Invecchiare
PSICOLOGIA E VECCHIAIA
dr.ssa Flavia Albani, psicogerontologa - Ed. 1/99
Introduzione
L'invecchiamento è un processo naturale, comune a tutte le specie viventi; ma come si invecchia dipende da molteplici fattori di ordine biologico, psicologico, sociale e ambientale. Caratteristica principale della vecchiaia è la sua estrema variabilità.
Per la biologia la senescenza inizia molto presto, quando si è completato lo sviluppo fisico dell'uomo, intorno i 20 e i 30 anni: la vecchiaia è più difficilmente definibile in termini biologici, e il suo limite cronologico (ieri i 60-65 anni, oggi per molti i 70-75 anni) è solo arbitrario. Segue la longevità, il periodo di vita oltre gli 85 anni. La suddivisione della vita dell'uomo in età più o meno precise deve dunque essere considerata solo come una schematizzazione, soprattutto utile ai fini di studio e di ricerca. Tali suddivisioni variano, infatti, a seconda dei parametri che si prendono a riferimento. Importanti sono le caratteristiche ambientali: latitudini diverse, climi, temperature, usi, costumi, abitudini, culture differenti, contribuiscono a modulare differentemente anche l'aspettativa di vita, le età del lavoro e del pensionamento, l'inizio dell'invecchiamento e il traguardo della longevità, così come la durata delle tappe intermedie della vita.
Attualmente, scrive Vergani (1997), da un punto di vista biologico si tende a considerare vecchiaia la vita dopo i 75 anni; la letteratura anglosassone distingue tra “young old” i giovani anziani dai 65 ai 75 anni, e “old-old” gli anziani fino agli 85 anni; coloro che superano questa età sono definiti “oldest old” i grandi vecchi. Il potenziale di vita (ovvero la durata di vita del membro più longevo di una popolazione protetta, cioè sottoposta a interventi di sanità pubblica) è, attualmente, per l’uomo 120 anni. L’attesa di vita alla nascita o vita media in Italia (ovvero il numero di anni che la metà dei soggetti inseriti in un determinato contesto sociale ha davanti a sé alla nascita) è oggi di 81,4 anni per la donna e 74,9 per l’uomo; agli inizi del secolo era di 43 anni per la donna e 42,6 per l’uomo. Il prolungamento della durata di vita in questo secolo è principalmente dovuto agli interventi di sanità pubblica (le vaccinazioni, gli antibiotici) e alla maggior abbondanza e migliore qualità di cibo e acqua. L’Italia, nella graduatoria mondiale della longevità si colloca al nono posto. Secondo l’annuario ISTAT del 1995, l’incremento della vita media nel corso degli anni ottanta è stato di 2,9 anni per i maschi e di 2,6 per le femmine. A 65 anni l’uomo ha un’attesa di vita di circa 15 anni e la donna di circa 19. A 75 anni l’attesa di vita per il maschio è di 8,7 e di 11 per la donna. A 85 anni di 4,5 anni per l’uomo e di 5,5 per la donna. A 100 anni l’attesa di vita per l’uomo è ancora di 1,5 anni e per la donna di 1,6 (Vergani, 1997).
Il punto di vista biologico e quello sociale tendono ad identificare l'inizio della vecchiaia con fenomeni di segno negativo: il prevalere di processi degenerativi (di perdite, di riduzioni funzionali) nell'organismo, e l'espulsione dal mondo del lavoro (il pensionamento). La prospettiva psicologica sull’invecchiamento, afferma Aveni Casucci (1992), rifiuta di identificare la vecchiaia con un processo solo negativo, di declino generale, fisico, psichico e sociale: si tratta di una generalizzazione impropria, spesso scorretta che porta a inevitabili errori di valutazione. Non esiste un modo di invecchiare uguale per tutti: ciascun essere umano è unico ed irripetibile nell'affrontare la vita, le esperienze, i cambiamenti. L'anziano di oggi è l'adulto di ieri, il giovane, l'adolescente, il bambino che è stato. Le reazioni della persona agli avvenimenti e ai cambiamenti, all'ambiente e alle sue influenze, sono da ricondursi alla struttura della sua personalità e alle esperienze passate. L'organismo umano può invecchiare in modi e tempi diversi a seconda della personalità, della cultura, dell'ambiente e delle esperienze di vita.
Secondo Aveni Casucci et al. (1996) l’approccio alla persona anziana richiede una visione unitaria, complessiva ed olistica. Uno sguardo complessivo, olistico consente una valutazione più realistica e commisurata, sia della persona anziana in generale, sia soprattutto della persona anziana portatrice di peculiari necessità che possono anche configurare una condizione di patologia. Secondo questo punto di vista l'anziano è inteso nella sua globalità che comprende la storia personale, le tradizioni e la cultura, il contesto familiare e sociale di prima accoglienza, l’ambiente di vita attuale, le relazioni affettive significative, le modalità comunicative prevalentemente adottate, le attitudini, le esperienze e le potenzialità. Pur considerando le peculiarità proprie dell'età senile, la psicologia dell'anziano non differisce nella sostanza dalla psicologia di una persona di qualsiasi altra età. Soprattutto le componenti affettive e motivazionali giocano un ruolo preminente come in ogni altra epoca della vita. Solamente i processi cognitivi possono subire alcune modificazioni correlate specificamente all'età, tuttavia non prescindibili dalla natura e dall'esperienza degli affetti e dai significati che li sottendono.
L’invecchiamento come fenomeno psicologico
Erroneamente, si ritiene che l'invecchiamento sia accompagnato sostanzialmente da perdite, riduzioni funzionali, diminuzione di risorse. In realtà, è più corretto parlare di “modificazioni”, di cambiamenti, piuttosto che di perdite. Ogni persona che invecchia si trova ad affrontare situazioni nuove: sul piano fisico tendono perlopiù a prevalere quelle di segno negativo, anche se all'insegna della più ampia variabilità. In campo sociale sono ancora frequenti situazioni di disagio (perdita di ruoli e di "importanza" sociale, impoverimento delle occasioni relazionali, scomparsa di parenti e amici, difficoltà economiche, ecc.), ma accanto ad esse si aprono "novità" di segno positivo ("liberazione" da un'attività lavorativa magari imposta, ripetitiva e mal tollerata, riscoperta di interessi, attività, curiosità in precedenza sacrificate agli obblighi quotidiani, nuovi ruoli - di nonno, di membro di gruppi o associazioni, ecc.). La riduzione della memoria e la maggiore difficoltà a concentrarsi, possono essere supplite con l'esercizio, l'esperienza, la prudenza, la saggezza.
La realtà sociale appare, inoltre, ancora lontana dal favorire un rapporto equilibrato tra vecchiaia e ambiente, anzi ancor troppo spesso ne è causa diretta di "disadattamento". Molte persone anziane vivono e invecchiano male, per le loro penose condizioni di disagio economico, fisico, morale, e per l'abbandono e l'isolamento di cui spesso sono impotenti vittime. Una constatazione che tuttavia non ci deve far dimenticare altri vecchi, perfettamente adattati anche socialmente, e che vivono la loro vita normale, soli o nel gruppo di appartenenza.
Ricerche condotte nell'ultimo decennio da Aveni Casucci e coll. (1992) hanno confermato quanto la letteratura psicologica ha più volte sottolineato, e cioè come l'uomo possa affrontare positivamente i continui cambiamenti che il trascorrere degli anni richiede, adattarsi attivamente alle nuove situazioni, sviluppare la propria personalità, crescere in esperienza, rivestire ruoli significativi fino alla longevità. Vanno dunque superati pregiudizi quali:
la vecchiaia è di per sé una malattia;
l'anziano è come un bambino;
l'anziano perde completamente la memoria, ripete sempre le stesse cose, è noioso;
l'anziano decade sempre mentalmente, in misura più o meno accentuata;
l'anziano perde la forza fisica e non può impegnarsi in nessuna attività, manuale o intellettuale, di responsabilità;
l'anziano deve godersi il proprio meritato riposo.
Alcuni di questi pregiudizi servono anche come momento decolpevolizzante per la società e quindi come alibi per l'incapacità di proporre all'anziano ruoli significativi e di offrirgli rapporti interpersonali validi e continuativi.
Secondo Cesa-Bianchi et al. (1998) le ricerche più recenti in tema di invecchiamento dei vari requisiti dell’intelligenza - apprendimento, memoria, attenzione, comprensione di parole, ragionamento, riconoscimento di figure ecc. - evidenziano quale una delle caratteristiche proprie alla senescenza quella di ridurre il numero di tali aspetti, mantenendo e talvolta anche accentuando il rendimento di quelli ancora conservati.
Aveni Casucci et al. (1996) confermano che numerose ricerche testimoniano la possibilità che l'efficienza psichica globale degli anziani sia fisiologicamente immutata rispetto a quella delle età precedenti. Infatti, molto spesso un certo rallentamento delle funzioni psichiche, l'appannarsi della lucidità del ragionamento e del pensiero, non dipendono tanto dall'età, o dalle malattie, quanto piuttosto dalla mancanza di allenamento mentale, dalla disabitudine alla curiosità e alla creatività, dalla precoce rinuncia ad una vita intellettualmente attiva. In generale, tuttavia, tendono a decadere le capacità psicosensoriali e quelle psicomotorie, correlate agli organi di senso e all'apparato locomotore che più di altri subiscono processi di senescenza biologica e fisiologica.
In età senile possono comparire, più che in altre epoche, episodi di confusione mentale, talvolta attribuibili a precise condizioni patologiche soggiacenti, altre volte imputabili a stati emotivi di particolare intensità, privi di corrispettivi biologici, e riconducibili a eventi e situazioni esistenziali. La confusione mentale si esprime eminentemente con la carente motivazione e la smarrita capacità di orientamento temporo-spaziale più o meno accentuata. Nella persona anziana è spesso strettamente congiunta alle capacità mnemoniche e può essere secondaria ad una perduta funzione fissativa o rievocativa della memoria stessa. L'«autocoscienza» appare disturbata nel corso di disagi psicologici importanti che si configurano generalmente nelle patologie mentali di classica conoscenza, ma può anche essere minata nelle situazioni cliniche di serio impegno somatico come talvolta avviene anche in età senile. Forme demenziali, esiti emiplegici, gravi traumi possono, ad esempio, provocare disturbi dei sentimenti dell'Io e della autocoscienza.
Le ricerche sperimentali e l'esperienza quotidiana di rapporto con gli anziani dimostrano che esistono ampie differenze tra individuo ed individuo nella capacità di apprendere, come anche nell'efficienza della memoria. L'anziano sano è in grado di apprendere nello stesso modo del giovane e dell'adulto, sebbene presenti tempi più lunghi. Non bisogna inoltre dimenticare un elemento fondamentale nell'apprendimento, in ogni età ed a maggior ragione nell'età anziana: la motivazione. La motivazione è stata definita come la spinta propulsiva fondamentale del comportamento. Tale spinta può originare da bisogni puramente fisici, e in tal caso viene denominata pulsione, oppure può provenire da bisogni di ordine psicologico, dal più complesso interagire di fattori ambientali, sociali e psichici.
Secondo Aveni Casucci (1992) una motivazione ad imparare, valida e autentica, è la premessa necessaria all'impegno e all'interesse per nuovi orizzonti culturali, al raggiungimento di mete e scopi prefissati, alla ricerca di nuove esperienze. E` proprio la motivazione che consente all'anziano di perseverare nel raggiungimento del fine, nonostante difficoltà ed ostacoli di ordine fisico, sensoriale, sociale, ambientale, culturale, soprattutto se egli è adeguatamente sostenuto, gratificato e rassicurato. In molte persone anziane, le difficoltà nella memoria e nell'apprendimento sono soprattutto legate ad una scarsa motivazione; a sua volta, la mancata motivazione a "vivere" la propria vecchiaia in modo partecipato e creativo è spesso da imputarsi al condizionamento negativo rappresentato dal comune pregiudizio della vecchiaia comunque e sempre decaduta fisicamente ed intellettualmente.
Non bisogna dimenticare infine che, con l'avanzare degli anni, si affina la capacità di sopperire al decadere di alcune funzioni fisiche, psichiche, motorie e sensoriali con la continuità, la prudenza, l'esperienza, l'impegno, la "saggezza", la motivazione, la volontà, ecc. Questa capacità viene definita dalla Psicologia come fenomeno della “vicarianza delle attitudini”. Per esempio, i tempi di reazione nella persona anziana sono più lunghi rispetto a quelli di un giovane; tuttavia la risposta alla stimolazione nel soggetto anziano non si discosta molto, nel complesso, da quella del soggetto giovane. L'anziano, infatti, può usufruire di una maggiore esperienza, di una migliore capacità di mantenere il controllo emotivo, di maggiore prudenza e comprensione dell'altro, di una più accurata precisione nella esecuzione del compito, proprio grazie al fenomeno della vicarianza delle attitudini. La vicarianza delle attitudini - espressione di plasticità. di adattamento e di creatività - ci permette di affermare che la vita è un flusso continuo di acquisizioni, di esperienze e di cultura, di crescita psicologica senza fine e senza limiti di età.
