LETTERATURA

Gli Indifferenti di Anna Paoletti

Gli Indifferenti di Alberto Moravia


Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle, era appena uscito dal sanatorio di Codivilla dove era stato ricoverato per la tubercolosi ossea, quando nel suo periodo di permanenza a Bressanone scrive il suo primo romanzo. Scritto fra i diciassette e i vent'anni e pubblicato nel 1929 a spese dell’autore, “Gli Indifferenti” si inserisce nel filone della letteratura novecentesca con grande successo.

Prendendo le distanze dalle modalità narrative del tempo (siamo nel ventennio fascista), l’autore si propone di fare un’analisi lucida e severa della società borghese del tempo mettendo in risalto la falsità del moralismo fascista e l’assenza di valore etico e morale. 

Nel passaggio da un’epoca a un’altra si evidenziano le più grandi cicatrici della storia sociale del tempo: la superficialità, le ipocrisie e l’alienazione pervasa in ogni uomo.

La storia si snoda attorno alla famiglia Ardengo, la quale vive in prima persona le problematiche del tempo. I personaggi sono pochi, così come le vicende raccontate. Difatti le emozioni suscitate sono la chiave di lettura del romanzo, che fa comprendere al lettore il pieno dell’epoca fascista e le sue conseguenze sull’animo e sulla generale atmosfera respirata al tempo.

Maria Grazia, Carla, Leo, Lisa e Michele sono le ombre di questi atteggiamenti che caratterizzavano la borghesia nella vita di Moravia, che influirono sul suo pensiero da uomo letterato.

Può capitare durante la lettura del romanzo di cambiare atteggiamento verso i personaggi e di preferirne in un capitolo uno, e in un altro uno diverso, spaziando tra stati d’animo ma sempre rimanendo vicini a queste anime di cui si sta leggendo. Il lettore prova una strana pietà, come se non si riconoscesse nelle loro azioni ma al tempo stesso ne fosse attratto.

Il personaggio in cui ci rivediamo maggiormente è Michele. Egli è tratteggiato in modo che ci si possa immedesimare nel sentimento indifferente verso qualsiasi cosa circondi la vita ddi quanti sono affondati anima e corpo in una  società pervasa da atteggiamenti moralistici e buonisti.  Il personaggio si muove nella falsità che annienta ogni forma di libertà e pensiero critico che potrebbe evolversi. 

Durante il racconto,gli atteggiamenti più conformisti e superati, volti solo all’assenso dei valori morali tipici del clima autoritario borghese, sono incarnati nella figura materna di Maria Grazia, la quale viene disprezzata anche dagli altri personaggi poiché gelosa, capricciosa, e molto spesso ignara dei sotterfugi a cui è sottoposta; ciononostante, si prende una gran cura delle formalità. 

L’importanza di ottenere l'approvazione dalle altre persone è un tratto comune nel libro, e si evidenzia spesso l’irrilevanza di obblighi e convenzioni sociali puramente formali. 

Questo libro si inserisce perfettamente nell’atmosfera nichilista del tempo, in cui ogni certezza cade e si sgretolano le basi su cui si era strutturata  la società borghese. 

Mentre leggevo il libro stavo studiando Nietzsche a filosofia, mi sono ritrovata a collegare i due autori e i temi trattati da essi in contemporanea.



Il buio oltre la siepe della 1EL

Il buio oltre la siepe di Harper Lee - Recensioni della 1EL di Alice Filippi, Matteo Di Girolamo, Maya Cipriani, Agatha Tagliaferri, Sofia Sorrenti e Elias Kiessling


ALICE FILIPPI


Il romanzo è ambientato nel sud dell’Alabama, a Maycomb, durante il periodo della lunga depressione. A quei tempi era molto comune considerare i neri come degli esseri inferiori rispetto ai bianchi.

Nella storia un esempio chiaro di razzismo si trova durante il processo di Tom Robinson, un uomo di colore accusato di aver violentato la figlia di un bianco, Mayella. Le prove erano inconfutabili: Tom Robinson era disabile, il suo braccio sinistro era più corto del destro e non sarebbe mai riuscito ad immobilizzare e picchiare Mayella con il sinistro. Era ovvio che ad aver maltrattato la vittima era stato il padre mancino, Bob Ewell. Ma purtroppo il processo era già concluso prima che iniziasse, era un nero contro una bianca, non importa cosa avrebbe testimoniato Tom: l’esito era ormai segnato da tempo e Robinson era il colpevole.

Il razzismo verso i neri però non è l’unica forma di pregiudizio trattata nel libro. Scout, la narratrice e protagonista del racconto, era vittima dei costanti rimproveri della zia Alexandra.

Alexandra era totalmente disgustata dai capi “maschili” che Scout indossava e riteneva che le bambine a modo non dovessero praticare attività che richiedevano dei calzoni, bensì dovevano giocare con cucine giocattolo e servizi da tè da bambola. Scout non lo dava a vedere, ma ogni volta che la zia le faceva una predica sull’essere abbastanza donna o meno, ci rimaneva davvero male a tal punto da non riuscire più a sopportare la sua presenza in casa. Atticus, però, la difendeva sempre da questi rimproveri e le forniva dei consigli su come non prendersela troppo. Secondo la zia Alexandra Atticus era la rovina della famiglia.

Oltre alla sua scorretta educazione dei figli, era pure l’avvocato di Tom Robinson, un nero e si attirava così il disprezzo della comunità intera. Atticus riceveva spesso insulti pesanti, era accusato di essere un “negrofilo” da bambini e adulti, ma a lui non importava. Scout, però a differenza del padre, quando sentiva pronunciare dei nomignoli dispregiativi nei confronti di Atticus, non riusciva a mantenere la calma. Non capiva il motivo di tali pregiudizi perché suo padre stava facendo solo quello che era giusto fare.

Nel corso della narrazione mi sono imbattuta in una frase che mi ha fatta particolarmente riflettere: “Sono quasi tutti così, Scout, quando finalmente li vedi” - Atticus.

I pregiudizi ci portano ad odiare delle persone senza conoscerle veramente, senza sapere le loro passioni, senza sapere la loro storia. Ma alla fine la differenza principale che ci distingue dagli altri è solo l’aspetto esteriore. Una persona di colore può provare le stesse identiche emozioni di un bianco. Una donna può voler fare un determinato sport o lavoro, ritenuto dalla società troppo maschile, proprio come un uomo. L’aspetto fisico non determina in alcun modo la persona.

Ritengo che l’essere razzisti e/o sessisti non siano caratteristiche con cui si nasce, ma degli atteggiamenti che alcuni assumono quando diventano più grandi. I loro pensieri vengono influenzati dai diversi pregiudizi dei genitori, nonni e compagni di scuola e, per non sentirsi diversi, assumono gli stessi comportamenti.



MATTEO DI GIROLAMO


Secondo me un personaggio di questo racconto colpito da pregiudizi è sicuramente Boo Radley, un uomo che a causa di alcune vicende accadute quando era ragazzo, per non essere internato in un centro di recupero, fu segregato in casa sua per tanti anni.

Durante il corso del tempo si sono diffuse tante voci su di lui, e i bambini protagonisti del romanzo pensano che lui sia un mostro e che esca la notte incutendo timore e tanta paura. Alla fine del racconto si scopre che in realtà Boo non è affatto un mostro e salva Scout e Jem da Bob Ewell.

Un'altra persona di questo libro vittima di tanti pregiudizi sul conto suo e della sua famiglia è Walter Cunningham, un bambino in classe di Scout appartenente a una famiglia di contadini poveri. Walter andava a giro scalzo perché i suoi genitori non potevano permettersi di comprargli un paio di scarpe e la sua famiglia non accettava mai un prestito di denaro dato che non potevano renderlo indietro, e per risarcire qualcuno gli portavano in dono legna da ardere e una grande quantità di prodotti che coltivavano.

Un altro uomo assai giudicato in questa narrazione è Tom Robinson, un afroamericano accusato ingiustamente di aver violentato Mayella Ewell.

Quando Atticus accettò il caso di Tom e decise di difenderlo in tribunale, in città scoppiò un vero e proprio scandalo. Negli anni trenta del Novecento non erano ben accetti gli afroamericani, immaginiamoci quale poteva essere la reazione per un comportamento del genere!

Durante la sentenza Atticus, avendo le prove, disse che Tom era innocente e che ad aver fatto male alla giovane Ewell era stato suo padre Bob, ma il giudice dichiarò comunque Tom colpevole e lo mandò in prigione.

Durante la detenzione, Tom tentò di evadere fuggendo ma un poliziotto gli sparò a morte.

Con questi tre personaggi ci tengo a far capire chiaramente che non si deve essere mai razzisti nei confronti di nessuno né tanto meno avere dei pregiudizi. Se c'è qualcosa che io odio con tutto me stesso è quando qualcuno etichetta una persona in base a chi è, com'è e che cosa fa.

Dobbiamo ben capire che nel mondo siamo tutti uguali e abbiamo gli stessi diritti senza distinzioni di razza, di sesso o di religione.

Noi esseri umani non siamo divisi in razze come i cani.

È vero, una volta purtroppo era così. Ma adesso siamo nel 2024 e non cambia assolutamente niente se io ho un lavoro stabile e non ho problemi economici e tu sei disoccupato e non riesci ad arrivare a fine mese. Secondo me i pregiudizi nascono dal fatto che la gente è pettegola e deve sempre mettere bocca su tutto. Ma basta!

Quanto al razzismo, ne avrei tante di cose da dire, e cercherò di essere il più scientifico possibile. Noi esseri umani discendiamo tutti quanti dall'Homo sapiens e siamo una razza unica. Il colore della pelle di una persona deriva dall'adattamento con l'ambiente in cui vive. Per il resto ha le stesse funzioni vitali, lo stesso sangue e lo stesso modo di vivere di qualsiasi essere umano sulla Terra. Quindi io non riesco proprio a capire perché se una persona ha la pelle diversa dalla mia è considerata inferiore a me, visto che siamo completamente uguali!

Io penso che leggere libri come Il buio oltre la siepe sia veramente importante per farsi un concetto su questo tipo di argomenti. A me ha aiutato tanto anche a capire bene come era diversa la mentalità in quegli anni e anche quanto lo sia tutt'oggi; e poi è veramente una bellissima lettura.



MAYA CIPRIANI


Il libro scritto da Harper Lee è ambientato in una cittadina in Alabama in cui le persone di colore sono ancora oggetto di pregiudizio.

Viene raccontato dal punto di vista di una ragazzina, Scout, che sarà vittima di bullismo, insieme a suo fratello Jam, per via del padre che decise di difendere Tom, un ragazzo nero.

Tom è la vittima principale del romanzo, accusato di aver abusato una ragazza bianca, anche se ingiustamente, essendo stato il padre della ragazza a picchiarla.

La notizia fa scalpore in tutta la cittadina visto che di solito i bianchi non erano soliti difendere le persone di colore, ma Atticus, uomo di sani princìpi, lo difenderà fino alla fine.

Ma la corte ha già le idee chiare per la colpevolezza del nero, giudicandolo per il colore della pelle e non per quello che avesse effettivamente fatto.

Tom viene mandato in un carcere e sarà ucciso da una guardia mentre tenta la fuga.

Ma Tom non è l’unica vittima di pregiudizio del romanzo insieme ai due figli di Atticus, giudicati solo per la scelta del padre: anche Boo è un personaggio vittima di giudizio non per il razzismo ma per il fatto di stare sempre chiuso in casa. Boo è soprannominato “Pericolo” solo per aver frequentato persone sbagliate, ma alla fine si rivelerà buono, infatti salverà Scout e Jem dal padre della ragazza abusata, il quale proverà ad accoltellarli perché Atticus cercherà di incastrarlo; solo grazie al ragazzo “pericoloso” i due figli di Atticus usciranno illesi.

Questo romanzo è contro ogni tipo di giudizio sia per razzismo che non, facendo capire alle persone di oltrepassare i pregiudizi e conoscendo veramente chi si ha davanti.



AGATHA TAGLIAFERRI


Ho sempre creduto che giudicare qualcuno, perché diverso, sia profondamente sbagliato, e questo è ciò che secondo me vuole trasmettere questa storia.

Questo libro racconta la storia di un’ingiustizia nei confronti di un “diverso” e ne parla attraverso il mondo di una bambina.

Il mondo di un bambino è ingenuo e semplice.

Scout, la bambina che racconta questa storia, per la sua età è molto sveglia e perspicace, ha un buono spirito di osservazione ed è curiosa di imparare cose nuove.

Ha un fratello più grande, Jem, e cerca sempre di stare al suo passo.

Il padre di Scout, Atticus Finch, è un avvocato, incaricato della difesa di un uomo di colore, accusato ingiustamente di violenza carnale.

Atticus è un punto fermo, molto d’esempio per i suoi figli, è gentile, affettuoso e abile, ma soprattutto gli lascia libertà di esprimersi liberamente.

La storia è ambientata in una piccola contea immaginaria nello stato dell’Alabama, Maycomb, negli anni della grande depressione Americana.

Maycomb è un paesino dove tutti si conoscono, e la famiglia di Scout si fa distinguere  perché Atticus è uno spirito libero e non ha paura di esporre le sue idee ed educare i figli secondo i suoi ideali.

Scout e Jem, infatti, vengono spesso presi in giro – e non solo dai loro compagni di classe –, perché il padre ha accettato di difendere un uomo di colore, che in quei tempi (1933) era vista come una cosa sbagliata, perché c’era pregiudizio nei confronti delle persone con la pelle scura, considerati tutti inferiori, violenti, cattivi; insomma, non erano considerate come persone degne di rispetto e diritti.

Atticus, invece, non la pensa affatto così e incoraggia i figli a non preoccuparsi del giudizio degli altri.

Trascorrono i mesi e arriva l’estate, Scout e Jem passano i giorni a giocare con l’amico Dill e il loro gioco preferito è imitare la vita del loro vicino di casa, Boo Radley, un ragazzo che non  hanno mai visto e che sta sempre chiuso in casa.

Questo comportamento strano attira la loro curiosità e ogni giorno provano a far uscire Boo solo per vedere se realmente esiste e com’è fatto.

La casa dei Radley è buia e silenziosa e quando i tre amici ci passano davanti corrono per la paura che salti fuori Boo all’improvviso e li uccida.

Un giorno provano anche ad avvicinarsi alla porta per lasciare a Boo un biglietto ma dalla paura scappano lasciando la cosa incompiuta.

Una sera come tutte, arriva una notizia: Tom è stato spostato nelle carceri di Maycom.

La sera stessa Atticus esce per andare in città, così Scout, Jem e Dill lo seguono incuriositi e arrivati alla meta, il carcere, ascoltano la conversazione tra alcuni uomini d’ufficio e Atticus che accennano il processo che si terrà a breve per la difesa di Tom.

Infatti dopo poco arriva l’atteso giorno, e tutti i cittadini assistono.

Bob Ewell, il padre della ragazza molestata, lancia le sue accuse contro Tom dicendo di averlo visto fuggire da casa sua quella sera dopo le grida di sua figlia.

Mayella, la figlia di Ewell, conferma dicendo che Tom ha provato a violentarla, lei ha provato a ribellarsi con tutte le forze e poi Tom è fuggito.

Atticus fa molte domande e chiede spiegazioni che sembrano anche inopportune agli occhi dei testimoni.

Il processo così assume un’atmosfera tesa e Mayella scoppia anche a piangere.

Scout osserva tutto seduta nella parte alta del tribunale e commenta con Jem ciò che avviene.

Ora tocca a Tom parlare.

Racconta con molta tranquillità ciò che successe realmente quella notte.

Atticus capisce in breve la verità: a violentare Mayella non è stato Tom ma il padre, ubriaco come spesso succedeva, e questo lo sanno certamente anche Bob e Mayella, ma quest’ultima, per paura, non parla.

Il processo finisce e Atticus riesce a dimostrare l’innocenza di Tom, ma quest’ultimo viene lo stesso condannato.

Qualche giorno dopo, tre uomini giungono a casa Finch e chiamano Atticus per parlare fuori: a quei tempi era segno che era successo qualcosa di brutto.

Tom è morto mentre cercava di evadere dal carcere, questa è la notizia che lascia tristezza e Atticus sente di aver fallito, anche se la colpa non è sua.

Un uomo buono, giusto, un padre, un marito, è stato condannato per colpa di un pregiudizio che un’altra volta ha vinto sulla verità.

Arriva di nuovo settembre e i bambini tornano a scuola.

Bob Ewell inizia però a perseguitare la famiglia Finch e non solo perseguita Atticus che era contro di lui al processo ma se la prende anche con i figli.

La sera del 31 ottobre, per la festa di Halloween, Scout e Jem vanno ad una festa organizzata dal paese e per arrivarci passano da un campo buio.

Sulla strada del ritorno, Jem sente dei rumori dietro di loro.

Entrambi pensano sia il loro amico ma invece no.

Bob Ewell afferra nel buio Jem per ucciderlo, mentre Scout sotto indicazione del fratello scappa via correndo.

Scout cade e si rotola nella terra umida, perdendo il senso di quello che stava succedendo. Mentre cerca di alzarsi sente suo fratello urlare, poi i rumori di una colluttazione, poi un colpo e infine il silenzio.

