2025
Luglio-Agosto
Articolo tratto dal mensile Bell’Italia di Luglio 2025 dal titolo
“Nel vicentino tra gli amici delle api”
Questa settimana vi portiamo a San Pietro Mussolino, in provincia di Vicenza a scoprire uno dei paesi “amici delle api”.
Vi siete mai chiesti quale sia il ruolo delle api? Gli scienziati dicono che, se le api dovessero scomparire a causa dell’inquinamento, per gli esseri umani sarebbe molto difficile sopravvivere a lungo. Inoltre, circa un terzo del cibo che mangiamo, come frutta e verdura, dipende proprio dal lavoro di impollinazione delle api."
L’Italia è il quarto paese europeo per numero di alveary. Sul nostro territorio infatti, ci sono ben 45.000 apicoltori, con 1,2 milioni di alveari che producono circa 22.000 tonnellate di miele ogni anno.
È quindi fondamentale tutelare la salute di questi preziosi insetti. In questa direzione, l’Italia ha avviato l’iniziativa dei 'Paesi amici delle api', ad oggi circa un centinaio. I loro impegni includono la riduzione dell’uso di erbicidi, la coltivazione di specie erbacee particolarmente gradite alle api e sensibilizzare la cittadinanza, soprattutto i ragazzi in età scolare.
San Pietro Mussolino in particolare ha realizzato un bellissimo sentiero dedicato alle api con punti di sosta ed installazioni dedicate alla conoscenza di questo insetto. Il cuore del percorso è una grande scultura chiamata Ape Vaia, realizzata con gli alberi caduti durante la famosa tempesta del 2018. L’opera ci ricorda quanto siano delicati gli equilibri della natura ed è stata creata dall’artista Marco Martalar.
«Non avevo mai pensato alle api, anzi, mi facevano un po’ paura» sottolinea A «Questo articolo però mi ha fatto capire quanto sono importanti» e continua «La tempesta che ha colpito le nostre Alpi nel 2018 mi ricorda il mio ‘tsunami emozionale’, dato dal cambio di umore dovuto ad un malessere psicofisico. Ora che sto molto meglio, capisco che anche dalla fragilità si può tornare a trovare un equilibrio, proprio come è successo a questo ambiente naturale.»
B. commenta«I ‘paesi amici delle api’ e i loro impegni per proteggere questi insetti e diffondere una cultura di rispetto mi fanno pensare che, nonostante le difficoltà e i grandi problemi del mondo, ci sono ancora tante persone e organizzazioni che si prendono cura del pianeta» e conclude «Mi piace quindi guardare al futuro con ottimismo e credo che le api possano essere un simbolo di questo modo di vedere le cose».
Articolo tratto dal Corriere della Sera di mercoledì 30 luglio 2025 dal titolo
“Destini diversi stesse medaglie due campioni che emozionano”
Ci troviamo ai mondiali di nuoto di Singapore dove gli atleti italiani stanno facendo decisamente bella figura.
Nella giornata di martedì 29 si è verificata una curiosa situazione: mentre il nuotatore Thomas Ceccon ha vinto una medaglia d’argento nella gara dei 100 metri dorso anche la nuotatrice Simona Quadarella ha raggiunto lo stesso risultato nella competizione dei 1500 metri stile libero.
Le reazioni dei due sportivi sono però state molto diverse. Ceccon ambiva all’oro, ha ottenuto “solo” l’argento a causa forse di una progressione non pienamente efficace piazzandosi a 5 centesimi dal primo classificato (il sudafricano Coetze). Nonostante una furiosa rimonta del nostro campione.
La Quadarella all’opposto ha mostrato una reazione positiva all’assegnazione della medaglia. Si è considerata soddisfatta anche perché gareggiava con la statunitense Katie Ledecky definita la “cannibale del nuoto”. Si tratta di una situazione analoga a chi si cimentava nel ciclismo contro Coppi o Merckx, nella formula 1 ai tempi di Schumacher, nei 100 metri contro Bolt oppure nel salto con l’asta gareggiando con Bubka e contro Phelps nel nuoto: campioni assoluti e incontrastabili.
