Vino

Ma i vini che beviamo, sono pastorizzati? E contengono solfiti? E quanto?

Pastorizzazione

La pastorizzazione è un procedimento utilizzato per distruggere i microorganismi presenti in un liquido, come ad esempio il latte, la birra o il vino.

Il termine pastorizzazione deriva dal nome di Pasteur, che a metà del diciannovesimo secolo scoprì un sistema per conservare più a lungo il vino. La pastorizzazione di un liquido (latte, birra, vino) viene effettuata riscaldandolo ad una temperatura variabile dai 60 agli 85 gradi per alcune decine di secondi o alcuni minuti, e solitamente viene seguita da un rapido raffreddamento del prodotto.

Ci sono principalmente tre tipi di pastorizzazione:

- pastorizzazione a bassa temperatura: 60-65 gradi per 30 secondi, utilizzata per vino e birra, latte per produzione di formaggio;

- pastorizzazione ad alta temperatura: 75-85 gradi per 2 o 3 minuti, metodo utilizzato un tempo per il latte e ora sostituito dall'HTST;

- pastorizzazione rapida o HTST (High Temperature Short Time): 75-85 gradi per 15-20 secondi, condotta su alimenti liquidi che scorrono in uno strato sottile tra due pareti metalliche scaldate. Chiamata anche "stassanizzazione".

Nel caso del vino la pastorizzazione viene solitamente utilizzata per prodotti di bassa qualità, che magari stazionano a lungo sugli scaffali di un supermercato ed hanno economici tappi a vite. I vini di pregio invece non vengono pastorizzati, anche perchè il procedimento, oltre in alcuni casi ad alterarne il sapore, non ne permette l'ulteriore invecchiamento.

Solfiti

L’anidride solforosa è molto usata nella produzione vinicola, perché consente una miglior conservazione del prodotto.

La legge consente di impiegare questo conservante con alcuni limiti, in modo tale che nel prodotto finito non se ne trovi più di 210 milligrammi per litro nei vini rosati e bianchi, e 160 mg/litro nei vini rossi.

A nostro avviso, la legge ammette dosi troppo elevate, perché con un paio di bicchieri o poco più già si supera la quantità massima di solfiti ritenuta accettabile per un adulto di 70 chili. Va detto però che, come emerge da tutti i nostri test, i vini non raggiungono mai tenori di anidride solforosa così alti, segno che è possibile produrre bene con quantitativi molto al di sotto di quelli consentiti dalla legge.

Da aprile 2006 tutti i vini sono obbligati a dichiarare la presenza di solfiti in etichetta.

La legge impone la dicitura “contiene solfiti” se il prodotto finale supera o può superare i 10 mg di questo additivo per chilo o per litro.

E attenzione, i vini che non danno questa indicazione non sono necessariamente esenti da solfiti, ma ne possono contenere in misura inferiore ai 10 mg/l.