Qualcuno, nascosto dalle tenebre, ha salvato Jem e ha ucciso Bob, e quel qualcuno si scopre essere il misterioso Boo Radley.

Jem riporta varie ferite e un braccio rotto, Scout invece, per fortuna, solo qualche graffio dopo la caduta.

Jem viene messo a letto mentre Scout, al piano di sotto, studia affascinata Boo, un ragazzo magro e con il volto pallido e scavato, che tante volte aveva visto i tre amici giocare fuori e tante volte aveva desiderato unirsi a loro.

Scout riaccompagna Boo a casa e si avvicina con lui alla porta, osserva la casa con occhi enormi, riuscendo finalmente a scoprire cosa si celava dietro quelle alte siepi.

Chissà che avrebbe detto suo fratello al risveglio scoprendo che lei aveva incontrato di persona Boo e ci aveva anche parlato!

Credo che in questo libro, i discriminati vittime di pregiudizi, i “mockingbirds”, non siano solo le persone di colore, ma anche le famiglie come i Finch e i Radley, che solo perché hanno comportamenti “rivoluzionari” vengono guardate male.

La nuova amicizia che nascerà tra Boo e Scout dimostra che se si conosce meglio una persona e si sa guardare “oltre la siepe” si scopre che tutti abbiamo un cuore tenero, anche se a volte lo nascondiamo dietro alle insicurezze.



SOFIA SORRENTI


Un tema importante del libro è quello dei pregiudizi che, in piccolo, gli abitanti di Maycomb avevano gli uni per gli altri; Maycomb infatti, è come un microcosmo che riflette la mentalità diffusa nella società in quel periodo, in particolare nei confronti dei neri. A Maycomb questi pregiudizi vengono alla luce, soprattutto quando avviene il processo di Tom Robinson, un signore nero incolpato di aver picchiato e violentato una ragazza diciannovenne per cui svolgeva dei lavori. All’esito del processo, nonostante l'avvocato di difensore dimostri la sua innocenza, l’uomo viene giudicato comunque colpevole dalla giuria. Io penso che questo fatto sia ingiusto perché tutti in tribunale hanno gli stessi diritti e quindi non è coerente condannare un uomo innocente alla pena di morte solo perché è nero ed i neri a quel tempo non erano molto graditi. 

Questa non è una storia che parla solo del razzismo, ma anche del pregiudizio sul modo di essere e su come doveva comportarsi una ragazzina. Questo accade a Scout, una bambina con un carattere selvaggio, curioso, e a volte un po’ litigioso, che adorava indossare i pantaloni anche se veniva obbligata da sua zia e dalle altre signore della contea a mettersi le gonne, e a partecipare agli incontri settimanali del tè, mentre tutto quello che voleva fare era in realtà divertirsi e giocare con suo fratello. Io credo che se una persona si sente a suo agio in un certo modo, non vedo perché non dovrebbe comportarsi come pensa, che sia giusto per lei o per lui; quindi, prendendo sempre come esempio Scout, anche se preferiva indossare i pantaloni e, a volte, era un po’ scontrosa, non lo vedo come una cosa negativa perché rimaneva comunque una ragazzina educata e dolce. L'ultima persona che è stata vittima di pregiudizi è Boo Radley, che tutti consideravano un pazzo e che era temuto dai bambini, ma alla fine si è dimostrato un uomo di cuore buono, perché vedendo due ragazzini in pericolo si è precipitato da loro salvandoli da un possibile omicidio, senza poi vantarsi eccessivamente del bel gesto che aveva compiuto. Negli ultimi capitoli del libro capiamo che questi pregiudizi stavano via via scomparendo, come allusione che anche nel resto dell'America e del mondo le discriminazioni razziali erano considerate come cose negative.



ELIAS KIESSLING


Il buio oltre la siepe, o “To Kill a Mockingbird” in lingua originale, è un potente romanzo di Harper Lee che attraverso la storia di tanti personaggi, parla delle ingiustizie razziali e sociali in una cittadina nel profondo Sud degli Stati Uniti negli anni ’30. Alcuni protagonisti incarnano perfettamente la figura del “mockingbird” e sono particolarmente significativi in questo contesto.                                                                                                            Tom Robinson è un uomo di colore accusato ingiustamente di stupro, lui rappresenta la vittima del razzismo dilagante in quel periodo. Dalla sua storia si può capire come l’ingiustizia sia radicata nel tessuto sociale, pieno di pregiudizi, che comprometteranno la sua difesa, così da arrivare a condannare un innocente.                                                                                                        Atticus Finch, l’avvocato di Tom, rappresenta il difensore della giustizia e dell’uguaglianza, la sua decisione di rappresentare un uomo di colore mette in evidenza i suoi principi morali e la sua lotta contro gli stereotipi, ma, allo stesso tempo, questo impegno lo rende a sua volta oggetto di pregiudizi da parte della sua comunità.                                                                                                                                     Anche Boo Radley, un personaggio misterioso e isolato, subisce il peso dei giudizi della comunità, basati su pettegolezzi e storie su di lui. La sua storia si sviluppa attraverso la paura e l’incomprensione, finché alla fine dimostra di essere una figura ricca di compassione, sfidando così gli stereotipi sociali.                                                                                                            La lettura di questo romanzo suscita la consapevolezza delle ingiustizie razziali e sociali, incitando alla riflessione sulla necessità di combattere i pregiudizi e le discriminazioni sociali. Il libro spiega come il razzismo sia fortemente radicato nella società, e penso che la sua lettura possa aiutare a imparare come poter contrastare le ingiustizie e gli stereotipi così da promuovere una società più giusta ed equa. 

L'assassinio del Commendatore di Andrea Andorlini 

L'assassinio del commendatore di Haruki Murakami - Recensione di Andrea Andorlini


L'assassinio del commendatore di Haruki Murakami è un'opera complessa e coinvolgente che affronta temi profondi come l'arte, la solitudine, la creatività e il mistero dell'esistenza umana. Pubblicato in due volumi, questo romanzo epico ci trasporta in un mondo surreale e misterioso, dove realtà e immaginazione si fondono in un vortice di eventi straordinari e personaggi indimenticabili.


La trama ruota attorno a un pittore senza nome, che si trova in una fase di stallo creativo dopo il divorzio dalla moglie. Decide di ritirarsi in una casa isolata sulle montagne, appartenuta a un famoso pittore, Tomohiko Amada. Qui, il protagonista spera di ritrovare l'ispirazione perduta e di trovare un nuovo scopo nella vita. Tuttavia, ben presto viene coinvolto in una serie di eventi misteriosi legati al passato di Amada e alla sua opera più celebre, L'assassinio del commendatore.


Una delle caratteristiche più affascinanti del romanzo è la sua capacità di mescolare realtà e fantasia in modo fluido e coinvolgente. Murakami crea un mondo in cui le linee tra sogno e realtà diventano sfocate, lasciando il lettore incerto su cosa sia reale e cosa sia frutto dell'immaginazione dei personaggi. Questo gioco sottile tra il mondo esterno e quello interiore dei protagonisti aggiunge profondità e complessità alla storia, mantenendo viva l'attenzione del lettore fino all'ultima pagina.


I personaggi sono uno dei punti di forza del romanzo. Il protagonista, nonostante il suo anonimato, è un individuo complesso e sfaccettato, tormentato dai fantasmi del passato e alla ricerca di un significato più profondo nella vita. I personaggi secondari, come il misterioso Commendatore e il facoltoso uomo d'affari Wataru Menshiki, sono altrettanto intriganti e ben sviluppati, aggiungendo ulteriore profondità alla trama.


La narrazione di Murakami è magistrale, con una prosa lirica e coinvolgente che cattura l'immaginazione del lettore fin dalle prime pagine. La sua capacità di dipingere immagini vivide e suggestive attraverso le parole crea un'atmosfera unica e coinvolgente, trasportando il lettore in un viaggio emozionante attraverso il mondo dei sogni e della realtà.


Oltre alla trama avvincente e ai personaggi ben definiti, L'assassinio del commendatore esplora anche temi universali come l'amore, la perdita, la morte e la ricerca di significato nella vita. Murakami affronta queste tematiche in modo delicato e profondo, senza mai cadere nel sentimentalismo o nel didascalismo. La sua scrittura è permeata da una profonda empatia per i suoi personaggi e per l'umanità nel suo complesso, rendendo il romanzo non solo una lettura avvincente, ma anche una riflessione profonda sulla natura umana e sulle sue infinite sfaccettature.


In conclusione, L'assassinio del commendatore di Haruki Murakami è un capolavoro della letteratura contemporanea che affascina e incanta con la sua narrazione coinvolgente, i suoi personaggi indimenticabili e i suoi temi profondi e universali. Attraverso le sue pagine, il lettore viene trasportato in un mondo di mistero e magia, dove la linea tra sogno e realtà si dissolve e dove ogni pagina rivela nuovi segreti e scoperte.


Andrea Andorlini



Se i gatti scomparissero dal mondo di Irene Ribolla 

Scheda e recensione di un libro: “Se i gatti scomparissero dal mondo” Genki


Titolo: Se i gatti scomparissero dal mondo

Anno di pubblicazione: 2012

Casa editrice: Einaudi

Biografia dell'autore

 Kawamura Genki è uno scrittore giapponese nato a Yokohama nel 1979. Si laurea in Lettere alla Jochi Daigaku e nel 2011 riceve il premio Kumamoto per giovani produttori cinematografici. Nel 2012 esce ‘Se i gatti scomparissero dal mondo’, il suo primo romanzo che diventa un successo mondiale.

Trama del libro

 Il libro parla di un ragazzo, un postino di 30 anni, che vive da solo in un appartamento con il suo gatto. Un giorno scopre di avere un tumore al cervello e il diavolo si presenta a lui proponendogli un patto: se avesse fatto scomparire qualcosa dal mondo, gli avrebbe concesso un giorno in più di vita; la proposta poteva ripetersi giorno dopo giorno facendo così scomparire anche altre cose. 

Ma, sorpresa sorpresa, non è Kawamura a decidere, ma il diavolo in persona. Il ragazzo accetta, e così cominciano a scomparire dal mondo il tempo, i film, i telefoni.  Fino a quando gli viene proposto di far scomparire i gatti… 

Analisi stilistica

Ironico, dettagliato. L’organizzazione del testo risulta chiara e lineare. 

Ritmo e genere dell’opera

Il ritmo è incalzante in alcuni passi, soprattutto nei dialoghi tra il protagonista e il diavolo, ed è più prolisso nei monologhi e nelle descrizioni. Il genere letterario rimane narrativo.

Personaggi principali e loro caratteristiche: 

Il protagonista è un ragazzo di di 30 anni di cui non sappiamo il nome, solo che fa il postino, vive solo con il suo gatto ed è molto riservato e timido. Si preoccupa di tutto e tende a riflettere troppo sulle scelte. 

Cavolo è il gatto che la mamma del ragazzo ha lasciato gli ha lasciato in affido. E’ molto legato a Kawamura, con il quale ha un rapporto speciale. 

Aloha è il diavolo, colui che propone il patto a Kawamura, ha sempre  un sorriso beffardo e vestiti improponibili. 

Dove si svolge la storia 

 La storia si svolge in una piccola cittadina del Giappone.

Flashback 

Sono presenti dei flashback che riguardano l' infanzia del protagonista e i momenti trascorsi con la madre, come i  suoi ultimi giorni di malattia, e il ricordo del padre con rimpianto.

Commenti e giudizi personali 

 Il libro è interessante e coinvolgente sia per la storia che per la modalità di narrazione, anche se in alcuni punti i monologhi risultano lunghi e pesanti. È un libro molto significativo perché fa riflettere sugli aspetti della vita e su cose che noi diamo spesso per scontate. 

Quali sono i motivi per cui consiglieresti questa lettura 

Consiglierei di leggere questo libro perché è moderno e i ragazzi possono immedesimarsi con facilità. Con questa lettura si può anche sviluppare un giudizio critico e guardare le situazioni da un’altra prospettiva, infatti ci si rende conto che siamo circondati da beni materiali e quanto non prestiamo attenzione, invece, agli aspetti umani. 

Del libro mi è rimasto impresso il passaggio nel quale il protagonista capisce che le esperienze del passato e i rapporti umani possono trasformarsi da tesori, che una persona non vuole perdere, in ricordi che arricchiscono.




Crónica de una muerte anunciada di Andrea Andorlini

Crónica de una muerte anunciada de Gabriel García Márquez - Reseña de Andrea Andorlini


 Crónica de una muerte anunciada de Gabriel García Márquez es una obra maestra de la literatura latinoamericana que teje una trama de suspense, pasión y tragedia en un pequeño pueblo costero. A través de una narrativa intricada y envolvente, García Márquez nos sumerge en un mundo donde el destino está marcado por la inevitabilidad y la fatalidad.


La historia se desarrolla en un pueblo caribeño ficticio donde un crimen atroz está a punto de ocurrir. La trama gira en torno al asesinato de Santiago Nasar, un joven adinerado, perpetrado por los gemelos Vicario en venganza por el supuesto ultraje a su hermana Angela Vicario. Sin embargo, lo más sorprendente de la novela es que desde el principio se nos revela el desenlace: la muerte de Santiago Nasar es anunciada a la comunidad entera. A pesar de este presagio, nadie hace lo suficiente para evitar la tragedia que se avecina.


La estructura narrativa de la novela es compleja y fascinante. García Márquez utiliza una técnica de narración no lineal, saltando de un momento a otro en el tiempo, mientras revela progresivamente los detalles del asesinato. Este enfoque crea una sensación de inevitabilidad y suspenso, ya que el lector sabe desde el principio lo que va a suceder, pero desconoce los detalles exactos y las motivaciones detrás del crimen.


Uno de los aspectos más destacados de la novela es su exploración de temas universales como el honor, la violencia, la culpa y la redención. A través de los personajes y sus acciones, García Márquez examina las complejidades de la moralidad humana y la sociedad en su conjunto. La historia de Santiago Nasar y los gemelos Vicario sirve como un microcosmos de la condición humana, donde las pasiones desenfrenadas y las normas sociales chocan inevitablemente.


Los personajes de la novela son vibrantes y memorables, cada uno con sus propias motivaciones y conflictos internos. Desde el ingenuo Santiago Nasar hasta los gemelos Vicario, obsesionados con el honor de su familia, cada personaje está hábilmente desarrollado y contribuye al impacto emocional de la historia. Angela Vicario, en particular, es un personaje fascinante cuya ambigüedad y ambivalencia añaden capas de complejidad a la trama.


La prosa de García Márquez es exquisita, llena de imágenes sensoriales y metáforas evocadoras que transportan al lector al mundo del pueblo costero. Su estilo único y poético crea una atmósfera de misterio y suspenso que se mantiene a lo largo de toda la novela. Además, el uso del realismo mágico, una característica distintiva de la obra de García Márquez, añade un elemento de fantasía y maravilla a la historia, elevando la narrativa a un nivel completamente nuevo.


En conclusión, Crónica de una muerte anunciada es una obra maestra de la literatura que cautiva al lector desde la primera página hasta la última. Con su intrincada trama, personajes vívidos y prosa exquisita, Gabriel García Márquez ha creado una obra que perdurará en la memoria de los lectores mucho después de haber cerrado el libro. Es una exploración fascinante de la naturaleza humana y los dilemas morales que enfrentamos, y una obra que merece un lugar destacado en el canon literario mundial.


Andrea Andorlini



Il diario di Anna Frank della 1EL

Diario di Anna Frank di Anna Frank - Recensioni della 1EL di Allegra Fiorentini, Michelle Hu, Chiara De Silva, Riccardo Fattori, Vittoria Brandi, Margherita Bosurgi e Arianna Pasqualetti


ALLEGRA FIORENTINI


Anna è solo una ragazzina quando inizia a scrivere il suo diario nel giugno del 1942. I primi giorni in cui scrive si presenta come una ragazza qualunque, con “problemi” normali per la sua età. Anna conduce una vita semplice insieme alla sua famiglia: va a scuola, ha degli ammiratori e qualche amica. Si capisce subito che Anna è una ragazza semplice, che a volte non eccelle in modestia, ma che si accontenta di ciò che ha. Purtroppo per lei, la tranquillità e la fortuna non sono dalla sua parte perché nel 1950 i tedeschi invadono l’Olanda e mettono in atto le leggi razziali.

La famiglia Frank è ebrea e per scappare dalle persecuzioni è costretta a nascondersi nella grande soffitta sopra l'ufficio del padre, Otto. Quell’ufficio sarà la loro casa per i successivi due anni e vivranno insieme a loro anche altri ebrei in fuga.

Gran parte del testo è dedicato a descrivere la vita che conducono nel nascondiglio, con particolari e resoconti da parte di Anna ogni volta che succede qualcosa. Con qualche disguido e momenti di paura, vedono finalmente una luce in fondo al tunnel e hanno la speranza che presto l’Olanda venga liberata. Il 4 agosto 1944 però la polizia tedesca invade il nascondiglio e trasferisce le famiglie nei campi di concentramento. L'unico che si salverà dall’internamento nei campi sarà il padre, a cui verrà restituito il diario di Anna alla fine della guerra. 

Penso che il Diario di Anne Frank sia uno dei testi più importanti che abbia mai letto.

