El autódromo nacional de Monza es un circuito de carreras de coches internacional dentro del Parque de Monza. Es el tercer circuito más antiguo del mundo después del circuito de Brooklands en Inglaterra, ahora abandonado, e Indianápolis en los Estados Unidos. El circuito italiano es muy famoso, sobre todo porque es la sede principal del Gran Premio de Italia de Fórmula 1. Aquí corren otras categorías de coches diferentes y también corrieron las motos. Este circuito es el más rápido del mundial (excluidos los circuito ciudadanos).
Al Automobile Club de Milán decidió la construcción del autódromo en enero de 1922 por las actividades de construcción empezaron en mayo y fue inaugurado solamente 110 días más tarde (3 septiembre 1922).
El proyecto inicial consistía en un circuito en forma de ocho y largo 14 km, pero se utilizaron carreteras cerca del parque y se intentó no talar demasiados árboles, así que la longitud del circuito fue de 10 km. En el circuito se podrían encontrar dos diseños: un oval y una pista vial.
La primera vuelta completa fue recorrida por un Fiat 570 un mes antes de la inauguración, mientras que la primera carrera fue de motos el 8 septiembre 1922.
Las velocidades medias eran muy altas, pero debido a accidentes mortales se construyeron dos chicane, se renovó el trazado y se destruyeron las sobreelevadas. Se renovó el trazado nueve veces.
La vuelta más rápida en la carrera fue de Rubens Barrichello en 2004 que recorrió el circuito en 1:21.046 (un minuto y veintiún segundos), en cambio la vuelta más rápida en la calificación fue de Lewis Hamilton en 1:18.887 (casi un minuto y diecinueve segundos).
Los pilotos que han ganado más en Italia son Michael Schumacher y Lewis Hamilton, ambos con cinco victorias. Después está Nelson Piquet (80’) con cuatro victorias y Juan Manuel Fangio con tres victorias (50’).
El equipo que ha ganado más en territorio italiano es Ferrari con 19 carreras ganadas.
El circuito italiano, en su historia, ha visto muchas carreras espectaculares y muchos accidentes, desafortunadamente a veces mortales, como el famoso accidente al principio de la carrera del 1978 que implicó muchos coches, uno ardió y donde el piloto Ronnie Peterson murió el día siguiente debido a las heridas.
En 1979 Ferrari realizó un doblete y ganó el campeonato de pilotos con Jody Scheckter, el último piloto en ganar antes de la era Schumacher.
En agosto de 1988 murió Enzo Ferrari, fundador de la casa automovilística homónima , y en la carrera “de casa” Ferrari realizó un doblete: primero Berger, segundo Alboreto y con el Mclaren de Senna fuera de la zona puntos y el Mclaren de Prost retirada.
La carrera del 1995 fue increíble: un accidente entre Hill y Schumacher, los dos contendies al título, los Ferrari estaban en primera y en segunda posición, cuando una cámara encima del ala de Alesi impactó el coche de Berger, que se retiró. Alesi, primero hasta la vuelta 45, se retiró debido a un incendio sobre la rueda posterior derecha. ¡Un desastre!
En la era Schumacher en Ferrari (1996-2006) el alemán ganó cinco veces, en 1996, 1998, 2000, 2003 y 2006. El compañero de equipo, Barrichello ganó este GP en 2002 y en 2004.
En 2008 la carrera fue absurda: bajo la lluvia ganó un joven de nombre Sebastian Vettel, leyenda de este deporte con cuatro títulos ganados. Ganó con el equipo Toro Rosso, equipo italiano, y fue la primera carrera ganada por el equipo y el piloto también.
En 2010 Fernando Alonso ganó con Ferrari y consiguió la pole position y la vuelta más rápida de la carrera. El otro Ferrari, conducido por Felipe Massa terminó tercero.
En 2011 ocurrió un gran duelo entre Vettel y Alonso que vio ganador el alemán.
Desde 2014 hasta 2018 Mercedes ganó cinco veces consecutivas, pero en 2019 Ferrari volvió a ganar después de nueve años de espera. Charles Leclerc, al primer año con la Roja, ganó contra los Mercedes de Bottas y de Hamilton.
