Tematiche lgbt (lesbian, gay, bisexual, transgender)

Nel 1975 l’Associazione degli Psicologi Americani (APA) adottò una risoluzione che stabiliva che “L’omosessualità di per sè non implica una menomazione nel giudizio, stabilità, affidabilità o capacità generali sociali o professionali", seguendo la precedente decisione dell’Associazione degli Psichiatri Americani di rimuovere l’omosessualità dalla classificazione dei disordini mentali (American Psychiatric Association, 1974).

Dopo oltre 35 anni le implicazioni di questa risoluzione non sono ancora completamente diventate ovvie ma necessitano ancora di essere riaffermate e sostenute, non solo di fronte all'opinione pubblica ma anche tra alcuni professionisti (sebbene sempre meno) dell'ambito della salute e della cura alla persona.  Molti autori suggeriscono che c’è bisogno di una più adeguata formazione dei professionisti della salute mentale rispetto alle tematiche che riguardano i clienti gay, lesbiche e bisessuali.

Una volta che l'omosessualità è stata de-patologizzata, era sembrato inizialmente che il problema fosse stato eliminato e che per trattare il cliente omosessuale fosse sufficiente la stessa attenzione data ai clienti eterosessuali. Ma ignorare le differenze o considerarle come se fossero irrilevanti non aiuta a comprendere fino in fondo  le problematiche che si connettono all'identità di genere, alla scelta sessuale e alle ripercussioni che queste hanno sulle relazioni sociali e familiari.

Dalla comprensione e presa d'atto di tutto ciò e sulla base dei Principi Etici degli Psicologi, del Codice di Condotta dell’APA (American Psychological Association) del 2002 e di altre organizzazioni di salute mentale, hanno preso origine le linee guida dell'APA, che intendono fornire a medici e operatori di salute mentale e delle relazioni d'aiuto un orientamento sulla corretta condotta nei confronti di pazienti lgb.

E' importante quindi che:

Gli psicologi capiscano e condividano che omosessualità e bisessualità non sono indicativi di malattia mentale.

Gli psicologi e gli psicoterapeuti riconoscano che i loro atteggiamenti e conoscenze sulle problematiche di lesbiche, gay e bisessuali possono essere rilevanti nella diagnosi e nel trattamento psicoterapeutico, che in tal caso devono chiedere una consultazione (consiglio o supervisione) ad un collega o, se necessario, effettuare un invio del caso ad altro professionista.

Gli psicologi/psicoterapeuti siano a conoscenza delle sollecitazioni e delle pressioni che le persone lesbiche, gay, bisessuali vivono nella nostra società (es. pregiudizio, violenza e discriminazione) e che queste determinano un grave rischio per la loro salute mentale e il loro benessere.

Per saperne di più si può consultare il sito :  www.psicologiagay.com

Il documento da cui è tratta questa sintesi è: "Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation" dell'APA (American Psychological Association) del 2009 ed è reperibile sul sito :  http://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeutic-response.pdf

Come abbiamo detto, da decenni la comunità scientifica internazionale considera l’omosessualità una “variante naturale del comportamento sessuale umano”, per usare le parole stesse dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Per molte persone resta tuttavia difficile accettare questa posizione della comunità scientifica, resta forte il bisogno di negare l'evidenza di una realtà del comportamento e del desiderio umano. Il rifiuto del "diverso" si associa al bisogno rassicurante di "normalità" e alla paura di tutto ciò che "viene da fuori". Questo corrisponde in psicoanalisi ad una posizione regressiva, in cui il vissuto principale è la paura e che, quindi, ha bisogno di mettere in atto comportamenti difensivi di rifiuto. In molti casi questo rifiuto difensivo assume i connotati della rabbia e questa può sfociare facilmente nell'aggressione verbale e/o fisica, soprattutto laddove la società non prenda una posizione ferma di difesa del "diverso" e di repressione dell'intolleranza.

Sulla base di questa analisi, sul tema dell’omosessualità L'Ordine Nazionale degli Psicologi si è espresso in modo molto critico verso le cosiddette “terapie riparative dell’omosessualità”, ancora oggi promosse e praticate da alcuni psicoterapeuti, ed ha affermato:

"Le terapie 'riparative' ed ogni teoria filosofica o religiosa che pretenda di definire l'omosessualità come intrinsecamente disordinata  o patologica, non solo incentivano il pregiudizio antiomosessuale, ma screditano le nostre professioni (...). La persona omosessuale che chiede di essere 'guarita'(...) non va ingannata con la promessa di terapie miracolistiche prive di efficacia dimostrata. E' nostro dovere affermare con forza che qualunque trattamento mirato a indurre la/il paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico che anima le nostre professioni, e in quanto tale deve essere segnalato agli organi competenti, cioè agli ordini professionali."

Mi sento di sottoscrivere questa posizione dell'Ordine, che condivido pienamente, e di aggiungere anche che le difficoltà, le sofferenze e i problemi di cui soffrono gli omosessuali dipendono primariamente dalle condizioni familiari e sociali in cui vivono e non dalla natura del loro orientamento sessuale. Il problema dell'omosessuale è un problema di paura del rifiuto e di bassa autostima, che nasce dal giudizio negativo emesso da chi gli/le sta intorno. Ritengo non accettabili le cosiddette "teorie riparative" perché scientificamente non validate e palesemente basate su un pregiudizio moralistico con cui considero professionalmente etico non colludere. Come psicoterapeuta ritengo prioritario e professionale tenere le proprie convinzioni personali e le proprie scelte di vita fuori dal rapporto terapeutico, ossia essere consapevoli delle proprie posizioni individuali e non permettere che queste influiscano sull'obbiettivo professionale: l'attenzione e la cura alla persona, qualunque sia la problematica che il paziente porta. Una persona che soffre o vive una situazione problematica non ha bisogno né di essere etichettata né di essere giudicata. Come psicoterapeuta non considero nessuno da "riparare" perché non ho davanti a me un oggetto rotto, bensì una PERSONA, che non va aggiustata secondo un modello preformato, ma aiutata a trovare la sua personale strada verso un maggior ben-essere e ben-stare nelle relazioni. .