PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
Prof.ssa Maria Antonietta Aveni Casucci
SPAZIO FISICO – SPAZIO MENTALE: DIADE ARMONICA
Della vasta problematica che la condizione anziana oggi pone agli studiosi, agli esperti, ai tecnici, ai politici, agli amministratori e a tutta la popolazione nelle varie fasi di età in tutto il mondo, da anni sono stati trascurati e non tenuti in considerazione in modo adeguato gli aspetti urbanistici, abitativi e di arredo per la senescenza, senilità, longevità.
E’ vero anche che sono state fatte sperimentazioni in Italia e che alcune realizzazioni emblematiche hanno dato vita a nuove strutture di servizi sia aperti che ad internato e a nuovi schemi e progetti. Tuttavia purtroppo essi rimangono realtà sperimentali non congruamente distribuite in tutto il territorio e per tutti i cittadini. Alcuni di essi hanno visto la nostra partecipazione e il nostro impegno difficili e faticosi che non hanno avuto tuttavia il riconoscimento adeguato neppure da chi li ha realizzati e avrebbe avuto interesse a divulgarli.
Il lavoro interdisciplinare di esperti di discipline diverse è sempre estremamente difficile in Italia anche se irrinunciabile e non ci stancheremo mai di dire doveroso.
L’anziano ha avuto su di sé fari che ne hanno illuminato tutte le facce poliedriche che esso offre all’osservazione: fisiche, sanitarie, psicologiche, sociali, economiche, storiche, giuridiche, legali, è stato visto ai “raggi” che ne hanno esaminato radiograficamente anche tutte le variabili di autosufficienza e non autosufficienza, tutti gli aspetti fisiologici e patologici.
Rimangono soprattutto per i non autosufficienti e parzialmente autosufficienti carenze gravi, situazioni irrisolte, difficoltà e barriere architettoniche e psicologiche a cui urge trovare soluzione.
Ma che cos’è lo spazio?
Perché lo abbiamo voluto distinguere in fisico e mentale?
Che cosa intendiamo per diade armonica?
Non mi permetto di suggerire agli esperti di tale livello qui presenti, definizioni urbanistiche, architettoniche e tecniche di loro competenza, mi piace tuttavia ricordare che le categorie spazio e tempo permeano tutta la nostra vita.
Da un punto di vista psicologico il concetto di spazio in psicologia non può non essere relazionato all’ambiente e l’ambiente, ormai riconosciuto da tutti, è fondamentale come l’eredità biologica dalla nascita, alla crescita e allo sviluppo dell’uomo fino alla morte, atto compiuto della vita, unico, irripetibile.
Sappiamo inoltre quanto importante per l’anziano come per ogni essere umano, essere in grado sempre di porsi in relazione con l’ambiente che lo circonda, con gli usi e costumi e le tradizioni, con gli altri, con il gruppo, in una parola con la cultura di appartenenza.
Spesso la non autosufficienza, così come gli handicap possono essere rilevati negli anziani non solo come conseguenze di una menomazione fisica, di una diminuita efficienza, di una carenza di riabilitazione pronta ed immediata, di un malinteso concetto di malattia e di salute; ma spesso soprattutto di condizionamenti negativi, di barriere psicologiche, di mancanza di libertà e di scorretta relazione con l’ambiente in cui l’anziano vive.
Ogni barriera, ogni limite, ogni ostacolo sono per definizione anche barriere psicologiche, talora insuperabili molto più di quelle architettoniche e urbanistiche.
La fuga, la rinuncia, il ritiro, l’isolamento, la regressione, la rimozione, la censura, noti meccanismi di difesa di fronte alla frustrazione del limite fisico possono portare fino alla insicurezza più vasta, la depressione, la demenza.
Il rifiuto alla vita quand’essa diventa invivibile nella chiusura di certe strutture così dette protette, di riposo, di tutela portano l’uomo alla depersonalizzazione.
Lo spazio fisico diventa segregazione, esclusione, diventa “divieto” di vivere e di esprimersi, di comunicare, di socializzare.
Nel 1970 abbiamo detto:
“Lasciamo libertà di scelta agli anziani degli anni 80”,
“Lasciamo l’anziano godere e vivere nel suo habitat naturale”,
”Permettiamo all’anziano di rimanere o di divenire protagonista della sua vita”,
“Aiutiamo l’anziano ad aiutarsi”.
Oggi siamo stanchi di ripeterci e vogliamo passare, come dice un noto volume dell’amico collega Pietro Valdina, dalle parole ai fatti.
La libertà da ogni uomo inseguita è spazio vitale, è possibilità e realtà creativa, è scelta circadiana, è progettualità di vita.
