essere estremamente prudente in seno ad un interesse, per ora, solo speculativo. “Ovviamente non c’è solo la serotonina, dal momento che dovremmo oltre modo considerare i poderosi studi circa il coinvolgimento della dopamina con i diversi sistemi neuronali interessati a seconda delle varie fasi del comportamento sessuale (Melis e Argiolas, 1995)” (p.37). Sarebbe, pertanto, necessario un potenziamento della ricerca endocrinologica che meglio di altri settori può fornire delle ricadute sul piano terapeutico, specificatamente farmacologico. In effetti non mancano studi (Shostakovich et al., 1992) dai quali emergono significative alterazioni ormonali; ad esempio sono stati riscontrati più bassi livelli di testosterone in pedofili eterosessuali e in pedofili senza comportamento aggressivo, unitamente a più alti livelli di prolattina.
Anche Harrison et al. (1989) segnalano come “case report” un incremento della prolattina, proponendo di inserire la prolattinemia come esame routinario. A conferma di ciò (Thibaut et al., 1996), ridotti livelli ematici di testosterone sono risultati associati ad un miglioramento della sintomatologia dopo trattamento con triptorelina, agonista del releasing hormone della gonadotropina (GnRH-a), ipotizzando che non vi siano variazioni di marker biologici in senso sicuramente iper- o ipo-, ma che si possa pensare più modestamente semmai a disfunzioni ormonali e degli assi endocrini di riferimento. Altri studi (Cooper et al., 1992; Stone et al., 2000) confermano che la riduzione di testosterone a seguito di trattamento con antiandrogeni (medrossiprogesterone acetato-MPA e ciproterone acetato) si accompagna ad una riduzione di attività onanistica, di fantasie sessuali e di frustrazione sessuale.
Gli studi di Hendricks et al. (1988), i quali riportando rispetto ai controlli più bassi flussi ematici regionali, generalmente diffusi, a livello cerebrale, suggeriscono che una qualche disfunzione cerebrale possa intervenire etiologicamente nel comportamento dei pedofili.
Flor-Henry et al. (1991) segnalano, con l’EEG, un aumento dell’attività alfa, theta e delta, una ridotta coerenza interemisferica e un’aumentata coerenza intraemisferica-interemisferica, proponendo alla base del processo ideativo anomalo dei soggetti pedofili un’alterata funzione dell’emisfero dominante.
Howard et al. (1994), nel condividere l’ipotesi che il substrato neurofisiologico del desiderio sessuale sia androgeno-sensibile, affermano l’utilità della CNV (Contingent Negative Variation) nella risposta a stimoli sessuali come indicatore di preferenza sessuale normale o patologica.
Barnard et al. (1989) riconoscono che ci possono essere esperienze di abuso sessuale nell’infanzia di molti abusanti di bambini. “Questa considerazione ha aiutato a dar corpo alla teoria che l’abuso sessuale abituale di bambini da parte del molestatore sia il tentativo, ripetuto e vano, di padroneggiare il proprio precoce trauma sessuale mediante la ri-attuazione di quelle crudeli esperienze. Incapace di superare l’ansia, il senso di colpa e la pena del proprio trauma infantile, il molestatore si identifica con l’aggressore, allo scopo di proiettare o trasferire su un’altra vittima il proprio conflitto originario.” (in: Howitt, 2000, p.87)
Secondo Howitt (2000), affermare che l’abuso sessuale subito nell’infanzia conduce alla pedofilia nell’età adulta comporta una serie di problemi. In particolare, il meccanismo secondo il quale ciò potrebbe succedere è stato lasciato alla congettura più che indagato sistematicamente. Benché, finora, non sia ancora stata esplorata in relazione ai pedofili, la teoria della ri-attuazione ha delle implicazioni in ordine alla comprensione della eziologia della pedofilia. Ri-attuazione significa “riproduzione diretta” dell’abuso che i trasgressori hanno subito. Il confronto dell’abuso subìto con la prima attività sessuale avviata di propria iniziativa rivela che le ri-attuazioni coinvolgono membri della famiglia, conoscenti e anche estranei. Il processo di ri-attuazione è un tentativo per fronteggiare “la confusione e lo stress”, causati dagli aspetti sessuali dell’abuso. La ri-attuazione può essere ignorata o punita dalla famiglia o dalla comunità, nessuna delle quali affronta efficacemente il trauma. Il bambino diventa incapace di controllare la propria eccitazione e si fa preoccupato per il sesso e i pensieri aggressivi che lo eccitano sessualmente.
Lo studio condotto da Cormier et al. (1995) su episodi di pedofilia in età adulta e nella senescenza, descrive come l’“acting out” in un particolare contesto emozionale possa aiutare il pedofilo a risolvere precedenti conflitti in relazione alla famiglia di origine o quella attuale. Gli Autori, hanno riesaminato 36 casi seguiti dal 1980 al 1989 presso il Dipartimento di Psichiatria Forense della McGill University di Montreal, Quebec. In 12 casi hanno trovato una precedente storia di abuso sessuale da parte di uno sconosciuto, di un genitore, di un fratello, di un insegnante, o di altre figure autorevoli.
L’attività sessuale con i bambini in molti casi è funzionale ai bisogni emotivi e sessuali del pedofilo, il quale, nel corso degli anni, ha strutturato la propria personalità, la propria vita di relazione e sessuale intorno alle gratificazioni che riesce a trarre dal rapporto con i più piccoli. Un’ampia casistica clinica evidenzia i bisogni emotivi che la pedofilia può soddisfare in coloro che la praticano (Oliverio Ferraris e Graziosi, 2001/b, p.183):
raggiungere l’eccitazione sessuale, altrimenti impossibile o difficile; il soggetto riesce ad attivarsi sessualmente soltanto nel rapporto con i bambini; negli anni molti hanno costruito le loro “mappe” erotiche sui bambini, sono stati dediti alla pornografia infantile ed è quindi difficile spezzare questi condizionamenti;
sentirsi potente ed esercitare un controllo sulla relazione (più facile con dei bambini che con degli adulti);
aumentare la propria autostima in conseguenza delle gratificazioni di cui ai punti precedenti;
superare i propri traumi personali (quando ci sono stati) ripetendo la scena della violenza subita nella propria infanzia su cui si è rimasti bloccati anche sul piano erotico);
prendersi una rivincita ripetendo la scena dell’abuso subito da una posizione di forza; per alcuni è confortante in quanto è la prova che, rispetto a quando erano bambini, ora sono “forti”;
il soggetto, privo di competenza sociale o bloccato nei rapporti con gli adulti, riesce a relazionarsi soltanto con i bambini; la ricerca dei bambini, l’osservarli, il procurarsi materiale pornografico su di loro, informazioni, indirizzi, ecc., è diventato parte integrante della sua vita, un modo non soltanto per realizzarsi ma anche per passare il tempo e attribuire significato alla sua vita sessuale.
Uno studio di Li (1991) descrive le motivazioni psicologiche che sottostanno ai rapporti con i bambini. Furono intervistati soggetti reclutati tra i pazienti di alcuni psichiatri, oppure contattati tramite le organizzazioni pedofile e annunci sulle riviste. L’Autore avanza l’idea che il sesso non sia la motivazione primaria dei pedofili. Piuttosto, essi cercano l’amore e la sensazione di essere desiderati, cose che il mondo adulto non fornisce loro. Un pedofilo di 74 anni ha detto: “come boy-lover… non vado alla ricerca di ragazzi per il mio piacere personale. Semplicemente incoraggio, quelli che vengono da me e vogliono fare con me un po’ di giochi sessuali, e questo è sempre stato il mio modo di vedere. Non ho mai usato violenza ad un ragazzo.” (in Howitt, 2000, p. 90)
Le parafilie possono ricorrere in soggetti con lesioni cerebrali, ma la natura di questa relazione non è nota. Alcuni ricercatori hanno osservato le caratteristiche neuropsicologiche dei pedofili. Scott et al. (1984) hanno messo a confronto gli aggressori sessuali con pedofili in un reparto di sicurezza di un ospedale dello stato del Nebraska, fornito di attrezzature psichiatriche. Tutti erano stati sottoposti a valutazione, in vista di una possibile classificazione di “trasgressori sessuali con disturbi mentali”. Gli individui con segni di menomazioni neurologiche (ad es. accessi critici, ritardo mentale o trauma cranico) furono esclusi. Il gruppo di controllo era formato, in larga parte da persone non ospedalizzate: «il 55% dei soggetti che avevano aggredito un maschio o una femmina adulti accusava danni al cervello. Un altro 32% poteva essere meglio descritto come borderline. Il 18% dei soggetti di questo gruppo si presentava entro limiti normali. Nel gruppo dei pedofili il 36% presentava le condizioni per la diagnosi di disfunzione cerebrale, il 29% apparteneva al gruppo borderline e il 36% era normale dal punto di vista neuropsicologico”. … Gli Autori dichiarano che “per una larga percentuale degli stupratori e dei pedofili, le disfunzioni cerebrali possono rappresentare un fattore contribuente o predominante”». (in Howitt, 2000, p.186)
Pontius (1988) illustra le disfunzioni cerebrali coinvolte nei reati sessuali attraverso il caso di un molestatore di bambini affetto da una disfunzione del lobo temporale della parte sinistra del cervello. Il sig. M. era un single di media intelligenza, con diploma di scuola secondaria superiore; un eterosessuale, padre di un bambino di sei anni. Tuttavia, mentre stava sorvegliando un compagno di giochi del figlio, anche lui di sei anni, lo aveva sottoposto a fellatio: «Il sig. M. non aveva precedenti storie di pedofilia né di alcun rapporto omosessuale; ha dichiarato di non essersi mai masturbato e di aver sentito solo sporadicamente la necessità di un contatto eterosessuale, a partire dall’età di 15 anni. Non aveva subito abusi sessuali nell’infanzia; l’inizio di un potenziale tentativo in questo senso, da parte di un maschio adulto, quando il sig. M. aveva 8 anni si era interrotto alla fase dell’esibizione dei genitali. Al tempo dell’episodio dello ‘stupro di un bambino’, come fu chiamato il capo d’accusa, il sig. M. non si sentiva sessualmente eccitato. Aveva bevuto un po’ di birra e assunto qualche droga (un ‘boccale’ o forse un po’ di cocaina e/o qualche ‘droga stimolante’), ma non era ubriaco e ricordava l’episodio piuttosto bene… L’uomo era sconvolto da queste sue azioni e intensamente provato dai rimorsi. Da due anni aveva incubi che rappresentavano la morte del bambino durante l’abuso. Altri brutti sogni riguardavano lupi “che dilaniavano delle persone”, con le teste e le braccia insanguinate. Era nato con difetti al petto, al piede e alla mano sinistri e aveva subito ferite al capo all’età di 9 e 13 anni; le crisi risultanti erano tenute sotto controllo mediante farmaci. La carenza di dati sistematici sull’associazione tra questo tipo di problemi neurologici e la pedofilia rende un simile studio, condotto su un singolo caso, difficile da interpretare». (in: Howitt, 2000, p.188)
Wright et al. (1990) hanno esaminato l’interno del cervello di una certa varietà di trasgressori sessuali e gruppi di controllo formati da autori di reati non sessuali e non violenti. I pedofili differivano dai gruppi di controllo, dagli incestuosi e dagli aggressori di donne adulte – una ben maggiore percentuali di essi aveva l’emisfero sinistro più piccolo di quello destro. “Ciò indica, forse, che le anormalità strutturali sono più comuni nel cervello dei trasgressori sessuali”. (Howitt, 2000, p.188)
Sessualità e vecchiaia: pregiudizi e disinformazione
La vita sessuale degli esseri umani non si esaurisce nell’appagamento di una pulsione: è il più delicato e complesso dei rapporti che intercorrono fra persona e persona, risente delle convenzioni sociali, variabili nei luoghi e nel tempo, è plasmata dal vissuto inimitabile di ogni individuo.