Ci racconta «Io amo il nuoto, mi piace nuotare sia in piscina in città sia al mare o al lago. Quando pratico questo sport mi sento rilassata e contenta. Ho imparato da piccola seguendo dei corsi e l’acqua non mi fa paura. Suggerisco ai ragazzi di avvicinarsi a questa disciplina che offre tante soddisfazioni e aiuta a crescere divertendosi».
Ma. sostiene «Lo sport come scuola di vita: ecco che il nostro campione Ceccon fa fatica ad accettare la medaglia d’argento perché è sicuro e consapevole delle sue potenzialità in vasca; ecco che la nostra campionessa Quadarella gioisce per la medaglia d’argento perché riconosce la forza dell’avversaria e non poteva fare di più. Tutti e due questi atteggiamenti, anche se di segno opposto, sono a mostrare l’umiltà di accogliere quello che la realtà propone da una parte, dall’altra l’accettazione delle regole, specialmente da parte di Ceccon che accetta il distacco di soli 5 centesimi dal primo. Personalmente ho la convinzione che, se questa scuola veramente esistesse e gli allievi applicassero i principi che sopra ho elencato, il mondo sarebbe migliore».
Fra. crede di essere un nuotatore veramente mediocre, «Per me arrivare alla fine della vasca è impegnativo, mi viene il fiatone ed è ogni volta una piccola impresa. D’altra parte, trascinandomi una paura per l’acqua veramente importante, ho imparato a nuotare da adulto, a 50 anni. Naturalmente nuotare per 10 o 20 vasche di seguito pur essendo faticoso, come ho detto, è anche di grandissima soddisfazione per me che da bambino guardavo gli altri tuffarsi e nuotare mentre io, quando avevo l’acqua alle ginocchia, già mi giravo per tornare indietro… Beh, se vincessi un argento io non solo sarei contento, mi sentirei al settimo cielo!»
Articolo tratto dal sito internet BuoneNotizie.it dal titolo
“Parli da solo? Scopri come il Self-Talk può influenzare positivamente la tua vita”
Parlare da soli può aiutare nella ricerca di possibili soluzioni a piccoli e grandi problemi che ci si presentano, nell'organizzare i pensieri e nell'elaborare le emozioni. Ci sono due tipi di self-talk: quello positivo e quello negativo.
Dirsi frasi come «Riesco a farcela» o «Sto migliorando ogni giorno» sono un aiuto positivo.
Al contrario ripetersi «Non sono abbastanza bravo» oppure «Non ce la farò mai» può facilmente alimentare sentimenti negativi.
Parlare con sé stessi è quindi positivo, ma farlo ad alta voce è considerato generalmente un po' strano.
Naturalmente, se una persona tende a parlare esclusivamente con sé stessa evitando ogni relazione con gli altri, è consigliabile rivolgersi a uno specialista. Al contrario, brevi momenti di dialogo interiore possono rappresentare un valido esercizio per ritrovare consapevolezza e rafforzare l’autostima.
Fra. racconta «Anch’io mi ritrovo spesso a parlare da solo, e la cosa mi aiuta, soprattutto quando sto pedalando con la mia bicicletta, sono stanco e la meta è ancora lontana. A volte mi racconto dei piccoli ricordi, giusto per distrarmi, oppure mi immagino l’arrivo e mi dico che, in fondo, non è poi così lontano. Ogni tanto mi capita anche di parlare ad alta voce con me stesso e, se c’è qualcuno nei paraggi, un po’ me ne vergogno.»
Pa. spiega «È un fenomeno che normalmente fanno i bambini» è funzionale allo sviluppo del linguaggio e del pensiero, soprattutto durante il gioco aumenta la concentrazione e l'elaborazione delle emozioni» e conclude «Non perdere questa pratica anche da adulti aiuta a prendere decisioni e a risolvere problemi.»
«Non parlo quasi mai con me stessa» aggiunge An. «Non ho questa abitudine. In genere preferisco parlare di persona con i miei conoscenti: mi dà più gratificazione. Ora che ho letto tutto l’articolo... ci penserò su.»
Articolo tratto dal Corriere della Sera di mercoledì 13 agosto dal titolo
"Per le vacanze all'aria aperta agosto ottimo e tante prenotazioni"
All'interno di un’intera pagina dedicata alle vacanze e al mercato del turismo in Italia, ci siamo concentrati su un’intervista al presidente di FederCamping, Granzotto Alberto, sul tema delle ferie all'aria aperta.