En 2020, durante la pandemia, doce años después la primera victoria, Alphatauri, nueva Toro Rosso en aquella época, ganó con Pierre Gasly, su primera victoria. Doble retiro para los Ferrari.
En 2021 hubo un terrible accidente entre Max Verstappen y Lewis Hamilton y el increíble doblete Mclaren con Ricciardo ganador y Norris segundo.
En 2023, el último GP hasta hoy, “el extraterrestre” Max Verstappen estableció el récord de victorias consecutivas, diez, sobrepasando el récord anterior de nueve carreras consecutivas ganadas establecido por Vettel en 2013.
Está era la historia del circuito y algunos de sus mejores momentos, ¡espero os haya gustado y haya subido vuestros niveles de drenalina!
Dejo aquí debajo los videos de la victoria de Leclerc en 2019 y un video que muestra las diez carreras más importantes de la historia de Monza.
Tommaso Rattegni
Dopo un weekend andato malissimo - per essere gentili - in Bahrain, finalmente potevo festeggiare la mia pole position in Arabia Saudita. Tra abbracci e complimenti del mio team ero euforico. Qualche ora dopo, quando già mi trovavo in hotel a riposarmi guardando un film molto serio, Cars, sento bussare alla porta della mia camera. Vado ad aprire e mi trovo davanti il mio manager con gli occhi spalancati, e prima che io possa chiedere qualcosa o farmi castelli mentali, mi urla praticamente in faccia: «VUOI FARE IL DEBUTTO IN FORMULA UNO CON LA FERRARI? A Sainz, povera stella, è stata diagnosticata l’appendicite, quindi per il weekend è out e la Ferrari chiede se vuoi…», neanche lascio che finisca e rispondo subito di sì. Non pensavo che questa giornata potesse andare meglio, e invece è diventata la migliore di tutta la mia vita. Debutto in Ferrari, il sogno di ogni pilota.
Dopo mille scartoffie è finalmente ora di entrare in macchina e fare la prima e unica sessione di prove libere in questa macchina. L’emozione è alta ma la concentrazione di più, ho poco tempo per abituarmi ai ritmi di questa macchina e per evitarmi una figuraccia davanti a tutti i grandi piloti. Sin da subito i tecnici sono gentili e pazienti, dicendo di prendermi il mio tempo. Posso immaginare che non vogliano che mandi la macchina a schiantarsi contro un muro, ovviamente neanche io lo vorrei, ma è un circuito imprevedibile e andare a sbattere è molto facile. E tant’è successo, grazie al cielo non a me, e la sessione è interrotta dopo che io riesco a fare soltanto un tentativo per il giro di qualifica. Che dire, anche qua avrei sicuramente fatto pole position (se si fossero schiantati tutti gli altri).
Arriva il momento decisivo, le qualifiche, in cui si decide dove partirò domani per la gara. L’ansietta c’è, ma so di poter fare bene. Ho fiducia, d’altronde senza quella non si va da nessuna parte qua. Riesco a passare il Q1 ma non il Q2, arrivando quindi undicesimo. A fine qualifiche tutti mi fanno i complimenti, dagli ingegneri e tecnici ai piloti. Speravo di arrivare al Q3 ma per ora mi accontento di questo, essendo molto umile posso dire di esser stato favoloso e accettare gli elogi di Sir Lewis Hamilton. Già, mi ha decisamente aumentato l’autostima e non me ne vergogno.
La gara si tiene di sera, l’emozione è tanta e si percepisce nell’aria, come son cresciute le aspettative per la mia gara. Sono determinato a scalare la classifica e a fare la mia miglior performance possibile, senza prendermi rischi, ovviamente, non intendo schiantarmi alla mia prima gara. Ripeto, sarebbe imbarazzante.
Verso metà gara mi trovo bloccato dietro Tsunoda. Nonostante la sua piccola statura sa difendersi bene, soprattutto in gara. Ogni sorpasso richiede precisione e coraggio, e ad ogni sorpasso mi viene un attacco di cuore.