Tutte le persone, senza limite di età o abilità, hanno necessità di “touch”, di contatto e amore, e desiderano una relazione affettiva e intima. Sessualità e intimità hanno un ruolo importante nella vita di ciascun individuo. Gli aspetti della vita sessuale sono i più diversi. Si può affermare che nella vita di ogni essere umano nulla vi sia di più personale e caratteristico del modo di vivere e di intendere la propria sessualità. “Nell’autunno della vita ciascuno porta, adeguate alla propria realtà biologica e cronologica, le caratteristiche psicoaffettive che, durante la giovinezza e la maturità, hanno rappresentato le note distintive estetiche e comportamentali della sua vita erotico-sentimentale. Come avviene nel bambino, così anche nel vecchio la sessualità è distaccata dalla riproduzione, assume sue caratteristiche proprie e trova di conseguenza difficoltà di comprensione da parte della collettività… L’anziano che continua a desiderare una sua vita erotica, che continua a ritenere il sesso naturale e libero, ‘un linguaggio che perfeziona, rafforza ed arricchisce la relazione umana’, deve affrontare numerose difficoltà personali e sociali”. (Malizia, 1982)
Le conseguenze di questi atteggiamenti della società risultano tanto più devastanti se si considera che, nonostante la riduzione della frequenza dei rapporti, il sesso e la sessualità dimostrano di costituire per gli anziani parte integrante della loro esperienza esistenziale.
La qualità della vita sessuale nell’età avanzata (Waltzman & Karasu, 1972; Tammaro, 1996) è strettamente legata alle caratteristiche che la stessa ha presentato nel corso degli anni antecedenti e soprattutto alla soddisfazione e alla frequenza. Alla base della cessazione dell’attività sessuale vi possono essere svariate cause, la cui prevalenza è nettamente diversa nei due sessi:
per l’uomo:
propria inabilità sessuale (40%)
propria malattia (17%)
malattia del coniuge (15%)
propria mancanza di interesse (14%)
mancanza di interesse del coniuge (10%)
per la donna:
morte del coniuge (30%)
malattia del coniuge (20%)
inabilità sessuale del coniuge (20%)
separazione e divorzio (11%)
assenza di interesse propria (5%) o del coniuge (5%)
Per il sesso femminile, quindi, le cause sono fondamentalmente legate alla presenza e alla capacità del coniuge, mentre per i maschi la cessazione dipende quasi sempre da una propria incapacità. (Tammaro, 1996)
Negli anni recenti, l’argomento della sessualità e della vecchiaia è stato un tema di grande interesse. Tuttavia stereotipi, miti e tabù ancora prevalgono. Informazioni sui normali cambiamenti sessuali e sulla funzionalità non sono facilmente disponibili. Quando poi si affronta una malattia o disabilità, le funzioni sessuali in generale non vengono considerate e adeguatamente indirizzate finché non diventano un problema. Gli assistenti geriatrici, in particolare, hanno reali opportunità di misurare le preoccupazioni, le inquietudini e i problemi relativi all’intimità e alla sessualità dei loro assistiti. Problemi, che dovrebbero far parte della diagnosi e del trattamento, nell’impatto con la malattia e la disabilità, per indirizzare il paziente e la famiglia a come affrontarli e intervenire.
Johnson (1997) ha intervistato 1500 adulti senescenti, chiedendo loro di identificare i modi nei quali i caregiving e gli operatori sanitari potessero aiutare gli adulti senescenti ad affrontare i problemi o questioni sessuali. In generale, hanno sottolineato la necessità di “essere bene informati” ed il loro consiglio è stato di “essere franchi”, di “essere accoglienti” e di “dare ascolto”. L’intimità è necessaria, la sessualità e il problema dei comportamenti devono essere presto identificati non solo per affrontare comportamenti sessuali non appropriati, ma anche per insegnare i modi per proseguire con una sana vita sessuale. Salute e malattia causano, quindi, cambiamenti che influiscono sulla qualità della sessualità dell’individuo. La malattia di Alzheimer (AD), per esempio, pone problemi significativi nel cercare di mantenere l’intimità e la sessualità nella coppia. Le coppia anziane che lottano con la malattia di Alzheimer hanno domande mai espresse e rimaste senza risposta proprio sui problemi relativi all’intimità e alla sessualità. Il tema è così privato che difficilmente viene discusso apertamente. Spesso i giorni di assistenza aumentano e la mancanza di intimità e la perdita della relazione affettiva diventano gli stressors maggiori sia per la persona che assiste, sia per il malato stesso con AD. E’ importante formulare una informazione corretta sui comportamenti sessuali disturbanti e su come affrontarli (Szwabo, 2000).
L’uomo viene considerato in climaterio al massimo a 60 anni ed il pregiudizio fissa perciò a questa età il limite massimo dell’attività sessuale. Quando l’uomo continua ad esercitarla viene considerato spesso anormale, soprattutto da un punto di vista morale. Nella donna viene accettata una variabile più ampia: tuttavia la menopausa, tra i 45 ed i 55 anni, rischia in ogni caso di essere di fatto, il limite “accettato” dal sociale per lo svolgimento dell’attività sessuale. Questo pregiudizio diviene, con il passare degli anni, una profonda convinzione di tutti, anche nelle persone che invecchiano: esse sono vittime e contemporaneamente attori, promotori dello stereotipo della vecchiaia asessuata. (Waltzman & Karasu, 1972; Pfeiffer, 1975, Tammaro, 1996)
«Il mito della vecchiaia ‘asessuata’, del vecchio ‘sporcaccione’ quando cerca, anche con riserbo, di rispondere ai bisogni, alle pulsioni e forse anche ad un istinto che certamente non sono sopiti, sembra essersi approfondito, irrigidito, universalizzato in misura tale da condizionare, schiavizzare l’anziano. Egli deve rinunciare in nome di un moralismo acritico a qualsiasi manifestazione sessuale, addirittura di affettività, pena la censura, l’ostilità, il rimprovero e talora perfino il disprezzo, il ribrezzo, la ripulsa. Per l’uomo e per la donna anziana non vi è uno spazio soprattutto mentale, psicologico per la vita sessuale che è comunque circondata, oppressa, ghettizzata dalla congiura del silenzio… E’ ancora da rilevare che mentre l’uomo anziano ha, almeno in teoria, la possibilità di approccio con donne più giovani, la persona anziana di sesso femminile vede assolutamente precluso dalla morale corrente qualsiasi rapporto affettivo con uomini molto più giovani di lei. L’ilarità, il sarcasmo, l’ironia, il dileggio oltre in qualche caso l’indignazione, la riprovazione, la censura, colpiscono certamente in maggiore misura la donna piuttosto che l’uomo anziani che abbiano rapporti affettivi specie con partner più giovani». (Aveni Casucci, 1988 p.150-1)
E’ difficile sottrarsi a questo condizionamento che colpisce anche coloro che desidererebbero, almeno in un primo tempo, sottrarsi. Poiché, come è ovvio, l’uomo durante la sua vita ha la necessità di una partner per svolgere una regolare attività sessuale, risulta chiaro che nella senescenza e nella vecchiaia, per la morte di uno dei coniugi o per separazione o divorzio, o per malattie gravi fisiche o mentali, la persona anziana può essere spesso sola o comunque posta nelle condizioni di non avere più il compagno o la compagna di vita: ciò rende ancora più problematica la prosecuzione di una qualsiasi attività sessuale, qualora fosse gradita, ritenuta necessaria o in ogni caso desiderata.
L’anziano è bersaglio di molti pregiudizi (Waltzman & Karasu, 1972, Pfeiffer, 1975, Aveni Casucci, 1988, 1992), retaggio di una società sessuofobica. Sfatiamone, quindi, alcuni:
“Il vecchio ha raggiunto la pace dei sensi”:
L’invecchiamento non comporta per sé l’incapacità a conservare una normale attività sessuale. La terza età non è una fase asessuata della vita: l’attività sessuale dell’anziano è un diritto che va pienamente riconosciuto, è un’attività possibile, legittima ed utile dal punto di vista fisiologico e psicologico. L’attività sessuale non è comunque un obbligo, ma una scelta esaltata dall’affetto e dall’amore. “La sessualità umana è una modalità intima di relazione tra due persone” (Aveni Casucci 1992). Il rapporto che ciascuno ha avuto per tutta la vita con la sessualità, continuerà a condizionarlo anche in età avanzata.
“La sessualità dell’anziano è sconveniente”. “Le case di tolleranza risolverebbero i problemi dei giovani e dei vecchi”:
Questo modo di pensare è frutto di una mentalità maschilista, evidenzia paura del sesso, attrazione-disprezzo nei confronti della donna.
“La sessualità dell’anziano è deviante e criminosa”:
Non lo è, come non lo è quella dei giovani se non è coartata e distorta da pressioni sociali negative. Fattori sociali negativi sono: ristrettezze economiche, coabitazione forzata in posizione subalterna o nelle residenze collettive dove vige una disciplina coercitiva.
“La sessualità dell’anziano è di per sé una malattia”. “Caratteristici dell’anziano sono l’esibizionismo, la masturbazione, il voyeurismo, l’omosessualità vicariante, la pedofilia, la corruzione”:
Le deviazioni del comportamento sessuale in un contesto nevrotico o psicotico vanno curate a qualunque età si manifestino. Va tenuto presente che la più comune e tipica anormalità sessuale è la vita sessuale inibita, rigida, condizionata dall’ansia e fonte a sua volta di frustrazione. Le turbe psichiche individuali, gli squilibri interpersonali e sociali vanno individuati e corretti.