Anna descrive tutto dal punto di vista di una ragazzina, ma si capisce quanto sia stato traumatico per lei e la sua famiglia il periodo che ha vissuto.

Anna divaga, racconta al diario, la sua amata Kitty, tutto ciò che succede, i suoi pensieri, i sogni, le paure più intime. È proprio questo che rende speciale Anna Frank: il fatto che, nonostante tutto, lei sia rimasta se stessa, senza mai vacillare.

Con il diario, ha dimostrato quanto fosse matura e devota al dovere, ma sempre con l’ingenuità e a tratti l’egoismo di una ragazza in crescita.

Mi pento di non aver letto prima il Diario di Anna Frank, perché credo sia uno dei libri fondamentali da leggere che esistano. 

Ammetto di aver rimandato la lettura solo per non dovermi confrontare con pensieri drammatici e angoscianti, ma in conclusione sono felice di aver compreso e approfondito a pieno questo diario. Mi sono resa conto della fortuna che ho a vivere e crescere in un ambiente sano e calmo, con cui vado d’accordo e per il quale non ringrazierò mai abbastanza. È questo ciò che mi ha insegnato il Diario di Anna Frank: a sentirmi sempre fortunata per quello che ho e grata a chi me lo garantisce, perché purtroppo ci sono persone che non possono dire altrettanto. Ho amato questo libro e sono sinceramente dispiaciuta per ciò che è successo ad Anna e a tutte quelle famiglie rovinate dalle leggi razziali. Vorrei che le cose fossero andate diversamente.



MICHELLE HU


Il diario inizia con il tredicesimo compleanno di Anna Frank, detta Anne, la quale racconta i regali ricevuti e come ne ha parlato in classe a tutti i suoi compagni di classe.

Passano settimane dal compleanno; Anne e la sua famiglia, intanto, si sono nascoste. Si trovano in un nascondiglio in Olanda e Anne spiega a Kitty, la sua amica immaginaria, come è fatto il nascondiglio, la sua situazione e come si vive.

Trascorrono altri mesi e Anne scopre che dei suoi amici sono stati deportati. Spiega la paura che lei ha ogni volta quando passano aerei e sente spari.

Ogni tanto Anne riceve notizie buone e cioè come gli inglesi riuscivano ad avere la meglio in alcune battaglie; lei si sente più a suo agio, ma la paura di essere catturati e deportati rimane.

Passò qualche anno dal primo bombardamento. Anne aveva iniziato a scrivere nel suo diario nel 1942 e siamo nel 1944; c’è ancora la guerra e lei con la sua famiglia è ancora nascosta. Tutti quanti si ammalavano spesso ma, nonostante ciò, Anne continua a scrivere il suo diario, rivolgendosi a Kitty.

Ci sono altre notizie buone: gli inglesi riescono a bombardare alcune città nemiche e c'è un attentato contro Hitler, che non è riuscito. Questa buona notizia non dura molto e tutto finisce.

Anne viene deportata nel campo di concentramento di Bergen-Belsen e muore nel marzo 1945 a quindici anni.

Soit gentil et tiens courage” (“Sii gentile e abbi coraggio”).



CHIARA DE SILVA


Il Diario di Anna Frank non parla di un solo argomento principale, ma di tante vicende quotidiane vissute da lei durante il periodo nazista. Prima di essere stata deportata ad Auschwitz, il diario era il suo più caro amico. Lo aveva ricevuto il giorno del suo compleanno dai suoi genitori. Anne racconta tutto al diario. Non scrive ogni giorno ma, quando lo fa, si confida con esso. Parla dei compagni di classe, della sua famiglia, di cosa fa durante le giornate, e c’è anche qualche riflessione sulla guerra. Gli ultimi anni della sua vita, Anne fu obbligata a passarli in un appartamento nascosto in cui uno scaffale copriva la porta. Penso che Anne sia una ragazza come tutti noi, che però anche avendo così poco, come un diario, riusciva ad accontentarsi. La stimo molto perché è anche grazie a lei che si conosce com’era la vita durante il periodo nazista, se non eri ancora stato deportato. Anche se non conosco Anne di persona, la descriverei con tre aggettivi: solare, coraggiosa e curiosa. Secondo me, noi ragazzi d’oggi dovremmo stimare tutte le persone che sono morte a causa di ideali sbagliati di persone che si credevano superiori ad altri. Dovremmo stimare le persone morte nei campi di concentramento come ugualmente dovremmo stimare persone che sono morte per farci avere dei diritti equi. Leggere, sinceramente, anzi, personalmente, non mi piace molto, ma devo ammettere che questo libro mi ha stupito, nonostante fosse molto lungo. Leggere di fatti accaduti realmente serve tantissimo, prima di tutto per ricordare e poi per fare in modo che episodi del genere non accadano più. Personalmente questa lettura mi ha lasciato molto perché ho capito cosa vuol dire veramente scrivere, perché scrivere non vuol dire solo scrivere un tema, scrivere significa far passare le proprie emozioni a chi poi le legge, sfogarsi, scoprirsi e non aver paura di lasciarsi andare. Anne ci è riuscita: leggere questo libro per me è stata una vittoria, ho scoperto tantissime cose nuove.



RICCARDO FATTORI


Il Diario di Anna Frank è un libro sotto forma di diario che narra la vita all’interno di un alloggio segreto di un’adolescente ebrea, Annelies Marie Frank appunto (detta Anne), e della sua famiglia.

Anne scrisse questo diario dal 12 giugno 1942 fino al 1 agosto 1944, il periodo in cui ha vissuto nascosta.

In questo diario Anne racconta senza censure tutto quello che in quel momento le passa per la testa o sente dentro di sé, annota con trasparenza anche i suoi sentimenti più intimi con riflessioni – alcune a volte molto lunghe – e discorsi che il più delle volte durano intere pagine.

Per esempio parla molto a lungo dei suoi amici descrivendoli sia a livello caratteriale sia a livello fisico in maniera molto approfondita e accurata.

Scrive dei suoi hobby prima di entrare nell’alloggio segreto e, una volta dentro, non si sofferma solo sui suoi ma anche su quelli del resto dei componenti della casa.

Parla spesso dei continui bisticci con la madre.

Narra dei suoi amori prima della vita segregata ma anche della sua cotta per il figlio dell’altra famiglia che abita con loro.

Racconta delle persone che li aiutano a restare nascosti portandogli cibo e vestiti; Anne queste persone oltre a specificare il nome li chiama protettori, cosa che effettivamente sono.

Inoltre in una parte del diario descrive la routine completa dell’alloggio citando orari e azioni precise.

Racconta della paura durante i bombardamenti e dei frequenti litigi dei Van Pels.

Verso gli ultimi anni del diario si nota la volontà di voler pubblicare il diario; questo viene in risalto perché scrive in un modo più maturo, curato e corretto.

Secondo me Anne Frank è una ragazza intelligente e con sprazzi di maturità, anche se alcune volte si lascia trasportare troppo dalle emozioni del momento, ci si può accorgere di questo carattere in alcuni passi del libro in cui scrive in maniera molto impulsiva.

Mi è parsa una ragazza molto estroversa che dice sempre quello che pensa e che chiacchiera molto; questa parte del suo carattere la riconosce pure lei all’interno del diario, però alcune volte quando quello che vorrebbe dire o scrivere è troppo duro riesce a trattenersi.

Per me il Diario di Anna Frank ha un valore etico e morale tangibile, è importante saper i sacrifici enormi che dovevano fare per sfuggire alla deportazione, ma soprattutto è interessante conoscere i pensieri di una qualsiasi adolescente che si ritrova in quella situazione.

Secondo me leggere questo libro ha una grande importanza principalmente se si è in età adolescenziale perché in qualche modo ci si può rispecchiare nei suoi pensieri, nei pensieri di una ragazza di 14 anni che si trova in una situazione inusuale e sicuramente non piacevole.

Questa lettura mi ha lasciato un senso di angoscia soprattutto sapendo come va a finire la vita di Anne, però devo dire che la lettura è scorrevole e convincente e personalmente mi faceva venire voglia di continuare a leggere e di scoprire cosa succedeva.

Questo libro mi è piaciuto molto e vorrei rileggerlo quando sarò un po’ più grande e maturo per vederlo con occhi e consapevolezza diversi.



VITTORIA BRANDI


Il Diario di Anna Frank è un libro che racconta i pensieri e i fatti accaduti tra Anne e gli altri componenti dell’alloggio segreto in cui alcune persone ebree erano costrette a vivere a causa del nazismo e delle leggi razziali.

Penso che questa ragazza sia stata molto coraggiosa e forte anche per il fatto di aver resistito a questa vita difficile fino al 1944 ed essere poi deportata in un campo di concentramento dove è morta.

È una ragazza studiosa un po’ testarda e un pochino vanitosa ma è anche gentile e fragile e molto modesta; è autentica ed ha ovviamente una vita scombussolata e piena di pensieri da quindicenne.

Da quanto descritto sul libro aveva i capelli castani, corti e un po’ ricci.

Il valore di questo libro è secondo me quello di essere un ricordo o testimonianza di questa ragazza coraggiosa che ha scritto i propri pensieri in questo diario in cui si rivolge ad un’amica immaginaria che chiama Kitty.

Penso quindi che abbia valore di stimolo per riflettere interessante; ma soprattutto ritengo che sia emozionante e per questo penso che abbia ancora importanza leggerlo.

Non solo è un libro che parla di fatti ma in esso ci sono parti, anche se poche, spiritose, tristi e parla di pensieri interessanti.

Per finire ritengo sia bello capire come una ragazza quindicenne di quei tempi abbia i suoi pensieri o come le persone si comportano intorno a lei, cosa fa, cosa sente o vede.

Mi ha rassicurata sapere come adesso in Italia non ci sono più guerra né bombardamenti e mi ha fatto capire quanto sono fortunata ad avere una casa e non un appartamento scomodo e piccolo; mi sono anche resa conto che in alcuni pensieri o emozioni mi ci sono imbattuta anche io.

Questa lettura è molto tragica e triste ma mi ha fatto venire voglia di vivere al massimo e bene la vita e mi ha insegnato a guardare dentro me stessa, a confrontare i miei problemi senza mollare, ma essere forte.

Detto ciò mi è piaciuto molto e lo consiglio per una lettura interessante.



MARGHERITA BOSURGI


Il Diario di Anna Frank è un vero e proprio diario scritto da una ragazzina che racconta dal suo punto di vista la persecuzione degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale.

Il diario le viene regalato per il suo tredicesimo compleanno e da quel giorno in poi scrive molto frequentemente ciò che le succede e come si sente.

La sua famiglia è formata da suo padre, sua madre e sua sorella Margot. Quando inizia a scrivere il diario le leggi razziali erano già entrate in vigore: erano costretti a portare la stella gialla sui vestiti, a non poter uscire di casa da una certa ora in poi, e lei e sua sorella avevano dovuto cambiare liceo per andare in un istituto solo per ragazzi ebrei.

Poche settimane dopo il suo compleanno (8 luglio 1942) la sua famiglia si trasferisce in un appartamento segreto sopra gli uffici dove lavorava suo padre. È un appartamento abbastanza piccolo (nascosto dietro uno scaffale) che devono condividere con i Van Daan (un’altra famiglia) a cui, dopo qualche settimana, si aggiunge Dussel, un altro uomo ebreo costretto a nascondersi. 

Rimarranno chiusi in questo appartamento fino al 4 agosto 1944 quando vengono trovati e portati in diversi campi di concentramento. Della sua famiglia solo suo padre sopravviverà;   Anna morirà nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel marzo del 1945.

Nel nascondiglio tutti devono vivere senza fare rumore, con poco cibo e senza la possibilità di uscire. Per Anna le uniche distrazioni sono i libri e lo studio, la mitologia, le star dei film e i litigi molto frequenti. Dopo circa un anno si prende una cotta per Peter che è il figlio dei Van Daan.

Anna è una ragazza solare e positiva, ma anche molto profonda: è spesso arrabbiata e non si sente compresa e amata dai suoi genitori, neanche da suo padre (a cui è molto legata). Tutti la criticano per ogni cosa che fa e per questo lei indossa una maschera di indifferenza che la fa sembrare maleducata, quando in realtà ci tiene davvero e ci rimane male.

È una ragazza molto loquace e, anche se costretta a stare in queste condizioni, trova sempre qualcosa per cui essere allegra: una bella giornata, un pasto diverso dal solito, una parola dolce da parte di qualcuno o le chiacchierate con i loro amici che li aiutano a nascondersi.

Questo libro insegna a non perdere la speranza. Anna aveva tanti sogni: voleva diventare giornalista e visitare Londra e Parigi; amava la vita.

Credo sia molto importante continuare a leggerlo. È la memoria di un fatto storico che ha cambiato il mondo raccontato dagli occhi di una ragazzina. Mi ha colpito profondamente perché sono riuscita a immedesimarmi; abbiamo la stessa età e ho compreso molti dei suoi pensieri come se fossero i miei. Mentre leggevo il libro avevo sempre un senso di angoscia, soprattutto quando parlava dei suoi sogni e del futuro e io sapevo già come sarebbe finita. Riesco solo a immaginare come lei si sia sentita vivendo sempre in uno stato di paura e chiusa in pochi metri quadrati di appartamento, io credo sarei impazzita.

Sicuramente non è un libro leggero, però è necessario leggerlo per capire a pieno che cosa succedeva nella testa delle persone in quel periodo.



ARIANNA PASQUALETTI


Il Diario di Anna Frank è stato scritto da quest’ultima durante la Seconda guerra mondiale. Suo padre, per il suo tredicesimo compleanno, le aveva appunto regalato un diario, destinato poi a diventare come un migliore amico con cui confidarsi.

Anne faceva parte di una famiglia ebrea abbastanza benestante, aveva molti amici e molti ammiratori, conduceva quindi una vita tranquilla e spensierata.

Iniziò a scrivere sul suo nuovo diario già pochi giorni dopo il suo compleanno, ma la maggior parte del libro lo ha scritto nascosta sopra l’ufficio di suo padre per scappare dalle deportazioni dei tedeschi.

Infatti, nel giro di un paio di giorni, la sua vita cambiò radicalmente e si ritrovò dall’essere una ragazzina libera e spensierata ad una persona più matura e cosciente.

Nel posto dove erano nascosti arrivò anche un’altra famiglia con un figlio, Peter, all’inizio un po’ chiuso e freddo ma che poi instaurerà un forte legame con Anne.

Il diario è principalmente un insieme di lettere fittizie indirizzate alla sua amica immaginaria Kitty.

In esse Anne si racconta, narrando sia delle vicende che succedono tra la sua famiglia e quella di Peter, sia dei suoi cambiamenti esteriori ed interiori.

Nei due anni in cui è rimasta nascosta Anne proverà una serie di sentimenti e sensazioni nuove che la travolgeranno un po’. Se prima Anne era una ragazzina senza troppi pensieri per la testa, adesso si sente un’adolescente incompresa.

Questo diario narra le emozioni di una ragazzina che di colpo si ritrova a non poter più fare la vita di prima e ritengo che siamo molto fortunati ad avere ancora oggi una testimonianza di guerra del genere.

Per lei scrivere era la cosa più importante perché poteva sfogarsi di tutto ciò che le passava per la mente.

Secondo me sarebbe importante leggere questo libro alla nostra età perché può far aprire gli occhi su molti argomenti.

Quando sono state proposte le letture ho scelto questo libro perché ero molto curiosa di scoprire se i pensieri di una ragazzina della mia età, ma vissuta ottanta anni fa, sarebbero stati simili ai miei e devo ammettere che qualche cosa la condivido pienamente.

Dopo due anni gli abitanti dell’alloggio segreto sono stati scoperti e deportati nei campi di concentramento. Anne Frank è morta nel 1945 nel campo di Bergen-Belsen, probabilmente per un’epidemia di tifo, il giorno dopo la sorella Margot.

L’unico sopravvissuto della famiglia Frank fu il padre, che ritrovò il diario della figlia e decise di pubblicarlo.



"Il sentiero dei nidi di ragno" della 1EL

Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino - Recensioni della 1EL di Duccio Pennisi, Emma Sofia Amato, Aurora Offredi Marangon, Sofia Castorina e Sofia Sorrenti


DUCCIO PENNISI


Questo romanzo parla di un bambino, Pin, di circa 10 anni. Pin, orfano di madre e abbandonato dal padre, vive con sua sorella che è la “nera di Carrugio Lungo”, una prostituta molto famosa nella zona. Un giorno Pin, recatosi all’osteria, è costretto dagli uomini che lo frequentano a rubare una pistola ad un nuovo arrivato, un marinaio tedesco.

Il giorno seguente, dopo aver rubato la pistola e il cinturone, si reca all’osteria per consegnarla agli uomini, ma questi si rivelano disinteressati e lasciano la pistola a Pin.