Ogni ora del giorno come ogni azione: l’alzarsi, l’effettuare un’igiene personale, il sedersi in un primo incontro socializzante della giornata, per la prima colazione, la seconda e la cena; l’appoggiarsi ad un tavolo gradevole, generoso e stimolante; il riporre nei vari contenitori, armadi, mobili, le proprie cose; il riposare su una poltrona accogliente comoda e non invalidante, con appoggi adeguati e in posizioni non anguste; l’accogliere la visita di chi voglia condividere anche un limite fisico; l’attivarsi fisicamente e psichicamente per mantenere l’autosufficienza, per riconquistarla in parte o per adattarsi attivamente alla non autosufficienza purtroppo molte volte definitiva, infine dormire posando il proprio corpo e le proprie membra su un letto che permetta posizioni diverse e mobilizzazione anche a chi autonomamente non può.
Tutto questo e altro ancora significa spazio adeguato, studiato e approntato per rispondere alle esigenze dell’anziano, significa spazio libero, illuminato da luci flessibili e adattabili, reso facile all’accesso in ogni dove e favorevole dei movimenti almeno elementari.
Spazio permissivo e non costrittivo
Spazio rispettoso della privacy e della personalità
Spazio libero e non segregante sia per il soggetto che per la comunità
Spazio gradevole e stimolante le attività sensoriali ed ogni possibilità di rapporto affettivo e sessuale
Spazio preventivo, curativo e riabilitante
Spazio aperto e riservato e rigenerante per la sosta e il riposo per il personale
Spazio per l’informazione, formazione, aggiornamento e lavoro d’équipe
Spazio familiare per i parenti, amici, volontari
Spazio ludico, creativo e ricreativo
Spazio per la morte e il morire
Spazio per il cordoglio, il lutto, la riflessione, la meditazione, la religiosità e il rito.
Ecco allora che la diade armonica ove gli spazi mentali e fisici si fondono e si sovrappongono e si mischiano, si scindono e si ricompongono divengono poi un unico luogo per vivere, gioire, soffrire, amare, attivarsi e riattivarsi, godere la solitudine, la riflessione e il pensiero, socializzare con libertà e creatività, costruire e progettare.
Lo sradicamento che è anche disadattamento a volte permanente, l’allontanamento e la lontananza incolmabile, con perdita di punti di riferimento essenziale per l’anziano autosufficiente e autonomo ma ancor più per quello parzialmente o totalmente non autosufficiente, sono spesso causa grave di “vita vegetativa e di morte civile”.
Il comportamento, le motivazioni, le soddisfazioni della vita, l’adattamento, l’attivazione psichica, l’insieme delle interazioni fra i due poli IO-MONDO, inseparabili e strettamente connessi all’identità bio-psichica-sociale vivono nello spazio e devono essere integrati in esso, devono essere favorite dallo spazio stesso per una interazione senza limite, uno sviluppo sempre crescente in una parola nell’armonia che l’uomo spesso tende a distruggere quando invece la Natura e l’Universo continuamente ce lo propongono.
Armonia ovvero congiunzione, composizione, concordanza, gradevolezza, plasticità, proporzionalità, rapporto di elementi ove nessuno stona e nessuno osa fare violenza se non per sottolineare e vivificare un momento meraviglioso.
Armonia come arte, arte di vivere e di permettere la vita, arte come regola di vita, come attività umana non priva di tecnica, di studio e di esperienza individuale e collettiva ove i giudizi di valore e gli accorgimenti umani non sono esclusi ma intervengono per sostenere, aiutare, modificare la disarmonia.
Il bello come il buono, l’arte come etica, la vita come la morte sono patrimonio di una comunità che ha il diritto dovere di far sì che ogni membro possa prendere a piene mani e a cui possa abbeverarsi, nella sete inestinguibile di una felicità così raramente raggiungibile se non per attimi fuggenti, e quindi, per il raggiungimento di una serenità di cui la vecchiaia dovrebbe essere la grande depositaria.
Abbiamo parlato dell’azione dell’uomo, dello spazio per l’uomo e, ovviamente, li intendiamo inserire nella vasta gamma dei servizi aperti e ad internato, sociali, sanitari, di attivazione e riabilitazione, psicologici e psicoterapeutici.
Ricordiamo i più abanzati e i più recenti quali le case albergo, i Day Hospital, alloggi protetti, comunità alloggio, i mini alloggi, i soggiorni e gli atéliers, ma non dimentichiamo i servizi di base, le case di riposo, l’ospedale, le divisioni geriatriche, rispettando sempre la polifunzionalità, l’integrazione, la plasticità, l’apertura all’esterno, l’osmosi, il coordinamento e la gestione corretta.
Il tutto va considerato in un piano urbanistico e inserito armonicamente in spazi verdi e sereni ma non emarginanti ed esclusi dal ritmo della vita e quindi collegati costantemente alla comunità di appartenenza.
Un aspetto del problema architettonico e urbanistico non può ignorare la psicologia del colore che offre suggerimenti per l’orientamento, la memorizzazione, il riconoscimento, la riabilitazione, la riattivazione.
Dalla scoperta Fenicia del colore rosso ai tempi nostri, il simbolismo evidenziato da un colore è stato usato dall’uomo per definire addirittura ruoli, funzioni, meriti, livelli, classi sociali, ritualità. La funzione visiva favorisce il rapporto del soggetto con il mondo e l’appartenenza ad un ambiente, il colore ancora viene percepito spesso come caratteristica fondamentale di un oggetto, esistono perciò colori di superficie, di volume, colori oggettuali, acromatico (nero, grigio, bianco) e cromatico (verde, rosso, giallo blu).