Un altro pregiudizio individuale e sociale, da rimuovere riguarda la deprecabilità della masturbazione e di altre pratiche di autoerotismo, come la visione di materiale a contenuto sessuale e le fantasie (Waltzman & Karasu, 1972; Pfeiffer, 1975). “Queste attività contribuiscono a mantenere un buon livello di desiderio e anche di funzionalità dei genitali” (Tammaro, 1996, p.25).
L’affettività e la sessualità esercitate correttamente possono realmente essere terapeutiche per l’anziano istituzionalizzato e non, nella nostra società. Ed allora per quegli anziani che (in istituto) non trovano un partner, il bisogno che sembra imperioso e irrinunciabile viene soddisfatto anche attraverso la masturbazione. Un’interpretazione psicologica è proprio quella che addebita alla carenza, alla solitudine affettiva e non certo alla impossibilità, all’insufficienza del rapporto sessuale inteso nella sola accezione fisica l’esercizio della masturbazione.
Pedofilia e anziano
La pedofilia e l’aggressività nell’età senile è a tutt’oggi un settore della ricerca scarsamente esplorato. Molti sono gli studi condotti sugli autori di abusi sessuali in giovane età, pochi invece gli studi su molestatori anziani. (Cormier et al., 1995)
L’anziano viene generalmente considerato più propenso a subire e a temere la violenza o l’aggressività altrui. Tra gli anziani l’aggressività può caratterizzare soggetti che la manifestavano già in fasi precedenti della vita o, al contrario, insorgere per la prima volta in età senile. “In quest’ultimo caso potrebbe rappresentare la slatentizzazione di una propensione presente sin dalla giovinezza (tratti di personalità? labilità dei circuiti serotoninergici?) o essere il correlato di modificazioni della personalità del soggetto affetto da patologie degenerative cerebrali”. (Scocco, 2000, p.134) I pazienti dementi, per esempio, oltre ai comportamenti aggressivi diretti (aggressività fisica, aggressività verbale e lamentazioni continue, vagabondaggio) possono manifestare atteggiamenti oppositivi nei confronti dei caregiver e del personale sanitario o comportamenti socialmente inadeguati e sessualmente disinibiti.
Crimini sessuali violenti quali lo stupro sono portati a termine da persone più giovani. Il vecchio molestatore in genere è più coinvolto in comportamenti esibizionistici o di pedofilia, come l’accarezzare o toccare senza tuttavia causare danni fisici. (Waltzman & Karasu, 1972)
Sovente si può osservare, soprattutto nel soggetto maturo o anziano, il timore di non essere all’altezza di un partner sessuale adulto, con il conseguente indirizzarsi verso l’ambito infantile o prepubere, come garanzia nei confronti di un eventuale fallimento della relazione sessuale. Il bambino, infatti, almeno in teoria, dovrebbe non essere in grado di riconoscere questi fallimenti, né accorgersi di “vergognosi arrangiamenti” nella pratica sessuale, garantendo anche un certo silenzio di fronte agli adulti. (Callieri & Frighi, 1999, p.42)
Weinberg (1975) osserva che «In the absence of opportunity for direct sexual gratification, the need for sexual expression may indeed take on many forms. Without thinking of regressive maneuvers related to dynamic formulations of oral, anal, and phallic preoccupation, we should take into consideration the sublimated and socially acceptable expressions such as touch, or tactile contact, which in the younger adult may be acceptable and natural but in the older person is looked upon with curiosity, and often with suspicion and disapproval. The sick old man who reaches out a feeble hand to touch the young female nurse is an “old fool making a pass”. The sick younger man with the same gesture may also be making a pass, but he, of course is no “fool”. The aged man who reaches out to touch and pat the smooth, inviting skin of a youngster becomes the prototype of the dangerous molester despite the fact that statistically he ranks low on that scale. Nevertheless, it is quite true that the courts may be more lenient with the aged and ascribe their behaviour to confusion. (The number of aged molesters is quite negligible when compared to the number of young adult molesters).» (p.249)1
Pfeiffer & Busse (1973) osservano che «It is frequently said that sexual offenses are common in old age. Their importance, however, seems to have been highly overrated, both in the public press as well as among some criminologists… Sex crimes rank low among the list of crimes for which aged persons are arrested. Violent sexual offenses, such as rape, are rare in this age group; the majority of sexual offenses are of a more infantile nature. They include “indecent exposure”, “touching or fondling of children”, or “impairing the morals of a minor”… Findings do not fit the stereotype of the elderly offender as being frequently arrested for sexual or other serious offenses». (p.140)2
In uno studio condotto da Langevin et al. (2000) sul confronto tra tre gruppi di “sexual offenders”, il gruppo di 24 anziani maschi ecclesiastici accusati di abusi sessuali presentava per il 70.8% un disturbo sessuale, in particolare pedofilia omosessuale; disturbi endocrini e tendeva ad usare la violenza più spesso degli altri gruppi durante l’abuso sessuale.
I fattori psicosociali sono particolarmente rilevanti negli anziani che hanno commesso reati sessuali. Alcuni autori “sostengono che gli anziani che commettono tali reati presenterebbero un ‘tallone d’Achille’, una propensione – tenuta sotto controllo da soddisfazioni compensatorie o pressioni ambientali – che riemerge in momenti di stress, malattia fisica, disabilità e, appunto, età avanzata”. (Scocco, 2000, p.149)
Le cause che conducono l’anziano al crimine sono poco conosciute. Tra queste la patologia demenziale pare avere un ruolo importante. Tuttavia non è stato ancora chiaramente stabilito se l’aggressività dell’anziano demente sia una manifestazione primaria della patologia degenerativa in sé o insorga come conseguenza dell’inabilità del demente a dominare un ambiente che mal si adatta alle sue esigenze. Bridges Parlet e al. (1994) osservano che il comportamento da loro stessi definito “aggressivo” nei dementi si era rivelato in realtà, nella maggioranza dei casi, “difensivo”, e chi si sentiva aggredito era il malato stesso.
Le disfunzioni a carico della corteccia frontale che si riscontrano in diversi tipi di demenze (es. Malattia di Pick), producono la perdita dell’autocontrollo, dell’empatia e causano fenomeni di disinibizione. Vari studi hanno anche evidenziato che tra gli anziani criminali arrestati o condannati, i tassi di alcolismo erano elevati.
Sotto il profilo comportamentale, il coinvolgimento delle aree frontali determina la comparsa di difficoltà nell’eseguire azioni anche abituali, e una riduzione dell’iniziativa o note di disinibizione. Tale disinibizione a volte può manifestarsi a carico del comportamento sessuale, dando luogo a situazioni difficilmente gestibili e talvolta imbarazzanti in ambito familiare e relazionale.
Cervello e comportamento
Una predisposizione alla pedofilia può essere la conseguenza di una ipersessualità per una lesione cerebrale. Le lesioni cerebrali possono causare ipersessualità o disibinizione sessuale, ma l’associazione tra pedofilia e lesione cerebrale è tuttora controversa. Lesioni cerebrali specifiche potrebbero alterare l’orientamento sessuale verso i bambini o, viceversa, facilitare o liberare un orientamento pedofilo in individui predisposti.
La corteccia frontale umana costituisce almeno un terzo dell’intera superficie corticale. Nella porzione posteriore la corteccia frontale comprende le regioni motorie e premotorie. La parte anteriore viene spesso chiamata corteccia prefrontale. La regione prefrontale può essere ulteriormente suddivisa in un’area dorsolaterale e in una regione orbitofrontale. Lesioni di queste aree della corteccia prefrontale provocano differenti effetti sul comportamento: il ritratto clinico di pazienti con lesioni frontali rivela una raccolta di cambiamenti emotivi, motori e cognitivi.
Pazienti con lesioni frontali possono presentare incapacità ad inibire reazioni emotive inadeguate. Le normali convenzioni sociali vengono messe da parte a favore di attività impulsiva e, qualche volta, di un comportamento sessuale disinibito.
Alcuni autori (Wertheimer, 1991; Clark e Boutros, 1999) sottolineano che lesioni nella regione orbitale provocano una sindrome che è caratterizzata da disibinizione, che varia dalla diminuzione del controllo sociale fino alla messa in atto di comportamenti antisociali. La natura di questo comportamento indica che questi pazienti non sono più in grado di riconoscere la inappropriatezza delle proprie azioni. Essi sono labili emozionalmente, irritabili, e impulsivi. Il paziente con una lesione orbito-prefrontale può essere iperattivo, anche ipomaniaco, specialmente se la lesione coinvolge la corteccia orbitale posteriore. Sebbene atti di aggressione sessuale siano rari, sono tuttavia frequenti commenti sessuali impropri e preoccupazione sessuale. I pazienti sono facilmente distraibili, e spesso sono incapaci di completare un compito in quanto sono distratti anche da stimoli pressocché insignificanti.
Osservazioni su pazienti hanno permesso di estendere il concetto di disturbi emotivi a due classi specifiche di sindromi: una “sindrome pseudodepressiva”, caratterizzata da apatia, abulia, inerzia ed un tono dell’umore depresso, ed una “sindrome pseudopsicotica”, caratterizzata da impulsività, scherzosità, egocentrismo, volubilità, ed infine da un tono dell’umore euforico-maniacale. La prima conseguirebbe a lesioni della corteccia mediale, mentre la seconda conseguirebbe a lesioni della corteccia orbitaria (Blumer e Benson 1975 cit. da Làdavas, Sartori e Zago 1995). “Ciò può essere spiegato con le numerose connessioni della corteccia prefrontale, in particolare appunto delle sue parti mediali e orbitarie, con delle strutture sottocorticali, quali l’amigdala e l’ippocampo, responsabili dell’attivazione di una risposta emotiva. In questo caso il lobo frontale avrebbe una funzione di controllo rispetto all’attività delle strutture sottocorticali ed una sua lesione ne impedisce l’attività di modulazione e di controllo”. (p.505)
Analogamente all’ippocampo, con il quale è in stretta connessione, l’amigdala contiene un’elevata concentrazione di recettori glutaminergici attivi nei processi di immagazzinamento a lungo termine dell’informazione emotiva. Mentre l’ippocampo fissa l’informazione relativa al contesto e agli aspetti descrivibili di un evento emozionale, dei quali il soggetto è consapevole (memoria esplicita o dichiarativa), l’amigdala fissa l’informazione relativa alle risposte comportamentali e fisiologiche indotte dalla condizione emotiva. Questa informazione viene registrata in forma implicita (non descrivibile e non consapevole) ed è responsabile delle reazioni viscerali (aumento della sudorazione, della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, ecc.) che caratterizzano il vissuto o il ricordo emotivo. I numerosi collegamenti osservati tra l’amigdala, la corteccia e le strutture di controllo delle funzioni del sistema nervoso autonomo fanno dell’amigdala un’importante interfaccia tra processi cognitivi superiori, sistema motivazionale e attivazione emotiva. (Galimberti, 1999, p.44)
Nel 1939 lo psicologo tedesco Heinrich Klüver e il neurofisiologo statunitense Paul C. Bucy avevano osservato che alcune scimmie sottoposte a lobotomia temporale, in cui erano state distrutte sia la corteccia temporale che le strutture sottostanti, cioè l’ippocampo e l’amigdala, mostravano comportamenti emotivi del tutto inappropriati al tipo di stimolazione, cioè diventavano mansuete, esibivano scarse reazioni emotive, presentavano anche un considerevole aumento dell’appetito sessuale che poteva arrivare alla monta di oggetti e di animali di specie diversa e, se affamate, a mettere in bocca qualsiasi tipo di oggetto, mangiabile e non (sindrome di Klüver-Bucy). La lesione dell’amigdala provoca l’insorgenza delle tendenze orali, dell’ipersessualità e della sottomissione. (Kupferman 1998, p. 761) In breve tempo queste scimmie venivano abbandonate dal gruppo a causa di comportamenti che ne compromettevano la capacità di sopravvivere in natura.