Il protagonista allora decide di nascondere la pistola in un posto segreto che solo lui conosce, un posto dove i ragni fanno le tane. Dopo aver nascosto la pistola, però, un soldato tedesco che aveva riconosciuto il cinturone che Pin portava alla vita lo catturò e lo portò in prigione, sorvegliata da soldati e sentinelle tedesche. Pin in prigione incontra Lupo Rosso, un partigiano di 16 anni molto famoso per i suoi scontri con i tedeschi. Dopo essersi conosciuti, Lupo Rosso, che aveva organizzato un piano per evadere dalla prigione, coinvolge anche Pin e insieme riescono a scappare di notte. Lupo Rosso però si rivela un traditore e lo abbandona subito dopo l’evasione. Allora  Pin dopo aver camminato a lungo riconosce il luogo dove aveva nascosto la pistola e vede che è ancora lì e che nessuno aveva scovato il nascondiglio. All’improvviso appare una figura enorme alle sue spalle, un partigiano della banda del Dritto, chiamato Cugino, che decide di portare Pin all’accampamento delle brigate vedendolo smarrito e affamato. Pin era già entrato a fare parte della banda quando tutto il gruppo è costretto a lasciare il rifugio a causa di un incendio causato involontariamente dal capo e a spostarsi in una capanna. Pelle, un componente della banda, allora, dopo essersi arrabbiato con il capo, tradisce il gruppo e rivela la posizione dei partigiani ai militari tedeschi. Anche Pin dopo una discussione con Dritto scappa e torna nel suo posto segreto ma si accorge che la sua pistola è stata rubata. Pin pensa subito a Pelle, dal momento che era l’unica persona a cui aveva rivelato la posizione della P38. Allora Pin si precipita da sua sorella che, fortunatamente, era in possesso della pistola che gli era stata data da Pelle quando era passato da lì. Allora Pin torna al sentiero dei nidi di ragno dove incontra nuovamente Cugino; realizza che è il primo vero amico che abbia mai avuto.


Il romanzo è ambientato nella Seconda guerra mondiale, in particolare nel periodo della Resistenza partigiana.


Pin è un  bambino che non ha amici, a cui piace stare con i grandi, è un bambino coraggioso che non  si fa intimidire da nessuno.

La relazione tra Pin e Cugino è molto sincera e veritiera, è una relazione per tutti e due molto importante per il fatto che entrambi non hanno mai avuto l’opportunità di provarla e quindi la tengono molto stretta.

Un tema del romanzo è quello della Resistenza partigiana che fa da cornice al racconto.


Questa lettura mi è piaciuta molto perché è narrata dalla prospettiva di un bambino che vive la Seconda guerra mondiale in un modo più allegro e spensierato.



EMMA SOFIA AMATO


Il racconto di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno racconta della turbolenta e agitata vita di Pin, un ragazzo di soli dieci anni, orfano, rimasto con sua sorella, la quale fa la prostituta nel suo paese. Pin non è come tutti gli altri ragazzi, si sente escluso dai bambini della sua età che non sanno nulla di armi o di che cosa piace fare agli adulti, per questo si rivolge sempre ai più grandi, quelli dell’osteria e poi quelli della brigata partigiana a cui si unisce. Ma nonostante si trovi più a suo agio con gli adulti, non viene mai trattato come vorrebbe, perciò si sente emarginato anche da questo mondo. L’unica cosa che vorrebbe è avere un amico fedele a cui mostrare dove fanno i nidi i ragni, un posto che conosce solo lui. Pin potrà anche sapere cose che i ragazzi alla sua età non sanno, ma non è abbastanza grande per sapere davvero di cosa sta parlando, della guerra che si sta rovesciando su tutti loro.

Tutto comincia all’osteria dove Pin passa tutte le notti a cantare e scherzare con gli uomini, ma una notte gli uomini non sono in vena di scherzi e invece chiedono a Pin di rubare la pistola di un marinaio tedesco, il quale frequenta sua sorella. Dopo aver preso la pistola decide di non darla agli uomini dell’osteria e quindi va a nasconderla nel luogo che conosce solo lui. Quando sta per andarsene, però, viene sorpreso dai tedeschi che lo portano con loro arrestandolo. Alla fine riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di Lupo Rosso, un giovane partigiano, ma a quel punto non torna più in città: incontrerà invece Cugino, che lo porterà con sé alla brigata. Gli uomini della brigata prendono presto il posto di quelli dell’osteria per Pin, fino a che una mattina, dopo la battaglia contro i tedeschi, Pin si arrabbia con Dritto, ex capo della brigata, e corre via dall’accampamento dei partigiani. Inizia a vagare per i prati, va a controllare che la pistola sia ancora al suo posto, ma non la trova. Deluso dall’aver perso la pistola va a trovare sua sorella che ormai stava dalla parte dei tedeschi, i quali le avevano pure regalato una pistola che, guarda caso, era proprio come quella di Pin. Il ragazzo riesce a riprendersela e corre via senza una vera meta; rincontrerà però Cugino e ci passerà il resto della notte.

Cugino è un altro personaggio importante di questa storia: è un uomo grande che porta sempre il mitra in spalla e il berretto di lana in testa. Ha uno sproporzionato odio per le donne, dovuto al tradimento di sua moglie, e pensa addirittura che sia a causa loro se la guerra è iniziata. Pin vede Cugino come un amico, infatti è il primo a cui mostra il nido dei ragni ed è anche sorpreso quando Cugino mostra davvero interesse per quel luogo.

Durante la lettura ho pensato spesso al perché Calvino abbia chiamato il suo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno e secondo me è perché alla fine è l’unico luogo ricorrente del racconto, il posto a cui Pin cerca di arrivare sempre per nascondere il suo “bottino”, come all’inizio, quando per stare da solo si allontana dalla brigata. Si sente al sicuro in quel luogo perché è convinto di conoscerlo solo lui, perciò non può essere raggiunto né dagli uomini né dalla guerra. 

In generale la lettura è stata faticosa, perché non si sta certo parlando di un ambiente e di un argomento sereno. Se ci immedesimassimo completamente nel protagonista si potrebbe sentire la paura di Pin, per esempio quando si mette a correre dopo aver sentito i primi spari della battaglia. Secondo me lo scrittore riesce a trascinare il lettore nel racconto senza alcun problema. 

Personalmente a me piacciono sempre i libri che trattano di guerra perché ti danno il modo di riflettere non solo su quello che stai leggendo in quel momento, ma anche su quello che hai imparato a scuola e penso che questo libro voglia proprio lasciare il modo a tutti di riflettere sulle vite passate. Una delle parti che mi è piaciuta di più di questo romanzo è il dialogo tra Kim e Ferriera, nel quale Kim espone il suo pensiero mentre l’altro la pensa in tutt’altra maniera; qui lo scrittore fa capire bene le idee dell’uno e dell’altro e ci fa riflettere molto su quali possano essere le idee altrui rispetto alle nostre.



AURORA OFFREDI MARANGON


Il sentiero dei nidi di ragno racconta della storia di Pin, un ragazzo di dieci anni che si ritrova a dover combattere la guerra partigiana con una brigata. Pin parteciperà a molte battaglie e verrà anche portato in carcere dopo aver trovato e rubato una pistola al comandante tedesco, cliente della sorella che di lavoro fa la prostituta.

A soli dieci anni Pin si ritroverà perciò ad affrontare cose che non si sarebbe mai immaginato. 

Il romanzo è ambientato durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo in cui l’Italia non è più alleata con la Germania e sono state create le brigate. Pin, il protagonista del libro, ha solo dieci anni ed è orfano di madre, mentre il padre l’ha abbandonato per lavoro lasciandolo solo con la sorella, che è molto più grande di lui. 

Pin, anche se è solo un bambino, si comporta come un adulto solo per poter legare con gli altri uomini del quartiere. 

Per questo Pin fuma e beve con loro e fa tutto ciò che gli viene chiesto, come rubare la pistola al cliente della sorella. Comunque sembra essere un ragazzo coraggioso e senza paura, che si butta nella battaglia senza problemi. 

È proprio durante una sua avventura che conosce Cugino, un partigiano che Pin descrive come “un omone con la faccia camusa come un mascherone da fontana, con dei baffi spioventi e pochi denti in bocca”. Cugino all’inizio non sembra voler aiutare Pin, anzi, gli dice che lui di bambini smarriti non ne vuole sapere. Ma quando capisce che Pin è molto in gamba decide di portarlo con sé all’accampamento dei partigiani. Cugino nei confronti di Pin è un po’ burbero e non molto paziente, però comunque risponde a tutte le domande che il ragazzo gli fa. 

Pin, d’altro canto, rimane affascinato dall’omone e vorrebbe seguirlo ovunque vada. 

Cugino per Pin è un grande esempio da seguire, come un padre. In più Cugino è l’unico che crede assieme a lui all’esistenza dei nidi di ragno.

È così che Pin trova in Cugino l’amico che tanto aveva sognato. 

Ad un certo punto della narrazione Cugino chiede a Pin di sua sorella, perché è da molto tempo che non vede una donna. 

Pin pare felice di poterlo aiutare, anche se poi si rivela triste e preoccupato che l’amico possa essere catturato. Infatti si può notare la felicità nel vedere il suo amico molto presto. 

Cugino è caratterizzato dall’odio verso le donne, fatta eccezione per sua madre, la quale considera l’unica donna della sua vita. 

Il sentiero dei nidi di ragno: questo è il titolo che Calvino ha dato al suo più celebre racconto sulla guerra partigiana.

Ma perché proprio questo titolo? Dal mio punto di vista Il sentiero dei nidi di ragno non indica solo il luogo in cui Pin nasconde la pistola, ma ha un significato più profondo.

Per me quel titolo parla più della fiducia che Pin dà ai suoi “amici” e che poi darà a Cugino. 

Per Pin i nidi di ragno sono un rifugio, un luogo in cui può sentirsi un bambino come realmente è. È proprio questo che usa Pin per trovare qualcuno di cui fidarsi: quando i suoi “amici” del paese lo deridono, lui capisce che loro non sono quello che lui sognava, ossia degli amici veri. 

Per me quel titolo significa: “Il sentiero per la fiducia di Pin”. 

Pin trova in Cugino un amico vero perché Cugino crede nell’esistenza dei nidi di ragno anche senza averli mai visti. 

Calvino parla così dei sentimenti di questo bambino attraverso il suo “luogo del cuore”.

I temi che ho individuato nel racconto sono la ricerca dell’amicizia, la crescita psicologica di Pin che avviene molto velocemente e la guerra.

Questi tre temi portano a leggere sentimenti molto forti ma contrastanti tra loro. 

Se ripenso a questa storia confermo il fatto che non mi abbia colpito particolarmente anche se scrivendo questo tema ho capito davvero il significato meraviglioso che Calvino ha messo nel suo debutto.

Il fatto che mi ha colpito maggiormente è proprio Pin in sé, un bambino di dieci anni costretto a crescere più velocemente per poter affrontare in modo migliore ciò che è la guerra.

Quando comprendi che ciò che sognava di più Pin era solamente un amico mi viene come un tuffo al cuore.



SOFIA CASTORINA


Il libro parla di un bambino di circa dieci anni, di nome Pin, che vive con la sorella prostituta. Suo padre l’aveva abbandonato quando era piccolo e sua madre era morta. Pin vorrebbe frequentare bambini della sua età ma, a causa del lavoro della sorella, viene spesso preso in giro ed escluso dagli altri. Perciò spesso si reca all’osteria del paese, dove ha fatto amicizia con alcuni uomini, che fanno battute su gente del paese, e offrono vino, birra e sigarette. Inoltre Pin, per farsi accettare, usa un linguaggio volgare. Un giorno questi uomini gli propongono una sfida, che consiste nel rubare la pistola di Frick, un marinaio tedesco, che va spesso a letto con la sorella. Pin si reca in camera della sorella, con la quale c'è anche Frick, e, senza far rumore, prende la pistola e scappa. Il giorno seguente Pin va dai suoi amici dell’osteria, mostra loro la pistola del tedesco, ma loro non sembrano mostrare interesse, così Pin, arrabbiato, va via, Pin non sa cosa fare della pistola e decide di nasconderla in un posto che solo lui conosce, dove i ragni fanno il nido. Mentre vaga nel bosco, incontra Cugino, un partigiano, che decide di portarlo nell’accampamento segreto dei partigiani. Lì conosce alcuni partigiani, tra cui Mancino, un uomo anziano, cuoco della banda; Giglia, la moglie di Mancino; il Dritto, il comandante; Pelle, un ragazzo gracile; e Carabiniere. Lì incontra nuovamente Lupo Rosso. Pin rivela a Pelle il nascondiglio della sua pistola. Dopo un incendio involontariamente provocato dal Dritto, Pelle litiga con lui e decide di tradire i suoi compagni: rivela il nascondiglio segreto ai soldati e, dopo poco, questi vengono e li attaccano. Pin scappa, torna in paese e si dirige al sentiero dei nidi di ragno, ovvero dove ha nascosto la sua pistola.

Ma Pin vede che la pistola non c’è, perciò si reca dalla sorella e scopre che Pelle gli aveva rubato la pistola e che l’aveva portata a sua sorella.

Così Pin se la riprende e ritorna nel sentiero dei nidi di ragno dove incontra nuovamente Cugino.

Mentre passeggiano nel bosco, Cugino gli dice di voler andare a letto con sua sorella.

Pin finalmente capisce che Cugino è sempre stato il suo unico vero amico.

Pin è un ragazzo molto dolce, vorrebbe frequentare bambini della sua età ma purtroppo viene escluso, perciò si reca spesso nell’osteria del paese, dove ha fatto amicizia con alcuni uomini, che dicono spesso parolacce, bevono e fumano; inoltre sua sorella non si occupa di lui, perciò lui è solo.

Cugino, un partigiano che porta Pin all'accampamento partigiano,

non ama le donne; anzi lo disgustano, probabilmente perché, mentre era in guerra, è stato tradito dalla sua donna.

Secondo me l'autore ha scelto questo titolo perché Pin, quando nasconde la pistola nel bosco, la nasconde tra l’erba, dove i ragni fanno il nido.

I temi di questo romanzo sono la guerra e l'amicizia.

La guerra perché il racconto è ambientato nella fine della Seconda guerra mondiale, negli anni della Resistenza partigiana.

L’amicizia è un tema del romanzo perché racconta dell'amicizia di Cugino e Pin, un’amicizia sincera.

Questo libro mi è piaciuto molto, soprattutto una scena di suspense, quando Pin prende la pistola di Frick, perché Pin poteva essere scoperto dal tedesco, ma alla fine riesce a prenderla.

È stata però una lettura un po’ faticosa perché non riuscivo a capire bene l’inizio del racconto.



SOFIA SORRENTI


Il sentiero dei nidi di ragno è un libro che racconta la storia di Pin, un bambino povero e orfano che vive con la sorella, una prostituta, in un sobborgo di una città di porto della riviera ligure. Il suo obiettivo è quello di trovare un amico sincero con cui possa confidare riguardo il suo posto speciale: il sentiero dei nidi di ragno. Per questo motivo parte per questa ricerca, ma rimane ancora più solo di prima, almeno fino a quando non incontra Cugino, colui che lo farà entrare in un gruppo di partigiani un po’ sbandati e diventerà la sua nuova famiglia. Il racconto è ambientato durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo della Resistenza, in una sperduta cittadina di mare. I protagonisti di questo libro sono Pin e Cugino. Il rapporto con la sorella non è dei migliori, perché il bambino la considera una traditrice e la disprezza visto che va a letto sia con i partigiani sia con i tedeschi, mentre la sorella non si interessa per niente di Pin e lo considera solo un peso, una bocca in più da sfamare. All’interno del romanzo non sono presenti molte informazioni riguardo l’aspetto fisico di Pin: l’autore ci dice solamente che ha “due braccia smilze”, “è molto fragile” e “ha il viso cosparso di lentiggini”. A Pin non piace la compagnia degli altri bambini della sua età perché, secondo lui, loro non vedono quello che lui è costretto a vedere tutti i giorni: tanta crudeltà e meschinità e inoltre non hanno vissuto le molte esperienze tristi e drammatiche che Pin ha subito. Per questo fa di tutto per entrare nel “mondo dei grandi”, utilizzando un linguaggio volgare e inappropriato per un bambino della sua età. L’unico luogo in cui si sente realmente protetto e al sicuro è il sentiero dei nidi di ragno, un posto magico e irreale in cui lui può nascondere tutte le sue paure e dimenticare i suoi errori. Di questo personaggio penso che, nonostante abbia degli atteggiamenti maturi e utilizzi un linguaggio da adulti, rimanga sempre un bambino fragile che ha bisogno di essere amato da una figura paterna.