Sul rettilineo apro il DRS e prendo tutta la scia possibile, lui non chiude la porta all’interno della curva e io mi ci tuffo, riuscendo a sorpassarlo nonostante l’attacco di cuore e l’ansia. L’adrenalina sopprime tutto. A fine gara riesco a salire in settima posizione, avendo dietro i miei due connazionali, Norris ed Hamilton, che, essendo loro in un duello, non riescono a raggiungermi.
Arriva la bandiera a scacchi e i miei tecnici mi riempiono di complimenti, dicendo che ho guidato brillantemente. Parcheggio la macchina ma rimango ancora un po’ al suo interno: mi fanno male tutti i muscoli, non mi sento più il collo a causa della forza G maggiore rispetto a quella percepita nelle vetture di F2 e ho bisogno di due minuti per realizzare. Passano molti piloti a farmi i complimenti, ancora Hamilton, poi Norris, Russell e Leclerc. Esco dalla vettura e subito vado ad abbracciare mio padre, che probabilmente ha avuto più infarti di me dopo che ho quasi toccato il muro.
Mi dicono che sono stato votato come pilota del giorno e contando che è l’unica gara che ho fatto, si può dire che sono pilota del giorno in tutte le mie gare di F1. Direi proprio che è una vittoria bella e buona.
Alice Scuri
In questo periodo, il tennis italiano sta spopolando in Italia; il motivo? Beh, semplice: Jannik Sinner.
Considerato ormai come uno dei tennisti più forti di sempre, il campione italiano riportatovi in precedenza, è riuscito nel giro di pochi mesi, a trasmettere una passione per il tennis in Italia mai vista fino ad adesso.
Inoltre, presenta una moltitudine di trofei nel suo palmarès, tra cui 2 Masters 1000, quattro ATP 500, sei ATP 250 e una coppa Devis.
Nelle prove del grande Slam ha conquistato l’edizione del 2024 dell’Australian Open, primo major (detto anche slam, viene considerata la competizione più ambita da ogni tennista) vinto in singolare maschile da un tennista italiano su una superficie diversa dalla terra rossa; mentre nel 2023 è riuscito ad aggiudicarsi un posto per la semifinale di Wimbledon. Inoltre, insieme a Mattia Berrettini, è l’unico atleta ad aver disputato almeno i quarti di finale di tutti i major.
Nello stesso anno (2023), ha contribuito in maniera determinante, sia in singolare che in doppio, alla vittoria della seconda Coppa Devis da parte della nazionale italiana (la seconda dopo 47 anni).
E per concludere in bellezza, nel febbraio del 2024 ha raggiunto la terza posizione nel ranking ATP (Association Professional Tennis, colei che stabilisce le classifiche mondiali dei tennisti maschili italiani in singolo e in doppio), la maggiore raggiunta da un tennista italiano dopo la sua introduzione nel 1973.
Facendo invece un salto indietro di ben 19 anni, Sinner, cominciò a cimentarsi nell’ambito del tennis all’età di 3 anni e mezzo, ottenendo buoni risultati, per poi passare ad allenarsi con maggiore intensità nel 2008, presso il circolo ATC Bruneck, grazie al nonno Josef che lo portava agli allenamenti. Ed in seguito alla segnalazione del talento classe 2000’, da parte del suo maestro Heribert Mayr al coach professionistico Andrea Spizzica, a13 anni, Sinner, decide di abbandonare definitivamente gli scii (sport che praticò in età giovanile in contemporanea con il tennis), a causa del troppo tempo che gli veniva sottratto dagli allenamenti, optando definitivamente per il tennis. Su suggerimento di Massimo Sartori (noto allenatore di tennis da oltre 20 anni), viene quindi inviato a Bordighera (in Liguria) per lunghi periodi, fino al trasferimento definitivo. In seguito, l’allora giovane prodigio venne indirizzato verso il Bordighera Tennis Club, per poi passare nel 2018 al Piatti Tennis Center, sotto la guida di Riccardo Piatti e il supporto di Andrea Volpini, Giulia Bruschi e Luca Cvetkovic, con i quali ha terminato di collaborare nel 2022.
L’ATTENZIONE DEL PUBBLICO ITALIANO RIVOLTA VERSO JANNIK.