Gli studi sull’uomo mettono in luce deficit più selettivi e meno gravi. Le ricerche su pazienti con lesioni circoscritte hanno evidenziato che l’amigdala è importante per le risposte a stimoli spiacevoli, in particolare a stimoli paurosi, per il riconoscimento del volto di persone e dell’espressione mimica delle emozioni, nel condizionamento a stimoli dolorosi o paurosi. E’ probabile che nell’adulto la rete di risposte emotive secondarie apprese durante lo sviluppo sia fissata in altre strutture connesse all’amigdala e che quindi parte delle risposte emotive non sia gravemente alterata. Le ricerche attuali fanno supporre che un difetto di funzionamento dell’amigdala sia tipico dei soggetti sociopatici, individui che spesso non manifestano paura e non sono sensibili alle punizioni, mentre un’iperfunzionalità della stessa caratterizzerebbe gli individui fobici, quelli soggetti ad attacchi di panico e in generale gli ansiosi cronici. (Galimberti, 1999, p.45)
L’ippocampo è presente simmetricamente in entrambi gli emisferi cerebrali. Esso costituisce uno strato della corteccia di tipo primitivo, particolarmente ricco di glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio. Proprio a causa dell’elevata concentrazione di questo neurotrasmettitore e dei suoi potenziali effetti neurotossici, l’ippocampo è particolarmente sensibile all’ipossia (per esempio in fenomeni di asfissia) e all’intossicazione da monossido di carbonio o da altre sostanze. L’ippocampo gioca un ruolo importante nella fisiologia delle emozioni poiché, all’interno del sistema limbico, fa parte del circuito di Papez, un circuito neurale essenziale per l’elaborazione delle emozioni. Questo circuito prevede collegamenti tra alcune strutture sottocorticali, nel seguente ordine: ippocampo, fornice, ipotalamo (corpi mamillari), nuclei anteriori talamici, giro del cingolo. Connessioni tra il giro del cingolo e l’ippocampo chiudono il circuito di Papez. L’ippocampo è importante sia per il ricordo esplicito di eventi emozionali, in particolare di quelli spiacevoli o paurosi, sia per il ricordo del contesto ambientale e dei particolari sensoriali che caratterizzano e accompagnano gli eventi emozionali passati. Il ricordo esplicito di eventi emotivi va distinto dalla memoria emotiva implicita (cioè non consapevole) alla cui funzione è deputata l’amigdala insieme ad altre strutture sottocorticali e corticali cui è collegata.
E’ stata avanzata l’ipotesi che gli esseri umani siano incapaci di ricordare esplicitamente eventi traumatici nel primissimo periodo di vita perché, mentre le strutture che elaborano e immagazzinano le risposte emotive primarie per la paura sono perfettamente sviluppate e funzionanti, la struttura deputata al ricordo consapevole dell’evento traumatico, cioè l’ippocampo, non è ancora matura. Per questo motivo l’evento traumatico non verrebbe ricordato consapevolmente, ma continuerebbe ad agire potentemente sul comportamento e sulle funzioni mentali. (Galimberti, 1999, p.560)
Sul giro del cingolo negli ultimi anni sono state fatte alcune scoperte rilevanti. Innanzi tutto, la porzione anteriore del giro del cingolo è una struttura di collegamento tra il sistema limbico e la corteccia orbitofrontale: è a questo livello che avviene l’integrazione tra le risposte viscerali emozionali, la memoria emotiva e i processi cognitivi superiori sostenuti dalla corteccia prefrontale (attenzione, memoria di lavoro, problem solving, pianificazione strategica delle decisioni, interazione sociale ecc.). Il giro del cingolo è inoltre fondamentale per gli aspetti motivazionali (pulsioni) dei processi attentivi e dell’attività motoria volontaria. Esso è una specie di motore guidato dallo stato interno dell’organismo e dalle sue esigenze emotive-istintive-motivazionali, che procura l’energia necessaria a orientare l’attenzione verso il mondo esterno e a pianificare l’attività motoria.
Le lesioni al giro del cingolo, in particolare alla sua porzione anteriore, provocano nell’uomo una grave menomazione della pulsione, che si traduce in acinesia, mutismo, assenza di espressioni facciali, riduzione dei movimenti, delle emozioni e delle capacità attentive, nonché compromissione della capacità di ragionare.
Monitoraggi del metabolismo cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale hanno rilevato che pazienti clinicamente depressi mostrano una significativa riduzione di attività proprio in corrispondenza della porzione anteriore del giro del cingolo (aree 24 e 25 di Brodmann). Nei soggetti con disturbo bipolare si evidenzia un aumento di attivazione di questa zona durante la fase maniacale e una riduzione durante la fase depressiva. Complessivamente, sia pazienti bipolari sia quelli unipolari hanno un volume delle aree cerebrali riportate quasi dimezzato rispetto ai soggetti di controllo, e questo spiega la forte riduzione di attività misurata. Si ignora per il momento se questa riduzione di volume sia la conseguenza di prolungati episodi di depressione, o se invece soggetti con un ridotto volume siano a rischio di sviluppo di depressione. Poiché tuttavia è ormai noto che la depressione è associata a un elevato livello di cortisolo (ormone dello stress) nel sangue, e che il cortisolo è in grado di ridurre alcune popolazioni di neuroni (per esempio le cellule ippocampali), è più probabile che prolungati fenomeni depressivi siano in grado di alterare permanentemente le porzioni anteriori del giro del cingolo. (Galimberti, 1999, p.736-737)
Studi condotti sulla stimolazione elettrica e sull’ablazione hanno mostrato che l’ipotalamo (responsabile dell’omeostasi dell’organismo, cioè del mantenimento di un livello abbastanza costante di temperatura, di concentrazione di glucosio, di sali e di ormoni nel sangue) riveste un ruolo importante nel controllo dell’attività del sistema nervoso autonomo e delle emozioni, in quest’ultimo caso in stretta connessione con il sistema limbico.
Osservazioni su pazienti con lesioni ipotalamiche hanno consentito di individuare zone responsabili di comportamenti aggressivi e di stati di eccitamento associati a manifestazioni vegetative, come l’aumento della pressione sanguigna e l’accelerazione della frequenza cardiaca, nonché zone responsabili di apatia, depressione e rallentamento globale delle funzioni psichiche e motorie. All’attività dei centri ipotalamici sono connesse le tensioni inerenti ai bisogni istintivi quali l’assunzione di cibo, di acqua, l’attività sessuale, il sonno. In particolare, alla sessualità è deputata la parte anteriore dell’ipotalamo, sensibile alla presenza nel sangue degli ormoni prodotti dalle gonadi responsabili delle manifestazioni caratteristiche dell’attività sessuale a cui non sono estranei fattori ambientali accessibili attraverso le informazioni sensoriali. La stimolazione di una stessa area dell’ipotalamo laterale mediante diversi agenti chimici può indurre, in animali di entrambi i sessi, comportamenti maschili o comportamenti materni; ciò lascia supporre la coesistenza di strutture potenzialmente collegate a manifestazioni maschili e femminili in ciascun individuo. (Galimberti, 1999, p.559)
Studi sugli animali hanno definito le regioni critiche per il comportamento e l’orientamento sessuale. In definitiva, l’espressione del comportamento sessuale dipende dall’ipotalamo e dalla regione del setto. Negli animali, la stimolazione del nucleo preottico dell’ipotalamo si risolve nella copulazione, mentre dalla sua ablazione deriva la perdita dell’attività sessuale. L’attività di alcuni neuroni preottici è massima dopo il contatto visuale con un potenziale partner sessuale. Inoltre, le sensazioni sessuali sono facilmente elicitate stimolando il nucleo del setto rostrale alla commissura anteriore. Parti dei lobi frontale e temporali sono deputati alla regolazione del comportamento sessuale proveniente dall’ipotalamo e dalla regione del setto. Il lobo temporale destro partecipa all’espressione delle emozioni e alla loro interpretazione, elementi che sono coinvolti nella modulazione della normale eccitazione sessuale. Tuttavia, l’assenza di disturbi severi nel comportamento di pazienti con lobotomia temporale destra, indica che i cambiamenti nel comportamento sessuale richiedono il coinvolgimento bi-temporale. (Mendez e al., 2000)
Wijeratne e al. (1997) riporta un caso di erotomania associato a disturbi del lobo temporale. Si tratta di una donna anziana con il delirio di essere amata da un medico presso il quale la donna era stata in terapia. Quando era bambina, l’area periorbitale sinistra era stata trattata con radioterapia. L’indagine strutturale e funzionale per neuroimmagini rivelava un danno al lobo temporale mediale.
La letteratura medica geriatrica contiene riferimenti ai “vecchi sporcaccioni” che sono predisposti a molestare i bambini. Questi scritti spesso descrivono questi vecchi come sofferenti di demenza o di disturbi quali neurolue o infarti cerebrali. Tuttavia l’opinione che la maggior parte dei pedofili abbiano disturbi neurologici non è confermata dalla letteratura recente. Nella maggior parte dei casi, la pedofilia inizia tra adolescenti, spesso maschi psicosessualmente ritardati. Ciò nonostante, ci sono casi di pedofilia iniziati in tarda età dopo una lesione cerebrale.
Mendez e al. (2000) riportano lo studio di due maschi anziani che presentavano condotte pedofile di tipo omosessuale e lesione cerebrale, e approfondiscono l’aspetto neuropsichiatrico di questa condizione. Il primo paziente risponde ai criteri di demenza fronto-temporale; il secondo presenta una sclerosi ippocampale bilaterale. In entrambi, la tomografia ad emissione di positroni (PET) con tracciante 18-fluorodeossiglucosio (18-FDG) ha rivelato notevole ipometabolismo al lobo temporale destro.
Riassumiamo qui di seguito i due “case report”.