Il secondo personaggio è Cugino che viene descritto come un omone, che sembra quasi un orco, ma che in realtà ha un carattere buono, mite ed ingenuo. La moglie lo ha tradito e di conseguenza ha questo odio incondizionato verso le donne che lo porta addirittura a pensare che tutto quello che sta accadendo in quell’epoca sia per colpa loro. La relazione che hanno Cugino e Pin è veramente molto bella perché Cugino diventa come la figura paterna che il ragazzo ha sempre voluto e Pin diventa come un figlio per lui. Ho trovato molto bello il contrasto del fatto che Pin sia il cosiddetto “bambino vecchio” mentre l’omone è un uomo cresciuto che però ha ancora la mentalità di un bambino. Inoltre Cugino diventa anche l’unico amico sincero del ragazzo perché è la sola persona che dimostra un reale interesse verso il luogo speciale di Pin: il sentiero dei nidi di ragno. In questo romanzo ho trovato molte tematiche importanti che Calvino affronta. Una è la tematica dell’amicizia, quella riguardante il bisogno d’affetto di un bambino da parte dei genitori. Come sfondo abbiamo il tema della Seconda guerra mondiale che lascia la sua scia di morte e distruzione. Secondo me però la tematica più importante su cui l’autore si sofferma è quella dell’adolescenza, che è una fase che Pin salta completamente e in cui entra in modo nettamente precoce rispetto al naturale sviluppo dei ragazzi. L’unico esempio di adolescenza è Lupo Rosso: un ragazzo di sedici anni molto problematico. Questo libro non ha lo scopo di descrivere la realtà bensì la complessità della vita a quell’epoca, comprendendo sia momenti di gioia sia di dolore, attraverso gli occhi di un bambino di dieci anni. Vengono raccontati eventi reali, come la guerra, l’amicizia, la morte, ma secondo me è presente anche una componente fantastica e irreale che fa in modo che la storia resti in sospeso tra realtà e immaginazione. Proprio per questo motivo penso che la scelta del titolo sia molto valida perché il sentiero dei nidi di ragno non è un luogo reale, ma immaginario e descritto attraverso gli occhi di Pin. Quindi un posto surreale dove i ragni fanno tutti insieme il nido infagottati. Inoltre essendo un sentiero che non è reale fa parte sia dell'immaginazione del ragazzo ma anche di quella di Calvino stesso. La figura che ho trovato più bella è quella di Pin perché essa unisce sia l’età anagrafica sia atteggiamenti maturi di uomini più grandi e per questo l’ho trovato veramente  interessante rispetto a tutte quelle presenti nel libro.  L’autore fa delle descrizioni molto belle, sembra quasi che dipinga sulla pagina quel che osserva e che il lettore stia davanti a quel quadro. Crea anche molti contrasti durante le descrizioni dei paesaggi e dei personaggi, come per esempio il “bambino vecchio” o “gli uomini con mentalità infantili”. Inoltre, grazie alla sua bravura, è riuscito a farmi addirittura immaginare l’odore che sentivano i personaggi all’interno delle pagine. La scrittura è molto scorrevole, la storia all'inizio era un po’ lenta ma una volta che ti inoltri nella vicenda diventa molto appassionante e bella.



Delitto e castigo di Andrea Andorlini 

Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij - Recensione di Andrea Andorlini


Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij è un'opera letteraria che si distingue per la sua complessità e profondità, offrendo una panoramica intricata della psicologia umana e delle sue implicazioni morali. Pubblicato per la prima volta nel 1866, il romanzo segue le vicende di Rodion Romanovič Raskol'nikov, un giovane studente universitario povero che vive a San Pietroburgo. La trama si sviluppa attorno al piano di Raskol'nikov di commettere un omicidio premeditato nei confronti di una vecchia usuraia, Aliona Ivanovna, motivato da un'idea superiore di giustizia e dalla convinzione di avere il diritto morale di agire in tal modo.


La storia si dipana attraverso una serie di eventi intricati, mentre Raskol'nikov si sforza di giustificare il suo crimine agli occhi di se stesso e del mondo. Tuttavia, l'omicidio non ha l'esito sperato e Raskol'nikov inizia a essere tormentato dalle conseguenze psicologiche e morali delle sue azioni. La sua mente diventa un campo di battaglia tra il desiderio di giustizia e il senso di colpa che lo opprime.


Dostoevskij esplora magistralmente i temi della moralità, della colpa e della redenzione attraverso i suoi personaggi complessi e ben sviluppati. Raskol'nikov è un anti-eroe tormentato, diviso tra il desiderio di affermarsi come individuo e il riconoscimento della sua umanità e dei suoi limiti. Il romanzo offre una profonda riflessione sulla natura dell'esistenza umana e sulle forze che spingono le persone verso il bene o il male.


La prosa di Dostoevskij è ricca di dettagli e sfumature, con una profondità psicologica che cattura l'attenzione del lettore. I dialoghi sono vivaci e pregni di significato, offrendo spunti di riflessione su questioni etiche e filosofiche. La narrazione è caratterizzata da un ritmo incalzante che tiene il lettore attaccato fino all'ultima pagina.


Oltre alla trama principale, il romanzo presenta una serie di sottotrame e personaggi secondari che arricchiscono ulteriormente la narrazione. Personaggi come Sonja Marmeladova, una giovane prostituta che diventa una figura chiave nella redenzione di Raskol'nikov, aggiungono ulteriore profondità e complessità alla storia.


Guido Gozzano di Emma Mammoli

Guido Gozzano


Nei primi 15 anni del ‘900 si sviluppò una nuova corrente letteraria, il crepuscolarismo, che deriva dal sostantivo “crepuscolo”, ossia quel momento tra la fine del tramonto e l’inizio della notte, quando non c’è più il sole ma ancora si intravede un po’ di luce.

Giuseppe Antonio Borgese, giornalista e critico letterario, diede alla corrente questo nome, in senso dispregiativo, secondo la divisione della letteratura italiana in diverse parti del giorno: aveva infatti concepito lo Stilnovo e Dante come l’alba, Ariosto e Tasso come il mezzogiorno, Foscolo e Leopardi come il pomeriggio, D’Annunzio e Pascoli come il tramonto; gli autori a lui contemporanei, come Corazzini, Gozzano e Moretti, rappresentano, invece, il crepuscolo di questa sua ideale giornata.



Massimo rappresentante della corrente letteraria del crepuscolarismo è Guido Gozzano, che nasce a Torino il 19 dicembre 1883 da una famiglia benestante di Agliè, piccolo comune del Canavese poco a nord della città.

Nel 1895, all’età di 12 anni, Gozzano si iscrive al liceo classico Cavour e, dopo essere stato bocciato in seconda, prosegue gli studi in un collegio in un comune sempre vicino a Torino. Si trasferirà nuovamente in città nel 1898 per studiare.

Nel marzo del 1900 muore il padre e l’anno dopo nella ricorrenza della morte il diciassettenne Gozzano scrive e dedica alla madre la sua prima poesia conosciuta, intitolata Primavere romantiche; verrà pubblicata postuma nel ‘24.

Cambia ancora due scuole; nell’ottobre del 1903 il 20enne Gozzano si diploma al collegio nazionale di Savigliano e nello stesso anno sul Venerdì della contessa, una nota rivista torinese, pubblica le sue prime poesie in stile dannunziano.


Il contesto storico e culturale in cui vive il poeta è un’Italia fragile dal punto di vista della coesione nazionale ed economicamente debole, in cui l’azione dei vari governi si limita all'ordinaria amministrazione con la rinuncia ad una politica imperialistica, nonostante i successi delle maggiori nazioni europee.

Il governo Crispi ritiene sia il momento di dare all’Italia un ruolo internazionale anche sul piano coloniale, ottenendo però un risultato disastroso, la sconfitta di Adua (1896); questo alimenta nella borghesia italiana e negli intellettuali la frustrazione per una realtà peggiore rispetto a quella sperata.


Per questo tentativo di evasione dalla realtà storica, nei poeti del tempo sono presenti atteggiamenti caratteristici del letterato decadente: l’interesse per il mistero e la ricerca di un significato nascosto delle cose, il pessimismo divino, la sfiducia nella ragione e soprattutto la sensazione di essere incompresi, da cui deriva il contrasto tra individuo e società. Le influenze principali per questi scrittori sono Edgar Allan Poe, Baudelaire, Schopenhauer e Nietzsche.


Gozzano si iscrive alla facoltà di legge ma frequenta principalmente corsi di letteratura tenuti dal letterato Arturo Graf, che partecipava anche a pubbliche conferenze nel circolo letterario Società della cultura, fondato nel 1898 da un gruppo di intellettuali tra cui Luigi Einaudi.

Era stata concepita per essere una biblioteca in cui trovare le pubblicazioni più recenti, una sala di lettura e un luogo di conferenze e conversazione. Gozzano qui fa conoscenze che gli torneranno utili sia per l’orientamento culturale che per la promozione delle sue opere.


Nel 1906 il 23enne Gozzano conosce all’interno del circolo la poetessa Amalia Guglielminetti con cui l’anno dopo inizia una tormentata relazione.

Nello stesso periodo inizia a raccogliere in volumi i suoi lavori, il cui risultato è l’opera La via del rifugio (aprile 1907), una raccolta di trenta poesie accolta favorevolmente dalla critica, tra cui spiccano La via del rifugio, Le due strade e L’amica di nonna speranza.


Ad esclusione di alcune aspre critiche da parte di esponenti del mondo cattolico, l'opera di Gozzano si rivela un successo; la soddisfazione viene tuttavia turbata dalla diagnosi di una lesione polmonare che spinge l'autore a una lunga serie di viaggi in luoghi caldi per alleviare, tramite il clima, i sintomi della malattia.

Nell’aprile del 1907 va a San Francesco D'albaro, dove frequenta un gruppo di poeti che lavora alla rivista La rassegna latina; scrive un componimento dal titolo Alle soglie, abbandona gli studi giuridici nel 1908 e si dedica alla poesia a tempo pieno.

Pubblica nel 1911 la raccolta I colloqui, la sua più famosa, i cui componimenti sono divisi in tre sezioni: Il giovenile errore; Alle soglie; Il reduce. Ha tantissimo successo e inizia la sua collaborazione con importanti riviste e quotidiani tra cui La stampa, La lettura e La donna, su cui per tutto l’anno pubblica sia prose che poesie.


Da febbraio a maggio del 1912 si trova in India a causa dell'aggravarsi della salute. Nonostante i climi più adatti a contrastare la malattia non riesce a ottenere i risultati sperati; trova, in compenso, uno spunto per scrivere sia in versi che in prosa.

Tutte le poesie, a parte due, vengono distrutte dallo stesso Gozzano in quanto ritenute oscene, mentre gli appunti di viaggio escono sul quotidiano La stampa di Torino e verranno poi raccolti in un volume e pubblicati postumi con il titolo Lettere dall’India 1912-1913, che costituiscono l’esempio più alto della prosa di Gozzano, in quanto, descrivendo il suo viaggio in India, affronta anche il tema di un altro viaggio: quello della morte.


Nel 1914 raccoglie nel volume I tre talismani sei fiabe che aveva scritto per il Corriere dei piccoli; si interessa anche di cinematografia e teatro, tant'è che prima di morire stava lavorando alla sceneggiatura di un film su Francesco D’assisi, che però non vedrà mai la luce.


Il 9 agosto 1916 muore di tubercolosi, a soli 32 anni.


Alla base dei suoi versi c’è un romantico desiderio di felicità e di amore che si scontra però con la presenza della malattia, la malinconia e la delusione amorosa, che segnano i suoi versi di tristezza e fanno comparire il sentimento della morte; per questo il poeta vorrebbe condurre una vita appartata circondato di cose piccole e serene.


I suoi versi sono molto apprezzati anche da Montale, il quale dice che Gozzano fu «il primo dei poeti del ‘900 che riuscisse ad attraversare D’Annunzio per approdare ad un territorio tutto suo». Infatti fa propria la poetica di D’Annunzio, ma in una maniera talmente personale che la rielabora e la stravolge per mezzo anche dell'ironia. Il poeta, infatti, usa volutamente termini dannunziani per parlare di situazioni e oggetti quotidiani: «per creare contrasto», dice Montale, «Gozzano fa cozzare l’aulico col prosaico facendo scintille».

Gozzano come gli altri crepuscolari rifiuta l’idea che la poesia debba farsi portavoce di ideologie politiche o religiose: sostiene invece che debba occuparsi di temi semplici e quotidiani, che nel suo caso sono la tanto amata Torino (vecchia e nuova), la malattia e la morte.


Il giovane Holden della classe 1EL

Il giovane Holden di J. D. Salinger - Recensioni della 1EL di Camilla Abanilla, Rocco Pennisi, Elena Bencini e Giovanni Gesualdi


CAMILLA ABANILLA


Il libro racconta della vita di Holden Caulfield in occasione della sua espulsione dalla scuola. Il ragazzo era stato espulso dalla scuola Pencey, in Pennsylvania, per alcuni problemi di condotta e di rendimento.

Prima di lasciare la scuola, trascorse il tempo rimasto con il vecchio professore Spencer, il suo compagno di dormitorio Stradlater e il compagno della stanza accanto Ackley.

Dopo aver lasciato l'istituto, Holden si diresse alla stazione e salì sul treno che lo portava a New York. Durante il viaggio in treno, incontrò la madre di un suo compagno di classe che non gli stava simpatico.

Arrivato a New York, prese un taxi e raggiunse l’Hotel in cui aveva soggiornato per un po’.

Holden incontrò varie persone come la prostituta Sunny e l'addetto all’ascensore Maurice, con cui però fece a botte.

Trascorse le vacanze natalizie a New York, girando in diversi luoghi e facendo nuove conoscenze.

Alla fine decise di tornare nella sua vecchia casa, dove rivide i suoi genitori, suo fratello D.B. e la sorellina Phoebe. Holden trascorse il tempo con quest'ultima, la sua preferita nella famiglia. I suoi genitori decisero di procurargli uno psicanalista, in modo tale che Holden potesse continuare gli studi. Il racconto finisce con un momento in cui Holden guardava felice sua sorella Phoebe girare in una giostra.

Inoltre Holden racconta di come gli mancavano tutte le persone che aveva incontrato: il vecchio Stradlater e Ackley, persino Maurice.

Holden Caulfield è un ragazzo intorno ai sedici anni, alto e magro come un chiodo, con una ciocca di capelli color grigio. È un po’ ribelle e non tanto socievole, a volte anche bugiardo.

La morte di suo fratello maggiore Allie, per leucemia, lo ha fatto soffrire molto, così tanto che Holden si è chiuso in sé stesso, diventando un ragazzo introverso, inquieto e un po’ arrogante e non socievole.

Ha rapporti diversi con persone diverse. Holden a volte litiga con Stradlater e Ackley, ma dopo si accorge di quanta mancanza senta per loro. Ha un rapporto stretto con la sua amica Sally ma Ackley con lei può non andare d'accordo. Ama i suoi fratelli, ma soprattutto la sorella Phoebe, una bambina molto sveglia e in gamba, ma anche un po’ troppo affettuosa; a Holden, però, piaceva così come era.

Con gli adulti ha rapporti complicati, come con i suoi genitori e Maurice.

Secondo me, il messaggio del romanzo è che ci sono diversi modi per affrontare le difficoltà che capitano. Il romanzo potrebbe insegnare a non arrendersi nella vita e a farsi aiutare dalle persone.



ROCCO PENNISI


Holden è un ragazzo alto e piuttosto magro con dei capelli corti e una parte grigiastra.

Ha sedici anni ma sicuramente, come si può ben capire dal romanzo, si sente già un uomo adulto e maturo: ha l’ossessione per le sigarette e per gli alcolici a cui ricorre principalmente per allontanarsi dalla realtà e smettere di pensare a tutti i problemi che lo perseguitano.

Un ruolo importante lo ricoprono i tre fratelli: Phoebe, la più piccola, che rappresenta l’àncora del giovane, a cui piace parlarle e rivelarle tutto ciò che per lui rappresenta un peso.

Allie, il fratello defunto, che Holden nomina spesso, anche se cerca di non far trasparire la sua morte, è una importante fonte di tristezza e depressione per il giovane.

A Holden lo studio non piace, gli piace leggere libri, scrivere e studiare letteratura inglese, ma del resto delle materie non gliene importa niente. Per questa motivazione nelle prime pagine del libro, il ragazzo viene espulso da Pencey, la scuola in cui i suoi genitori lo avevano mandato dopo che aveva fallito più volte in altre scuole più prestigiose. Tuttavia Holden ha paura di riferire la notizia ai genitori, così si ferma per qualche giorno a New York, in un hotel di bassa qualità dove conosce tre ragazze con cui passerà la serata a parlare.

Più avanti nel romanzo Holden trascorre una serata con la sua cara amica Sally a cui riferisce un suo profondo desiderio: con i pochi soldi che gli rimangono, desidera partire con lei verso il Vermont e il Massachusetts a visitare posti nuovi, e quando lui fosse rimasto senza soldi avrebbe trovato un lavoro e poi l’avrebbe sposata. A questa frase Sally lo prende per matto e i due si separano. Il giovane Holden, dopo essersi ubriacato, si dirige verso casa sua, insomma, casa dei suoi genitori, per parlare con la sua vecchia Phoebe.

Dopo una lunga conversazione con lei i genitori rientrano in casa dopo aver trascorso una serata fuori e Holden è costretto a nascondersi nell’armadio. Fortunatamente riesce a scappare senza essere visto e si reca dal suo insegnante di letteratura inglese per chiedere ospitalità solo per una notte.

Dopo un evento indesiderato, Holden è costretto ad andare via e il giorno dopo lui e sua sorella Phoebe trascorrono una giornata insieme che rende Holden finalmente felice.


Commento: Holden caratterialmente è spesso inconcludente, insofferente alle ipocrisie, bugiardo ma sicuramente intelligente. Il suo modo di relazionarsi e le persone con cui si relaziona variano in base al suo umore, elemento caratterizzante l’adolescenza. Con i suoi genitori si intuisce che non ha un buon rapporto, preferisce tenergli le cose nascoste, probabilmente perché teme la loro reazione.