Nell'anziano sano quindi, l'efficienza globale può conservarsi del tutto integra, immutata rispetto alle età precedenti. Di assoluta importanza rimane la possibilità di una vita associativa e partecipativa, la ricerca ed il mantenimento di interessi ed attività, l'allenamento psichico e l'occupazionalità fisica finché è possibile, ma soprattutto mentale. Più che il trascorrere degli anni, è proprio l'inattività mentale la responsabile primaria del decadimento di capacità e funzioni che costituiscono l'efficienza psichica globale.
Altrettanto decisiva - scrive Aveni Casucci et al. (1996) è l'influenza dei fattori emotivi ed affettivi sull'efficienza psichica globale della persona anziana: è noto come la depressione, la tristezza, la "rinuncia" psicologica alla vita favoriscano una progressiva perdita degli interessi individuali e sociali, il rallentamento di tutte le attività psichiche ed un precoce invecchiamento cerebrale. I fattori emotivi ed affettivi giocano inoltre, molto spesso, un ruolo centrale nella possibilità di un adattamento dell'individuo anziano all'ambiente e di accettazione dei limiti imposti dalla propria condizione. Come in qualsiasi età della vita, l'uomo e la donna anche nell'età senile hanno bisogno di amare e di sentirsi amati, di continuare ad essere oggetto di attenzione e affetto. Rapporti affettivi soddisfacenti consentono un'attività psichica globalmente efficiente, una valida motivazione alla vita, un desiderio inesauribile di conoscere, di misurarsi con realtà nuove e diverse che le generazioni più giovani prospettano continuamente. Gli affetti animano e determinano, spesso inconsciamente, l'agire quotidiano di ogni persona. Condizionano la nostra esistenza, il nostro modo di pensare, le nostre modalità comportamentali, la qualità delle nostre relazioni.
La malattia depressiva corrisponde alla sofferenza psicologica più frequente nell'età senile, dinamicamente sorretta e propiziata dai vissuti di perdita che la persona anziana rischia di subire a motivo della propria condizione sociale e della propria età. Il pensionamento, la vedovanza, la solitudine, la precarietà economica, la ridotta autosufficienza, le problematiche menopausali e andropausali, le repentine trasformazioni culturali e sociali, le difficoltà del rapporto intergenerazionale, possono rappresentare per l'anziano significativi fattori di rischio che sollecitano a volte duramente la "tenuta" affettiva e relazionale. Si assiste talvolta a vere e proprie crisi esistenziali derivanti dalla semantica personale degli affetti.
Molte persone anziane sembrano essere più vulnerabili agli "stress" affettivi in età avanzata più che in ogni altra epoca precedente del loro percorso esistenziale. Le difese a volte strutturate per un'intera vita sembrano affievolirsi, disperdersi e la persona appare emotivamente più fragile, disarmata dagli eventi e non più arbitra del proprio destino. Si frantumano a volte le strutture cognitive e sembra dissolversi l'insieme della personalità; tuttavia l'affettività rimane, ultimo baluardo di una vita e di una storia presente, passata, ma che ancora può nutrire speranze di futuro.
Nell'anziano, sano o malato, come in ogni altra persona di differente età, gli affetti continuano a svolgere un ruolo fondamentale, sostanziale e la loro qualità intrinseca ed espressiva riflette la dinamica personale e il contesto ambientale e relazionale d'intorno. Nell'anziano demente si è persa l'architettura cognitiva, ma permangono la comunicazione e la risonanza affettiva attraverso canali informativi che necessitano di peculiare attenzione e di lunga ed affinata esperienza professionale soprattutto di tipo psicologico. Talvolta, scrive Aveni Casucci et al. (1996), una commisurata "riabilitazione" delle potenzialità e funzioni affettive consente anche un buon recupero delle capacità cognitive e volitive.
Caratteristiche psicologiche della vecchiaia
Frequentemente nella vecchiaia si ha una accentuazione delle caratteristiche di personalità: prudenza, rigidità dei comportamenti, minore flessibilità, maggiore introversione. Nella vecchiaia si moderano certi tratti caratterologici dell'età più giovane, quali l'impulsività, il rigore verso gli altri, l'aggressività, e ne deriva una minore tensione nel comportamento. L'esperienza, l'abitudine alle frustrazioni, un certo distacco dalle passioni contribuiscono ad un atteggiamento più paziente, un umore più stabile, una certa indipendenza dalle convenzioni e dai compromessi, una comprensiva dolcezza, mancanza di fretta, filosofica tolleranza.
La vecchiaia può rappresentare l'occasione per un nuovo assetto che conferirà maggiore sicurezza narcisistica: le mete e le illusioni del passato, più o meno ambizioso, sono sostituite da progetti più aderenti alle proprie capacità attuali, l'autostima ne esce rafforzata e diminuisce l'ansia da prestazione.
Secondo Barucci (1989) nel vecchio sono frequenti: irascibilità, impulsività, variazioni dell'umore, manifestazioni della "Brain Organic Syndrome", cioè del quadro neurobiologico dell'invecchiamento ed in effetti l'involuzione si presenta spesso con questo aspetto. Rabbia, rancore, ribellione, maledizioni a chi l'aiuta, sono manifestazioni presenti in molti anziani, malati. Queste manifestazioni di tensione interpersonale sono spesso gli effetti di meccanismi di competizione accentuati dalla situazione esistenziale: competizione delle donne anziane con le più giovani (per la bellezza, per il governo della casa, ecc.) e degli uomini (per conservare il posto di lavoro o per mantenere il proprio rango: nel club, nello sport, nella politica, ecc.).
Un tipico, grave circolo vizioso nell'assetto psicologico del vecchio è quello tra manifestazioni dell'involuzione e isolamento dall'ambiente. Le diminuite capacità motorie, i deficit sensoriali, portano al ritiro dall'ambiente, al ripiegamento su se stessi, all'isolamento e privano l'individuo di quelle gratificazioni che hanno origine dallo scambio con gli altri e che agiscono come veri e propri feedback che mantengono un comportamento socievole.
Inoltre, i cambiamenti estetici della vecchiaia, come calvizie, flaccidità, rughe, adiposità, pancia, ecc. colpiscono le persone nel loro narcisismo e sono motivo di rifiuto (più o meno esplicito e consapevole) da parte degli altri. Si diventa meno attraenti anche nella semplice conversazione: gli argomenti non sono più attuali; le battute spiritose sanno di stantio; le frasi un tempo di moda, sono ammuffite. Si impoverisce anche il comportamento espressivo gestuale, che si fa meno vivace, più lento, fino alla ipocinesia ed alla ipomimia del parkinsonismo, dando la falsa impressione di indifferenza, di scarsa partecipazione, di comportamento superbioso e scostante, che certamente non attrae la simpatia e che non invoglia gli altri ad intavolare un rapporto.
Scrive Barucci (1989) “mentre i bambini si accettano subito tra loro a prima vista, gli anziani sono portati a rifiutarsi, ad escludersi a vicenda, sia per un disinteresse che rivela la difficoltà ad ammettere nuovi elementi nella rete dei rapporti, sia per la spirale di diffidenza non superata dalla necessità degli scambi. Giorno dopo giorno si erige una barriera fatta di rinunce, di rituali, di piccole abitudini, di colloqui interiori, che riduce la comunicazione con gli altri, che diventa sempre più impenetrabile a nuovi interessi e finisce per limitare le capacità di adattamento”.
Non è infrequente nelle persone di età avanzata trascurare la pulizia personale, con disordine nell'abbigliamento, con scarsa cura dell'aspetto esteriore ecc. A questo comportamento contribuiscono molti fattori: una diminuita motivazione alla ricerca di una immagine personale attraente, un deficit motorio e sensoriale (tipica la difficoltà di molte donne anziane nel truccarsi, con risultati a volte disastrosi; tipico il non veder bene le macchie di un vestito o il non avvertire il cattivo odore del proprio corpo; tipica la rinuncia al bagno per la paura di scivolare o alle abluzioni per paura di prendere freddo ecc.). Si può giungere, insensibilmente, a gravi disordini nella cura personale, fino alle forme demenziali con l'incontinenza, la manipolazione delle feci ed altri comportamenti analoghi.
E' chiaro, scrive Barucci (1989), che questi aspetti della vecchiaia ne aggravano l'isolamento e, anche nelle forme minori, comportano il crearsi, nell'ambito di una stessa famiglia, di più o meno larvati meccanismi di ripugnanza e di esclusione. I difetti fisici della vecchiaia possono ripercuotersi in modo grave sullo stato psichico: è classica la figura dell'anziano sordastro, che diventa sospettoso, che tende a interpretare malevolmente le parole che non riesce a sentire, che risolve il problema isolandosi sempre di più. Ma i difetti fisici possono anche aggravare l'assetto esistenziale del vecchio col renderlo sgradevole agli altri: le difficoltà di masticazione, una protesi non ben sistemata, lo portano talora a modalità non ben accette dagli altri convitati. Ci si vergogna del nonno e si fa in modo di farlo mangiare da solo, se ci sono ospiti; e il nonno, mangiando da solo si abituerà insensibilmente ad un comportamento poco rispettoso del galateo. Esempi del meccanismo di emarginazione inscritto in un vero circolo vizioso.
Tutte le modalità di rifiuto e di emarginazione sono altamente deleterie, perché non solo riducono gli stimoli e quindi aggravano l'involuzione cognitiva, ma anche peggiorano le caratteristiche della personalità psicologica, con sospettosità, malumore depressivo od anche costruzioni deliranti. L'energia che non viene più impiegata nei rapporti con l'ambiente esterno si ripercuote sullo stesso soggetto sotto forma di aggressione al proprio soma. Nel vecchio si attua un divorzio tra il corpo e la mente ed il corpo riacquista la priorità di cui godeva nell'infanzia: ne deriva l'accentuarsi di tutte le manifestazioni di somatizzazione e l'aumento dell'attenzione per tutte le funzioni corporee.
Si parla molto di disadattamento nell'età senile per intendere un generico stato di sofferenza personale o di un insufficiente inserimento o di problematica relazionale. Questo disadattamento non è sempre una conseguenza dell'involuzione senile, ma talora è la società (dei consumi), il vicino (malevolo) o la famiglia (scombinata o intollerante) a creare artificiosamente il problema del vecchio (disadattato). In effetti l'equilibrio psicologico del vecchio è spesso messo in difficoltà dall'ambivalenza dell'ambiente che gli richiede, da una parte, un aspetto giovanile, prestanza, flessibilità, anticonformismo, autonomia, ma che dall'altra critica impietosamente ogni atteggiamento che non corrisponda allo stereotipo culturale della vecchiaia.
Un altro aspetto abbastanza caratteristico della vecchiaia è l'indecisione, l'indeterminazione, l'insicurezza, che possono sconfinare nell'inazione. Non sono altro che la conseguenza logica dell'esperienza, dell'aver incontrato ostacoli di ogni genere, dell'aver subito delusioni, frustrazioni e sconfitte. La vecchiaia è l'età dei dubbi, dei forse, del possibilismo: la paura di sbagliare è grande, non solo per l'esperienza degli errori accumulati negli anni, ma anche perché se si sbaglia non c'è più tempo per ricominciare. Il soggetto che invecchia elabora una disistima di sé, alimentata da varie componenti, peculiari a seconda della personalità individuale: per alcuni sarà la decadenza fisica, per altri l'insicurezza, per altri ancora la compromessa immagine ecc.
I rapporti col passato sono fondamentali per comprendere l'assetto psicologico del vecchio e, per così dire, invadono il suo presente; il passato è ad un tempo la sua ricchezza e la sua dannazione: ricchezza perché gli dà i vantaggi dell'esperienza e possibilità di rifugio ideativo, dannazione perché i ricordi, i rimorsi, i rimpianti possono soffocarlo. Scrive Barucci (1989, pp.75-76): “esiste nella vecchiaia una deformazione ottimistica degli eventi passati che, nel racconto, perdono lo smalto emotivo negativo e si connotano volta a volta di sentimenti piacevoli: quello della prova superata, del traguardo raggiunto, dello scampato pericolo, della dimostrata capacità di sopportare le avversità fino al limite del sentirsi in qualche modo valorizzati anche dal record personale delle disgrazie. Si formano così degli accoppiamenti obbligati:
- passato = bene
- presente = male
- gioventù = felicità
- vecchiaia = dolore
con veri stereotipi culturali che trovano espressione a vari livelli: dalla conversazione comune alla produzione artistica. E' come se, col passare degli anni e quindi col distanziarsi degli eventi, la memoria compisse un'opera di selezione, scartando molti dei ricordi negativi, e di trasformazione modellandone altri con intervento cognitivo, che porta a interpretazione e valutazione diversa da quella originale”.
E' questo uno dei meccanismi più efficaci per fare del passato una fonte di infelicità: lasciar trasparire solo il buono e il bello, riconoscendo nella propria giovinezza l'età dell'oro irrimediabilmente perduta e rendendosi così accessibile una inesauribile riserva di tristezza. Un altro "vantaggio" della fedeltà al passato consiste nel fatto che in queste ruminazioni nostalgiche non rimane il tempo di dedicarsi al presente. Il rischio - prosegue Barucci - “è di scivolare il un misoneismo sistematico, che in molti casi è solo una razionalizzazione difensiva del fatto che, in vecchiaia, capire una idea nuova è difficile, come è difficile usare uno strumento nuovo o adattarsi ad una regola nuova, cambiando abitudini inveterate”.