Paziente 1
Si tratta di un maschio di 60 anni, mancino, ospedalizzato dopo appostamenti, abbordamenti e tentativi di molestare dei bambini. Per 18 mesi egli aveva seguito con l’auto dei bambini dalla scuola fino a casa, e aveva cercato di toccarli. Un giorno, egli aveva abbracciato un ragazzino di 10 anni, e l’aveva picchiato quando aveva cercato di trascinarlo. Stazionava spesso ai bordi della piscina fissando con intenzione i ragazzini; esibiva i propri genitali ai bambini dei vicini di casa.
I familiari avevano la sensazione che egli avesse notevolmente aumentato l’attività sessuale e le richieste coniugali, ed erano al corrente che molestava i bambini e che poteva essere per questo arrestato.
Nei quattro anni precedenti il paziente aveva avuto un progressivo declino della memoria e della personalità. L’aspetto fisico era peggiorato: egli indossava sempre gli stessi vestiti e aveva smesso di lavarsi. Anche il comportamento alimentare era cambiato: mangiava in modo indiscriminato e prendeva il cibo dal piatto degli altri. Nelle settimane precedenti l’ospedalizzazione era diventato più aggressivo sia verbalmente che fisicamente.
In precedenza il paziente lavorava al college come professore ed aveva divorziato dalla moglie a causa del proprio comportamento. I membri della famiglia d’origine interpellati, riferivano due episodi particolari nella vita del paziente: che all’età di 18 anni aveva subito abusi sessuali da un superiore (minister) e che 35 anni prima il paziente stesso aveva molestato il proprio figlio quando era un bambino. Il figlio, interpellato, non aveva voluto discutere ulteriormente sull’argomento. La storia familiare del paziente era positiva per una non ben specificata demenza della madre.
Durante i colloqui il paziente negava di avere un interesse sessuale verso i bambini e riteneva di essere in ospedale in quanto “il parlare con degli estranei non fosse la cosa giusta da farsi”.
I test neuropsicologici confermavano una diminuzione significativa della memoria, una lieve riduzione nelle funzioni esecutive, un punteggio relativamente scarso alla Wechsler Adult Intelligence Scale (Revised) considerato il suo background come professore.
La risonanza magnetica (MRI) del cervello non rilevava anormalità. Al contrario, la tomografia ad emissione di positroni (FDG-PET) mostrava una notevole riduzione dell’attività metabolica focale nella regione temporale inferiore destra, ed una attività metabolica meno ridotta nel lobo temporale sinistro.
Il paziente rispondeva ai criteri del Lund & Manchester Groups (1994) per le demenze frontotemporali (FTD): cambiamento di personalità caratterizzato da un progressivo declino nella consapevolezza personale e sociale, diminuzione della capacità di giudizio, comportamento compulsivo, elementi tipici della sindrome di Klüver-Bucy. Negli esseri umani questa sindrome può produrre un cambio nelle preferenze sessuali e ipersessualità.
La terapia farmacologica (20 mg qhs paroxetine, 500/750 mg valproato e 0.625 mg qd estrogeni) e un’appropriata supervisione hanno notevolmente migliorato il comportamento del paziente, e diminuito il suo interesse sessuale verso i bambini.
Paziente 2
Si tratta di un maschio di 67 anni destrimane, artista, che si è presentato per una valutazione neurologica dopo essere stato in prigione 18 mesi per molestie a bambini. Egli aveva fatto un “massaggio” non richiesto ad un ragazzo di 14 anni. Il paziente negava l’intento sessuale e ribadiva di aver voluto soltanto dimostrare al giovinetto la tecnica del massaggio a digitopressione.
Egli aveva mostrato un progressivo aumento dell’interesse sessuale soprattutto negli ultimi due anni, ricercando costantemente la compagnia femminile. Raccontava incessantemente dei suoi rapporti con molteplici “girl-friends”, naturalmente molto più giovani di lui.
Il paziente presentava severi disturbi di memoria, depressione e ideazioni suicidarie. L’anamnesi storica segnalava angina pectoris (con uso di nitroglicerina sublinguale), e possibili aritmie cardiache. Aveva una lunga storia di abuso di alcol e droga (crack cocaine). Nella giovinezza aveva praticato a livello amatoriale la boxe, ma non gli era mai successo di perdere conoscenza durante gli incontri.
I familiari interpellati avevano raccontato che il paziente era stato allontanato dal figlio. Quando contattato, il figlio aveva spiegato che da bambino, 30 anni prima, era stato molestato dal padre, e tuttora rifiutava di avere qualsiasi rapporto con lui.
Anche la storia familiare era significativa per la presenza di tre zii e una zia suicidatisi.
La risonanza magnetica (MRI) del cervello rivelava un incremento nell’intensità del segnale ed una perdita di volume nei lobi temporali mediali lungo le formazioni dell’ippocampo, ed una notevole sclerosi bilaterale dell’ippocampo. La FDG-PET confermava una notevole riduzione dell’attività metabolica nel lobo temporale destro, meno ridotta in quello sinistro. I test neuropsicologici e clinici non indicavano un processo demenziale progressivo.
I test sono stati ripetuti nei tre anni successivi. Durante questo periodo il paziente era stato condannato per aver molestato un bambino di 5 anni.
Il comportamento del paziente è migliorato con una terapia farmacologica (sertraline) e un’accurata supervisione ambientale.
Mendez et al. (2000) osservano, inoltre, che:
il paziente 1 ha una demenza frontotemporale (FTD) in particolare del lobo temporale destro. Questo disturbo può essere asimmetrico e coinvolge l’emisfero destro più che il sinistro, o i lobi temporali più che i lobi frontali. Comportamento bizzaro, atti di tipo compulsivo, cambiamenti di personalità sono preminenti nella FTD dell’emisfero destro. La variante di tipo temporale è responsabile per circa il 20% di pazienti con FTD e ipo-metabolismo nell’area temporale anteriore e basale frontale. In particolare, è il paziente con la variante di FTD temporale destra che risulta essere sessualmente aggressivo, che fa avances sessuali, e che ha un orientamento sessuale alterato. Come il paziente 1, il paziente con la variante temporale destra della FTD presenta inettitudine sociale, irritabilità e agitazione, pensieri eccentrici o bizzarri, scarsa igiene personale, idee eccentriche o intense, e cambiamenti visibili. (Cummings & McPherson, 2001) Viceversa, pazienti con la variante temporale sinistra della FTD sono per lo più afasici, ma socialmente appropriati.
Il paziente 2 soffre di una sclerosi ippocampale (HS) piuttosto che di una demenza progressiva. La HS è una potenziale causa di cambiamenti di memoria e di personalità, specialmente nei pazienti dementi ultra 80enni; tuttavia si riscontrano casi di HS anche in pazienti più giovani (59enni). Può risultare difficile discriminare i pazienti con HS da quelli con demenza di tipo Alzheimer. La presenza di un progressivo deterioramento nelle funzioni cognitive nei pazienti con HS può essere messa in relazione con altri cambiamenti patologici, come perdita di sinapsi neocorticali, o presenza di concomitanti placche neuritiche. Disturbi cardiovascolari, episodi di insufficienza cardiaca, o una storia di infarti al miocardio, sono presenti in circa l’88% di questi pazienti, implicando una etiologia anossica o ischemica per l’HS. L’area ippocampale è particolarmente vulnerabile a ipossie subcliniche o danni ischemici. Inoltre, come il paziente 2, la maggior parte dei pazienti con HS presentano sintomi depressivi, ma non una storia di colpi apoplettici.
Riassumendo, questi due pazienti presentavano entrambi pedofilia, con un coinvolgimento bi-temporale, ma con una notevole riduzione dell’attività metabolica nel lobo temporale destro. In alternativa, i lobi frontali possono avere contribuito alla disinibizione sessuale, anche se questo è meno probabile, in quanto entrambi i pazienti hanno avuto un accentuato incremento nell’interesse e nel comportamento sessuale ed una probabile predisposizione alla pedofilia.
L’etiologia delle loro lesioni cerebrali era differente. Sebbene uno avesse una demenza frontotemporale e l’altro una sclerosi bilaterale ippocampale, i risultati della FDG-PET sono simili. Mendez e al. (2000) ritengono che la presenza di una disfunzione metabolica nel lobo temporale destro possa avere avuto un ruolo significativo nella pedofilia di questi due pazienti. I colloqui con i familiari di entrambi i pazienti avevano inoltre messo in rilievo la presenza in età più giovane di un orientamento alla pedofilia. Gli Autori ribadiscono che l’aumento della sessualità da lesione del lobo temporale ha probabilmente smascherato in questi due pazienti una pedofilia latente.
A sostegno della loro tesi, Mendez e al. riportano nel proprio lavoro una serie di studi tratti dalla letteratura, piuttosto interessanti.
Un uomo di 64 anni, arrestato per abuso sessuale di un minorenne, aveva una malformazione arterio-venosa frontale destra, che si estendeva alla regione del setto.
Un maschio di 49 anni, che aveva molestato un bambino dopo aver subito una craniotomia frontale destra per rimuovere un meningioma soprasellare.
Un uomo che presentava una progressiva ipersessualità e interesse verso i bambini, aveva un glioma che coinvolgeva l’ipotalamo e le parti superiori del cervello.
Episodi di pedofilia incestuosa erano seguiti dopo ipossia cerebrale globale in pazienti che avevano sofferto di infarti al miocardio e sottoposti a cardioversione.
L’8.3% di pazienti con infarto cerebrale all’emisfero destro, ma soltanto il 4.4% di pazienti con infarto cerebrale all’emisfero sinistro, presentavano aumento della libido.
Un marcato aumento del desiderio sessuale era presente in pazienti con ictus che coinvolgeva il lobo temporale anteriore destro.
Su 12 donne con manifestazioni sessuali ictali, 8 presentavano attività epilettica nell’area del lobo temporale destro, e 1 paziente aveva un astrocitoma nell’area temporale destra.
Questi casi e la letteratura suggeriscono quindi che il disturbo temporale bilaterale anteriore che interessa maggiormente il lobo temporale destro rispetto a quello sinistro possa aumentare l’interesse sessuale. Mendez e al. concludono che l’ipersessualità deriva da disturbi di entrambi i lobi temporali, in modo particolare quello destro più che il sinistro e che questo cambiamento nella sessualità è ascrivibile allo spettro della Sindrome di Klüver-Bucy. L’ipersessualità può smascherare un precedente orientamento nascosto di molestare i bambini. L’ipersessualità potrebbe anche smascherare la predisposizione ad altre parafilie. Infine, la letteratura recente non rivela la presenza di una specifica “lesione pedofila” nel cervello. Indubbiamente ulteriori studi sono necessari per comprendere la neuropsichiatria di questo disturbo, nonché la potenziale rispondenza agli anti-androgeni, estrogeni, all’inibizione dei recettori della serotonina, e altri trattamenti.