Usando gli stessi per l’uomo dobbiamo per forza riconoscerne l’influenza sul pensiero, sull’azione e sulla vita.
ROMA, 13-14-15 GIUGNO 1988
Non autosufficienza dell'anziano, strategie operative e sistema sanitario nazionale a confronto.
Atti del Convegno internazionale (Roma, 13-15 giugno 1988)
di P. Carbonin, R. Bernabei (a cura di) - Editore: Vita e Pensiero
Data di Pubblicazione: 1990 EAN: 9788834382417: ISBN: 8834382412
MI0162
Biblioteca comunale centrale - Milano
PSICOLOGIA DELL'ETA' SENILE
Maderna Alessandro Marco - Aveni Casucci Maria Antonietta
Affrontando lo studio dei problemi degli anziani, non si può non tener conto della interdipendenza delle fondamentali dimensioni della personalità umana: biologica, psicologica e sociale. Preliminarmente, ci sembra ancora opportuno ricordare che la psicologia dell'età senile, pur avendo acquistato in questi ultimi anni una posizione ed un rilievo di disciplina autonoma, mutua principi, tecniche di indagine, metodologie e modelli di ricerca da altri rami della psicologia, così come riceve contributi fondamentali da altre discipline quali la biologia, la fisiologia, la geriatria, la sociologia, la statistica, l'antropologia, l'ecologia, l'urbanistica, ecc ..
Solo in questa visione integralistica e multidisciplinare è possibile affrontare con serietà i molteplici e spesso angosciosi problemi degli anziani. Riteniamo che questi sforzi congiunti possano quanto meno contribuire a ridurre e forse evitare del tutto il dramma più sofferto dalle persone anziane: l'esclusione.
L'anziano nella società contemporanea
L’aumento costante del numero degli anziani è una realtà che si impone sempre più all'attenzione degli amministratori, dei politici e degli studiosi in generale. Purtroppo, l'invecchiamento della popolazione in toto, connesso soprattutto alla diminuzione del tasso di natalità e all'allungamento della vita media, non hanno impegnato la nostra società nella ricerca di una soluzione adeguata ai molti problemi che sono emersi. Dobbiamo perciò constatare con amarezza che l'allungamento della vita umana è quasi unicamente una realtà biologica. Infatti soltanto un numero esiguo di persone anziane mostra di fruire di una vita sociale.
In altre parole, la maggior parte dei vecchi prosegue il proprio cammino soltanto biologicamente: in questa recisa affermazione, sconfortante ma documentabile, è implicita una denuncia nei confronti della nostra società, che rifiuta le persone anziane, le marginalizza ed esclude, mentre, nei casi più bisognosi di assistenza, si limita a custodire. Un approfondimento di questo discorso porterebbe inevitabilmente a considerare il grave e complesso problema della «crisi dell'uomo». I fenomeni di industrializzazione ed inurbamento, l'assunzione di modelli culturali della città da parte delle comunità agricole, il progresso tecnologico, l'automazione, le trasformazioni dell'istituto familiare, che da verticale e patriarcale ha oggi assunto una struttura orizzontale, hanno accelerato e talora reso ineluttabile la crisi delle persone anziane. La stessa crisi delle istituzioni ha contribuito non poco a facilitare il confinamento dei vecchi in una posizione di assoluta marginalità sociale, premessa per una loro completa esclusione.
La complessità della problematica degli anziani, testimoniata da quanto finora abbiamo succintamente esposto, non deve certo indurre gli studiosi ad abbandonare quelle ricerche scientifiche, che sono la premessa indispensabile per una moderna politica assistenziale proiettata verso il futuro.
Infatti non possiamo né dobbiamo dimenticare che l'estrema rapidità dei cambiamenti che
continuamente si attuano all'interno della nostra società esige che le soluzioni siano di volta in volta diverse ed adeguate alla popolazione cui esse si rivolgono. II nostro è quindi un discorso sempre aperto, che tende a rinnovarsi e ad instaurare una vera comunicazione ed una serrata dialettica con l'anziano di oggi e con quello di domani. L'anziano ha pieno diritto a partecipare direttamente alle scelte che lo riguardano
Il disadattamento all'età senile
Il disadattamento è un fenomeno comune a tutte le età della vita, che tuttavia soltanto nella vecchiaia presenta anche cause intrinseche, ossia strettamente legate all'età. Nella nostra realtà sociale, la vecchiaia può essere considerata l'età del disadattamento.