Ricollegandomi al discorso della adolescenza penso che il tema del romanzo sia proprio questo, sottolineare i cambiamenti continui a cui un ragazzo dell’età di Holden è esposto e ribadire di quanto le persone di cui ci circondiamo hanno una grandissima influenza sulla nostra crescita.



ELENA BENCINI


"Il Giovane Holden” è un libro ambientato a New York, negli anni ’50, che racconta una storia con protagonista Holden Caulfield, il quale a sedici anni fu espulso dalla scuola che frequentava, ovvero la Pencey. Non era però la prima volta che Holden veniva cacciato, aveva infatti già cambiato diverse scuole, ma nessuna di queste era apparentemente adatta a lui.

Scoprì quella notizia un sabato, qualche giorno prima dell’inizio delle vacanze natalizie. Lui sarebbe quindi dovuto tornare a casa mercoledì, come tutti gli altri, però viste tutte le delusioni che gli avevano dato sia il suo prof che i suoi compagni, decise che se ne sarebbe andato quello stesso giorno. Si sentiva arrabbiato e soprattutto deluso, stanco di essere incompreso, ma ora il problema sul quale si doveva concentrare era come sopravvivere quei quattro giorni. Fortunatamente, aveva parecchi soldi con lui, tanto da potersi permettere di girare ogni sera per i bar, nei quali lo facevano spesso bere credendo fosse maggiorenne, a causa dei capelli grigiastri. Conobbe molte persone durante le sue avventure notturne, ma neanche una di loro riuscì mai a farlo sentire meglio con se stesso.

La verità era che dalla morte di suo fratello, Allie, Holden era cambiato moltissimo, anche se non voleva ammetterlo, ed aveva cominciato ad isolarsi in tutti i sensi. Aveva troncato la maggior parte dei suoi vecchi rapporti e si era specialmente chiuso in se stesso; non vedeva niente di buono nella gente, al contrario, li considerava quasi tutti ipocriti.

Ad ogni modo, quando si trovò a corto di denaro, iniziò a vagabondare per la città, e oltre a non avere un adeguato abbigliamento per trascorrere un’intera serata invernale fuori, il fatto di essere magrissimo non migliorava la situazione.

Il giorno seguente vide in un negozio un regalo che sarebbe stato perfetto per sua sorella, Phoebe. Già da un po’, aveva infatti iniziato a considerare l’idea di tornare a casa, ma non era mai veramente convinto, dato che non voleva far scoprire la sua espulsione ai suoi genitori, i quali non ne erano ancora al corrente. Però, gli mancava il calore della sua famiglia, così pianificò un modo per rivedere Phoebe.

Quella notte, entrò in casa silenziosamente, per non farsi notare, e una volta arrivato alla stanza di sua sorella, parlarono del più e del meno, finché lui non dovette andarsene. Si sarebbero incontrati nuovamente il pomeriggio del giorno dopo, e la sorellina avrebbe provato effettivamente a convincerlo a tornare a casa, non riuscendoci.

Il finale è aperto, ma fa intuire il seguito; però, quello che risalta particolarmente è il senso di nostalgia che lui prova. Se letto con attenzione, nel libro, si percepisce fortemente quanto Holden si senta smarrito, in un posto dove è abbandonato a se stesso, e dove nessuno lo prende sul serio.

Credo quindi che mandi un segnale importante ai lettori, invitandoli a migliorare la comunicazione, proprio perché questa è la chiave per evitare incomprensioni; inoltre ci invita ad essere più comprensivi e a supportare maggiormente i nostri amici.



GIOVANNI GESUALDI


Il giovane Holden è un romanzo di formazione ambientato a New York alla fine degli anni ‘40 del Novecento.

Holden è un ragazzo di sedici anni, piuttosto magro, alto e caratterizzato dal fatto che ha già i capelli grigi da un lato. È una persona molto critica verso la società borghese e conformista, caratteristiche dei genitori, con i quali, infatti, non ha un buon rapporto. Nello studio non si applica quasi per niente, eccetto per inglese. Inoltre gli piace molto leggere, cosa che condivide con il fratello maggiore, D.B., il quale vive a Hollywood. Il fratello minore, Allie, è morto anni prima di leucemia, cosa che ha scosso molto Holden, delineando la sua fragilità emotiva.

La vicenda si apre con la partita di rugby della sua scuola, l’istituto Pencey, mentre Holden sta a guardarla, anche se non gliene importa molto, ma pensa solo al fatto che lo avevano espulso, dato che l’unica materia in cui era stato promosso era inglese; era già stato espulso da cinque scuole, infatti da giorni pensava a come avrebbero reagito i suoi genitori alla notizia. Dopo un po’ decide di tornare nella sua stanza dell’istituto per rilassarsi, quando poco più tardi arriva il suo compagno di stanza, Stradlater. I due non tardano a litigare, tanto meno a prendersi a pugni, quando Holden scopre che Stradlater sarebbe uscito con una ragazza che era stata una sua amica stretta d’infanzia e alla quale era rimasto molto legato. Dopo questa discussione con il compagno, Holden decide di andare via dall’istituto quella sera stessa perché si sentiva triste e solo. Da quel momento gira per i locali di New York per qualche giorno, fermandosi a dormire negli alberghi e aspettando le vacanze di Natale per tornare a casa dalla famiglia. In questo periodo, Holden è molto depresso, cerca di fare nuove conoscenze ma viene sempre deluso, perché in tutte vede l’ipocrisia, la cosa che più non sopporta. Incontra anche vecchi amici di scuola, i quali gli dicono che fa discorsi da immaturo e uno di questi pensa che debba farsi seguire da uno psicanalista. A quel punto, spinto anche dal fatto che stavano finendo i soldi, decide di tornare a casa prima delle vacanze, solo per vedere la sorellina Phoebe, l’unica persona a cui teneva davvero in quel momento. Riesce ad entrare dentro casa di notte e scopre, una volta vista la sorellina, che i genitori non erano in casa. Holden è molto felice di rivedere Phoebe, la quale capisce subito che il fratello era stato espulso e si arrabbia molto, ma dopo un po’ si calma. Dato che i genitori sarebbero tornati a breve, Holden deve andare via di casa e va a dormire da un suo ex insegnante, il quale si mostra molto ospitale. I due vanno a letto e Holden dopo qualche ora si sveglia con l’uomo che stava chino su di lui ad accarezzargli la fronte. Il ragazzo allora si spaventa moltissimo e se ne va dalla casa inventando delle scuse. A questo punto decide di scappare da New York e dal mondo che lo circonda, ma prima di fare ciò, doveva salutare la sorellina. Così il giorno dopo la incontra fuori scuola e lei capisce subito le intenzioni del fratello guardando la valigia che trascinava, così si mette a piangere e Holden si arrabbia molto. Lei si calma un po’ solo quando il fratello le compra due biglietti per le giostre, e il racconto si conclude con Holden felice, sotto la pioggia, che guarda Phoebe divertirsi sulle giostre.

Secondo me il romanzo ci insegna che nella vita, quando si presentano di fronte delle difficoltà, bisogna affrontarle e superarle, anche stando insieme alle persone che più si amano, come nel caso di Holden che guarda felicemente la sorellina, dimenticandosi per un momento di quello che aveva passato.


La mia famiglia e altri animali della classe 1EL

La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell - Recensioni della 1EL di Maia Caggegi e Teresa Gabutti


MAIA CAGGEGI


Gerald Durrell fin da subito è circondato dalla sua famiglia composta da numerose persone: Larry, che è il fratello maggiore ed è lui a convincere la madre a trasferirsi a Corfù; la madre, definita come una signora di una certa età (un fatto particolare è che la signora Durrell diceva ai propri figli di dire, alle persone che chiedevano del marito, che era vedova ormai da un po’ di anni); nella famiglia c’è anche Leslie, che è il fratello minore e nel racconto, però, non si dice molto sul suo conto; infine Margo, l’unica femmina, oltre alla madre.

La famiglia, dopo che Larry propose di trasferirsi a Corfù, fece i bagagli e partirono dalla grande Inghilterra, per arrivare nella piccola Corfù. È un grosso cambiamento per ciascun membro della famiglia Durrell: Gerald la prese come una nuova avventura; Larry era tutto felice perché lì aveva un suo caro amico; Leslie e Margo invece non furono così entusiasti come Gerald e Larry. È stato difficile cambiare totalmente modo di vita e lasciare in Inghilterra tutto, ma alla fine si adeguarono.


Una scena che mi incuriosì fu quando Roger e Gerald, dopo una lunga giornata afosa, si misero dietro ad un cespuglio sia a riposare sia per cercare di catturare una farfalla coda-di-rondine. Gerald ad un certo punto si distrasse, con la coda dell’occhio vide un lieve movimento da un lato del cespuglio ma non riuscì a capire cosa fosse; stava per distogliere lo sguardo quando il pezzo di terra che stava guardando si sollevò tutt’a un tratto; continuando a muoversi Gerald capì che cosa fosse: era la prima tartaruga della stagione. Rimase lì a fissarmi e dopo un po’ la tartaruga realizzò che Gerald era innocuo, quindi iniziò a cercare del cibo.

Col passare del tempo Gerald e  Roger videro centinaia di tartarughe scendere per quella collina. A fine giornata Gerald nominò quella collina “La collina delle tartarughe”.


Non mi sono mai immedesimata nel protagonista: la sua voglia di conoscere e di esplorare nuovi posti, esaminare ogni insetto o animale che incontra, e alcuni, perfino portarli a casa, non coincide con il mio carattere; io e lui vogliamo imparare e conoscere cose totalmente diverse, e infine io non sono per niente una ragazza avventurosa o spericolata.


Una cosa che mi è piaciuta molto del libro è stato il fatto che, per ogni singola cosa o elemento che si è trovato nel racconto, Gerald Durrell è riuscito a descriverla nel minimo dettaglio e con delle metafore azzeccate. Mi è piaciuto molto come ha scritto questo libro, anche se all’inizio può sembrare noioso.


È un libro che, secondo me, lo devono leggere i/le ragazzi/e un po’ più grandi di noi, perché essendo all’inizio noioso può stancare facilmente; inoltre possiamo trovare termini poco usati e un pochino più vecchi di quelli attuali.


Lo presenterei come un libro molto bello e scritto molto bene, però ci  sono state delle parti un po’ più noiose rispetto ad altre; questa cosa è normale, in ogni libro ci sono le parti più belle e quelle meno belle. Nelle parti più dettagliate l’autore è riuscito a coinvolgermi ed è riuscito a farmi continuare a leggere in modo scorrevole e piacevole.

Una cosa interessante è che l’autore all’inizio parla dell’Inghilterra ma lui ha origini indiane, stranamente nel racconto non fa nessun riferimento all’India o alle sue origini indiane.



TERESA GABUTTI


Questo romanzo parla di una stravagante famiglia inglese, composta da una madre e dai suoi quattro figli: Margot, Leslie, Larry, e il protagonista, nonché il fratello minore, Gerry, con il suo inseparabile cane Roger.

Un giorno il fratello maggiore, Larry, stanco delle piogge inglesi, propone di cercare un po' di sole in un luogo caldo, come Corfù.

La madre dopo qualche dubbio, acconsente alla richiesta di un trasferimento provvisorio in questa promettente isola.

Così dopo aver venduto la casa, partono immediatamente per Corfù.

Una volta arrivati incontrano subito quello che sarebbe stato un loro fedelissimo amico durante tutta la loro permanenza.

Il suo nome era Spiro, un buffissimo e generosissimo tassista Greco, che parlava molto bene l'inglese.

Così, oltre ad accompagnarli in città, li aiuta a trovare una nuova casa, una bellissima villa color rosa fragola, che rispecchiava perfettamente le richieste della famiglia Durrell.

Da quel momento Spiro e i Durrell non si separarono più.

Un altro importante personaggio, che per un breve periodo fu l'insegnante privato di Gerry, si chiamava George ed era un amico di Larry.

Grazie a George, Gerry, ebbe l'opportunità di conoscere Theodore, un appassionato ed esperto naturalista con il quale iniziò a vedersi ogni giovedì per esaminare le creature che Gerry aveva trovato durante la settimana.

Il ragazzo infatti era un grandissimo appassionato di animali, soprattutto degli insetti, e passava le intere giornate a esplorare ogni singolo metro quadrato dell'isola, insieme al suo inseparabile compagno, Roger.

Si può ben intendere che Gerry fosse un ragazzo molto curioso, anche se piuttosto timido e riservato, ma soprattutto appassionatissimo di natura e di animali.

Infatti la maggior parte del libro è dedicato alle sue scoperte naturalistiche e alla descrizione di animaletti sempre più bizzarri.

Tuttavia gran parte del libro è dedicata anche ad aneddoti divertenti riguardanti la sua famiglia.

Della madre per esempio, donna appassionata di cucina e giardinaggio, mi ha colpito molto l'estrema pazienza e il modo in cui farebbe di tutto per rendere felici i suoi figli. 

Il fratello maggiore, Larry, è il più colto della famiglia e ogni tanto penso che si senta un po' troppo superiore, apparendo abbastanza prepotente anche nei confronti della madre.

Leslie, l'altro fratello è appassionato di armi e caccia e più tardi si rivela anche molto bravo a costruire le barche, ma nel libro non si parla molto di lui. Come anche della sorella Margot, di cui sappiamo però che è un adolescente piuttosto insicura di sé stessa per via dell'acne ed è molto attenta al suo aspetto esteriore.

Ciò che mi ha colpito del protagonista invece è proprio la curiosità e la continua voglia di imparare cose nuove e di mettersi in gioco.

Un episodio molto divertente che secondo me rappresenta molto bene la loro famiglia, si trova al capitolo IX.

Gerry infatti aveva trovato dei piccoli scorpioni neri nelle Crepi dei muri esterni della casa.

Desiderava moltissimo allevarli, ma la sua famiglia glielo vietò.

Un giorno, tuttavia, trovò una madre con dei cuccioli attaccati sul dorso e decise di introdurli in casa, portandoli in camera sua dentro una scatola di fiammiferi.

Ma appena arrivò a casa, era pronto da mangiare e fu costretto ad appoggiare momentaneamente la scatoletta su una mensola.

Quando Larry prese la scatoletta in mano, con l'intento di usare i fiammiferi per accendersi una sigaretta, gli scorpioni uscirono dalla scatola, spargendosi per tutta la cucina.

L'intera famiglia si arrabbiò moltissimo con Gerry.

Mi sono molto immedesimata nei suoi confronti perché io da piccola ero proprio come lui, conoscevo ogni specie di insetto e mi divertivo moltissimo a studiarli.

Quando li trovavo già morti li collezionavo, mentre quando li trovavo vivi tentavo di tenerli in casa, ma mia madre me lo impediva.

Secondo me questo libro, nonostante sia abbastanza lungo e in alcuni punti poco scorrevole, è molto adatto ai ragazzi della mia età, soprattutto a chi piacciono gli animali.

È un libro divertente e ironico, mischia perfettamente le parti naturalistiche e quelle familiari.

Inoltre è molto leggero e ci vuole poco tempo a finirlo, perché nonostante non contenga colpi di scena, ti coinvolge molto.

Italy di Carolinna Monnini

Italy è un ampio componimento scritto da Giovanni Pascoli, composto di 450 versi, diviso in due canti, che fu composto nel 1904 e pubblicato nella raccolta intitolata “Primi poemetti”.


È dedicato ad un tema caro a Pascoli, quello degli emigranti italiani costretti ad abbandonare dolorosamente il loro nido per andare in cerca di lavoro in paesi stranieri.

La vicenda, ispirata ad un fatto reale, è la seguente:

Due fratelli emigrati, Ghita - Margherita - e Beppe, tornano dall'America al paese da cui erano partiti, Caprona, vicino a Castelvecchio, con la piccola Maria, detta Molly, malata di Tisi e figlia di un altro fratello. La bambina, nata in terra straniera, prima detesta l'Italia, ma successivamente instaurerà un profondo legame affettivo con la nonna, e quindi, simbolicamente, con il suo paese di provenienza.


Molly - nata Oltreoceano - parla solo americano. Dopo un primo periodo di disagio per le incomprensioni linguistiche, si affeziona profondamente alla nonna che parla un italiano antico e rurale. Il linguaggio universale dei sentimenti permetterà a nonna e nipote di instaurare un’autentica comunicazione affettiva che supererà ogni ostacolo linguistico.

Alla fine del racconto Molly guarisce grazie al clima sano della Garfagnana, ma purtroppo la nonna muore.

E mentre gli emigranti ripartono per l'America, Molly ai bambini che le chiedono se ritornerà risponde in italiano e dice “Sì”.


Con Italy Giovanni Pascoli si fa poeta civile e politico; risalente al 1904, Italy è infatti una delle prime testimonianze della letteratura italiana sull’emigrazione, dramma economico e sociale che lacerò le famiglie.

Bisogna ricordare che con i Poemetti, di cui Italy fa parte, si realizza la piena maturazione della poetica dell’autore e si può osservare in modo chiaro e trasparente l’ideologia piccolo-borghese che Pascoli promuove affrontando temi e questioni che hanno a che fare con l’attualità e assegnando ai testi una connotazione storica e politica.

I flussi migratori degli anni 1897 - 1898 furono tra i più severi per numero di arrivi. 