In generale il settore è in crescita e molto diffuso soprattutto tra gli stranieri, ma negli ultimi anni lo stanno scoprendo anche gli italiani. Il periodo ideale per fare una vacanza all’aria aperta non è ridotto ai soli mesi estivi, ma ci si può andare anche a Pasqua, o i primi di ottobre. Ma pensate che andare in campeggio costi ancora poco? Granzotto spiega che bisogna rinunciare all'idea del campeggio spartano per abituarsi all'idea di glamping: una vacanza in campeggio, ma senza prescindere di tutti i servizi alberghieri.
D. si chiede se il glamping non sia un villaggio turistico
Mx. racconta: “la mia unica esperienza di campeggio è stata poco dopo gli esami di Stato. Con mio fratello avevamo deciso di andare in montagna a fare una vacanza in tenda. Poco dopo aver piantato le tende è arrivato il maltempo. Mio fratello, preoccupato, tornò a casa e mi lasciò solo. Lì cominciò la mia vera avventura. In campeggio passai qualche notte, dove feci conoscenza con una ragazza tedesca. Poi con lo zaino pesantissimo sulle spalle mi incamminai verso un vicino passo alpino. A metà strada, stremato dalla fatica, mi fermai in un boschetto e feci campeggio libero (vietato). Il giorno dopo, andando verso il passo, raggiunsi un rifugio dove passai la notte fra turisti allegri e di buon umore. Il mattino dopo discesi a valle e presi il treno per rientrare a casa.
Mr. racconta, “avevo 22 anni quando con mio fidanzato andammo in campeggio sul lago d'Iseo. Ricordo l'essenzialità dei servizi. È stata un’occasione speciale per socializzare con altre persone, e ciò mi ha fatto sentire bene. Un’esperienza da ripetere.
“Io non avevo mai sentito parlare di glamping”, dichiara S., ma penso che unire il campeggio al lusso ne faccia perdere un po’ la natura. Credo e spero che ci siano ancora molti luoghi dove poter trovare l’essenzialità che un tempo caratterizzava l'idea di campeggio.
A.: Anche se non sono mai andata in un campeggio, trovo che possa essere una esperienza importante. Si sta all'aria aperta e a contatto con la natura, si può sperimentare l'essenzialità e l’austerità.
F.: Io trovo che l'esperienza del campeggio "di una volta" sia particolarmente utile per i giovani. Fortunatamente ci sono ancora tante realtà (come gli oratori), che organizzano vacanze di questo tipo, e aiutano i giovani a scoprire valori importanti.
Il glamping è sicuramente una bella forma di vacanza, anche se costosa.
G.: Aggiungo che potrebbe essere utile proporre queste esperienze anche a persone adulte, per aiutarle a ritrovare la natura, e ad uscire dalla routine e dagli schemi della quotidianità cittadina.
Articolo tratto da "Il Giorno" del 20 agosto dal titolo:
"Il coraggio di Francesco - donerò un rene per aiutare mio fratello"
Donereste mai un organo prezioso ad un parente o ad un amico stretto mentre siete ancora in vita? È questo il caso di Francesco Nucera, 45enne soccorritore volontario del 118 e residente in provincia di Pavia che donerà un rene al fratello Rocco, 52enne malato di nefrite. Per dimostrargli maggiore affetto e riconoscenza, Francesco intende migliorare la qualità di vita del fratello accettando il rischio dell'intervento ed un importante limite nelle proprie condizioni di vita: dopo l'intervento il donatore dovrà limitare l'alcool, il tabacco, alimentarsi correttamente e fare sport con continuità.
Francesco ha deciso di condividere sui social la sua scelta scrivendo un messaggio nel quale sottolinea la scarsità di donatori di organi in Italia e valorizza l'importanza di aver incontrato professionisti sensibili e preparati. Il complesso intervento avverrà il prossimo 2 settembre.