I fattori intrinseci di tale fenomeno possono anzitutto essere imputati al declino delle capacita ed attività fisico-psichiche, che comporta necessariamente una rinuncia, una diminuzione delle motivazioni che le sostengono e quindi una disabitudine, nonché una serie di frustrazioni conseguenti appunto alla consapevolezza di questa decadimento fisico e psichico. In realtà tale declino potrebbe essere modesto e sotto certi aspetti addirittura inesistente: la società, tuttavia, con i suoi interventi coercitivi o, al contrario, con l'omissione di interventi, ripropone continuamente all'anziano quella condizione di inferiorità che talora non ha riscontro nella realtà. Prende allora avvio una reazione a ciclo chiuso per cui l'anziano non ancora «decaduto» vive in effetti il decadimento che gli è stato imposto: ciò obbliga necessariamente alla rinuncia, toglie fiducia, allontana, esclude, aliena ed in conclusione determina un decadimento oggettivo.
Consci dei limiti che la definizione di «funzioni» psichiche comporta, dobbiamo tuttavia riconoscere che alcune di tali «funzioni» tendono spesso a decadere con l'età: si tratta soprattutto della velocità e precisione dei movimenti, della stabilità manuale, della coordinazione visivo-motoria, della rapidità di percezione, della capacità attentiva concentrata, prolungata nel tempo, dell'attività mnemonica ed in particolare della capacità di rievocare fatti recenti, della capacità di giudizio e di valutazione, della capacità di astrazione, del ragionamento meccanico, della reattività a stimoli acustici e luminosi ecc ..
Nella vecchiaia mentre si rileva una difficoltà di «adattamento» a situazioni nuove e i tempi di reazione tendono ad allungarsi, diminuisce invece la deviazione media: in altre parole vi e un comportamento più «costante». Proprio questa «costanza», la metodicità, l'impegno, la motivazione e, soprattutto, la cosiddetta vicarianza delle attitudini, consentono all'anziano di mantenere un certo livello di efficienza, superiore senz'altro al livello che gli viene di solito riconosciuto ed assegnato stereotipicamente. Decadono quindi con l'età la maggior parte delle capacità psicomotorie e psicosensoriali, legate cioè agli organi del movimento ed agli apparati sensoriali, ma ne subentrano altre, rimaste integre a addirittura accresciute con l'età.
Da questo punto di vista non deve essere sottovalutato il fattore «esperienza», purché questi ultimi non vengano sottoposti a cambiamenti troppo bruschi. La società sembra invece non preoccuparsi affatto di questi problemi e interviene nella vita dell'anziano con una certa brutalità estromettendolo dal lavoro anche quando egli non lo desidera.
La crisi del pensionamento è una realtà da non sottovalutare: la maggior parte degli anziani che abbandona il lavoro appare in un primo tempo soddisfatta perché non più soggetta ad una attività coattiva, perché si può finalmente riposare, dopo essere uscita da una situazione ambientale spesso insoddisfacente. Ma ben presto molti anziani avvertono un penoso senso di inutilità e fanno molta fatica ad accettare la perdita di un ruolo socialmente importante come quello di lavoratore. Tale perdita ha tra l'altro riflessi negativi anche sulla posizione dell'anziano all'interno del gruppo familiare, e comporta una notevole diminuzione di prestigio. Le previdenze pensionistiche per invalidità e vecchiaia sono in genere così esigue che spesso tutti i componenti più giovani della famiglia hanno a disposizione somme più elevate dell'anziano con cui contribuire al sostenimento familiare. In una società in cui il prestigio ed il ruolo tradizionale del genitore, del pater familias, si sono progressivamente modificati, fin quasi ad annullarsi, risulta evidente la posizione di marginalità che viene ad essere occupata dall'anziano in un nucleo la cui struttura e divenuta orizzontale.
Il problema dei ruoli non si esaurisce tuttavia nell'ambito lavorativo ed in quello familiare, si acuisce invece e si estende se consideriamo che all'anziano non e più possibile assumere alcun altro ruolo significativo nel resto del contesto sociale. Diviene infatti sempre più difficile per lui conservare il ruolo di amico, di conoscente, di appartenente ad associazione, di uomo di chiesa, di uomo che si dedica alla politica o di «cittadino». In questa assenza assoluta di ruoli dobbiamo riconoscere il vero problema degli anziani, il loro dramma, la loro angoscia, la loro anomia.
Isolato rispetto alla società, rifiutato ed escluso, l'anziano avverte che nessuno ha bisogno di lui; si sente inutile e tende quindi a rinchiudersi e ad isolarsi ancor più. E’ questo un modo per acuire la situazione di disadattamento di cui egli è stato vittima per le condizioni estrinseche che abbiamo ricordato.
Una fervida attività fantastica gli consente di sfuggire il presente e di abbandonarsi alla rievocazione di un passato che gli appare migliore, soprattutto perché colma di quelle speranze che non erano state deluse.
Diviene diffidente e scontroso, e ciò ne aumenta l'isolamento; l'isolamento facilita a sua volta il decadimento, soprattutto psichico. Spesso non sa esprimere desideri ed aspirazioni precisi: non è in grado di scegliere perché non è mai stato educato in tal senso, al punto che se anche gli viene concessa una possibilità di scelta non può approfittarne.