Il ripiegamento sul passato, proprio del vecchio, con difficoltà al cambiamento, con forte condizionamento nelle scelte, è l'opposto del proiettarsi nel futuro proprio delle persone giovani. In queste anche tutta la conversazione verte sul futuro: esami, vacanze, feste, motorini, ragazze. I "vecchi amici" parlano invece dei ricordi: della scuola, della vita militare, delle gite fatte, delle avventure corse ecc. Un aspetto di questo intridere la vita nel passato è costituito dall'allestire una sorta di collezione di rimpianti, cioè di tutte le occasioni perdute, le scelte errate, gli obiettivi mancati, le iniziative che si dovevano intraprendere, le decisioni che invece dovevano essere scartate ecc. Questa collezione non è utilizzata, di solito, per stimolo a soluzioni nuove e incoraggiamento a progettare, a modificare, a ricominciare, ma solo come sterile accontentarsi di un sogno ("se avessi... avrei potuto...").
Ma i troppi rimpianti possono innescare anche meccanismi perversi. Rimpianti ai quali alcuni reagiscono con continui rimorsi e disprezzo di sé, altri invece con rimproveri e accuse nei confronti del mondo esterno, che è l'altro dominante, o il Fato. Siamo al solito errore di voler accusare se stessi o gli altri uomini, anziché il destino o gli dei, dei nostri malanni, connotando i nostri pensieri e le nostre azioni in tonalità intrapunitiva o extrapunitiva fino ai limiti della depressione o del delirio. Scrive Barucci (1989, p.78): “la sequenza ricordoÞrimpiantoÞdepressione è nella vecchiaia molto frequente, ma forse è ancor più frequente quella ricordoÞrimorsoÞdepressione”. Una tonalità depressiva è alla base di molte espressioni psicologiche della vecchiaia, che ha il pesante fardello di un accumulo di eventi, molti dei quali con la caratteristica delle perdite.
Comunicare con l’anziano
Il timore dell’operatore che lavora nei reparti o nei servizi geriatrici di salute mentale di fronte all’anziano può avere, oltre ai pregiudizi sulla vecchiaia già citati, anche cause più profonde: questi pazienti hanno pur sempre l’età dei genitori o addirittura nonni dell’operatore, tanto che questi si vede improvvisamente nel ruolo di bambino. Scrive Hirsch (1990): “Frasi come «Questo me l’ha detto anche mio figlio», oppure «Lei ha i capelli come mia figlia» possono suscitare sentimenti sgradevoli, legati agli anziani della propria famiglia, e far emergere conflitti non chiariti . (...) Nikolaus Schneeman, uno psichiatra tedesco specializzato nel trattamento degli anziani, parla anche di una vera e propria «gerontofobia» dei medici, in cui egli ravvisa una «forma larvata di tanatofobia»: paura della morte e del morire, angosce di fronte alla vecchiaia, la malattia, il fallimento, le perdite e le offese narcisistiche durante l’invecchiamento”. Condizione indispensabile per potersi occupare dell’anziano è che l’operatore faccia i conti con il proprio invecchiamento.
L’esperienza di vita con gli anziani insegna codificazioni e messaggi comunicativi tutti da conoscere e da interpretare: nessuna attività con l’anziano può prescindere da quella condizione iniziale che è l’ascolto dell’altro in tutte le sue forme di comunicazione. E’ unicamente da un ascolto attento e puntuale che possono scaturire progetti realmente rispettosi dei ritmi psichici e biologici di chi invecchia.
Il piangere, il lagnarsi, le parolacce, le esibizioni dell’anziano, specie se istituzionalizzato, rappresentano tipici canali di comunicazione passiva: l’esteriorizzazione di un bisogno. Il desiderio di farsi compiangere (lagnanza), la manifestazione di una reale sofferenza (piangere), la ribellione aggressiva e trasgressiva (parolacce) sono molteplici forme con cui l’anziano cerca di comunicare una condizione di disagio esistenziale.
Anche il silenzio è una particolare forma di comunicazione. Se nell’accezione più classica il messaggio del silenzio invia sentimenti di rifiuto, chiusura, rancore, per l’anziano più debole, incapace di farsi ascoltare, il silenzio può rappresentare l’estremo grido di aiuto.
Secondo Ricci Bitti et al. (1983) alle origini della comunicazione umana il movimento e il gesto precedono notevolmente ogni forma di verbalizzazione. La comunicazione non verbale rappresenta nella razza umana per tutto il periodo neonatale l’unica grande modalità espressiva e comunicativa, mantenendo per tutto l’arco dell’esistenza un ruolo di grande importanza relazionale, complementare, ma non necessariamente subordinato, alla verbalizzazione orale. La persistenza di linguaggi corporei e gestuali nell’adulto si manifesta come ordinario complemento dell’espressività verbale, facendone parte integrante, oppure come componente primaria nelle manifestazioni viscerali di aggressività e difesa, rabbia e abbandono, amore e attrazione ecc.
Gli atteggiamenti, le condotte posturali statiche di base, esprimono posizioni psicologiche di fondo verso l’ambiente circostante o l’interlocutore. Ci riferiamo, scrive Barucci (1989), alle classiche reazioni somatiche di difesa e di aggressività che accompagnano il vissuto interiore nei rapporti con gli altri attraverso variazioni del tono muscolare e della postura. Ad esempio, reazioni corporee improntate alla rigidità traducono personalità permanentemente sulla difensiva, identità che si sentono aggredite e minacciate dall’esterno o semplicemente oppresse da Super Io dominanti. Stati astenici e ipotonici traducono spesso profonde inibizioni motivazionali o affettive, riconducibili a stati depressivi primari o ad atteggiamenti reattivi di disimpegno e resa psicologica dell’anziano ad una relazionalità incomprensibile ed incombente. Le bivalenze comportamentali, alternanze di scoppi emotivi a sfondo maniacale o malinconico, esprimono con la tipica esaltazione mimica e la generalizzata eccitazione motoria, situazioni interiori altamente conflittuali, prossime alla nevrosi, fino agli stati psicopatologici più gravi, dissociativi, della psicosi e della schizofrenia.
Secondo Predazzi e Macchi (1992), importante nel rapporto con gli anziani l’introduzione di rinforzi gestuali positivi. Il rinforzo mimico (il sorriso, l’ammiccamento, lo sguardo diretto e l’espressione del volto) ed il rinforzo gestuale (la carezza, l’abbraccio, il buffetto e l’uso del corpo in genere) rappresentano uno strumento di comunicazione assai prezioso sia per incrementare le facoltà gnosiche e la comprensione dei messaggi verbali da parte dell’anziano, che per riempire di contenuti emotivi ed affettivi le relazioni comunicative della vita quotidiana. Come la partecipazione emotiva è determinante per la fissazione mnemonica, così per l’anziano il rinforzo gestuale, specie se correlato da stimoli affettivi, risulta fondamentale in molti casi per l’acquisizione stessa dei contenuti della comunicazione.
Anche il dolore psicosomatico è una forma di comunicazione corporea, di un messaggio interiore di disagio. In questa lettura il dolore psicosomatico altro non sarebbe che una dichiarazione di malessere psicologico dichiarato con il linguaggio del corpo, tramite appunto una forma di comunicazione non verbale.
Comunicare con l’anziano in modo adeguato e corretto è un’operazione tutt’altro che semplice o immediata, richiede un’attenta preparazione professionale accanto ad una profonda umanità. L’informazione deve essere semplice e immediata e soprattutto utile, cioè utilizzabile per una più piena partecipazione alla vita. La scelta della parola e quindi della comunicazione verbale è tutt’altro che banale o scontata. Nella forma la comunicazione verbale deve avvenire in modo lento, chiaro, personalizzato, privilegiando l’esposizione di singoli concetti ed evitando l’affollamento di notizie in un breve spazio di tempo, rispettando attentamente i ritmi di acquisizione mentale di chi invecchia.
Il messaggio indirizzato all’anziano deve essere semplice, ma non per questo banale, elementare nella sua formulazione, ma non per questo infantile; trattare il vecchio come un bambino, con voce alta e manieristica, raramente permette di raggiungere l’obiettivo della comunicazione, ma sicuramente riesce sempre a umiliare la dignità dell’anziano.
Un equivoco alquanto frequente nell’approccio personale con l’anziano è quello che dà origine al diffuso malcostume di “dare del tu”, in particolare alla persona ricoverata, fin dal primo incontro, per il solo fatto che sia divenuta ospite della struttura protetta. L’uso del “tu” risulta spesso, per la cultura e la psicologia dell’anziano, difficile da comprendere e da accettare, evocando in lui soltanto un senso di dipendenza e quindi, inevitabilmente, di umiliante inferiorità.
Per questo motivo, accostandosi alla persona anziana è indispensabile l’uso del “lei”, come elementare forma di dignità e di rispetto: sarà soltanto l’evolversi di un rapporto interpersonale, ricco di affetto e confidenza, che farà del “tu” la conquista di una amicizia e non una presuntuosa licenza.
Il rapporto verbale con l’anziano deve mirare alla comunicazione, nella sua etimologia empatica di “communio”, comunione, comunità, comunanza, “mettere in comune con”, più che all’informazione e allo scambio di messaggi, in modo da realizzare un linguaggio dominato dagli scambi empatici della messa in comune e della comprensione.
Il primo atto comunicativo con l’anziano è sempre comunque l’ascolto. La capacità di detenzione e decodificazione dei messaggi espliciti ed impliciti dell’altro rappresenta la premessa e la condizione di qualsiasi ulteriore passo relazionale, in particolare quando l’interlocutore è anziano, la cui potenzialità comunicativa è spesso rallentata, compromessa dalla precarietà delle condizioni fisiche oppure viziata da spesso giustificate difese psicologiche.
Secondo Predazzi e Macchi (1992) non c’è comunicazione senza condivisione, che è ad un tempo atteggiamento gnosico, mirato alla comprensione profonda dell’altro, ed affettivo, teso ad una comunione esistenziale con il destinatario del messaggio. E’ la condivisione a dettare i primi passi e le giuste misure di una relazionalità non facile ed esposta a notevoli margini di errore umano e professionale. La carenza professionale di condivisione si presenta in questi casi sotto la forma di un mancato approccio comunicativo all’anziano per errato inquadramento psicologico ed esistenziale dell’oggetto umano del messaggio, assimilato semplicisticamente a categorie stereotipe preconfezionate dal pregiudizio e dai luoghi comuni: il “nonno”, il vecchio brontolone, la vecchia strega e la simpatica vecchietta.
La comunicazione con l’anziano si muove tra due poli: l’esigenza di semplicità ed essenzialità di messaggi e la preesistenza di identità adulte formate che richiedono comprensione e rispetto. L’equilibrio tra la semplicità espositiva, resa necessaria dalle varie compromissioni percettive e psichiche della senescenza, ed il rispetto sostanziale della complessità dell’identità personale dell’anziano è difficile e può essere mantenuto solo a partire da una capacità di ascolto che permetta all’operatore di identificare con chiarezza le coordinate umane e psicologiche dell’interlocutore.
Abbiamo già sottolineato l’importanza del linguaggio mimico e gestuale come supporto fondamentale di ogni azione nel rapporto con l’anziano, e quanto sia preziosa questa modalità integrata nelle mani dell’operatore esperto alle prese con le difficoltà gnosiche e percettive del senescente. L’esplicazione gestuale sistematica ripiana, almeno parzialmente, i frequenti deficit uditivi e percettivi della parola che, per gli anziani con sensorio integro e psiche confusa, costituisce un vitale appiglio interpretativo dei messaggi verbali. L’anziano con buone facoltà psicopercettive è comunque aiutato da una gestualità intelligente e creativa ad abbreviare i tempi di reazione e a mettere in atto condotte comportamentali più funzionali ed efficaci, sulla scia del gesto orientativo dell’operatore.
Dell’integrazione tra gesto e parola fanno parte anche tutte le caratterizzazioni di tipo affettivo che possono essere messe in atto come rinforzo generico di ogni genere di comunicazione. Il sorriso come modalità abituale di relazione, apertura e chiusura naturale dei messaggi individuali, lo sguardo negli occhi dell’interlocutore nei discorsi a due, i cenni di comprensione e d’intesa durante l’ascolto, l’arresto e la seduta accanto all’anziano per la condivisione di contenuti importanti, la mano posta sul braccio come segno di partecipazione, l’accompagnamento a “braccetto” offerto in condizioni di non stretta indispensabilità, rappresentano solo l’inizio di un più vasto e articolato elenco di gestualità pre-affettive connesse intimamente con la comunicazione e con le condizioni che la rendono possibile: l’ascolto, l’accoglienza, la fiducia, il desiderio di “dividere con” l’altro i contenuti della vita.
Se la dolcezza di uno sguardo, di un sorriso, di una carezza sono un piacevole conforto per ogni essere umano, per l’anziano rappresentano un nutrimento vitale e irrinunciabile in termini di accettazione della propria condizione e quindi di autostima. Per l’anziano, specie se malato o infermo, ha grande importanza il contatto fisico: può essere rappresentato da una carezza, come da una mano sulla spalla, dal buffetto sulla guancia o dalla stretta della mano andando a braccetto, ciò che conta è che in ogni caso, il rapporto con chi assiste l’anziano, operatore o volontario o parente, che non si difende ritraendosi dalla fisicità del contatto, aiuti il vecchio a non avere più paura del proprio corpo, che spesso gli appare sgradevole e inavvicinabile.