Max. afferma «Qui si parla di un trapianto tra consanguinei, ciò vuol dire che immunologicamente sono soggetti simili. Di fatto il trapianto tra parenti è una pratica piuttosto diffusa. La cosa per me sorprendente è che di solito anche i coniugi di lunga data, pur non essendo in partenza consanguinei, acquistano un alto tasso di compatibilità. Francesco e Rocco hanno condiviso tante vicissitudini della vita e ora, davanti alla malattia di Rocco, Francesco si sente chiamato ad aiutarlo, anche con la sua vita (oggigiorno i rischi di vita per queste operazioni sono molto bassi). Moderni Castore e Polluce».
M.C. sostiene che, come donatrice, donerebbe sicuramente ad un affetto stretto. «Se fossi stata in Rocco invece non so se avrei accettato: non vorrei dover mettere a rischio la vita del mio donatore. L'atto di coraggio è quindi anche in Rocco che ha accettato fidandosi della scelta proposta dal fratello».
Ma. racconta «Nella mia vita ho incontrato personale sanitario e medici con cui ho instaurato un bellissimo rapporto, in particolare nei servizi della Salute Mentale. Il mio malessere mi ha portato a rivolgermi a questi servizi e mi sono sentita accudita e "coccolata". L’umanità, una parola, un sorriso, sono state una delle tante ricette per stare meglio».
Do. spiega che non farebbe quel gesto, «Lo ritengo troppo rischioso sia per il donatore che per il ricevente. Mi colpisce quindi questa azione da parte di Francesco che ci fa capire quanto sia grande l'amore che lega i due fratelli».
Fra. sostiene «I due fratelli, e in particolare il donatore, dopo l'intervento dovranno essere molto attenti all'alimentazione ed al movimento. Questo mi fa pensare che le situazioni di "emergenza" o delicate ci richiamano a adottare un corretto stile di vita che è però utile e fondamentale anche quando particolari problemi non ci sono».
Articolo tratto da "Il Venerdì" del 22 agosto dal titolo:
" È il Giappone il paese dei balocchi"
Dal Giappone arriva un'idea innovativa: un'associazione nazionale che ripara gratuitamente i giocattoli dei bambini, attraverso una rete di ingegneri e artigiani in pensione. L'associazione conta 1700 "dottori" di giocattoli e oggi, dopo quasi 50 anni dalla prima riparazione, opera in 420 "ospedali" in tutto il paese. Ogni mese vengono riparati circa 16.000 giocattoli. Nel caso in cui la riparazione fosse impossibile, i volontari affiancano i bambini per vivere serenamente il distacco dal loro gioco.
Riparare i giocattoli è un ottimo metodo per ridurre i rifiuti e lo spreco delle risorse.
Inoltre, tutto questo ha un'influenza positiva sulle future abitudini di consumo dei bambini.
C. racconta «Da bambina giocavo con i giochi che avevo a disposizione in casa, per esempio i mattoncini del lego, i puzzle oppure le macchinine. Insomma, purtroppo niente bambole. Verso i 15 anni una mia vicina fortunatamente aveva le barbie e giocavamo assieme. Sono ancora legata a questa amica, che si chiama Marilde. Quando i miei giocattoli si rompevano li aggiustavo da sola con lo scotch e la colla vinavil. Per esempio, giocavo alla parrucchiera e tagliavo i capelli alla barbie e poco tempo dopo li riattaccavo con la colla.
M. dice di non aver mai avuto giochi da bambina e abitando in una scuola si inventava attività ricreative: «Giocavo a pallavolo in palestra con le mie compagne di classe, a mosca cieca, a nascondino. Mi piaceva molto parlare con le mie amiche dopo la scuola e andare in centro a girare. Credo di non essere stata sfortunata, al contrario. La mancanza di giochi mi ha reso più creativa».
S. apprezza molto l'iniziativa descritta nell'articolo e il fatto che sia così strutturata a livello nazionale. «Spero che cose simili prendano piede anche in altri paesi. Io da bambino giocavo molto ai videogiochi e penso che questi contribuiscano allo sviluppo intellettivo dei bambini. Non trascuravo però i giochi tradizionali come le micro-machines, a cui dedicavo molto tempo».
D. ricorda la prima volta in cui si è rotto Pup, il suo bambolotto. «Ho pianto tanto però poi il tutto si è risolto grazie a mio papà che l'ha aggiustato utilizzando un elastico. Mio papà è stato un precursore di questi "medici" dei giocattoli rendendomi di nuovo felice».