Vogliamo infine accennare al problema della sessualità dell'anziano. Benché l'argomento sia notevolmente importante in quanto è spesso tra le cause del disadattamento all'età senile, ci limiteremo qui ad una considerazione: il pregiudizio conduce spesso anzitempo l'uomo e la donna ad una rinuncia all'attività sessuale. Ciò comporta un abbassamento del livello di autostima e un aggravamento del senso di svalutazione globale.
L'anziano in istituto
Le conclusioni di molteplici ricerche effettuate in tutto il mondo ed anche in Italia consentono di affermare che l'anziano non dovrebbe mai «essere costretto» ad entrare in istituto: il luogo ideale di collocazione dell'anziano dovrebbe rimanere la famiglia. D'altra parte quest'ultima risulta sempre più inadeguata all'assistenza morale e materiale dell'anziano, sia per le profonde trasformazioni avvenute nell'ambito della famiglia stessa, sia per l'esistenza di obiettive difficoltà economiche o connesse agli impegni lavorativi di tutti i membri adulti. Si verifica perciò un rifiuto dell'anziano, rifiuto che tende a generalizzarsi ed a concludersi con il ricovero coatto.
Moderni principi per una attuale ed adeguata assistenza agli anziani
Va risolto anzitutto il problema di una decorosa e sufficiente autonomia economica
che permetta di soddisfare il bisogno di sicurezza. In secondo luogo devono essere realizzati gli ospedali geriatrici per acuti, gli ospedali per lungo degenti, le divisioni geriatriche, cioè tutti quegli strumenti che consentono di realizzare la sicurezza biologica. D'altra parte, considerando la gravità con cui viene sofferto dall'anziano qualsiasi tipo di ricovero, occorrerà prevedere al più presto l'istituzione di ospedali o centri diurni, di centri notturni, di dispensari geriatrici, di centri di riabilitazione, che allontanino il più possibile lo spettro del ricovero.
In molti paesi europei oltre che in America, ed ora anche in Italia si sta attuando la politica dell'assistenza a domicilio che, integrata dall'aiuto economico, tende ad essere sostitutiva del ricovero in istituto ed appare assai bene accetta all'anziano. L'assistenza domiciliare va però integrata con una assistenza infermieristica e sanitaria in genere che consenta di evitare il ricovero ospedaliero anche in quei casi che, benché non gravi, esigono sorveglianza continua. Particolarmente urgente appare l'adozione di tale tipo di assistenza per le forme cosiddette «mentali».
Soltanto un personale sensibilizzato e preparato potrà risultare adeguato alle molteplici necessità assistenziali degli anziani. Medici ed infermieri potranno così evitare, ad esempio, la cronicizzazione della maggior parte delle malattie degli anziani. I programmi di intervento non devono evidentemente limitarsi soltanto agli aspetti economici e sanitari, né alle soluzioni istituzionali: queste ultime dovrebbero anzi essere considerate come risorsa estrema per i casi altrimenti irrisoluti.
L'anziano deve infatti essere mantenuto il più possibile nel contesto sociale onde evitarne l'isolamento e l'alienazione. E’ perciò necessario prevedere e provvedere alla costruzione di alloggi da destinare agli anziani. Non tocca a noi soffermarci sugli aspetti e sui problemi strutturali, edilizi e tecnici che potranno sempre essere affrontati e risolti solo in un approccio multidisciplinare. Vorremmo piuttosto sottolineare la necessità di evitare soluzioni altrettanto escludenti ed alienanti degli istituti, come ad esempio i quartieri o gli edifici abitati «soltanto» da anziani.
Occorre da una parte evitare il decentramento eccessivo, dall'altra provvedere le reti viarie che consentano rapidi e facili collegamenti con le altre zone cittadine e, soprattutto, prevedere ampi «spazi funzionali» che facilitino la partecipazione sociale dell'anziano, che gli permettano un incontro ed una integrazione psicologica con il resto della società. E’ questo il solo modo di evitare che case eventualmente anche molto belle, decorose, funzionali, divengano «prigioni dorate».
Conclusioni
Troppo spesso nella nostra società le decisioni vengono prese senza la partecipazione degli interessati. E’, in modo particolare, il caso degli anziani, che non sono mai chiamati ad esprimere il loro parere, mentre avrebbero molto da dire e non solo per esercitare un loro diritto. Risulterebbe così evidente che i pregiudizi e gli stereotipi determinano, da parte degli specialisti di molte discipline, scelte del tutto inadeguate. Troppo spesso si afferma infatti che l'anziano vuole o non vuole qualcosa, senza aver prima verificato la fondatezza di tale opinione. Un altro problema che vorremmo ancora sottolineare è quello dell'attività: occorre concedere all'anziano che lo desideri la possibilità di essere impegnato. II problema del tempo libero non può evidentemente essere risolto programmando attività varie per gli anziani e inserendo ciascuno in qualcuna di esse: è necessario invece formulare delle «proposte» da sottoporre alla libera scelta di ognuno. Le molteplici esperienze straniere sono a questo proposito assai confortanti; le nostre appaiono perlomeno promettenti.