Conclusioni
La psicologia permea l'intero percorso esistenziale di un individuo, dalla tenera età alla vecchiaia inoltrata. L’involuzione delle diverse attività psichiche non inizia e non procede parallelamente: in ogni uomo tendono ad esaurirsi previamente quelle attività psichiche che sono state meno utilizzate nel corso della vita. Come afferma Vergani (1997, p.37) “il modo di invecchiare non è predeterminato e univoco, ma al contrario, è gestibile e modulabile. (...) Se, l’invecchiamento non è programmato, è possibile quello che John Rowe ha chiamato “successful aging”, l’invecchiamento ben riuscito”. Ogni persona cresce ed invecchia secondo un proprio stile di vita, un proprio modo di essere, in rapporto anche ad una specifica realtà familiare, sociale e culturale.
Nell’età avanzata esiste una progressiva riduzione del potere di adattamento, per cui i fattori negativi più vari (sociali, psicologici, ambientali e patologici contribuiscono quasi sempre in modo sinergico ad aumentare il rischio di disabilità e non autosufficienza. Un approccio globale ai problemi dell’invecchiamento deve considerare questa fase della vita come un percorso fisiologico non necessariamente connesso allo sviluppo di patologie, analizzando le caratteristiche delle persone che invecchiano in buona salute, per potenziare quei fattori che promuovono l’invecchiamento in buone condizioni psicofisiche.
Purtroppo sono ancora molto diffusi i pregiudizi e gli stereotipi culturali negativi che condizionano la vecchiaia ed i vecchi. Indubbiamente secondo la psicologia giocano un ruolo essenziale gli affetti e le spinte motivazionali che spesso necessitano di supporti e stimoli ambientali. Malgrado il decadimento fisico e le trasformazioni dell’età, l’individuo è fondamentalmente capace di mutamento, crescita e maturazione fino a tarda età e, nonostante le minori energie, anche per l’anziano ci sono le possibilità di ampliare la propria competenza, di trasformarsi e portare avanti processi di sviluppo. Scrive Hirsch (1990) “da qualche anno si vanno accumulando pubblicazioni, relazioni a congressi e corsi di formazione sul lavoro di terapia nella terza età; nei colloqui con gli operatori dei servizi psichiatrici si viene a sapere che anche i metodi psicoterapici vengono usati sempre più spesso con gli anziani”. La ricerca psicologica ha dimostrato chiaramente che gli anziani sono ancora in grado di apprendere e di sviluppare nuove potenzialità.
La vecchiaia, ribadisce Aveni Casucci et al. (1998), riflette il personale percorso esistenziale, ma nutre come in ogni altra età capacità di ripresa e di modifica che esigono opportunità, rapporti, ambienti di sensibile ed appropriata sollecitazione. L’educazione alla vecchiaia, i percorsi geragogici, possibili ad ogni età, rappresentano il terreno propedeutico per ogni processo di ripresa. Le potenzialità già espresse o ancora inespresse possono essere attivate o riattivate se adeguatamente sollecitate e sostenute.
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Vergani C (1997), La nuova longevità, Mondadori, Milano
Abstract
La psicologia permea l'intero percorso esistenziale di un individuo, dalla tenera età alla vecchiaia inoltrata. Ogni persona cresce ed invecchia secondo un proprio stile di vita, un proprio modo di essere, in rapporto anche ad una specifica realtà familiare, sociale e culturale. Purtroppo sono ancora molto diffusi i pregiudizi e gli stereotipi culturali negativi che condizionano la vecchiaia ed i vecchi. Malgrado il decadimento fisico e le trasformazioni dell’età, l’individuo è fondamentalmente capace di mutamento, crescita e maturazione fino a tarda età e, nonostante le minori energie, anche per l’anziano ci sono le possibilità di ampliare la propria competenza, di trasformarsi e portare avanti processi di sviluppo. Un approccio globale ai problemi dell’invecchiamento deve considerare questa fase della vita come un percorso fisiologico non necessariamente connesso allo sviluppo di patologie, analizzando le caratteristiche delle persone che invecchiano in buona salute, per potenziare quei fattori che promuovono l’invecchiamento in buone condizioni psicofisiche.
Psychology drives human beings throughout their individual life span, from infancy to old age. Each person grows, develops and ages following one’s peculiar life-style, one’s way of being, also affected by one’s own family context, social and cultural. Unfortunately negative stereotypes and cultural bias condition old age and the elderly. Even though aging is accompanied by loss in physical prowess and decline in intellectual capacities, development is not restricted to children and adolescents but continues throughout the entire adult life span and later years. The result of several cognitive and intellectual training studies seem to suggest that observed declines in mental abilities, even fluid abilities, may be reversible. Declines in intellectual abilities occur during the course of aging, but these declines may be reversed (or compensated for) by appropriate educational intervention. Indeed, although it is helpful to study the different process of adult development and aging in separate perspectives, it is important to keep in mind that biological, physical, cognitive, social, and personality development are inextricably woven together. Successful aging suggests that individuals may reach their later years with positive satisfaction by following and promoting a number of different pathways.
LA VITA DI COPPIA IN SENESCENZA
Dott.ssa Flavia Albani, Psicogerontologa
La transizione alla condizione anziana si configura come una lunga stagione di coppia. Infatti, l’uscita di casa dell’ultimo figlio e la cessazione dell’attività lavorativa, uniti all’allungamento della vita media, sono tutti fattori che prolungano questa nuova fase della vita.
Va comunque osservato che sono in aumento le coppie che dopo l’uscita dei figli di casa si separano.
Inoltre, la vita familiare sembra avere due percorsi abbastanza differenziati nella fase finale di questa transizione. Poiché l’età media delle donne supera di circa sei anni quella degli uomini (secondo i dati ISTAT: 82,6 età media della donna; 76,2 età media dell’uomo), è frequente che questi ultimi vivano l’ultimo periodo della vita entro una relazione di coppia al contrario delle donne. Le donne, infatti, restano più spesso sole negli ultimi anni della loro vita e si appoggiano soprattutto ai figli nell’affrontare le difficoltà del crescente decadimento. Così, in Italia, le forme familiari caratterizzate da nuclei unipersonali (anziani soli) si espandono al crescere dell’età e con significative differenze di genere: ricorre per il 30% delle 65-74enni, ma per poco meno del 10% dei loro coetanei maschi, e si approssima al 50% per le ultra settantacinquenni a fronte di un 20% per i coetanei maschi.
L’identità della coppia, costituita da un piano affettivo (ci si riferisce agli aspetti erotici, all’attrattiva e all’affettuosa cura reciproca) e da uno normativo (si intende con esso l’impegno a rispettare il patto coniugale e a rispondere degli obblighi che esso porta con sé), si specifica in diversi compiti di sviluppo che è chiamata a svolgere. Essi toccano sia la relazione coniugale, sia la relazione genitoriale, sia quella con la famiglia di origine, sia la più vasta comunità di appartenenza. Inoltre il conseguimento di un bilanciamento etico-affettivo del patto coniugale non è dato una volta per tutte ma si ripropone continuamente alla coppia che è sollecitata a dar forma nuova alla sua identità in ogni passaggio critico del suo percorso, rinnovando, riformulando e rilanciando il patto coniugale.
Costruire l’identità di coppia, dunque, rappresenta un compito continuo che richiede alla coppia di affrontare le prove e le crisi che ne accompagnano lo sviluppo.
Per la coppia anziana, con la fuoriuscita dei figli dalla casa parentale, si aprono maggiori spazi e tempi per reinvestire nella relazione di coppia, rinnovando il dialogo e riorganizzando la vita coniugale all’insegna del sostegno reciproco. Per la coppia anziana diviene importante anche potenziare o avviare rapporti con l’esterno, riattivare e rinforzare le relazioni amicali e sociali, anche in vista del prolungamento dell’età di vita e le migliori condizioni di salute.
La relazione coniugale della coppia anziana è influenzata anche dal pensionamento. Infatti, il pensionamento di uno o di entrambi i coniugi provoca all’inizio un disequilibrio nella coppia, abituata a ritmi e a una divisione dei compiti consolidati e collaudati da anni. Il massiccio aumento del tempo da trascorrere insieme obbliga i coniugi a ricercare un nuovo adattamento e a ridefinire i reciproci compiti e spazi individuali. In particolare l’ambito del lavoro domestico diventa il terreno concreto e simbolico di una negoziazione relativa alla gestione degli spazi e del potere coniugale in una situazione di rinnovata vicinanza fisica.
Sotto il profilo affettivo e sessuale della coppia anziana, dalle più recenti ricerche si osserva che la sessualità umana è qualcosa che sopravvive al mutamento degli ormoni: è una modalità di relazione intima tra due persone. Pertanto, la riduzione dell’aspetto genitale non comporta la diminuzione del sentimento amoroso in se stesso e la vita sessuale continua ad essere alimentata dalla tenerezza e dal bisogno d’affetto. Invece, troppo spesso gli anziani hanno un atteggiamento negativo nei confronti della propria sessualità, legato a timori, stereotipi e alla mancanza di conoscenze adeguate, anche di ordine fisiologico.
Così, gli anziani si trovano spesso impreparati, timorosi, diffidenti di fronte al primo palese mutamento della propria sessualità. L’uomo nel panico per una difficoltà di erezione o per un diverso ritmo nello svolgimento del rapporto; la donna risentita e pervasa da sensi di colpa nel sentirsi non abbastanza desiderata e incapace di soddisfare il suo compagno.
In realtà, spiega Aveni Casucci (1992), ambedue possono migliorare il loro rapporto di coppia se messi in grado di riconoscere che esistono modificazioni fisiologiche relative all’età, che queste non sono identiche per l’uomo e per la donna e che sono il prodotto di ritmi biologici specifici e non della qualità del loro amore e dei loro desideri. Inoltre, in condizioni di buona salute, i veri motivi di modificazione o di cessazione dell’inattività sessuale sono quasi sempre di natura psicologica e quasi mai fisica.
Infatti, la coppia veramente unita, che ha vissuto armonicamente la sua intimità, conserverà, indipendentemente dai mutamenti fisici, l’abitudine ad una certa frequenza dei rapporti sessuali, come naturale continuum della vita vissuta precedentemente. E questo proprio perché, mai come in questo delicato periodo della loro vita, l’uomo e la donna hanno bisogno di sentirsi vicini.
L’uomo, uscito dall’ambiente del lavoro, si sente inutile, alienato da quello che era un ruolo essenziale della sua vita; la donna, che ha sperimentato il vissuto del “nido svuotato” con l’allontanamento da casa dei figli ormai adulti, si sente spesso disorientata. Ciò che può dare una ragione alla loro esistenza è saper vivere insieme, più intensamente che mai, anche attraverso una nuova impostazione del rapporto di coppia.
Tuttavia, da numerose ricerche e colloqui con anziani risulta che spesso il matrimonio è vissuto dalla coppia come un peso. Infatti, le relazioni coniugali, dopo molti anni di matrimonio, risentono spesso di numerose e rilevanti riduzioni e inversioni dei ruoli di genere.
Per molte coppie, il pensionamento comporta la diminuzione dell’attività professionale e delle risorse economiche disponibili. Variabili correlate al pensionamento come la sfiducia in se stessi, le tensioni relative all’autorità familiare e altri adattamenti, che occorrono con la fase post-pensionamento , possono determinare importanti conflitti tra i coniugi. I ruoli precedentemente impegnati nell’attività di genitori tornano a concentrarsi sul matrimonio. Di conseguenza, se il matrimonio è stato trascurato o tenuto in vita per “motivi funzionali” (per es. per il bene dei figli o per preoccupazioni di natura finanziaria) si registra un aumento dei disaccordi coniugali e dei divorzi .
Con il trascorrere degli anni, la coppia subisce inevitabilmente molteplici perdite e cambiamenti dello stile di vita. I figli lasciano la casa, si instaura un processo di indebolimento fisico e mentale. Si perde il lavoro o si raggiunge il pensionamento, la coppia o i vecchi amici possono traslocare, amici e familiari talvolta muoiono, si riducono o si perdono numerose altre opportunità. Queste molteplici perdite rappresentano sfide rilevanti alla soddisfazione e stabilità coniugali.
Sul piano sessuale, la coppia può sperimentare un altro tipo di inversione di ruoli. L’uomo subisce generalmente un rallentamento, spesso accompagnato da un notevole declino nelle energie e capacità di performance nell’attività sessuale. La moglie, invece, libera dalle responsabilità di madre, dagli stress del lavoro quotidiano, dalle preoccupazioni del controllo delle nascite e con un rinnovata energia vitale, può sentirsi più rilassata e interessata a una vita sessualmente attiva.
Tra le coppie anziane che richiedono una terapia coniugale le lamentele raramente riguardano la vita sessuale. Tuttavia i problemi legati all’interazione e funzione sessuale emergono spesso come motivo di intervento terapeutico.
Inoltre, i tentativi non riusciti nell’affrontare i problemi di salute fisica e/o mentale risultano spesso correlati ai disaccordi coniugali. Infatti, alla maggior longevità si possono accompagnare forme acute e croniche di malattia. Sebbene il matrimonio comporti evidenti benefici per il coniuge malato, il peso gravante sul coniuge che assiste può risultare opprimente. In tali situazioni, il rapporto può modificarsi da quello di scambio e supporto reciproco a quello dell’assistenza unilaterale. Inoltre, molte coppie si impoveriscono finanziariamente ed emotivamente quando devono spendere i risparmi di una vita in cure mediche e in case di riposo.