Gli studi e le cronache parlano di circa 800.000 persone che lasciarono l’Italia.

Pascoli fin dal 1901, in un discorso tenuto a Messina che aveva come titolo L’eroe italico, dedica il suo pensiero accorato agli italiani emigrati. 

In altri numerosi interventi considererà la questione dell’emigrazione con grande sensibilità.


Tra la gente, nelle famiglie, non si parlava d’altro. L’Italia, “antica madre”, il nido di tutti i nidi degli Italiani, non riusciva più a sfamare i suoi rondinini: moltissimi infatti partirono per l’America.


Il materiale narrativo per la composizione di Italy era autenticamente vissuto: infatti il poemetto è intriso di elementi linguistici diversi e riproduce poeticamente la dialogicità compiuta dai personaggi coinvolti.

Per questo troviamo: suoni e parole americane, termini regionali della civiltà contadina, termini di lingua straniera corrotta dall’ignoranza dei parlanti e la miseria e lo squallore del mondo contadino.


Con questo poemetto si presenta un Pascoli in parte diverso da quello che avevamo conosciuto finora: non troviamo più la concentrazione lirica e il gioco simbolico delle immagini, ma invece un più ampio taglio narrativo, un’attenzione più realistica alla vita sociale e al mondo contadino.

Non si offre un mondo idealizzato semplice e umile. ma risaltano invece la miseria e lo squallore: la piccola Molly, infatti, definisce la casa di sua nonna un pollaio per topi e ratti.


L'interesse del poeta si concentra poi sulla dura realtà dell'emigrazione, ed emergono forti temi come lo smarrimento di trovarsi in un paese sconosciuto, la difficoltà di imparare una lingua straniera e la fatica di guadagnarsi da vivere per rifarsi un nido.

Si manifestano quindi anche le posizioni polemiche del nazionalismo pascoliano sulle nazioni proletarie, condannate all'emigrazione dalla povertà.

                     

Un altro tema affrontato da Pascoli in Italy è quello del conflitto tra le generazioni.

Nel componimento si riflette infatti la crisi del mondo agricolo tradizionale che anche in Italia è destinato a cedere alla modernità, Pascoli analizza dunque il conflitto che si apre tra l'ottica dei giovani che hanno conosciuto la realtà moderna della civiltà industriale in questo caso americana e l'immobile civiltà contadina che ancora troviamo nelle campagne.

Questo scontro si coglie con piena evidenza nelle parole che Ghita rivolge alla madre (cap. VII 7-15): la giovane non si capacita di come si possa ancora filare e tessere a mano quando le macchine possono far muovere in un attimo centomila fusi.

Tra le due generazioni che vivono in ambiti così diversi si è creata una sostanziale incomunicabilità: la vecchia realtà contadina suscita ormai il riso incredulo e quasi il disprezzo dei giovani mentre la realtà nuova dell'industria e delle macchine appare come qualcosa di irreale e quasi di favola agli occhi della vecchia generazione.

A sottolineare l'incomunicabilità Pascoli introduce un procedimento molto efficace incastra le battute in inglese della bambina che prova quasi ribrezzo per l’ambiente rurale in cui si torva, e quelle della nonna che non capisce ed è intenerita da quel cinguettio infantile, senza sospettare quale stato d'animo esso nasconda.


Si parla inoltre di come è rappresentato il mondo contadino ovvero in termini più realistici e non nascondendo più la sua miseria e lo squallore; ma soprattutto come qualcosa a cui si resta per sempre legati 


Per quanto riguarda il linguaggio il poemetto presenta un originale esperimento linguistico, ovvero la riproduzione fedele del gergo italo-americano degli emigranti che risponde a un intento realistico,  documenta infatti un fenomeno linguistico tipico di un preciso contesto sociale; ha anche un significato profondo: trasmette il senso dello sradicamento e della perdita dell'identità culturale avvertito dagli emigranti che non sanno più usare la loro lingua d'origine né maneggiare bene quella nuova.

A contrasto troviamo la riproduzione del dialetto contadino della provincia di Lucca, grazie al quale il poeta vuole evocare l'immagine rassicurante dell'amato nido locale.

Entrambi i livelli linguistici testimoniano la tendenza di Pascoli a sperimentare una lingua nuova, forme inedite in poesia.



La brevità della vita e la lampante attualità di Seneca di Gilda Di Tolve

La brevità della vita e la lampante attualità di Seneca 

Vivete come destinati a vivere sempre, mai vi viene in mente la vostra precarietà, non fate caso a quanto tempo è trascorso: continuate a perderne come da una provvista colma e copiosa, mentre forse proprio quel giorno che si regala a una persona o a un’attività qualunque è l’ultimo. Avete paura di tutto come mortali, voglia di tutto come immortali” 


Si potrebbe pensare che un filosofo stoico vissuto nel I secolo d.C. come Lucio Anneo Seneca  avesse una percezione del tempo diversa da quella attuale; eppure, nonostante la distanza temporale che ci separa da esso, non si può non ritrovarsi nelle sue parole leggendo ilDe brevitate vitae, testo in cui l’autore fa un inno al valore del tempo che ci è dato in questa vita. 


Notiamo infatti che in quest’opera la nostra esistenza non è descritta come breve in sé, ma resa tale dalle modalità in cui la vivono gli esseri umani. Viene infatti descritta la nostra incapacità di viverla appieno: ci perdiamo piuttosto in una miriade di attività futili, e facciamo passare tutti quei minuti, quelle ore, quei giorni, come se non avessero valore. 

 Diventiamo così schiavi di noi stessi e degli altri: per esempio, quante volte ci è stato chiesto da qualcuno: hai due minuti? Seneca ci descrive mentre affermiamo facendo cenno con la testa, senza battere ciglio, senza pensarci.                                                                                   Ma sono soprattutto le nostre ansie a rubarci attimi di vita importanti  facendoci rimandare o temere eventi; eppure, l'ineluttabilità dell’accadere non può sfociare nel panico,  perché quest’ultimo limita noi e la nostra esistenza trattenendo la nostra essenza. 

Quando ci capita di osservare il passare degli anni lasciare dei segni sui volti altrui, insieme ai capelli bianchi, non dobbiamo pensare che questa persona abbia vissuto appieno, ma che sia esistita a lungo. L’autore evidenzia quindi una differenza sostanziale tra esistere, non sfruttare la risorsa preziosa che è il tempo, e vivere, mettere a profitto ogni istante. 

È importante ricordare che le preoccupazioni non moriranno mai da sole: bisogna invece cercare di vivere questa nostra esistenza pienamente, in modo da non temere più il futuro. Abbiamo già il presente da vivere, qui e adesso. 

Questo è il pensiero di un autore latino vissuto secoli fa, ma la sua attualità continua ad essere lampante anche nella nostra società. Quest’ultima è costituita da ansie superflue passatempi spesso non proficui, e un utilizzo di schermi sproporzionato che non ci permette di vivere la vita appieno.                                                Tuttavia, come ci dice Seneca, ci mettiamo un’esistenza intera per imparare a vivere.



Specchio delle mie brame di Francesco Migliorini 

Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza - Maura Gancitano



Se ho apprezzato il libro di Galimberti (mi riferisco a La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo, di cui è possibile leggere la recensione in questa stessa sezione del blog) per la sua competenza nell’interpretare il disagio giovanile e la società odierna in generale, non posso dire la stessa cosa per Specchio delle mie brame, che non è stato di mio gradimento per tre motivi principali:


Se si volesse riassumere il concetto chiave del libro in poche parole si potrebbe dire che il capitalismo borghese e maschilista ha creato il mito della bellezza – con tutti i suoi canoni, “riti” e normative – per soggiogare e dividere le donne. Non nego assolutamente che vi siano pressioni sociali che inducono le donne a vestirsi, truccarsi e atteggiarsi in un certo modo, ma non si può nemmeno credere che la causa del disagio sia davvero da individuare nel capitalismo, anche perché, dal mio punto di vista, parlare ancora di capitalismo nel 2023 è un cliché.

La bellezza è la prima strategia della natura, e certi attributi spesso fungono da segnali di buona salute, forza genetica o idoneità come partner riproduttivi: i cuccioli sono belli perché devono essere difesi ed accuditi; le femmine di alcune specie di uccelli (come il pappagallo Amazzone o i paradiseidi) scelgono i maschi con colori delle piume più brillanti come partner riproduttivi; i maschi di pavone, come tutti sappiamo, fanno affidamento alle loro lunghe code colorate e decorate per attrarre le femmine durante il corteggiamento.

Se la Gancitano avesse preso in considerazione i fattori biologici dell'essere umano, potrebbe non aver dato così tanto valore all'idea che per essere considerata bella sia necessario seguire determinati “rituali” – per usare le stesse parole dell’autrice – imposti e diffusi nella società. Anche perché, se una ragazza è davvero attraente, non ha motivo di farsi certi problemi che lei descrive.


Oltre a ciò, vi sono diverse riflessioni e concetti che non mi sento assolutamente di condividere. Nel capitolo terzo, a pagina 39, ad esempio, si legge che «gli uomini scelgono come trattare una donna sulla base di come questa si presenta. Prima di rivolgersi a lei la osservano, e quello che vedono li spingerà a darle più o meno ascolto, più o meno credibilità.» Ma scusate, non accade forse lo stesso quando una donna fa la conoscenza di un uomo? o quando un uomo rivolge la parola per la prima volta a un altro uomo? Non prendiamoci in giro, perché sappiamo benissimo che avviene la stessa cosa in tutti i casi, e che si tratta di una questione esclusivamente personale considerare ad esempio un uomo o una donna poco credibili e trascurati per il semplice fatto di essere obesi; per cui sostenere che siano solo gli uomini ad avere pregiudizi di tal genere è una accusa, a mio parere, infondata.

Riguardo al mondo del marketing, sempre nel capitolo terzo, a pagina 57, scrive che «per vendere prodotti o servizi la pubblicità fa continuo riferimento alla sessualità o a qualcosa che sia sessualmente desiderabile». Fare un’affermazione del genere senza neanche portare un esempio equivale a inventarsi qualcosa, anche perché non mi risulta vera. L’unico tipo di spot che possa far riferimento alla sessualità potrebbe essere una pubblicità di biancheria intima, ma oltre a questa categoria sinceramente non mi viene in mente altro, né in televisione né su internet.

Quando poi l’autrice scrive  del fatto che gli attori e i modelli delle pubblicità, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno ad esempio un fisico di un certo tipo allora è un discorso differente, e in effetti ha ragione; ma non mi sembra così difficile capire che se si sceglie un modello obeso per sponsorizzare delle mutande da uomo, anziché promuovere il prodotto, si rischia di ottenere il risultato opposto.

Nel capitolo successivo (p. 69) afferma che «la narrazione e la comunicazione delle abitudini legate al fitness non sono nate per ragioni di salute, né per una critica sociale verso un sistema che induce alla sedentarietà, ma dalla spinta a essere più belle». 

Posso riconoscere effettivamente che di recente ci sia stata una grande spinta – quasi una pressione – soprattutto sui social, ad andare per esempio in palestra con l’obiettivo di avere un bel fisico, più che per stare in salute; non mi sento tuttavia di dire che le campagne pubblicitarie di impianti sportivi e palestre si concentrino così tanto sulla questione estetica, anche perché i migliori atleti di discipline come il fondo o il getto del peso hanno fisici tutt’altro che conformi agli standard di bellezza.

Infine, se si considera che il libro è stato pubblicato l’anno scorso e che già a gennaio 2022 l’IVA sugli assorbenti è passata dal 22 al 10%, con l’intenzione del governo di allora di proseguire a una ulteriore detassazione in futuro, un’affermazione come «Il paradosso è che prodotti davvero necessari come gli assorbenti vengano tassati, in Italia, come prodotti di lusso» (p. 136) è da considerarsi assolutamente falsa. Così come è poco credibile (per non dire ridicolo) il sondaggio di Dove da cui era emerso che solo il 2% delle donne di tutto il mondo pensava di essere bella. Quanto mai potrà essere affidabile un sondaggio fatto da una marca di sapone?


Letta l’introduzione (p. 5: «Questo libro però non parla della mia storia, ma di come la bellezza abbia rappresentato e rappresenti ancora uno strumento di controllo dei corpi, dei pensieri e delle scelte di vita in particolare delle donne, ma sempre più anche degli uomini.») mi aspettavo che si parlasse, almeno in parte, anche di argomenti maschili, ma mi sbagliavo. Soltanto dopo 91 pagine la filosofa si ricorda che esistono anche gli uomini e allora decide di parlare di moda maschile, ma comunque per non più di tre pagine, per non rischiare di togliere troppo spazio ai temi femminili.

Come può poi affermare, alla fine del volume, che è «fondamentale che anche gli uomini partecipino e non vedano il problema della bellezza come qualcosa che riguarda solo le donne», se per il resto del libro ha descritto la parte maschile molto spesso in maniera negativa?

Francesco Migliorini



Oliva Denaro di Anna Filipponi 

OLIVA DENARO


Italia 1960: secondo l’articolo 544 del codice penale l’autore di un reato di violenza sessuale può “riparare” l’onore della famiglia offesa sposando la vittima, e così  annullare anche il suo reato, un fenomeno meglio conosciuto come “matrimonio riparatore”; è proprio a questo che Oliva Denaro, protagonista del libro di Viola Ardone, si oppone. 


La ragazza vive a Martorana, un paesino siciliano, con i genitori e il gemello Cosimino, mentre la sorella maggiore Fortunata è andata a vivere col marito  dopo che un pomeriggio “le ha messo un bambino in pancia". A quindici anni, Oliva ama correre per il paese, studiare e andare a caccia di lumache e rane con il padre; è una ragazza che non vuole crescere per rimanere libera di divertirsi, così, prega che il “marchese” arrivi il più tardi possibile  mentre la madre, Amalia, non aspetta altro che la conferma che sua figlia sia diventata una donna.

Salvo, il padre, è molto taciturno, e sembra non avere mai niente da dire; l’unica frase che ripete è:“non lo preferisco”. L’uomo ha un legame molto stretto con la figlia, e le insegna fin da piccola a scegliere con la propria testa, mentre la madre, all’apparenza, si preoccupa solo di mantenerla pura per il matrimonio e di evitare scandali. Infatti le ripete sempre: “la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia”.

Ma nonostante questi legami siano diversi, lungo il corso della storia cresceranno tutti e tre insieme, ammaestrandosi a vicenda. 


Oliva è l’unica delle sue compagne che può tornare a casa da sola, e con lei Liliana, meglio nota come la figlia del comunista. Infatti la madre si raccomanda di starle lontana, ma da quei pochi passi insieme nascerà un’amicizia bellissima, fondamentale per la crescita del personaggio. 


Nonostante sia una ragazza molto attenta a non incrociare lo sguardo con i maschi, un giovane del paese si interessa a lei; Pino Paternò è il figlio del pasticciere e, dopo un paio di incontri, inizia a mostrare il suo affetto passando sotto casa sua ogni giorno, fischiettando e ballando insieme alla festa del Patrono. Ma anche se le attenzioni possono risultare piacevoli in un primo momento, in quanto fanno nascere un sentimento mai provato, Oliva non è interessata.  Il ragazzo non prende bene il rifiuto: perciò la rapisce e  abusa di lei.  La ragazza, ormai donna, con l’aiuto di genitori e amici non si scoraggia, mantenendo salda la sua decisione di portare la sua vicenda fino in tribunale. 

“Io non so se sono favorevole al matrimonio. Per questo in strada vado sempre di corsa: il respiro dei maschi è come il soffio di un mantice che ha mani e può arrivare a toccare le carni”


Il personaggio di Oliva è ispirato a Franca Viola, la prima ragazza in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore. Dopo essere stata rapita e violentata anche lei con l’aiuto della famiglia, si oppone a una legge che non è giusta, che premia i colpevoli e se la prende con le vittime; la sua è una storia senza tempo per tutte le donne che ancora oggi sono spaventate e non riescono o possono dire di “No”, e Viola Ardone, attraverso la sua scrittura dà voce a tutte loro.


“Dire di sì lo sa fare anche l’asino, il no invece costa fatica, ma quando inizi non la smetti più.” 


Saggio sulla lucidità di Francesco Migliorini

Saggio sulla lucidità - José Saramago

Traduzione dal portoghese di Rita Desti



«La più sicura differenza che potremmo stabilire fra le persone non sarebbe dividerle in furbe e stupide, ma in furbe e troppo furbe, con le stupide facciamo quello che vogliamo, con le furbe la soluzione è metterle al nostro servizio, mentre le troppo furbe, anche quando stanno dalla nostra parte, sono intrinsecamente pericolose»


Pubblicato per la prima volta nel 2004, Saggio sulla lucidità (titolo originale: Ensaio sobre a Lucidez) è un romanzo a sfondo sociale dello scrittore portoghese José Saramago.

Dato che gli eventi narrati in questo libro presuppongono le vicende di Cecità (con cui si guadagnò il Nobel per la letteratura, e di cui è possibile leggere la recensione qui sul blog) del 1995, si può considerare Saggio sulla lucidità il suo seguito. Se non avete ancora letto Cecità, vi consiglio quindi di andare a recuperarlo, e vi avverto che in questo articolo troverete anticipazioni importanti sulla sua trama.