Si tratterà di attività ricreative, sportive, culturali, artistiche, artigianali: la gamma può essere infinita. Rimane, anche in questo campo, la necessita di evitare ogni coercizione, suggestione o condizionamento. La «terapia occupazionale» potrà rappresentare un mezzo per ottenere il riadattamento all'età senile ed uno strumento per impedire la violenza istituzionale, l'esclusione, il decadimento e la mistificazione assistenziale e custodialistica.
Dott. Maderna Alessandro Marco
Dott.ssa Aveni Casucci Maria Antonietta
Publicazione Gennaio 1984
http://www.spazio-salute.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1189&Itemid=2
Oggettività e soggettività nella valutazione in psicogerontologia: modi, metodi e strumenti
Aveni Casucci M.A., Albani F., Revera T.
Relazione al 38° Congresso Nazionale S.I.G.G. - Firenze, 15 Novembre 1993; in: “Giornale di Gerontologia”, Vol. XLII, Luglio 1994, pp.539-543)
La psicologia è la scienza che studia i “processi psicologici della mente”, sia consci che inconsci, attraverso i quali un soggetto costruisce le proprie risposte comportamentali.
I processi o meccanismi della mente o funzioni psichiche sono: l’intelligenza, la memoria, la percezione, le esperienze interiori (sentimenti, aspettative, meccanismi inconsci).
La psicologi ha proposto da tempo strumenti adeguati alla valutazione delle caratteristiche fondamentali anche della personalità dell’uomo che invecchia.
Molti sono i test a disposizione che esaminano ogni aspetto della personalità e dell’attività psichica nelle funzioni cognitiva, affettivo-emotiva e motivazionale del comportamento umano legato al lavoro, alla malattia, al gioco, alle relazioni interpersonali etc. Ma per lo psicologo formato e preparato correttamente i test non sono sufficienti ad esaminare la personalità, tanto più di una persona anziana con una lunga esperienza di vita.
La funzione fondamentale di un test o di un reattivo psicologico è quella di misurare le differenze tra gli individui o le risposte di uno stesso individuo ai vari stimoli.
L’applicazione di un test psicologico è un compromesso tra l’intento di conoscere a fondo un individuo e il tempo oggettivo che si può dedicare ad acquisire tale conoscenza.
Lo psicometrista non si proporrà mai di “misurare l’uomo” ma sempre e soltanto di misurare una determinata qualità contingente e permanente, semplice o complessa, di una certa persona o dell’uomo in genere. Di fatto una operazione di misura determina un “indicatore”, un “modello” messo in rapporto quantitativo e qualitativo con una certa dimensione dell’oggetto. Nel nostro caso l’oggetto è la persona umana” (Luigi Meschieri, 1972).
E’ il colloquio che, con l’osservazione del comportamento, la consegna al test e i dati statistici estratti, forma il vero e più adeguato possibile esame o profilo della personalità nella sua integrazione bio-psico-sociale. Il colloquio è una comunicazione interpersonale in cui l’intervistatore e, nel nostro caso, l’anziano sono in un rapporto di reciproca interazione, le cui molte valenze caratteristiche devono essere tenute presenti, insieme al contesto in cui si collocano.
L’atteggiamento corretto dell’intervistatore dovrebbe essere, secondo Carl Rogers, una “accettazione positiva e incondizionata” ed una “comprensione empatica” dell’intervistato”, insieme all’assenza di stereotipi e pregiudizi nei confronti dei contenuti espressi nel colloquio.
La disponibilità all’ascolto da parte di chi intervista rappresenta per l’anziano uno stimolo insostituibile a comunicare.
Nelle nostre ricerche viene utilizzata la tecnica dell’intervista “semi-strutturata”, che consiste nel fornire al soggetto intervistato un certo numero di stimoli alla conversazione in modo da evitare, per quanto possibile, domande dirette e frequenti e lasciare quindi l’anziano libero di esprimersi e trattare i temi proposti nell’ordine e nei contenuti preferiti.
Fondamentale e irrinunciabile è la conoscenza delle qualità “metrologiche” (caratteristiche intrinseche) dei test. Se non le rispettiamo, non costruiamo un test, ma ci illudiamo soltanto di disporre di strumenti adeguati. Inoltre, i risultati ottenuti saranno falsi e non rispondenti al vero.
Ogni test deve possedere:
validità: un test è valido quando misura quello che dice di misurare;
attendibilità o fedeltà: un test è attendibile o fedele quando, riapplicato a distanza di tempo, dà sempre gli stessi risultati, carattere assicurato dalla omogeneità degli item;
sensibilità o finezza discriminativa: un test è sensibile quando è capace di distinguere, classificare, valutare differenze di valori anche molto vicine.
Nella valutazione psicologica i test sono gravati da una serie di pregiudizi, che ci rivelano la superficiale conoscenza che si ha di questi strumenti. Occorrerebbe invece conoscere da parte di tutti e soprattutto di coloro che usano i test, le seguenti caratteristiche: valore, limiti, attributi.