Nonostante sia chiaro che le coppie anziane in crisi matrimoniale hanno necessità sostanzialmente diverse rispetto alle coppie giovani o di mezza età, non esiste sinora alcun programma di trattamento matrimoniale valido empiricamente e specificamente previsto per le coppie di anziani.
È comunque evidenziato da più ricerche come la situazione di coppia possa essere un supporto fondamentale nella vita di una persona che invecchia. Donne anziane vedove o isolate, studiate dal punto di vista sessuale, mostrano un abbassamento di attività molto più significativo rispetto alle donne sposate di età corrispondente. L’intesa sessuale e affettiva dei coniugi da tanto tempo adattati svolge sicuramente una funzione positiva , mentre una relazione non equilibrata sul piano affettivo ed emotivo può sortire un effetto negativo, anche più di un eccesso di stimoli che può produrre ansia e interferire sul comportamento. Così, come gli studiosi negli ultimi anni hanno dimostrato, nelle coppie ove si instaura un’integrazione, un aiuto reciproco gli anziani vivono più a lungo e in condizioni di salute più durevole rispetto agli anziani celibi, nubili, vedovi/e o divorziati che, invece, sono tra i più esposti alla mortalità e il loro livello di età media è più basso. Recenti studi hanno infatti dimostrato che lo stress psico-emotivo dovuto al divorzio e alle separazioni provoca, specie nelle donne, la morte anticipata rispetto all’età media di mortalità, e soprattutto una lunga serie di disturbi e di malattie psicosomatiche che, oltre alla depressione, possono avere come massima espressione persino il tumore.
Fattori fisiologici e fisiopatologici
Il processo d’invecchiamento, è accompagnato da modificazioni fisiologiche inevitabili quali una minor elasticità della pelle, una certa atrofizzazione muscolare, minore capacità polmonare e della vescica ecc. Queste modificazioni fisiologiche si possono considerare un aspetto del “normale processo d’invecchiamento” e non patologiche di per se stesse. Esistono anche delle modificazioni psicologiche che fanno parte del normale processo d’invecchiamento. La sensibilità dei cinque sensi diminuisce con l’età e questo influisce sia sulle sensazioni sia sulle percezioni.
Queste modificazioni fisiologiche e psicologiche influiscono sul comportamento sessuale: come per ogni età, la pulsione sessuale dell’anziano è correlata con lo stato di salute e con la validità fisica, aspetti che sono in interdipendenza con il benessere psicologico personale. Le modificazioni, infatti, sono sia qualitative che quantitative e i due piani non sono facilmente distinguibili. Dunque, se i cambiamenti influiscono sul comportamento, le situazioni più strettamente connesse al vissuto psicologico possono condizionare il tipo e l’efficienza della funzione. Le differenze interindividuali nelle prestazioni sono marcate; si può essere sessualmente validi a 80 anni e accusare uno stato d’impotenza a 50. Tuttavia, sul piano fisiologico, la persona sana conserva un’efficienza sessuale potenziale in media fino a 70-75 anni.
Per comprendere più nello specifico quali siano le modificazioni fisiologiche che occorrono nel normale comportamento sessuale nell’età avanzata, occorre prendere in considerazione la distinzione di genere (maschile o femminile) per comprendere quello che viene chiamato ciclo di risposta sessuale (Masters e Johnson). Quest’ultimo consiste in una serie di modificazioni psicofisiologiche che si ritiene descrivano la tipica sequenza di comportamenti in una normale esperienza sessuale. Inoltre, esso presenta delle possibili varianti individuali abbastanza marcate.
Inoltre, va specificata una differenza fondamentale che riguarda i due generi. Nella donna, infatti, l’invecchiamento sessuale è contraddistinto in modo preciso dalla cessazione delle mestruazioni e dei meccanismi neuro-ormonali che le sostengono. Questo cambiamento comporta la perdita di fertilità e del ruolo socio-familiare ad essa connesso, e comporta anche un’alterazione simbolica (di grande rilievo) del proprio schema corporeo. Infatti, ancora oggi, nonostante la moderna sessuologia, la sociologia e la psicologia nonché le correnti più innovatrici di teologia morale, la dissociazione della sessualità dal momento riproduttivo rimane ampiamente legata a pregiudizi che negano il diritto ad una normale sessualità alla donna in climaterio. Questo spiega perché l’età a cavallo della menopausa sia forse quella più significativa e contraddittoria per le donne dal punto di vista psicosessuale. La donna, infatti, dopo la cessazione delle mestruazioni sperimenta una crescita di bisogni e per contro un atteggiamento di rinuncia alla propria sessualità (intorno ai 55 anni) che sta tra la delusione e l’influsso dei tabù educativi. Questi inoltre, alimentano l’errata convinzione che la donna in menopausa sia poco interessata a continuare l’attività sessuale.
Così, la riprovazione che la donna non più feconda forse implicitamente teme dall’ambiente familiare e sociale, unita alla preoccupazione per pericoli inesistenti (dovuti a scorretta informazione) o frustrata dalla propria esperienza sessuale sono di ostacolo al cogliere l’aspetto liberatorio e soddisfacente di una sessualità che non ha limiti di età.
Le fasi che descrivono il ciclo di risposta sessuale sono: 1. fase di eccitamento; 2. fase di plateau; 3. fase di orgasmo; 4. fase di risoluzione. Le modificazioni indotte nell’età presenile e senile, possono riguardare non solo il singolo individuo ma anche la coppia in quanto tale. Infatti, la moderna sessuologia non considera mai la funzione e la disfunzione sessuale come eventi unilaterali ma come espressione di equilibrio o squilibrio nel rapporto.
Nella prima fase (di eccitamento) può accadere che il maschio senescente sperimenti un ritardo nell’erezione, oppure l’erezione può manifestarsi incompletamente, può essere meno valida e venire perduta più facilmente a causa di varie interferenze. Ciò può ingenerare insicurezza, panico, stato d’ansia permanente, tentativi di forzare la situazione con l’autoimposizione. Questo atteggiamento dannoso non esaurisce la sua spiegazione in motivi più generali d’insicurezza di sé, ma è dovuto soprattutto a disinformazione o ad un’errata concezione dell’attività sessuale.
Nella donna, dopo la menopausa, si nota in questa fase un ritardo della lubrificazione vaginale che corrisponde funzionalmente e cronologicamente a quello descritto a proposito dell’erezione del maschio, e tale ritardo è in diretto rapporto anche con la diminuita secrezione ormonale. Inoltre si hanno una serie di modificazioni quali la riduzione del lume vaginale, l’assottigliamento e l’atrofia delle sue pareti che comportano la diminuzione del potenziale di espansione involontario della vagina. Inoltre la mucosa diventa più pallida, assottigliata e maggiormente irritabile.
Nella seconda fase (di plateau) generalmente si verifica nel maschio un prolungamento della durata di questa fase. In particolare, l’uomo tra i 50 e i 70 anni è in grado di controllare questa fase molto meglio che fra i 20 e 40 anni e di mantenere un elevato livello di tensione con sensazioni nettamente piacevoli per un tempo indefinito. Questa capacità potrebbe essere l’espressione di una sessualità matura e controllata, di un’acquisizione comportamentale.
Nella donna, le modifiche che avvengono in questa fase sono meno facilmente avvertibili, e sono comunque ininfluenti sulla disponibilità sessuale della maggior parte delle donne.
Nella terza fase (orgasmica) le varianti che si verificano nell’invecchiamento del maschio possono essere numerose e diverse. I più comuni disturbi eiaculatori sono: l’emospermia (questo sintomo, che più preoccupa il paziente, in realtà è solo eccezionalmente qualcosa di serio; normalmente si manifesta senza altri disturbi e senza dolori: se il sangue appare colore rosso vivo, si ritiene provenga dalla prostata, mentre quello brunastro proviene più facilmente dalle vescicole seminali; solo eccezionalmente si tratta di cancro alla prostata; in ogni caso, con opportune cautele il soggetto che presenta emospermia può continuare a proseguire l’attività sessuale), il diniego eiaculatorio e l’eiaculazione dolorosa.
Nella donna senescente, questa fase comporta modificazioni nel senso di una diminuzione in frequenza e quantità delle contrazioni ritmiche della piattaforma orgasmica: essa è rappresentata dal terzo esterno della vagina e dalla muscolatura pelvica (prevalentemente l’elevatore dell’ano). Anche l’utero partecipa alla manifestazione orgasmica con contrazioni di tipo espulsivo, e in certi casi può manifestarsi una contrazione spastica della muscolatura uterina che può causare dolori talvolta irradiati anche alle gambe.
Nel maschio, la quarta fase (di risoluzione) si caratterizza per la rapidità della detumescenza dopo l’eiaculazione e per il prolungamento del periodo refrattario. Nella donna si ha una rapida decongestione dei visceri in modo analogo al maschio ma senza un corrispondente significato funzionale. Nella donna, infatti, vi è la possibilità di una nuova eccitazione quasi immediata e una possibilità pluriorgasmica anche in età avanzata.
Al di là dei cambiamenti individuali nel comportamento sessuale, esiste anche un problema di cambiamento complessivo del comportamento della coppia, la cui articolazione assume delle interdipendenze più complesse con il trascorrere del tempo e il consolidarsi del legame interpersonale. Infatti, un rapporto duraturo diventa qualcosa di molto più impegnativo e sofisticato anche a livello di stimolazione del Sistema Nervoso Centrale, e questo spiega la necessità di correggerlo se errato, e la necessità e terapeuticità della separazione tra individui che si condizionano negativamente.
Per quanto riguarda il comportamento sessuale patologico degli anziani, quindi, va tenuto conto del fatto che il sesso non è un’attività individuale ma di coppia e sottoposta a importanti condizionamenti esterni che vanno considerati in qualsiasi approccio terapeutico che voglia essere valido. La sessualità, infatti, essendo un’attività di coppia, può essere influenzata dalle condizioni socio-familiari dell’anziano in modo più determinante di quelle fisiche e psicologiche.
Gli uomini e le donne possono presentare problemi in una o più delle fasi del ciclo di risposta sessuale, e l’età avanzata può essere un fattore totalmente irrilevante per spiegare questi problemi sessuali.
Inoltre, nella clinica sessuologica, le disfunzioni sessuali sono considerate quelle condizioni che non consentono l’attuazione dei propri desideri sessuali o che la disturbano in modo rilevante. La censura nei confronti del comportamento sessuale, soprattutto degli anziani, ha spesso origine dall’auto-repressione dell’individuo.
In età matura ed avanzata, i comportamenti inadeguati nel maschio sono comunemente rappresentati dall’impotenza secondaria e dall’incapacità eiaculatoria, e nelle donne dalla disfunzione orgasmica, dalla dispareunia e dal vaginismo. La disfunzione orgasmica può essere primaria cioè con assenza assoluta dell’esperienza orgasmica, oppure situazionale, cioè presente in certe condizioni o mediante certe modalità e non con altre. La dispareunia è un dolore genitale persistente o ricorrente associato al rapporto sessuale. Il vaginismo è una contrazione spasmodica e dolorosa del muscolo della vagina che impedisce la penetrazione del pene.
Le malattie possono implicare direttamente o indirettamente problemi nel funzionamento sessuale. Spesso è il trattamento dei disturbi fisici a provocare la disfunzione sessuale. E’ il caso, ad esempio, di molti antipertensivi somministrati a soggetti di sesso maschile che provocano, come effetto collaterale, difficoltà nell’erezione. Oppure, un anziano può essere ansioso riguardo all’attività sessuale per timore che questa possa provocargli un altro infarto.
Fattori sociali che ostacolano l’attività sessuale
I fattori socialmente negativi che determinano una diminuzione o una sospensione dell’attività sessuale sono da ricercare nelle ristrettezze economiche, nella coabitazione forzata o nelle residenze collettive disagiate e organizzate con criteri disciplinari coercitivi. Vanno ricercati nelle contraddizioni della salute pubblica che dovrebbe garantire, proprio nel periodo dell’invecchiamento, il massimo grado di efficacia e di coerenza socio-sanitarie e invece dimostra gravi errori nella gestione della salute pubblica. Basti pensare a quanto sia difficile, per gli anziani che risiedono in case di riposo, ritagliarsi degli spazi in cui poter godere dell’intimità che si desidera per l’interazione sessuale. Infatti, le case di riposo sono strutturate in modo tale che gli anziani hanno spesso compagni di stanza dello stesso sesso e sono pochi gli ambienti in cui possano godere di una relativa privacy. Questo spiega in parte perché, negli anziani che vivono in istituto e nelle case di riposo, le emozioni negative prevalgono di gran lunga su quelle positive. Infatti, la relazione con un ambiente coercitivo diventa passiva, così che la rabbia per la sensazione di essere limitati nell’autorealizzazione (anche sessuale), la tristezza per la solitudine e la mancanza di aiuto sperimentate, unite alla paura della malattia, della sofferenza fisica e della morte rappresentano spesso il vissuto di queste persone imprigionate negli stereotipi e nei pregiudizi presenti anche negli ambienti istituzionali e socio-sanitari.