Non è un “vecchio sporcaccione”
In Italia gli anziani rappresentano attualmente il 17% della popolazione, nel 2020 saranno il 23%. La demenza è una delle più gravi patologie che affliggono l’anziano; la sua prevalenza aumenta rapidamente con il progredire dell’età poiché raddoppia ogni 5 anni dopo i 60 anni. Colpisce l’1% dei soggetti di età compresa fra i 60 e i 64 anni e il 30-50% di quelli che superano gli 85 anni. Il 60% delle demenze è dovuta alla malattia di Alzheimer. In Italia circa mezzo migliore di persone ne sono affette e si prevede che il loro numero raddoppierà entro il 2020. (Vergani, 2001)
Nella popolazione clinica affetta da demenza di Alzheimer (AD), i sintomi neuropsichiatrici presenti sono: l’apatia-indifferenza è il sintomo più comune (72%), seguito dall’agitazione-aggressione (60%), ansietà (48%), comportamento motorio aberrante (38%), disforia-depressione (38%), disibinizione (36%), delirio (22%), allucinazioni (10%), ed euforia-esaltazione (8%). In pazienti affetti da Corea di Huntington, il sintomo “disibinizione” ricorre nel 24% dei pazienti. (Cummings & McPherson, 2001)
I disturbi del comportamento rappresentano i più gravi e difficili sintomi non cognitivi della demenza, ed uno degli aspetti di maggior impatto negativo della demenza per il malato e per chi si prende cura di lui. Le variabili ambientali e di contesto, hanno una importanza decisiva per lo scatenamento del disturbo, e possono essere corretti. (Guaita, 2001)
La coppia in età avanzata deve sempre più spesso affrontare il problema del deterioramento di uno dei due coniugi, evento che influisce sull’intera vita cognitiva, comportamentale e relazionale. Dal punto di vista cognitivo, il coniuge non affetto da demenza deve fare i conti con la riduzione della memoria, con le difficoltà di ragionamento e di attenzione, con il disorientamento e la confusione del partner. “Una moglie che aveva accompagnato il marito in ospedale per essere curato, riferì di non avere problemi ad assisterlo, ma le era stato detto che una volta peggiorato avrebbe iniziato a manifestare una seconda giovinezza e si sarebbe esibito davanti alle bambine. Simili pregiudizi – che sono già pericolosi e offensivi di per sé – assumono una rilevanza etica particolarmente allarmante quando provengono da individui che, per competenza professionale, dovrebbero prendersi cura delle persone malate e dei loro congiunti (come specialisti, personale sanitario e assistenziale, ecc.” (Falchero & Sgaramella, 1998, p.280)
Peggy A. Szwabo (2000) sottolinea l’importanza di incoraggiare il mantenimento della vita intima della coppia, in funzione del deterioramento del paziente demente, e sostenere emotivamente il coniuge di fronte a questi cambiamenti complessi, e nell’affrontare le reazioni degli “altri”, preparandolo al fatto che non sempre saranno reazioni mature, cortesi o piacevoli.
In conseguenza della malattia, alcuni pazienti manifestano una marcata diminuzione del desiderio sessuale, mentre altri hanno un incremento dell’appetito sessuale. Per esempio, nel caso di determinate lesioni cerebrali, può accadere che il paziente avanzi continue richieste sessuali al partner. Ciò nonostante non è detto che tali richieste siano sinonimo di una iperattività sessuale: semplicemente, il malato potrebbe essersi dimenticato di avere appena avuto un rapporto sessuale con il coniuge. Molto spesso, ciò che la persona malata sta richiedendo non è necessariamente un rapporto sessuale, ma l’affetto connesso all’essere toccati e tenuti stretti.
Nel corso di ricerche Zeiss, Davies e Tinklenberg (1996) hanno monitorato i comportamenti manifestati da persone affette da differenti forme di demenza, in diversi setting (familiare, istituzionale, sociale), e in svariati momenti della giornata. Solo una piccola parte del campione studiato manifestava comportamenti sessuali inadeguati, per la maggior parte di brevissima durata o secondari ad altri episodi scatenanti. Comportamenti che possono essere considerati ambigui o fraintesi, quali la masturbazione o gesti esibizionistici, che generalmente fanno pensare al “vecchio sporcaccione”, gli Autori ne attribuiscono le cause a momenti di confusione o all’incapacità di prendersi totalmente cura di sé, oppure l’individuo sta semplicemente mettendo in atto un comportamento che gli procura piacere.
Questo però non significa che necessariamente passerà a comportamenti sessuali pericolosi (per gli altri) o offensivi.
Che la masturbazione sia atto fisiologico, necessario ed utile è una verità ormai assodata – anche se non da molto – ma il radicato vizio sessuofobico che, non più di cinquant’anni fa, la faceva considerare fonte di ogni depravazione morale e di ogni malattia fisica, rispunta a proposito degli anziani, perché in fondo non è ancora del tutto superato. E’ del tutto ovvio e naturale che per i vecchi si tratta di un’attività vicariante, come vicarianti sono, in varia misura, le altre “perversioni” (Peruzza, 1982).
Anzi, nell’anziano con problemi di deterioramento mentale è più probabile che il piacere autoerotico rientri in un atteggiamento di tipo autistico e perciò totalmente innocuo. In questi casi, come in altre situazioni analoghe, la cosa migliore da fare – se la situazione è socialmente imbarazzante – è tentare di distrarre il malato e aiutarlo a rivestirsi, con calma e dolcezza, senza spaventarlo con tono di voce o atteggiamenti allarmanti. Lo stesso vale per gli altri comportamenti sessuali apparentemente inadeguati. E’ inutile reagire come se ci si trovasse di fronte a un pericoloso maniaco perché questo servirebbe solo ad aumentare l’imbarazzo sociale, oltre che spaventare il malato stesso e le persone che si trovano occasionalmente ad assistere alla scena. (Falchero & Sgaramella, 1998)
Conclusioni
Non esiste una definizione unica valida del concetto di pedofilia. La limitata e ridotta produzione scientifica di studi e ricerche su questo argomento dovrebbe essere considerata come una delle cause principali delle tante ombre che avvolgono la pedofilia, in quanto tuttora risultano particolarmente carenti, oltre che le ricerche statistiche, anche gli studi indirizzati su singoli casi, che senz’altro rappresenterebbero un’osservazione maggiormente approfondita ed intensiva del fenomeno.
Anche la ricerca offre dati discutibili e non probanti. Ad esempio, la ricerca insegna che le radici della pedofilia si trovano nell’infanzia. La severità della madre e l’aggressività del trasgressore contro il proprio padre si sono però dimostrate significative per identificare solo un terzo dei probabili trasgressori violenti. Benché sussista una certa evidenza che l’infanzia dei pedofili è frequentemente sottoposta a qualche tipo di tensione, compresi abusi e violenze di vario genere, non abbiamo conoscenze approfondite su come le dinamiche familiari possano provocare le trasgressioni pedofiliche. La conoscenza delle dinamiche familiari, da sola, lascia dunque grosse lacune nella nostra comprensione della pedofilia.
Al momento appare particolarmente difficile fornire un’interpretazione della pedofilia – non sappiamo ancora se è realmente una perversione sessuale ed una malattia mentale, e comunque riportare il tutto ad un semplice quadro psicopatologico semplificherebbe di molto gli studi – soprattutto se letta in una chiave di univocità, in quanto varie sono le componenti che caratterizzano l’Io nel quadro pedofilo; andrebbe, forse, maggiormente studiata ed analizzata la relazione pedofila, il rapporto che unisce un adulto ad un minore prepubere, l’attrazione verso l’altro, i confini e le distanze consce ed inconsce di due mondi tra loro sconosciuti e diversi. (Capri, 1999)
Pedofili e molestatori di minori condividono alcune caratteristiche. La maggior parte sono di sesso maschile e possono essere eterosessuali, omosessuali o bisessuali. Alcuni preferiscono partner sessuali adulti ma scelgono i bambini poiché essi sono disponibili e vulnerabili.
E’ luogo comune sostenere che la maggior parte degli abusanti (uomini o donne che siano) sia stata vittima di abuso nell’infanzia, all’interno o all’esterno della famiglia. La ricerca informa che quasi un terzo dei molestatori sessuali è stato molestato, nell’infanzia, da una donna. Rimane il problema di accertare se l’abuso sessuale, compiuto da uomini o da donne, tenda a fare della vittima un futuro pedofilo, anche perché non si sono riscontrate significative differenze tra pedofili abusati e infanzia di coloro che non sono pedofili.
La “teoria della molestazione” e quella del “ciclo dell’abuso sessuale”, per queste ed altre ragioni, sarebbero pertanto insostenibili. Analoghe considerazioni valgono per la teoria della “riattuazione” o riproduzione diretta dall’abuso che i trasgressori hanno subito. L’abuso sofferto nell’infanzia può (non deve) avere ripercussioni sulla vita adulta. In altre parole, non necessariamente genera seri danni psicologici e/o sociali. Frequente è in essi la presenza di distorsioni cognitive, che favoriscono la “normalizzazione” di un siffatto comportamento e l’intervento di meccanismi di diniego e di negazione che rendono estremamente seria la prognosi e arduo ogni progetto di intervento psicoterapeutico. (Howitt, 2000)
Nel campo delle teorie sulle “cause” della pedofilia, si va dalle ricerche empiriche all’osservazione clinica, a teorie sottese da interessi precostituiti: teoria dell’apprendimento sessuale; pedofilia come insieme di precondizioni; pedofilia come distorsione del processo cognitivo; pedofilia come psicodinamicamente determinata; pedofilia come perversione; pedofilia come espressione di disturbo mentale; pedofilia come anomalia biologica. Condividiamo quanto afferma Howitt, che sono molte le risposte che questi approcci teorici non sono in grado di dare: perché i pedofili commettono reati; perché la riduzione dell’eccitamento sessuale deviante non è correlata con la diminuzione della recidiva; come mai anche coloro che hanno a disposizione mezzi alternativi di soddisfacimento sessuale si rivolgono ai bambini; cos’è la quintessenza di una perversione sessuale; come mai non tutti gli uomini sono degli abusanti e dei violentatori.
La pedofilia nella persona anziana può presentarsi come un orientamento latente, rivelata da una ridotta attività metabolica dei lobi temporali, in particolare di quello destro. In genere, questi pedofili “latenti”, non solo anziani, manifestano un’attenzione morbosa verso quei bambini che alimentano le loro fantasie erotiche, ma non giungono a prendere l’iniziativa; essi si accontentano di guardare l’oggetto del desiderio mentre gioca, mentre fa il bagno, la doccia o altro, oppure in filmati e foto erotiche. “Se il bambino non è infastidito e non si accorge di nulla, la questione riguarda ovviamente soltanto il pedofilo”. (Oliverio Ferraris & Graziosi, 2001/b)
L’ipersessualità che deriva da disturbi di entrambi i lobi temporali, in modo particolare quello destro più che il sinistro e il cambiamento nella sessualità che ne deriva , è ascrivibile allo spettro della Sindrome di Klüver-Bucy. Secondo questi Autori, l’ipersessualità può smascherare un precedente orientamento nascosto di molestare i bambini. L’ipersessualità potrebbe anche smascherare la predisposizione ad altre parafilie. Tuttavia, la letteratura recente non rivela la presenza di una specifica “lesione pedofila” nel cervello. Pertanto, anche le ricerche sulle lesioni cerebrali non forniscono una dimostrazione significativa che i pedofili abbiano un funzionamento cerebrale diverso dai normali.