Il test è uno strumento e come tale non è né buono né cattivo: i risultati dipendono dall’esperienza, dalla preparazione e dall’abilità di chi lo somministra, il quale deve avere le conoscenze di base della psicologia.
Prima di applicare un test occorre, inoltre, procedere sempre alla sua taratura. La “taratura” è il procedimento che si attua per rendere il test significativo, non solo rispetto ad un determinato gruppo di persone, ma anche nei riguardi di una certa popolazione statistica cui quel gruppo appartiene. La taratura si realizza con il metodo del “campionamento statistico”, cioè applicando il test a gruppi di persone statisticamente rappresentative della popolazione in esame e confrontando ed integrando i risultati così ottenuti si giunge ad una rappresentazione su scala ridotta, ma presumibilmente fedele, di quelle che sono le caratteristiche di tutta la popolazione rispetto al test.
Anche se la ricerca in gerontologia e geriatria, soprattutto per quanto concerne la psicofarmacologia, si è diffusa ed estesa in Italia da oltre 20 anni, gli strumenti di indagine utilizzati: reattivi mentali o test di efficienza, test di personalità o test di performance, non sono quasi mai stati tarati sulla popolazione anziana italiana. Vengono invece spesso, per non dire sempre, applicati test stranieri, tradotti dalla lingua d’origine ed applicati indiscriminatamente, quando addirittura non vengono smembrati ed applicati soltanto item scelti a caso da ricercatori almeno, possiamo dir, sprovveduti e non autorizzati.
La valutazione “oggettiva” è la constatazione di fatti fisici: da una parte la situazione fisica nella quale la persona si trova, dall’altra la condotta, il suo comportamento in quella data situazione, e questi fatti possono essere recepiti da diversi testimoni le cui osservazioni si controllano reciprocamente. Per la valutazione oggettiva ci si avvale di strumenti quali i test, le scale e i più svariati esami diagnostici, che ci permettono una valutazione la più mirata possibile. I test o reattivi mentali sono sorti per l’esigenza di omogeneizzare, sia nella fase di raccolta che in quella di valutazione e di interpretazione, i dati ricavati dallo sperimentatore e dal clinico. A loro vantaggio si deve anche riconoscere la notevole semplicità e la relativa rapidità di applicazione, e la proprietà di essere strettamente determinati in relazione alla qualità o alla funzione da esaminare e alle condizioni dell’esame.
Spesso chi formula la batteria dei test non tiene conto del reale significato di ogni singola prova, ma si preoccupa di limitare il tempo di applicazione e di esecuzione dei test e di rendere il più piacevole, divertente e facile l’incontro con il paziente da esaminare.
Per quanto attiene il mezzo di applicazione, i test possono essere distinti in:
test “carta e matita”
test di “performance”.
Per modalità di somministrazione in:
test individuali
test collettivi.
Per studiare le caratteristiche di personalità possono essere distinti in:
test di efficienza, che misurano: intelligenza generale, attitudini, acquisizioni, profitto;
test di personalità, che comprendono: questionari o test analitici, test obiettivi di carattere, tecniche proiettive.
In ogni processo di misurazione si possono distinguere tre diverse componenti:
C’è innanzi tutto un insieme strutturato di entità empiricamente controllabili, cioè un insieme di oggetti da misurare, detto “sistema relazionale empirico”.
Viene scelto, d’altro canto, un insieme strutturato di numeri, detto “sistema relazionale numerico”: esso rappresenta, per così dire, il linguaggio rigoroso mediante il quale viene descritta la struttura del sistema empirico.
Viene formulata, infine, una regola, o funzione, che associa un numero a ciascun oggetto in modo tale che la struttura empirica sia coerentemente connessa alla struttura numerica. Tale funzione del sistema empirico entro il sistema numerico è detta “scala di misura”. (L. Burigana, 1976)
Le scale sono livelli di misura definiti dalle operazioni empiriche basilari, e i livelli sono: nominale, ordinale, di intervallo, di incremento. (S. Stevens, 1935)
E’ da rilevare che si considera misura anche il livello nominale (contraddistinto dalla determinazione dell’uguaglianza) e ordinale (contraddistinto dalla determinazione della diversità).
Le scale cercano di quantificare la sintomatologia, senza pretendere di esplorarne i conflitti intrapsichici, i tratti di personalità o gli aspetti attitudinali; cercano cioè di registrare le condizioni e i cambiamenti che si possono verificare nella psicopatologia manifesta. Ricordiamo, ad esempio:
Hamilton Rating Scale for Depression (H.R.S.D.)
Beck Depression Inventory (B.D.I.)
Scala di ansia IPAT ASQ
Scala di depressione IPAT CDQ
Stuard Hospital Rating Scale (S.H.R.S.)