Infine, un ulteriore fattore che limita le opportunità di svolgere un’attività sessuale in senescenza, riguarda la precoce mortalità degli uomini, per cui le donne anziane eterosessuali possono riscontrare una significativa diminuzione nel numero di partner disponibili.
Stereotipi e miti sulla sessualità del senescente
Sono molti gli stereotipi e le false credenze che ricorrono intorno al rapporto tra l’anziano e la sessualità (Waltzman & Karasu1, 1972, Pfeiffer2, 1975, Kuhn3, 1976, Hotvedt4, 1983, Aveni Casucci, 19885, 19926) e che rispecchiano l’eredità di una società sessuofobia. Tra di essi i più ricorrenti sono7:
"Il vecchio ha raggiunto la pace dei sensi”. In realtà l’invecchiamento non comporta l’incapacità a condurre un’attività sessuale. Come ha sottolineato Aveni Casucci “la sessualità umana è una modalità intima di relazione tra due persone” e rimane un diritto proprio di ogni essere umano anziano compreso. Inoltre il rapporto che ogni individuo ha costruito con la sua sessualità continuerà a condizionarlo anche in età avanzata.
“Nell’età avanzata, gli individui non sono sessualmente desiderabili, non provano desiderio sessuale e non sono sessualmente capaci”
“Gli anziani dovrebbero essere separati in base al sesso negli istituti, per evitare problemi al personale e critiche da parte dei familiari e della comunità”
“La sessualità dell’anziano è deviante e criminosa”. Questo può accadere se la sessualità è coartata e distorta da pressioni sociali negative quali le ristrettezze economiche, la coabitazione forzata in posizione subalterna o nelle residenze collettive caratterizzate da una rigida disciplina ecc. In ogni caso questa convinzione non è inevitabilmente legata all’attività sessuale nella senescenza, dato che la sessualità dell’anziano può essere normalmente vissuta da questi, esattamente come nelle fasi precedenti della vita. Purtroppo però, nella nostra società non è riconosciuto il diritto alla vita affettiva ed erotica degli anziani, sia quelli in perfette condizioni di salute, sia quelli affetti da demenza o portatori di handicap fisici e/o psichici, sia gli anziani affetti da gravi patologie. Così ad esempio, capita che spesso gli operatori sanitari non forniscano informazioni corrette sulla sessualità degli anziani affetti da demenza anche quando sollecitate dagli stessi congiunti, deformandole sulla base di un pregiudizio di fondo (secondo il quale i dementi svilupperebbero inevitabilmente comportamenti sessuali inadeguati) che scoraggia il mantenimento della vita intima della coppia anziana (Szwabo, 2000.)8.
“La sessualità dell’anziano è di per sé una malattia”; “Caratteristici dell’anziano sono l’esibizionismo, la masturbazione, il voyeurismo, l’omosessualità vicariante, la pedofilia,la corruzione”. La sessualità dell’anziano è ancora viva ed attiva, ma quando ne è riconosciuta l’esistenza, le viene negata ogni connotazione di normalità, mentre andrebbe tenuto presente che la sessualità anormale è primariamente quella inibita, rigida, condizionata dall’ansia e fonte a sua volta di frustrazione. Così il mito della vecchiaia ‘asessuata’ condiziona l’anziano e non gli permette di avere uno spazio soprattutto mentale e psicologico per la vita sessuale che diventa per lui oggetto di censura, ostilità e talora persino di disprezzo e ripulsa. Inoltre non va dimenticato che la masturbazione e le pratiche di autoerotismo (come la visione di materiale a contenuto sessuale e le fantasie) possono contribuire a mantenere un buon livello di desiderio e di funzionalità dei genitali (Tammaro, 1996, pp.25). Pertanto tali attività non sono deprecabili come ci informa un pregiudizio ancora molto comune.
O’Donohue (1987)9 ha esaminato le evidenze che provano come tali affermazioni siano condivise dagli anziani e dai giovani, e che si tratta solo di false credenze. La loro larga adesione nel sociale, tuttavia, comporta un’accurata attenzione da parte dei clinici che devono stabilire se questi preconcetti sono condivisi dal paziente anziano o da altre persone influenti (es. dal personale della casa di riposo o da altri addetti all’assistenza) e se cambiare tali convinzioni può avere un effetto positivo. La disfunzione sessuale è infatti un problema psicofisiologico che nasce dall’interazione fra fattori fisiologici e fattori psicologico/sociali.
McCary10, analizzando i fattori che determinano negli uomini anziani una diminuzione fino alla totale astensione dall’attività sessuale, sottolinea l’importanza di quelli psicologici come il senso di colpa e di vergogna per aver ancora in età avanzata esigenze e pulsioni sessuali e forse ancor più il pregiudizio che fa credere agli anziani di essere fisiologicamente incapaci di rapporti sessuali. Il problema dei condizionamenti sociali e culturali che gravano sull’anziano mostra quanto essi influenzano grandemente la sua condotta, anche sessuale. Secondo Aveni Casucci (1992)11, quindi, la libertà sessuale e il rispetto dei giusti diritti delle persone anziane sono raggiungibili solo passando attraverso lo sradicamento dei pregiudizi, il mutamento degli atteggiamenti deformanti e repressivi che ne consegue, sulla base di una rivalutazione dell’immagine reale della sessualità dell’anziano.
NOTE:
1 Waltzman S A Karasu T B (1972) Sex in the Elderly in: Karasu T B Socarides (eds), On Sexuality 8 123-160 (cit in Albani F (gennaio - giugno 2002) Nonnità e pedofilia in Casonato M (a cura di) “Psicoterapia” 24 85-101)
2 Pfeiffer E (1975) Sexual behaviour 14 in: Howells JG (ed) Modern Perspectives in the Psychiatry of Old Ag, Brunner/Mazel New York pp. 313-325 (cit in Albani F (gennaio - giugno 2002) Nonnità e pedofilia in Casonato M (a cura di) “Psicoterapia” 24 85-101)
3 Kuhn M E (1976) Sexual myths surrounding the aged in. Oaks W W Melchoide G Ficher I(Eds) Sex and the life cycle Grune & Stratton New York p. 123 (cit. in Hersen M Van Hasselt V B (1996) Trattamenti psicologici nell’anziano Cesa-Bianchi M Tàmmaro A E (a cura di) McGraw-Hill Milano 1998)
4 Hotvedt M (1983) The cross cultural and historical context in Weg R B (Ed) Sexuality in the later years Academic Press New York (cit. in Hersen M Van Hasselt V B (1996) Trattamenti psicologici nell’anziano Cesa-Bianchi M Tàmmaro A E (a cura di) McGraw-Hill Milano 1998)
5 Aveni Casucci M A (1988) La sessualità e l’anziano 14, in Squadrito G Ceruso D Nicita-Mauro V “Geriatria Oggi” Editoriale Bios Cosenza pp. 147-161
6 Aveni Casucci M A (1992) Psicogerontologia e ciclo di vita Mursia Milano
7 Albani F (gennaio-giugno 2002) Nonnità e Pedofilia “Psicoterapia” n. 24 pp. 85-101
8 Szwabo P A (June 2000) Sexuality and Alzheimer’s Disease “IPA Bulletin” vol. 17 n. 2 pp. 15-16-20
9 O’Donohue W (1987) The sexual behavior and problems of the elderly in Carstensen L Edelstein B(Eds) “Handbook of clinical gerontology” 66-75 Pergamon Press Elmsford NY
10 McCary J L (1968) La sessualità umana Longanesi Milano
11 Aveni Casucci M A (1992) Psicogerontologia e ciclo di vita Mursia Milano
INVECCHIAMENTO E VECCHIAIA
COMUNICARE CON L’ANZIANO
L’ATTIVAZIONE PSICOMOTORIA
PSICOLOGIA D’APPOGGIO ALL’OPERATORE CHE ASSISTE
(a cura di dr.ssa Flavia Albani, psicogerontologa)
(ed. 1997)
INVECCHIAMENTO E VECCHIAIA
Frequentemente nella vecchiaia si ha una accentuazione delle caratteristiche di personalità: prudenza, rigidità dei comportamenti, minore flessibilità, maggiore introversione.
Nella vecchiaia si moderano certi tratti caratterologici dell'età più giovane, quali l'impulsività, il rigore verso gli altri, l'aggressività, e ne deriva una minore tensione nel comportamento. L'esperienza, l'abitudine alle frustrazioni, un certo distacco dalle passioni contribuiscono ad un atteggiamento più paziente, un umore più stabile, una certa indipendenza dalle convenzioni e dai compromessi, una comprensiva dolcezza, mancanza di fretta, filosofica tolleranza.
La vecchiaia può rappresentare l'occasione per un nuovo assetto che conferirà maggiore sicurezza narcisistica: le mete e le illusioni del passato, più o meno ambizioso, sono sostituite da progetti più aderenti alle proprie capacità attuali, l'autostima ne esce rafforzata e diminuisce l'ansia prestazionale.
Sono frequenti: irascibilità, impulsività, variazioni dell'umore, manifestazioni della "Brain Organic Syndrome", cioè del quadro neurobiologico dell'invecchiamento ed in effetti l'involuzione si presenta spesso con questo aspetto. Rabbia, rancore, ribellione, maledizioni a chi l'aiuta, sono manifestazioni presenti in molti anziani, malati. Queste manifestazioni di tensione interpersonale sono spesso gli effetti di meccanismi di competizione accentuati dalla situazione esistenziale: competizione delle donne anziane con le più giovani (per la bellezza, per il governo della casa, ecc.) e degli uomini (per conservare il posto di lavoro o per mantenere il proprio rango: nel club, nello sport, nella politica, ecc.).
Un tipico, grave circolo vizioso nell'assetto psicologico del vecchio è quello tra manifestazioni dell'involuzione e isolamento dall'ambiente. Le diminuite capacità motorie, i deficit sensoriali, portano al ritiro dall'ambiente, al ripiegamento su se stessi, all'isolamento e privano l'individuo di quelle gratificazioni che hanno origine dallo scambio con gli altri e che agiscono come veri e propri feedback che mantengono un comportamento socievole.
I cambiamenti estetici della vecchiaia, come calvizie, flaccidità, rughe, adiposità, pancia, ecc. colpiscono le persone nel loro narcisismo e sono motivo di rifiuto (più o meno esplicito e consapevole) da parte degli altri. Si diventa meno attraenti anche nella semplice conversazione: gli argomenti non sono più attuali; le battute spiritose sanno di stantio; le frasi un tempo di moda, sono ammuffite.
Si impoverisce anche il comportamento espressivo gestuale, che si fa meno vivace, più lento, fino alla ipocinesia ed alla ipomimia del parkinsonismo, dando la falsa impressione di indifferenza, di scarsa partecipazione, di comportamento superbioso e scostante, che certamente non attrae la simpatia e che non invoglia gli altri ad intavolare un rapporto.
Mentre i bambini si accettano subito tra loro a prima vista, gli anziani sono portati a rifiutarsi, ad escludersi a vicenda, sia per un disinteresse che rivela la difficoltà ad ammettere nuovi elementi nella rete dei rapporti, sia per la spirale di diffidenza non superata dalla necessità degli scambi. Giorno dopo giorno si erige una barriera fatta di rinunce, di rituali, di piccole abitudini, di colloqui interiori, che riduce la comunicazione con gli altri, che diventa sempre più impenetrabile a nuovi interessi e finisce per limitare le capacità di adattamento.
Non è infrequente nelle persone di età avanzata un trascurare la pulizia personale, con disordine nell'abbigliamento, con scarsa cura dell'aspetto esteriore ecc. Contribuiscono molti fattori: una diminuita motivazione alla ricerca di una immagine personale attraente, un deficit motorio e sensoriale (tipica la difficoltà di molte donne anziane nel truccarsi, con risultati a volte disastrosi; tipico il non veder bene le macchie di un vestito o il non avvertire il cattivo odore del proprio corpo; tipica la rinuncia al bagno per la paura di scivolare o alle abluzioni per paura di prendere freddo ecc.).
Si può giungere, insensibilmente, a gravi disordini nella cura personale, fino alle forme demenziali con l'incontinenza, la manipolazione delle feci ed altri comportamenti analoghi.
E' chiaro che questi aspetti della vecchiaia ne aggravano l'isolamento e, anche nelle forme minori, comportano il crearsi, nell'ambito di una stessa famiglia, di più o meno larvati meccanismi di ripugnanza e di esclusione.
I difetti fisici della vecchiaia, come già ricordato, possono ripercuotersi in modo grave sullo stato psichico: è classica la figura dell'anziano sordastro, che diventa sospettoso, che tende a interpretare malevolmente le parole che non riesce a sentire, che risolve il problema isolandosi sempre di più.
Ma i difetti fisici possono anche aggravare l'assetto esistenziale del vecchio col renderlo sgradevole agli altri: le difficoltà di masticazione, una protesi non ben sistemata, lo portano talora a modalità non ben accette dagli altri convitati. Ci si vergogna del nonno e si fa in modo di farlo mangiare da solo, se ci sono ospiti; e il nonno, mangiando da solo si abituerà insensibilmente ad un comportamento poco rispettoso del galateo. Esempi del meccanismo di emarginazione inscritto in un vero circolo vizioso.