Infine, le modificazioni comportamentali e di personalità che progressivamente colpiscono i pazienti affetti da demenza influiscono sulla loro vita relazionale, affettiva e sessuale. Nella nostra società è ancora presente la tendenza a non considerare il diritto alla vita affettiva ed erotica di alcune categorie di individui: ci riferiamo agli anziani in perfette condizioni di salute, a quelli colpiti da demenze, a portatori di handicap fisici e psichici, a pazienti affetti da gravi patologie. Per esempio, qualora sollecitate dagli stessi congiunti, molto spesso le informazioni fornite sulla sessualità delle persone affette da demenza sono vaghe, lacunose, imprecise e deformate da un pregiudizio di fondo.
L’informazione errata che viene trasmessa, quella cioè che questi malati (dementi) sviluppino comportamenti sessuali inadeguati, è un luogo comune, antipatico e svilente. In realtà la ricerca scientifica ci dimostra che i comportamenti sessuali incongrui non sono affatto frequenti nelle persone affette da demenza. Anzi, in alcuni casi, può accadere esattamente il contrario, ossia che individui malintenzionati tentino di approfittare dello stato confusionale di questi malati.
Ricordiamo che: il comportamento è in larga parte appreso; i problemi comportamentali sono relativi a specifiche situazioni ambientali; i problemi comportamentali sono suscettibili di cambiamento; il comportamento non implica sempre la consapevolezza da parte del paziente (demente); il cambiamento implica sempre la consapevolezza di chi ha in cura il paziente. (Guaita, 2001)
Bibliografia
AGUGLIA E, RIOLO A (1999) La pedofilia nell’ottica psichiatrica Il Pensiero Scientifico Editore Roma
AJURAGUERRA J (1979) Manuale di psichiatria del bambino Masson Milano
ALLNUTT SH, BRADFORD JMW, GREENBERG DM, CURRY S (1996), Co-morbidity of alcoholism and the paraphilias “J For Sci” 41 (2):234-9 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999) La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 29]
ANDRAGHETTI W (1996), Diario di un pedofilo Stampa Alternativa Tipografia Graffiti Roma
APRILE A(2000) La segnalazione dei casi di abuso sessuale sui minori: una riflessione su alcuni aspetti problematici in: “Maltrattamento e abuso all’infanzia” Vol. 2, N. 1, Marzo 2000, p-79-94, Franco Angeli, Milano
AVENI CASUCCI MA (1988), La sessualità e l’anziano, Cap. 14, in: SQUADRITO G, CERUSO D, NICITA-MAURO V, Geriatria Oggi, Editoriale Bios, Cosenza, p.147-161
AVENI CASUCCI MA (1992), Psicogerontologia e ciclo di vita, Mursia Editore Milano
BARNARD GW, FULLER AK, ROBBINS L & SHAW T (1989), The Child Molester: An Integrated Approach to Evaluation and Treatment, Brunner/Mazel, New York, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, Centro Scientifico Editore Torino
BAUER M (1999), Their Only Privacy is Between Their Sheets. Privacy and the Sexuality of Elderly Nursing Home Residents, “J. Geront. Nurs.”, Aug. 25(8):37-41
BOUCHET-KERVELLA D (1996), Pour une différenciation des conduites pédophiliques, “L’Evolution Psychiatrique”, 61 (1):55-73 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p.28]
BONAFIGLIA L (1999), Rassegna bibliografica sulle possibili strategie terapeutiche impiegate con pazienti pedofili, in: CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie Romane, Roma, p.289-301
BONINO S (1996), L’abuso sessuale: tra esecrazione e compiacimento “Psicologia Contemporanea”, 137, Sett-Ott., p.38-39
BOUTROS N.N, CARRINGTON REID M, PETRAKIS I, CAMPBELL D, TORELLO M, KRYSTAL J (2000), Similarities in the Disturbances in Cortical Information Processing in Alcoholism and Aging: A Pilot Evoked Potential Study, “International Psychogeriatric”, Vol. 12, N.4:513-525
BRADFORD JMW (1996), The role of serotonin in the future of forensic psychiatry, “Bull Am Acad Psychiatry Law”, 24 (1):57-72 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 37]
BRIDGES PARLET S, KNOPMAN D, THOMSON T (1994), A descriptive study of physically aggressive behaviour in dementia by direct observation, “J Am Geriatr Soc”, 42:192-7 – citato da: GUAITA A (2001), La valutazione dei disturbi del comportamento”, “Giornale di Gerontologia”, 49:147-151
BUSSE EW (1973) Mental Disorders in Later Life-Organic Brain Syndromes Chapter 6, in: BUSSE EW & PFEIFFER E (eds) Mental Illness in Later Life, American Psychiatric Association, Washington, p.79-106
CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie Romane Roma
CALLIERI B, FRIGHI L (1999), Aspetti psicologici e psicopatologici delle pedofilie, in: CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, p.39-49
CAMARCA C, (1998), I santi innocenti, Baldini & Castoldi Milano
CAMARCA C, PARSI MR (2000), SOS Pedofilia. Parole per uccidere l’orco, Baldini & Castoldi Milano
CAPODIECI S (1994), La sessualità nella terza età, in DE LEO D, STELLA A (a cura di) Manuale di Psichiatria dell’anziano Piccin Padova
CAPRI P (1999), La pedofilia: difficoltà e complessità d’interpretazione, in: CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, p.15-37
CLARK D.L, BOUTROS N.N (1999), The Brain and Behaviour: an Introduction to Behavioral Neuroanatomy, Blackwell Science Inc.
COMINGS DE (1994), Role of genetic factors in human sexual behavior based on studies of Tourette Syndrome and ADHD probands and their relatives, “Am J Med Gen”, 54 (3):227-41]
COOPER AJ, SANDHU S, LOSZTYN S, CERNOVSKY Z (1992), A double-blind placebo controlled trial of medroxyprogesterone acetate and cyproterone acetate with seven pedophiles, “Can J Psychiatry”, 3 (10):687-93 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 39]
CORMIER B.M, FUGÈRE R, THOMPSON-COOPER I (1995), Pedophilic Episodes in Middle Ange and Senescence: An Intergenerational Encounter, “Canadian Journal of Psychiatry”, April, 40(3), 125-9
CUMMINGS JL, MCPHERSON S (2001), Neuropsychiatric assessment of Alzheimer’s disease and related dementias, “Aging Clinical and Experimental Research”, 13:240-246
DSM-IV (1996), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, trad.it. ANDREOLI V., CASSANO GB, ROSSI R, eds, Masson Milano
EHRENFELD M, BRONNER G, TABAK N., ALPERT R, BERGMAN R (1999), Sexuality Among Institutionalized Elderly Patients With Dementia, “Nurs. Ethics”, Mar. 6(2):144-149
FALCHERO S, SGARAMELLA TM (1998) Non è un “vecchio sporcaccione”: è solo un malato di Alzheimer in GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) Pedofilia: gli abusi, gli abusati, gli abusanti, Edizioni del Cerro Firenze, p.277-284
FLOR-HENRY P, LANG RA, KOLES ZJ, FRENZEL RR (1991), Quantitative EEG studies of pedophilia, “Int J Psychophysiology”, 10 (3):253-8 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p.39]
FORNARI U (2000), Presentazione dell’edizione italiana, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, Centro Scientifico Editore Torino
GALIMBERTI U (1999) Dizionario di Psicologia Garzanti Torino
GELFAND MM (2000), Sexuality Among Older Women “J.Women Health Gend Based Med.” 9(suppl 1):S15-S20
GIESE H (1962), Psychopathologie der Sexualität, F.Enke Verlag Stuttgart (cit. da LANOTTE A (1999), La relazione pedofila, in: CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, p.67
GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, Edizioni del Cerro Firenze
GUAITA A (2001), La valutazione dei disturbi del comportamento”, “Giornale di Gerontologia”, 49:147-151
GUERRINI GB (1991) Niente sesso: siamo anziani(?), in: Anni d’argento. Consigli per vivere al meglio dai 60 ai 100 anni, Vol. 1, Cap. 16, EDISPI, Roma, p.155-163
HARRISON P, STRANGEWAY P, MCCANN J, CATALAN J (1989), Paedophilia and hyperprolactinemia, “Br J Psychiatry”, 155:847-48 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 38]
HENDRICKS SE, FITZPATRICK DF, HARTMANN K, QUAIFE MA, STRATBUCKER RA, GRABER B (1988), Brain structure and function in sexual molesters of children and adolescents, “J Clin Psychiatry”, 49: 108-12 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p.39]
HOPPER J (1998), Sexual abuse of males: prevalence, lasting effects, and resources, in: http://www.jimhopper.com”
HOWARD RC, LONGMORE FJ, MASON PA, MARTIN JL (1994), Contingent negative variation (CNV) and erotic preference in self-declared homosexuals and in child sex offenders, “Biol Psychol”, 38 (2-3):169-81 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p.39]
HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, Centro Scientifico Editore Torino
ICD-10 (1992), Sindromi e disturbi psichici e comportamentali, a cura di KEMALI D, MAJ M, CATAPANO F, LOBRACE S, MAGLIANO L, Milano Masson
JOHNSON B (1997) Older adults’ suggestions for health care providers regarding duscussion of sex “geriatric Nursing” 18 65-67
KINGSBERG SA (2000), The Psychological Impact of Aging on Sexuality and Relationships, “J.Women Health Gend Based Med”, 9(suppl 1):S33-S38
KORN ML (2000), Trauma survivors and psychiatric manifestations, American Psychiatric Association, 153rd Annual Meeting - Report
KUPFERMAN I (1998), L’Ipotalamo e il sistema limbico: neuroni peptidergici, omeostasi e comportamento emozionale, Cap. 47, in KANDEL ER, SCHWARTZ JH & JESSEL TM (a cura di) Principi di Neuroscienze, 2a ed., Casa Editrice Ambrosiana, Milano
LÀDAVAS E, SARTORI G, ZAGO S (1995), “Le basi della Neuropsicologia”, in UMILTÀ C (a cura di), Manuale di Neuroscienze, Il Mulino, Bologna
LANGEVIN R, CURNOE S, BAIN J (2000), Study of Clerics Who Commit Sexual Offenses: Are They Different from Other Sex Offenders?, “Child Abuse Negl.”, Apr, 24(4):535-545
LEWIS CF, STANLEY CR (2000), Women Accused of Sexual Offenses, “Nehav Sci Law”, 18 (1): 73-81
LI CK (1991), “The main thing is being wanted”: some case studies on adult sexual experiences with children, “Journal of Homosexuality”, 20 /1/2), 129-143, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
THE LUND AND MANCHESTER GROUPS (1994), Clinical and neuropathological criteria for frontotemporal dementia, “J Neurol Neurosurg Psychiatry”, 57:416-418
MAES M, VAN WEST D, DE VOS N, WESTENBERG H, VAN HUNSEL F, HENDRIKS D, COSYNS P, SCHARPE S (2001), Lower baseline plasma cortisol and prolactin together with increased body temperature and higher mCPP-induced cortisol responses in men with pedophilia, “Neuropsychopharmacology”, Jan. 24(1):37-46
MALIZIA E (1982) Eros e fantasia , in: Terza età e vita sessuale “Quaderni Schiaparelli” Anno II – Supplemento al N. 1, p.11-14
MAZZARA B.M. (1997) Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna
MAZZONI G (1999), Abusi sessuali. I bambini raccontano “Psicologia Contemporanea” Gen-Feb, 151:4-11
MCKIBBEN A, PROULX J, LUSIGNAN R (1994), Relationships between conflict, affect and deviant sexual behaviors in rapists and pedophiles, “Behav Res Ter”, 32 (5):571-5 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 29]
MELIS MR, ARGIOLAS A (1995), Dopamine and sexual behavior, “Neurosci Biobehav Rev”, 19 (1):19-38 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p.37]
MENDEZ M.F, CHOW T, RINGMAN J, TWITCHELL G & HINKIN C.H (2000), Pedophilia and Temporal Lobe Disturbances, “The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences”, 12:71-76, February 2000, American Psychiatric Press, Inc.