Rating Scale di Gottfries
Per quanto riguarda i test di efficienza, molte sono le scale che consentono di misurare nell’invecchiamento e nella vecchiaia fisiologici e patologici, il decadimento mentale con riferimento ai processi mnesici, alla capacità attentiva, ai processi logici, alla capacità di astrazione, fornendo al clinico preziosi contributi per la diagnosi differenziale nella vasta patologia cerebrale. Tra le più note ricordiamo:
Visual Retention Test d A. Benton
Dementia Scale di G. Blessed, B.E. Tomlison e M. Roth
Ischemia Score di V.C. Hachinski
Verbal Fluency Test
Matrici Progressive di Raven (1938)
Test di Buscke
Mini Mental State
I test di personalità misurano caratteristiche quali: adattamento emotivo, rapporti interpersonali, motivazione, interessi, atteggiamenti.
Un metodo per la misurazione della personalità è costituito dall’applicazione di “test oggettivi della personalità” o “test situazionali” o di “performance”. In questi test, il soggetto deve eseguire un compito il cui fine è dissimulato e, in genere, riproducono le situazioni della vita quotidiana.
Anche le “tecniche proiettive” rappresentano un metodo per lo studio della personalità. Esse utilizzano il “meccanismo della proiezione” che (secondo Rapaport) è quella che si attua quando la struttura psicologica del soggetto diviene evidente nelle sue azioni, nelle sue scelte, nei suoi prodotti e creazioni. Il materiale usato funge da lente di proiezione e i dati registrati rappresentano lo schermo con l’immagine della personalità, messa a fuoco e ingrandita, su di esso proiettata.
Obiettivo delle tecniche proiettive è di rilevare la personalità totale del soggetto, o alcuni aspetti della personalità visti nel contesto globale. Lo stimolo da essi utilizzato può dar luogo a un numero elevato di risposte. Tra le tecniche proiettive più usate, ricordiamo:
la tecnica libera del disegno
il reattivo di disegno di E. Wartegg
il reattivo di Rorschach.
La valutazione dei test di personalità e delle tecniche proiettive deve essere sempre eseguita da persona preparata e soprattutto in psicogerontologi, da persona esperta delle caratteristiche dell’età senile. Le tecniche proiettive ci permettono di conoscere le caratteristiche soggettive, i contenuti profondi della persona esaminata.
La valutazione “soggettiva” (detta anche metodo interno o introspettivo) consiste nella raccolta di fatti psicologici attraverso l’osservazione che il soggetto fa di se stesso.
I frutti e le conquiste di questa osservazione costituiscono ciò che il soggetto conosce e che egli solo conosce in quel particolare modo: gli stati di coscienza, le impressioni vissute di se stesso e delle cose, l’esperienza di un mondo chiuso di cui la conoscenza è un privilegio del soggetto.
La valutazione soggettiva fa capo quindi alla soggettività dell’esaminato, ma anche dell’esaminatore.
La soggettività esprime anche la proiezione di sé. Con “proiezione” intendiamo quel meccanismo di difesa che attuiamo dopo una frustrazione: il soggetto attribuisce ad altri i propri vissuti, i propri pensieri. Ad esempio, davanti alla difficoltà di un rapporto medico-paziente, il medico non accetterà mai di essere colui che non si esprime chiaramente con il proprio paziente, ma sarà il paziente che non capisce.
Molte sono quindi le variabili che possono influire sul risultato finale.
Se vengono fatte ricerche su larga scala, dove diversi sono gli esaminatori, utile per non dire indispensabile è il “training di formazione” dove obiettivi, modi, metodi e strumenti siano esaminati in gruppo per cercare di ridurre al minimo gli errori legati alla diversa soggettività dell’esaminatore.
Occorre altresì ricordare che molte sono le variabili che incidono sulla soggettività dell’anziano: il suo stato di salute, il tipo di malattia, il suo ruolo sociale, il livello culturale, il suo equilibrio psichico, l’ansia, la depressione, la solitudine etc.
Frequentemente riscontriamo che la valutazione oggettiva e soggettiva non coincidono. In tal caso occorre ricordare che esiste da una parte il meccanismo di “negazione”, dall’altro spesso gli strumenti usati possono non essere adatti (test stranieri non tarati e non validati), o forse sono stati mal somministrati (per incompetenza di chi applica il test).
Sin dagli anni settanta in ogni nostra ricerca, sia clinica che psico-sociale, abbiamo sempre preso in esame le variabili oggettiva e soggettiva nel campo biologico, psicologico e sociale.
Per limiti di tempo vogliamo estrapolare la valutazione oggettiva e soggettiva dell’ansia e della depressione fata in una ricerca condotta a Brescia su un gruppo di anziani che partecipavano ai corsi di recupero della scuola dell’obbligo (150 ore), i cui risultati sono già stati pubblicati. Ad una domanda del Questionario, che prevedeva una serie di risposte strutturate per tipo e frequenza, l’ansia e la depressione venivano denunciate dal soggetto (valutazione soggettiva) e venivano poi confermate dai punteggi rilevati con i due strumenti utilizzati (test IPAT ASQ e CDQ) (valutazione oggettiva) - v. Tabella N° 1.
In psicologia “anche quando siano costruiti i concetti quantitativi corrispondenti, quei dati soggettivi continuano a costituire l’immediata realtà direttamente vissuta che è l’oggetto principale della sua indagine” (Cesare Luigi Musatti, 1964)