In una città senza nome, capitale di un paese senza nome, lo spoglio delle schede rivela che alle elezioni il 75% dei cittadini dello Stato ha votato scheda bianca. Il governo, sbalordito, decide di fissare una nuova data per ripetere le elezioni, in un giorno in cui il maltempo non possa condizionare il risultato, in quanto alle scorse elezioni aveva piovuto a dirotto per gran parte della giornata impedendo la normale affluenza degli elettori. In effetti alle nuove elezioni l’affluenza è risultata più regolare; tuttavia se nel resto del paese non ci sono state anomalie allo spoglio delle schede, nella capitale la percentuale di schede bianche è rimasta altissima, anzi, ancor più alta di prima.

I ministri subiscono un altro grave trauma, e ipotizzano che sia in atto un movimento sovversivo dei cittadini della capitale contro lo Stato. Il governo decide di trasferire la capitale del paese altrove e di abbandonarla, durante la notte, insieme a tutte le forze dell’ordine, a eccezione dei vigili del fuoco. Una volta terminata la fuga, la città viene completamente blindata: i militari presidiano i confini per tutto il loro perimetro respingendo qualsiasi cittadino che abbia intenzione di scappare.

Quando, sulla scrivania del ministro dell’interno, compare una lettera di un uomo che dice di essere stato salvato quattro anni prima — durante l’epidemia di “mal bianco”, da cui tutti sono guariti — da una donna, moglie di un medico oculista, rientrano in gioco tutti gli iconici personaggi di Cecità: il medico, il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera sull'occhio, il ragazzino strabico e, non meno importante, il cane delle lacrime.


I protagonisti stavolta non sono loro, neanche la moglie del medico, l’unica che sappiamo immune alla strana cecità, ma un commissario affiancato da un ispettore e da un agente di seconda classe; il motivo lo scoprirete da soli.

In questo libro avvincente come un giallo, in cui lo stile unico e inimitabile di Saramago (di cui ho già parlato nella recensione di Cecità) rappresenta un’ulteriore forma di stravaganza a partire dall’episodio delle schede bianche, il lettore è portato a riflettere sui meccanismi dello Stato nel quale ogni giorno esercita (o si illude di esercitare) la propria libertà. Viene esplorata la fragilità della democrazia e l'uso distorto del potere da parte dei politici: un singolo episodio, per quanto inverosimile, mette in discussione l'intero sistema democratico, provocando le reazioni esagerate del primo ministro e dei suoi colleghi, primo fra questi quello dell’interno. La risposta del governo all'astensione di voto rivela infatti i mezzi di coercizione utilizzati per mantenere la propria autorità, tra cui la paura e la manipolazione.

Non tutti però sono accecati dal cinismo e dalla sete di controllo come il ministro dell’interno. La moglie del medico e i suoi compagni d’avventura si dimostrano ancora una volta in grado di seguire la “luce” della giustizia in una nazione che, tramite il condizionamento dell'opinione pubblica, nasconde la verità alla sua gente.


Il finale relativamente sospeso apre la porta all’immaginazione del lettore, il quale, a seconda che legga tra le righe oppure no, potrà giudicare se la conclusione è più o meno affascinante di quanto si aspettasse.

Sinceramente, sebbene sia meno conosciuto del suo predecessore, ho apprezzato di più Saggio sulla lucidità, soprattutto per il grandioso coinvolgimento della narrazione; e sono convinto che anche voi, arrivati a pagina 304, sarete della stessa opinione.


Francesco Migliorini



Just kids di Anna Paoletti

Recensione “Just kids”, Patti Smith

Un libro appassionante. Chiudendone l’ultima pagina, sembrerà quasi di lasciare quel sogno, quell'odore, quei colori, e il primo istinto sarà quello di rileggerlo una seconda volta tutto da capo. 

L’atmosfera che si respira nel libro è effervescente. New York, ultimi anni Sessanta, i due giovani artisti si trovano avvolti in un turbinio di personaggi, opportunità, sogni realizzabili e non, in un mondo che un giorno sembra avere tutte le porte aperte, l’altro sbarrate a chiunque. Ma a chi mi riferisco quando dico “i due”?

I protagonisti del romanzo sono infatti Patti Smith, poco più che ventenne, agli esordi della sua carriera, che scappa da Chicago per recarsi a New York inseguendo quello che era il sogno di tanti giovani, sfondare nel campo artistico. L’altro è Robert Mapplethorpe, un disegnatore e fotografo, che le cambierà la vita, diventando il suo compagno in questo viaggio ai limiti delle passioni umane. Amante, amico, compagno, fratello, la storia del loro amore è la chiave che rende questo libro così unicamente umano, intrecciato alla loro crescita artistica: dal primo mini appartamento senza mobili alla camera 204 del Chelsea Hotel.

 Un libro di memorie e ricordi che fa ardentemente desiderare di aver vissuto in prima persona quegli incontri con coloro che saranno i mostri sacri della musica americana: la prima volta che Patti impugna una chitarra, o la prima mostra d’arte di Robert.

Non manca, la scrittrice, di mostrare le fragilità, i momenti o i giorni di debolezza di entrambi i membri della coppia; ma l’amore per l’arte li ha sempre resi vincenti, e capaci di non voltare mai le spalle l’uno all’altro, consapevoli del legame viscerale di amore e del rispetto reciproco che li univa, anche se in qualche momento sembravano distanti.

La parola chiave che userei per descrivere questo libro è serafico: il suo modo di scrivere, di raccontare, la sua saggezza, passione… tutti tratti che emergono mettendo soprattutto in risalto la notevole sensibilità dell’animo di Patti per l’arte, la sua poesia, la sua ricerca di un percorso personale. 

Tutto ciò era indubbiamente favorito dal clima di novità e voglia di cambiamento della società americana di fine anni ‘60. Il tratto che colpisce è proprio la genialità di due ragazzi che hanno saputo dare così tanto nel campo della musica, delle arti figurative, della poesia, impegnando tutte le proprie forze tanto nel proprio percorso artistico quanto  nell’incoraggiarsi vicendevolmente.

Conoscevo poco di Patti Smith, e ancora meno di Robert Mapplethorpe. Ma la lettura di questo libro è stata una vera scoperta. 

Insieme alle pagine scorrono lievi emozioni e dolcezze che, in fondo, appartengono a ognuno di noi.

Consiglierei questo libro a chi, come me, cerca un grande stimolo nella ricerca di sé stesso, cerca la propria arte e abbia necessità di esprimersi. A chiunque sia bloccato nel groviglio di vie da scegliere, indeciso o dubbioso sulla strada da intraprendere, e chi non si reputa capace di realizzare i propri sogni. 

In questo piccolo affresco di una realtà ormai declassata, fatta di personaggi astrusi, pittori incompresi e poeti sensazionali, il messaggio che la Smith vuole passare è che tutti hanno un posto, uno scopo e un messaggio da donare al mondo. Sta a ognuno di noi metterlo in pratica, impegnando tutti noi stessi.


Cecità di Francesco Migliorini

Cecità - José Saramago

Traduzione dal portoghese di Rita Desti



«Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono»


Cecità (titolo originale: Ensaio sobre a Cegueira), pubblicato nel 1995, è un romanzo di fantascienza dello scrittore portoghese José Saramago, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1998 in quanto, secondo il Comitato, “con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà elusiva”.

In un romanzo successivo dello stesso autore, Saggio sulla lucidità, si ritrovano i protagonisti di Cecità. Le vicende narrate in questo secondo libro presuppongono gli eventi di Cecità, tanto da poter considerare Saggio sulla lucidità il suo proseguimento.


Un uomo fermo in macchina ad aspettare che scatti il verde perde improvvisamente la vista. Non si tratta però di una normale forma di cecità perché, come spiegherà a un oculista, vede tutto bianco. Il medico, una volta visitato il paziente (che nel seguito della narrazione verrà indicato come “il primo cieco”), afferma che «la sua cecità [...] è inspiegabile».

Nel giro di poche ore si registrano sempre più casi come questo: “il ladro di automobili” che aveva rubato la macchina del primo cieco approfittando della sua situazione, “il medico”, “la moglie del primo cieco” e “la moglie del medico” sembrano tutti colpiti dalla strana malattia. Il governo del paese decide di rinchiudere i malati e chi è entrato in contatto con loro in un vecchio manicomio, per arginare l’epidemia; i militari avrebbero avuto il compito giornaliero di fornire cibo a ciechi e contagiati.

La moglie del medico ha in realtà finto di essere cieca soltanto per non separarsi dal marito, convinta che prima o poi anche lei sarebbe diventata vittima del «mal bianco». Ben presto si rivelerà immune alla malattia, il che la farà sentire in dovere di guidare un gruppo di ciechi e di aiutarli a sopravvivere in uno scenario apocalittico dominato da ferocia e ingiustizia.


Chi ha letto altri libri di Saramago sa bene due cose: l’incipit dei suoi romanzi è solitamente un evento surreale, ai limiti del possibile, impiegato per legittimare la narrazione di critica sociale; lo stile è praticamente unico nel panorama letterario.

Nel nostro caso in particolare l’epidemia di cecità bianca non è che un pretesto per poter indagare la crudeltà e la freddezza dell’animo umano. Nel manicomio in cui sono rinchiusi gli infetti si susseguono episodi più o meno imprevedibili che faranno scatenare l’efferatezza ora del Governo e dei suoi servitori, ora dei ciechi e dei contagiati. In questo clima atroce in cui l’unica strada visibile pare essere quella tracciata dall’egoismo, la moglie del medico ci suggerisce che cecità non è la misteriosa malattia che si è in fretta diffusa in ogni parte del paese, «cecità è vivere in un mondo dove non vi sia più speranza».

Non avendo mai letto altri libri di Saramago prima di Cecità, ancor più inaspettato e insolito del mal bianco è stato lo stile. L’autore, infatti, non indica mai i personaggi con nomi propri, né spiega dove sono ambientati i racconti, e soprattutto riempie intere pagine, fitte di parole e righe, riducendo al minimo indispensabile l’uso della punteggiatura. I periodi sono spesso lunghissimi e separati di tanto in tanto da qualche virgola. Per i dialoghi non ci sono virgolette né trattini, nessun punto interrogativo alla fine di una domanda, mai visti i due punti; soltanto una volta ho trovato un punto e virgola. Tutto ciò complica non di poco la lettura, specie per le prime pagine, ma è essenziale, a detta dello stesso scrittore, “per emulare il più possibile il modo di procedere del pensiero, per associazione d'idee, anche una diversa dall'altra”.


Personalmente, una forma espressiva così originale è sufficiente per farsi impressionare e iniziare a esplorare gli scritti di Saramago. Il motivo per cui vale davvero la pena leggerlo è l’eccezionale capacità di delineare l’interiorità dei personaggi facendo spesso emergere una spietatezza inimmaginabile, ma anche una sensibilità e un’arguzia senza eguali, come nel caso della moglie del medico.

L’ironia di certo non manca, per quanto intrisa di amarezza; anzi, è una caratteristica chiave del suo stile e gli permette di esprimere critiche sociali in modo sottile. È un romanzo inevitabilmente crudo che lascia un segno indelebile in chi lo legge.

Se, come a me, la lettura vi ha più che soddisfatto, non potete non conoscere la sorte della moglie del medico e della sua banda in Saggio sulla lucidità, di cui è possibile leggere la recensione qui sul blog.


Francesco Migliorini



La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo - Umberto Galimberti di Francesco Migliorini

La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo - Umberto Galimberti


A distanza di undici anni dalla pubblicazione de L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, in cui veniva descritto il disagio giovanile – individuato in una sorta di crisi definita “culturale”, analoga a quella che Nietzsche, a suo tempo, chiamò “nichilismo” –, Galimberti affronta ancora una volta tale tema e lo fa ascoltando direttamente la voce dei ragazzi. Il nichilismo, citando le parole dello stesso Nietzsche, è «il più inquietante fra tutti gli ospiti. [...] manca il fine, manca la risposta al ‘perché?’. Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono ogni valore». A differenza delle generazioni passate, come quella dei miei genitori e dei miei nonni, oggigiorno i giovani non hanno certezza del futuro, il quale, sempre citando il filosofo tedesco, «si offre come un paesaggio imprevedibile che, oltre a non motivare, paralizza l’iniziativa e spegne l’entusiasmo tipico della giovinezza».

Se questa era l’atmosfera che secondo Galimberti si respirava nel 2007, ad oggi la situazione è variata di poco, ad eccezione di una percentuale piuttosto rilevante di ragazzi che al nichilismo passivo della rassegnazione e dello smarrimento hanno deciso di sostituire il nichilismo attivo di chi, consapevole della condizione generale di malessere in cui cresce, non si abbatte e non rinuncia ai propri sogni.


Il punto di forza del libro è la composizione stessa, vale a dire una raccolta di circa settanta lettere, inviate da ragazze e ragazzi che si interrogano sulla realtà e su se stessi, a cui Galimberti risponde senza dare vere e proprie direzioni, ma fornendo gli strumenti per poter affrontare al meglio la nostra società. In questa specie di consulenza, caratterizzata dall’uso di un linguaggio chiaro e scorrevole, il filosofo dimostra vicinanza ed empatia ai temi che riguardano l’adolescenza e l’inizio dell’età adulta.

Personalmente, si è rivelato in grado di individuare le corrette cause di diversi problemi che, ora o tra non molti anni, ci troveremo ad affrontare, come ad esempio la mancanza di opportunità lavorative. Se a mia madre è risultato sufficiente un diploma di scuola superiore per lavorare e guadagnare tuttora dignitosamente, oggi per poter ottenere lo stesso incarico è necessaria almeno una laurea, il che, anche in molti altri casi, «ha spostato di cinque o sei anni (quando va bene) l’ingresso nei vari impieghi».

Un altro motivo di disagio legato al mondo del lavoro è la perdita di ogni valore, tesi che Galimberti riprende direttamente da Marx: «Se vediamo il denaro come generatore simbolico di tutti i valori, capiamo solo cosa è utile». In uno scenario del genere pare impossibile sognare, e anche quando ciò sembra fattibile viene percepito il rischio di un gioco di illusioni che, nel peggiore dei casi, portano alla delusione. 

Eppure, se ogni mattina bisogna combattere con se stessi per andare a fare un lavoro che si detesta, scelto soltanto in vista del guadagno o della sua stabilità, conviene davvero seguire le proprie passioni, per non doversi ritrovare in questa afflizione tormentosa.

Riguardo alla scuola, mi sento di condividere diverse riflessioni e proposte, come ad esempio il fatto che classi meno numerose favorirebbero un migliore apprendimento e una maggiore collaborazione tra studenti; oppure l’attualissima e diseducante tendenza del “tutti promossi!”, incentivata dallo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito, che così facendo svela l’ipocrisia della sua denominazione; o, ancora, il problema dell’impreparazione dei docenti – soprattutto dei supplenti – che per fortuna ho trovato solo in pochi casi nella mia esperienza.


Una bella citazione riguardo la sempre maggiore insignificanza della comunicazione, soprattutto sui social: «in realtà Facebook è un monologo collettivo, dove chi scrive dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque, e chi legge ascolta le stesse cose che egli stesso potrebbe dire.» Il risultato è non solo una sorta di ‘comunicazione tautologica’ fatta di ovvietà e affermazioni irrisorie, ma anche un impoverimento del linguaggio e della capacità di espressione.

Ci tengo, tuttavia, a fare una precisazione riguardo a un discorso a pagina 192: «Ricordo che nel 1976 il linguista Tullio De Mauro [...] aveva fatto una ricerca per vedere quante parole conosceva un ginnasiale: il risultato fu circa 1600. Ripetuto il sondaggio vent’anni dopo, il risultato fu [...] dalle 600 alle 700 parole di meno». 

Di fronte a tali cifre mi sono immediatamente insospettito, perché sapevo che un bambino di prima elementare conosce almeno 2000 parole. Affermare che un liceale ne conosce soltanto 1600 significa affermare l’assurdo, e non sono il solo a sostenerlo: cercando su internet ho scoperto che alcuni giornalisti avevano indagato su questa affermazione del filosofo senza riuscire a rintracciare alcuna ricerca del noto linguista. Non voglio dire che Galimberti si sia inventato una bufala, ma sicuramente si tratta di dati poco chiari che non fanno riferimento a una fonte precisa.

In effetti, non è la prima volta che Galimberti compie errori grossolani: mi ricordo che in un’intervista con Marco Montemagno affermò che in Italia abbiamo un depresso su cinque (il 20% della popolazione!), sebbene, secondo l’Istituto Superiore della Sanità, sintomi depressivi siano presenti in circa il 7% della popolazione adulta, mentre la percentuale di chi soffre di disturbo depressivo maggiore (disturbo unipolare) è ancora più bassa.

In diverse occasioni, parlando di linguistica o di salute mentale, il filosofo è risultato impreparato, motivo per cui farebbe bene a documentarsi maggiormente o semplicemente a non fare divulgazione su determinati temi.


A parte piccoli “scivoloni” come questo, il libro mi è sembrato più che valido, sia perché dà pieno ascolto ai soggetti interessati sia per la linearità e l’esattezza delle argomentazioni. Una lettura, insomma, adatta non solo ai miei coetanei ma anche a professori, genitori e lettori di tutte le età.


Francesco Migliorini