MONTGOMERY H (1998), Children, Prostitution, and Identity: A Case Study from a Tourist Resort in Thailand, in: KEMPADOO K & DOEZEMA J (eds), Global Sex Workers: Rights, Resistance, and Redefinition, Rourtledge, New York
MURRAY JB (2000), Psychological Profile of Pedophiles and Child Molesters, “J Psychol”., Mar, 134(2):211-224
NASS G (1954), Unzucht mit Kinder. Das Sexualdelik unserer zeit, “Mschr. Krim. U Strafr”, 37:69 [cit. da CALLIERI B, FRIGHI L (a cura di) (1999), La problematica attuale delle condotte pedofile, p.23
OLIVERIO FERRARIS A, GRAZIOSI B (2001/a), Nella mente dei pedofili, “Psicologia Contemporanea”, Gen-Feb, 163:4-11
OLIVERIO FERRARIS A, GRAZIOSI B (2001/b), Pedofilia. Per saperne di più, Editori Laterza, Bari
PALUMBO R (1998) La pedofilia oggi: il caso Firenze in: GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, op.cit. p.125-136
PARENTI F (1990) Alla ricerca del sesso smarrito: viaggio con lo psicologo tra conflitti e deviazioni dell’eros De Agostini Novara
PERSICO G, SEGATI D (2000), Il giardino segreto della sessualità infantile, Newton & Compton Editori Roma
PERUZZA M (1982), Anziani e sesso: contro pregiudizi e disinformazione, in: Terza età e vita sessuale “Quaderni Schiaparelli” Anno II – Supplemento al N. 1, p15-21
PETRONE LB, RIALTI S (1998) Le caratteristiche di personalità del pedofilo, in: GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, op.cit., p.232-236
PFEIFFER E & BUSSE EW (1973) Mental Disorders in Later Life-Affective Disorders; Paranoid, Neurotic, and Situational Reactions, Chapter 7, in: BUSSE EW & PFEIFFER E (eds) Mental Illness in Later Life, op.cit., p.107-144
PFEIFFER E (1975) Sexual Behavior, Chapter 14, in: HOWELLS JG (ed) Modern Perspectives in the Psychiatry of Old Age, Brunner/Mazel, New York, p.313-325
POLENTA G (1998) Le perversioni sessuali: aspetti motivazionali, in: GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, op. cit., p.242-255
POLENTA G (2000), Il luogo in cui non voglio stare. Incesto, Pedofilia, Violenza Carnale, Edizioni Del Cerro Tirrenia
PONTIUS AA (1988), Introduction to biological issues, with neuropathological case illustrations, “Annals of the New York Academy of Science”, vol. 528, p.148-153, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
PRIMICERI M (1998) L’abuso sessuale sui minori nelle diverse culture. La situazione in Italia in: GIOMMI R, PERROTTA M (a cura di) (1998), Pedofilia. Gli abusi, gli abusati, gli abusanti, op.cit., p.41-50
ROSENZWEIG M.R, LEIMAN A.L, BREEDLOVE S.M. (1998), Psicologia Biologica, ediz.italiana a cura di BISIACCHI PS & CASSINI A, Casa Editrice Ambrosiana Milano
SCOCCO P (2000) L’aggressività nell’anziano in: DI FIORINO M (a cura di) Pericoloso a sé e agli altri: Violenza, Suicidio e Disturbi Mentali, “Psichiatria e Territorio”, suppl. al Vol. XVIII n.1, p.133-169
SCOTT ML, COLE JK, MCKAY SE, GOLDEN CJ AND LIGGETT KR (1984), Neuropsychological performance of sexuel assaulters and pedophiles, “Journal of Forensic Sciences”, 29 (4), 1114-1118, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
SHOSTAKOVICH BV, SMIRNOVA LK, TKACHENKO AA, USHAKOVA IM, KARTELISHEV AM, NIKOLAEVA TN (1992), Comparative estimation of the biochemical and psychopathological characteristics in persons with pedophilia signs, “Zh Nevropatol Psikhiatr Im S.S. Korsakova”, 92 (5):83-8 [cit. da AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 38]
STONE TH, WINSLADE WJ, KLUGMAN CM (2000), Sex Offenders, Sentencing Laws and Pharmaceutical Treatment: A Prescription for Failure, “Behav. Sci. Law”, 18(1):83-110
SZWABO P.A (2000), Sexuality and Alzheimer’s Disease, “IPA Bulletin”, Vol. 17, No.2, June 2000, p.15-16&20.
TAMMARO AE (1996), Vita sessuale, Cap. 4, in: TAMMARO A.E, CASALE G, FRUSTAGLIA A (eds), Manuale di Geriatria e Gerontologia, Mc Graw-Hill, Milano, p.22-25
THE SEXUAL ASSAULT CRISIS CENTER OF KNOXVILLE, TN. (2000), Child Sexual Abuse, http://www.es.utk.edu/~bartley/sacc/childAbuse.html
THIBAUT F, CORDIER B, KUHN JM (1996), Gonadotrophin hormone releasing hormone agonist in cases of severe paraphilia: a lifetime treatment?, “Psychoneuroendocrinology”, 21 (4):411-9 [cit. DA AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 39]
TRABUCCHI M (a cura di) (2000), Le demenze, 2a ed., Utet Torino
TRAVIN S (1995), Compusive sexual behaviours, “Psych Clin North Am”, 18 (1):155-69 [cit. DA AGUGLIA E, RIOLO A (1999), La pedofilia nell’ottica psichiatrica, p. 28]
VERGANI C (2001), Presentazione a ”Il Cervello dell’Anziano”, Quaderni AGER-3, Milano
WALTZMAN S A, KARASU T B (1972), Sex in the Elderly, in: KARASU T B, SOCARIDES (eds), On Sexuality, Chapter 8,, p.123-160
WEINBERG J (1975) Pyschopathology, Chapter 10, in: HOWELLS JG (ed) Modern Perspectives in the Psychiatry of Old Age, op.cit., p.234-252
WERTHEIMER J (1991) Affective Disorders and Organic Mental Disorders “International Psychogeriatrics Journal” vol. 3 Supplement, p.19-27
WIJERATNE C, HICKIE I, SCHWARTZ R (1997), Erotomania associated with temporal lobe abnormalities following radiotherapy, “Aust N.Z. J. Psychiatry”, Oct. 31(5):765-8
WRIGHT P, NOBREGA J, LANGEVIN R. & WORTZMAN G (1990), Brain density and symmetry in pedophilic and sexually aggressive offenders, “Annal of Sex Research”, 3:319-328, in: HOWITT D (2000), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, op.cit.
ZEISS AM, DAVIES HAD & TINKLENBERG JR (1996) An observational study of sexual behaviour in demented male patients “Journal of Gerontology”, Series A, Biological Sciences and Medical Sciences, 51 325-329 (cit. da FALCHERO S, SGARAMELLA TM (1998) Non è un “vecchio sporcaccione”: è solo un malato di Alzheimer, op.cit., p.282)
NOTE
1 Weinberg (1975), Traduzione: Nell’assenza di opportunità per una gratificazione sessuale diretta, la necessità di una espressione sessuale può avviarsi su altre modalità. Senza pensare a manovre regressive che riguardino le formulazioni dinamiche di tipo orale, anale e fallico, possiamo considerare le espressioni sublimate e socialmente accettabili quali il “toccare”, o il “palpare”, che nel giovane adulto può essere accettabile e naturale, ma nella persona anziana è visto con curiosità, e spesso con sospetto e disapprovazione. L’uomo vecchio, ammalato, che allunga una mano debole per palpare la giovane infermiera è un “vecchio folle che si rende ridicolo”. Lo stesso gesto fatto da un uomo ammalato più giovane, può anche essere ritenuto sconveniente, ma il giovane non viene ritenuto un “pazzo”. Il vecchio che allunga la mano per toccare e carezzare la pelle liscia e invitante di un ragazzino diventa il prototipo del molestatore pericoloso, malgrado il fatto che statisticamente egli si colloca sul fondo della scala. Ciò nonostante, è vero che i giudici possono essere più indulgenti con i vecchi e attribuire il loro comportamento a confusione (Il numero dei vecchi molestatori è piuttosto trascurabile se comparato al numero dei molestatori sessuali più giovani).
2 Pfeiffer & Busse (1972), Traduzione: Spesso si afferma che gli abusi sessuali siano comuni nella tarda età. Comunque la loro importanza sembra essere estremamente sovrastimata, sia dai mass-media sia da alcuni criminologi. I crimini di tipo sessuale sono collocati sul fondo della lista dei crimini per i quali le persone anziane sono arrestate. Abusi e violenza sessuale, per es. lo stupro, sono rari in questo gruppo di età; la maggior parte degli abusi sessuali sono di natura più puerile, e comprendono “esibizione di parti intime”, “toccamenti o palpazione di bambini”, “danni morali a minori”… I dati non confermano però lo stereotipo del vecchio molestatore arrestato frequentemente per abusi sessuali o altre gravi trasgressioni.