Tutte le modalità di rifiuto e di emarginazione sono altamente deleterie, perché non solo riducono gli stimoli e quindi aggravano l'involuzione cognitiva, ma anche peggiorano le caratteristiche della personalità psicologica, con sospettosità, malumore depressivo od anche costruzioni deliranti.
L'energia che non viene più impiegata nei rapporti con l'ambiente esterno si ripercuote sullo stesso soggetto sotto forma di aggressione al proprio soma. Nel vecchio si attua un divorzio tra il corpo e la mente ed il corpo riacquista la priorità di cui godeva nell'infanzia: ecco l'accentuarsi di tutte le manifestazioni di somatizzazione e l'aumento dell'attenzione per tutte le funzioni corporee.
Indubbiamente nel vecchio si ha una ridotta capacità di adattamento, in senso generale, cioè la capacità di mantenere l'omeostasi di fronte a stimoli esterni o interni. Questo è di comune osservazione e di grande rilievo sul piano fisico (la minore resistenza al freddo, alla fatica ecc.), ma è anche importante sul piano psichico per poter inter-reagire all'ambiente e provvedere agli opportuni compensi per le inevitabili perdite che l'età comporta.
Si parla molto di disadattamento nell'età senile per intendere un generico stato di sofferenza personale o di un insufficiente inserimento o di problematica relazionale. Questo disadattamento non è sempre una conseguenza dell'involuzione senile, ma talora è la società (dei consumi), il vicino (malevolo) o la famiglia (scombinata o intollerante) a creare artificiosamente il problema del vecchio (disadattato).
In effetti l'equilibrio psicologico del vecchio è spesso messo in difficoltà dall'ambivalenza dell'ambiente che gli richiede, da una parte, un aspetto giovanile, prestanza, flessibilità, anticonformismo, autonomia, ma che dall'altra critica impietosamente ogni atteggiamento che non corrisponda allo stereotipo culturale della vecchiaia.
Un altro aspetto abbastanza caratteristico della vecchiaia è l'indecisione, l'indeterminazione, l'insicurezza, che possono sconfinare nell'inazione. Non sono altro che la conseguenza logica dell'esperienza, dell'aver incontrato ostacoli di ogni genere, dell'aver subito delusioni, frustrazioni e sconfitte. La vecchiaia è l'età dei dubbi, dei forse, del possibilismo: la paura di sbagliare è grande, non solo per l'esperienza degli errori accumulati negli anni, ma anche perché se si sbaglia non c'è più tempo per ricominciare.
Il soggetto che invecchia elabora una disistima di sé, alimentata da varie componenti, peculiari a seconda della personalità individuale: per alcuni sarà la decadenza fisica, per altri l'insicurezza, per altri ancora la compromessa immagine ecc.
I rapporti col passato sono fondamentali per comprendere l'assetto psicologico del vecchio e, per così dire, invadono il suo presente; il passato è ad un tempo la sua ricchezza e la sua dannazione: ricchezza perché gli dà i vantaggi dell'esperienza e possibilità di rifugio ideativo, dannazione perché i ricordi, i rimorsi, i rimpianti possono soffocarlo.
Esiste nella vecchiaia una deformazione ottimistica degli eventi passati che, nel racconto, perdono lo smalto emotivo negativo e si connotano volta a volta di sentimenti piacevoli: quello della prova superata, del traguardo raggiunto, dello scampato pericolo, della dimostrata capacità di sopportare le avversità fino al limite del sentirsi in qualche modo valorizzati anche dal record personale delle disgrazie. Si formano così degli accoppiamenti obbligati:
passato = bene
presente = male
gioventù = felicità
vecchiaia = dolore
con veri stereotipi culturali che trovano espressione a vari livelli: dalla conversazione comune alla produzione artistica. E' come se, col passare degli anni e quindi col distanziarsi degli eventi, la memoria compisse un'opera di selezione, scartando molti dei ricordi negativi, e di trasformazione modellandone altri con intervento cognitivo, che porta a interpretazione e valutazione diversa da quella originale.
E' questo uno dei meccanismi più efficaci per fare del passato una fonte di infelicità: lasciar trasparire solo il buono e il bello, riconoscendo nella propria giovinezza l'età dell'oro irrimediabilmente perduta e rendendosi così inaccessibile una inesauribile riserva di tristezza.
Un altro "vantaggio" della fedeltà al passato consiste nel fatto che in queste ruminazioni nostalgiche non rimane il tempo di dedicarsi al presente. Il rischio è di scivolare il un misoneismo sistematico, che in molti casi è solo una razionalizzazione difensiva del fatto che, in vecchiaia, capire una idea nuova è difficile, come è difficile usare uno strumento nuovo o adattarsi ad una regola nuova, cambiando abitudini inveterate.
Il ripiegamento sul passato, proprio del vecchio, con difficoltà al cambiamento, con forte condizionamento nelle scelte, è l'opposto del proiettarsi nel futuro proprio delle persone giovani. In queste anche tutta la conversazione verte sul futuro: esami, vacanze, feste, motorini, ragazze. I "vecchi amici" parlano invece dei ricordi: della scuola, della vita militare, delle gite fatte, delle avventure corse ecc. Anche nell'amore la differenza nel modo di viverlo è evidente: il giovane lo vive come l'inizio di un amore eterno, il vecchio sempre più lo riduce al presente.
Questo proiettarsi nel futuro è alimentato dalla immaginazione, che nel giovane, a differenza del vecchio, è fluida e tale da prospettargli possibilità sempre nuove. Ma questa regola generale del programma (immaginare e giocare da vecchi non serve perché non c'è più nulla da imparare) trova, una eccezione nell'uomo che anche da vecchio può avere tante cose da imparare. Ricerche avvalorano questa tesi.
Un aspetto di questo intridere la vita nel passato è costituito dall'allestire una sorta di collezione di rimpianti, cioè di tutte le occasioni perdute, le scelte errate, gli obiettivi mancati, le iniziative che si dovevano intraprendere, le decisioni che invece dovevano essere scartate ecc. Questa collezione non è utilizzata, di solito, per stimolo a soluzioni nuove e incoraggiamento a progettare, a modificare, a ricominciare, ma solo come sterile accontentarsi di un sogno ("se avessi... avrei potuto...").
Ma i troppi rimpianti possono innescare anche meccanismi perversi. Rimpianti ai quali alcuni reagiscono con continui rimorsi e disprezzo di sé, altri invece con rimproveri e accuse nei confronti del mondo esterno, che è l'altro dominante, o il Fato. Siamo al solito errore di voler accusare se stessi o gli altri uomini, anziché il destino o gli dei, dei nostri malanni, connotando i nostri pensieri e le nostre azioni in tonalità intrapunitiva o extrapunitiva fino ai limiti della depressione o del delirio.
La sequenza ricordoÞrimpiantoÞdepressione è nella vecchiaia molto frequente, ma forse è ancor più frequente quella ricordoÞrimorsoÞdepressione. Una tonalità depressiva è alla base di molte espressioni psicologiche della vecchiaia, che ha il pesante fardello di un accumulo di eventi, molti dei quali con la caratteristica delle perdite.
COMUNICARE CON L’ANZIANO.
ALL’ORIGINE DELLA COMUNICAZIONE: IL LINGUAGGIO CORPOREO.
L’esperienza di vita con gli anziani insegna codificazioni e messaggi comunicativi tutti da conoscere e da interpretare: nessuna attività con l’anziano può prescindere da quella condizione iniziale che è l’ascolto dell’altro in tutte le sue forme di comunicazione. E’ unicamente da un ascolto attento e puntuale che possono scaturire progetti realmente rispettosi dei ritmi psichici e biologici di chi invecchia.
Il piangere, il lagnarsi, le parolacce, le esibizioni dell’anziano, specie se istituzionalizzato, rappresentano tipici canali di comunicazione passiva: l’esteriorizzazione di un bisogno. Il desiderio di farsi compiangere (lagnanza), la manifestazione di una reale sofferenza (piangere), la ribellione aggressiva e trasgressiva (parolacce) sono molteplici forme con cui l’anziano cerca di comunicare una condizione di disagio esistenziale.
Anche il silenzio è una particolare forma di comunicazione. Se nell’accezione più classica il messaggio del silenzio invia sentimenti di rifiuto, chiusura, rancore, per l’anziano più debole, incapace di farsi ascoltare, il silenzio può rappresentare l’estremo grido di aiuto.
Alle origini della comunicazione umana il movimento e il gesto precedono notevolmente ogni forma di verbalizzazione. La comunicazione non verbale rappresenta nella razza umana per tutto il periodo neonatale l’unica grande modalità espressiva e comunicativa, mantenendo per tutto l’arco dell’esistenza un ruolo di grande importanza relazionale, complementare, ma non necessariamente subordinato, alla verbalizzazione orale.
La persistenza di linguaggi corporei e gestuali nell’adulto si manifesta come ordinario complemento dell’espressività verbale, facendone parte integrante, oppure come componente primaria nelle manifestazioni viscerali di aggressività e difesa, rabbia e abbandono, amore e attrazione ecc.
Gli atteggiamenti, condotte posturali statiche di base, esprimono posizioni psicologiche di fondo verso l’ambiente circostante o l’interlocutore. Ci riferiamo alle classiche reazioni somatiche di difesa e di aggressività che accompagnano il vissuto interiore nei rapporti con gli altri attraverso variazioni del tono muscolare e della postura.
Ad esempio, reazioni corporee improntate alla rigidità traducono personalità permanentemente sulla difensiva, identità che si sentono aggredite e minacciate dall’esterno o semplicemente oppresse da Super Io dominanti. Stati astenici e ipotonici traducono spesso profonde inibizioni motivazionali o affettive, riconducibili a stati depressivi primari o ad atteggiamenti reattivi di disimpegno e resa psicologica dell’anziano ad una relazionalità incomprensibile ed incombente. Le bivalenze comportamentali, alternanze di scoppi emotivi a sfondo maniacale o malinconico, esprimono con la tipica esaltazione mimica e la generalizzata eccitazione motoria, situazioni interiori altamente conflittuali, prossime alla nevrosi, fino agli stati psicopatologici più gravi, dissociativi, della psicosi e della schizofrenia.
Importante nel rapporto con gli anziani l’introduzione di rinforzi gestuali positivi. Il rinforzo mimico (il sorriso, l’ammiccamento, lo sguardo diretto e l’espressione del volto) ed il rinforzo gestuale (la carezza, l’abbraccio, il buffetto e l’uso del corpo in genere) rappresentano uno strumento di comunicazione assai prezioso sia per incrementare le facoltà gnosiche e la comprensione dei messaggi verbali da parte dell’anziano, che per riempire di contenuti emotivi ed affettivi le relazioni comunicative della vita quotidiana. Come la partecipazione emotiva è determinante per la fissazione mnemonica, così per l’anziano il rinforzo gestuale, specie se correlato da stimoli affettivi, risulta fondamentale in molti casi per l’acquisizione stessa dei contenuti della comunicazione.
Anche il dolore psicosomatico è una forma di comunicazione corporea, di un messaggio interiore di disagio. In questa lettura il dolore psicosomatico altro non sarebbe che una dichiarazione di malessere psicologico dichiarato con il linguaggio del corpo, tramite appunto una forma di comunicazione non verbale.
Comunicare con l’anziano in modo adeguato e corretto è un’operazione tutt’altro che semplice o immediata, richiede un’attenta preparazione professionale accanto ad una profonda umanità. L’informazione deve essere semplice e immediata e soprattutto utile, cioè utilizzabile per una più piena partecipazione alla vita. La scelta della parola e quindi della comunicazione verbale è tutt’altro che banale o scontata.
Nella forma la comunicazione verbale deve avvenire in modo lento, chiaro, personalizzato, privilegiando l’esposizione di singoli concetti ed evitando l’affollamento di notizie in un breve spazio di tempo, rispettando attentamente i ritmi di acquisizione mentale di chi invecchia.
Il messaggio indirizzato all’anziano deve essere semplice, ma non per questo banale, elementare nella sua formulazione, ma non per questo infantile; trattare il vecchio come un bambino, con voce alta e manieristica, raramente permette di raggiungere l’obiettivo della comunicazione, ma sicuramente riesce sempre a umiliare la dignità dell’anziano.
Un equivoco alquanto frequente nell’approccio personale con l’anziano è quello che dà origine al diffuso malcostume di “dare del tu”, in particolare alla persona ricoverata, fin dal primo incontro, per il solo fatto che sia divenuta ospite della struttura protetta. L’uso del “tu” risulta spesso, per la cultura e la psicologia dell’anziano, difficile da comprendere e da accettare, evocando in lui soltanto un senso di dipendenza e quindi, inevitabilmente, di umiliante inferiorità.
Per questo motivo, accostandosi alla persona anziana è indispensabile l’uso del “lei”, come elementare forma di dignità e di rispetto: sarà soltanto l’evolversi di un rapporto interpersonale, ricco di affetto e confidenza, che farà del “tu” la conquista di una amicizia e non una presuntuosa licenza.
Il rapporto verbale con l’anziano deve mirare alla comunicazione, nella sua etimologia empatica di “communio”, comunione, comunità, comunanza, “mettere in comune con”, più che all’informazione e allo scambio di messaggi, in modo da realizzare un linguaggio dominato dagli scambi empatici della messa in comune e della comprensione.
Il primo atto comunicativo con l’anziano è sempre comunque l’ascolto. La capacità di detenzione e decodificazione dei messaggi espliciti ed impliciti dell’altro rappresenta la premessa e la condizione di qualsiasi ulteriore passo relazionale, in particolare quando l’interlocutore è anziano, la cui potenzialità comunicativa è spesso rallentata, compromessa dalla precarietà delle condizioni fisiche oppure viziata da spesso giustificate difese psicologiche.
Non c’è in questo caso comunicazione senza condivisione, che è ad un tempo atteggiamento gnosico, mirato alla comprensione profonda dell’altro, ed affettivo, teso ad una comunione esistenziale con il destinatario del messaggio. E’ la condivisione a dettare i primi passi e le giuste misure di una relazionalità non facile ed esposta a notevoli margini di errore umano e professionale.
La carenza professionale di condivisione si presenta in questi casi sotto la forma di un mancato approccio comunicativo all’anziano per errato inquadramento psicologico ed esistenziale dell’oggetto umano del messaggio, assimilato semplicisticamente a categorie stereotipe preconfezionate dal pregiudizio e dai luoghi comuni: il “nonno”, il vecchio brontolone, la vecchia strega e la simpatica vecchietta.
Tutte queste variazioni dell’unica categoria del nonno-bambino un po’ rincoglionito dell’iconografia nosocomiale traducono un’unica tragica realtà: il fallimento dell’approccio comunicativo con la persona anziana da parte di un operatore costretto per la sua incapacità o indolenza professionale ad adottare grossolane semplificazioni nella lettura dell’altro per potervisi relazionare, come il rivolgersi all’anziano con disinvolti “nonno è ora del bidè” a ingegneri meccanici abituati a dirigere intere aziende oppure con paternalistici “adesso fai la brava e finisci la verdura” a madri di famiglia che hanno allevato dodici figli.
La comunicazione con l’anziano si muove tra due poli: l’esigenza di semplicità ed essenzialità di messaggi e la preesistenza di identità adulte formate che richiedono comprensione e rispetto. L’equilibrio tra la semplicità espositiva, resa necessaria dalle varie compromissioni percettive e psichiche della senescenza, ed il rispetto sostanziale della complessità dell’identità personale dell’anziano è difficile e può essere mantenuto solo a partire da una capacità di ascolto che permetta all’operatore di identificare con chiarezza le coordinate umane e psicologiche dell’interlocutore.
In questo caso la condivisione cessa di essere dote di buona umanità per divenire inderogabile requisito professionale, indispensabile per destreggiarsi con correttezza ed efficacia comunicativa tra le opposte esigenze di semplicità e di rispetto, senza cadere nei tranelli dell’infantilismo e dell’incomprensibilità.
L’anziano non è un interlocutore qualsiasi, cui bastano fredde e distaccate informazioni tecniche per orientarsi, ma neppure un bambino bisognoso di caramelle morali e pantomime educative.
Gli anziani non sono una classe omogenea di individui, ma singole persone portatrici di storie e di patrimoni esperenziali ricchi e diversificati. Essi hanno diritto ad essere trattati per quello che sono stati e che sono, uno per uno, nel presente, informati di tutto quello che li riguarda in maniera comprensibile e chiara, ma altrettanto rispettosa dell’identità e della privacy individuale.
Un’altra importante regola comunicativa dedotta dalla condivisione è proprio il diritto all’informazione preventiva, offerta con puntualità e tempestività al fine di garantire una comprensione reale di eventi personali e collettivi e soprattutto un tempo di adeguamento psicologico necessario per l’introiezione di nuovi contenuti e l’adattamento ad essi, meccanismi che nell’anziano risultano fisiologicamente più lenti e laboriosi.
Questa necessità impegna l’operatore ad una paziente e sistematica spiegazione preventiva degli eventi, anche minimi, che riguardano da vicino l’anziano e l’interazione relazionale con l’operatore, una sorta di radiocronaca in differita anticipata, che permette all’anziano di “prendere le misure” di quanto gli sta accadendo. In altre parole, non bisogna mai tralasciare di spiegare all’anziano il motivo e l’utilità dell’intervento che si sta realizzando, sia che si tratti di una semplice operazione di igiene personale, di una medicazione o altro, fino alla più complessa seduta di kinesiterapia.
Per l’operatore, in particolare, precludere al paziente la possibilità di capire cosa gli sta accadendo significa ancora una volta confermare l’immagine dell’anziano come oggetto di assistenza, negandone la dignità di uomo consapevole della propria esistenza e fallire come operatore un’altra grande occasione per rendere il proprio lavoro strumento di comunicazione.
Abbiamo già sottolineato l’importanza del linguaggio mimico e gestuale come supporto fondamentale di ogni azione nel rapporto con l’anziano, e quanto sia preziosa questa modalità integrata nelle mani dell’operatore esperto alle prese con le difficoltà gnosiche e percettive del senescente. Quelle che abbiamo chiamato le “condotte di rinforzo”, vere e proprie traduzioni gestuali dell’espressione verbale, utilizzabili come prassi abituale nella relazione con l’anziano.
L’esplicazione gestuale sistematica ripiana, almeno parzialmente, i frequenti deficit uditivi e percettivi della parola che, per gli anziani con sensorio integro e psiche confusa, costituisce un vitale appiglio interpretativo dei messaggi verbali. L’anziano con buone facoltà psicopercettive è comunque aiutato da una gestualità intelligente e creativa ad abbreviare i tempi di reazione e a mettere in atto condotte comportamentali più funzionali ed efficaci, sulla scia del gesto orientativo dell’operatore.
Dell’integrazione tra gesto e parola fanno parte anche tutte le caratterizzazioni di tipo affettivo che possono essere messe in atto come rinforzo generico di ogni genere di comunicazione. Il sorriso come modalità abituale di relazione, apertura e chiusura naturale dei messaggi individuali, lo sguardo negli occhi dell’interlocutore nei discorsi a due, i cenni di comprensione e d’intesa durante l’ascolto, l’arresto e la seduta accanto all’anziano per la condivisione di contenuti importanti, la mano posta sul braccio come segno di partecipazione, l’accompagnamento a “braccetto” offerto in condizioni di non stretta indispensabilità, rappresentano solo l’inizio di un più vasto e articolato elenco di gestualità pre-affettive connesse intimamente con la comunicazione e con le condizioni che la rendono possibile: l’ascolto, l’accoglienza, la fiducia, il desiderio di “dividere con” l’altro i contenuti della vita.
Se la dolcezza di uno sguardo, di un sorriso, di una carezza sono un piacevole conforto per ogni essere umano, per l’anziano rappresentano un nutrimento vitale e irrinunciabile in termini di accettazione della propria condizione e quindi di autostima.
Per l’anziano, specie se malato o infermo, ha grande importanza il contatto fisico: può essere rappresentato da una carezza, come da una mano sulla spalla, dal buffetto sulla guancia o dalla stretta della mano andando a braccetto, ciò che conta è che in ogni caso, il rapporto con chi assiste l’anziano, operatore o volontario o parente, che non si difende ritraendosi dalla fisicità del contatto, aiuti il vecchio a non avere più paura del proprio corpo, che spesso gli appare sgradevole e inavvicinabile.
La dolcezza di uno sguardo attento e disponibile servirà a rassicurare l’anziano di essere costantemente presente a chi lo assiste, mentre il buon umore e la battuta che invita al sorriso potranno in altre occasioni sdrammatizzare la tendenza dell’ipocondriaco a somatizzare e a rimurginare sui propri malanni.
Più in generale, un atteggiamento costantemente ottimista e sereno verso il proprio lavoro di assistenza, teso a minimizzare agli occhi dell’anziano le fatiche e gli aspetti sgradevoli dell’intervento assistenziale, eviterà la triste sensazione di essere un fardello inutile.
Di importanza essenziale è la dimensione del futuro per conferire una tensione dinamica vitale all’esistenza quotidiana. La comunicazione e l’informazione rischiano infatti di rivelarsi alla lunga sterili ed insignificanti se private del loro contenuto futuribile: la parola, la retorica, la riflessione devono avere sempre un fine, un obiettivo, una meta per essere esistenzialmente interessanti e non ricadere nella ripetitività o nella cronaca smorta e banale.
L’interesse per il futuro, l’attenzione al divenire dell’esistenza, deve essere posta al centro dell’attenzione di ogni progetto di vera comunicazione. E’ necessario chiedersi sempre in cosa precisamente consista il centro di interesse di quanto si va a comunicare, quale sarà l’utilizzo della notizia fornita, quale dinamica inneschi la parola offerta. E’ importante capire che l’informazione non è mai “neutra”, statica, oggettiva, ma carica di emotività e dinamica.
Poco interessa che si parli di piccole attese o minime scadenze o di “avventi” a lungo coltivati e programmati: importa che ci sia un poi, un domani della vita per cui le parole trovino senso e spessore, e che questi messaggi giungano a tutti.
L’ATTIVAZIONE PSICOMOTORIA DELL’ANZIANO
Lo spazio rappresenta la dimensione fondamentale dell’incontro tra la soggettività personale e il mondo, mezzo vitale definito dall’orizzonte esplorativo delle facoltà psicomotorie.
Per chi invecchiando deve fare i conti con difficoltà percettive e compromissioni motorie, lo spazio diviene quotidianamente terra da conquistare, strappata alle limitazioni e alle rinunce indotte dagli eventi involutivi di livello personale e sociale.
Il primo passo “alla conquista dello spazio” deve essere indirizzato al consolidamento e alla ottimizzazione di quello spazio mentale fondamentale che è lo schema corporeo. Non esiste infatti alcuna possibilità di possedere e utilizzare la realtà ambientale che possa prescindere da una corretta e consapevole proiezione del proprio sé corporeo nello spazio. Uno schema corporeo che è spesso mutilato e destrutturato dall’invecchiamento e dalla malattia, un sé corporeo che sovente è tutto da scoprire o da ricostruire.
Il momento in cui la presa di coscienza corretta dello schema corporeo si incontra con la realtà spazio-oggettuale dell’ambiente circostante costituisce il primo e fondamentale atto di animazione della dimensione-spazio.
L’orientamento spaziale inizia insegnando all’anziano i nuovi limiti e le reali possibilità della sua corporeità attuale, prendendo coscienza delle limitazioni funzionali di recente acquisizione o di vecchia data ed aiutandolo a costruire adeguate strategie di approccio al movimento e all’ambiente.
Molti anziani riportano infortuni fisici e psicologici anche molto gravi nei loro approcci con l’ambiente fisico circostante perché non opportunamente coscientizzati sulle proprie reali possibilità, così come, al contrario, si infittiscono le schiere dei non autosufficienti che sono divenuti tali più per la mancanza di rieducazione psicomotoria che non per reali invalidità fisiche.
Lo psicomotricista è lo stratega di questa riconquista dello spazio; colui che informa, corregge, suggerisce e sostiene il cammino di una nuova motricità, a volte limitata e rimaneggiata, ma ancora sempre essenziale ed efficace.
Gli obiettivi della rieducazione psicomotoria dovranno essere sempre criticamente rivolti alla valorizzazione del potenziale residuo individuale da un lato ed all’acquisizione di nuove e migliori strategie di adattamento ambientale, dall’altro. La presa di coscienza del sé corporeo e dello spazio sarà sempre funzionalizzata ad una interazione ambientale più efficace e finalizzata possibile, fornendo strumenti di utilità quotidiana.
PSICOLOGIA D’APPOGGIO ALL’OPERATORE CHE ASSISTE L’ANZIANO
L’impatto quotidiano e prolungato nel tempo con il vissuto gravido di sofferenza fisica e psichica che l’anziano porta in sé è fonte per l’operatore di grande stress psicologico.
Il rapporto continuativo con “la parte malata” dell’umanità può evocare nell’operatore aspetti latenti della personalità; può generare angoscia per l’impotenza ad eliminare la sofferenza altrui; può sfociare in una gamma di sentimenti che vanno dalla rabbia all’insofferenza, dal senso di colpa alla completa indifferenza.
Mentre però all’interno di rapporti “normali” ciascuno può reagire secondo i propri sentimenti, chi accudisce quotidianamente gli anziani si trova a dover gestire le proprie pulsioni negative solo interiormente, senza potersi abbandonare mai allo spontaneismo.
Alla luce di queste semplici considerazioni che sono l’esperienza comune a tutti coloro che vivono accanto ad un anziano, non è difficile comprendere come il rischio del ben noto “burn-out” (scoppiare) sia dietro l’angolo anche per l’operatore più generoso e motivato.
Da qui l’importanza di prevedere una psicologia di appoggio che accompagni costantemente l’opera di questi operatori a rischio, permettendo da un lato di rapportarsi con le proprie forze reali, anziché con un ideale ipotetico, individuando precocemente la soglia del proprio limite, senza oltrepassarlo, dall’altro offrendo la possibilità di esprimere liberamente anche i sentimenti più negativi che, una volta riconosciuti, potranno essere accettati serenamente, cessando di essere causa di angoscia e colpevolizzazione.
Questo lavoro può restituire e mantenere nel tempo quel giusto equilibrio tra coinvolgimento e distacco, che salvaguardi la dimensione dell’ascolto dagli inquinamenti emozionali sia di tipo aggressivo che autocolpevolizzante.
BIBLIOGRAFIA
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