“Oggi paga l’effimero, lui comunica serietà e sacrificio’’.
In un’epoca nella quale è difficile trovare dei modelli sportivi genuini, corretti e che non presentino atteggiamenti di antisportività, emerge proprio il tennista altoatesino Jannik Sinner, che proprio grazie alla sua naturalezza, generosità e modi piuttosto contenuti e mai sopra le righe che trasmette sulla terra battuta è ormai da circa due mesi sulla bocca di tutti gli italiani.
Tuttavia, Sinner, non sta solamente macinando successi su successi grazie alle ATP, Masters, slam, e competizioni varie che concernano l’ambito del tennis, bensì, sta modificando anche le abitudini di un intero paese, portando il tennis a dei livelli di popolarità inauditi.
La partita della svolta, in termini mediatici, è stata quella contro Novak Djokovic: la vittoria del ventiduenne altoatesino contro il numero uno del ranking ATP, è stata appunto visionata da ben 3,3 milioni di spettatori; numeri che in tv si vedono di rado, se non per quanto riguarda il calcio. Inoltre, l’impatto che ha avuto il giovane tennista ricorda proprio quello di altri campioni del passato, da Alberto Tomba (ex sciatore alpino) a Valentino Rossi.
UN’ICONA SPORTIVA, MA NON UNA CELEBRITÀ.
Al contrario loro però, come accennatovi in precedenza, Sinner non è un guascone, ossia non corrisponde ai canoni stereotipati dallo sportivo italiano, che implicano l’immagine dell’atleta italiano come estroverso, oltre alla percezione di essere talvolta eccessivamente emotivo durante le competizioni.
“Rispetto alle nuove generazioni, Sinner ha una modalità comunicativa eterodossa’’. Proprio per questo, viene giudicato dal pubblico sorprendentemente encomiabile, invitando a costruire la comunicazione sulla base delle competenze, in maniera opposta a ciò che sembra dimostrare l’andazzo comunicativo. D’altronde, quello a cui mi riferisco garantisce al giovane tennista un posto nell’immaginario collettivo nazionale.
Dopo aver discusso riguardo ciò che rende Jannik una celebrità ammirevole nel mondo del tennis, naturalmente la domanda sorgerà spontanea. Come si diventa un’icona sportiva?
Innanzi tutto, il primo fattore fondamentale per essere un’icona, è la capacità di fare in modo che i propri tifosi, si identifichino nei tuoi successi. Ed è la cosiddetta performance da “standing ovation’’, che consente delle forme di identificazione, quella che prende il nome di gloria vicaria, consentendo a delle comunità di avere a loro volta una sorta di autostima vicaria. Frasi come: “la tua vittoria la sento un po’ mia’’, oppure “La tua vittoria farà parte di me’’, esprimono alla perfezione il concetto riportato in precedenza.
Tutta via, il giovane ventiduenne non ha ancora raggiunto il titolo di celebrità, mancando appunto di alcuni elementi sulla base della quale viene costruita questa icona. Ad esempio, mantiene costantemente un profilo sui social molto istituzionale, in cui c’è poco o nulla dalla sua vita lontano dai riflettori. Sono quelle che si chiamano relazioni parasociali tra celebrità e pubblico, che emergono quando appunto la celebrità tende a mostrare momenti della sua vita quotidiana sui Media.
QUESTO MODO DI COMUNICARE PUÒ PORTARE UN DISTACCO DA PARTE DEL PUBBLICO?
Il modello a cui aspira Sinner è strettamente legato alla serietà dello sportivo, all’autocontrollo e allo spirito di sacrificio. E come sappiamo, il talento ha origine grazie ad una serie di competenze che uno sportivo deve possedere e farne tesoro, e nel suo caso sono queste a spiccare.
Sui social, l’elemento più stravagante e irriverente funziona alla grande, ma Jannik è eterodosso rispetto a questa modalità comunicativa creatasi nel tempo, ed è proprio per questa ragione che viene giudicato encomiabile. Appunto, invita ad esprimersi a parlare di sé in maniera diversa: mettendo al primo posto serietà e impegno.
Tuttavia è serio, ma non serioso, non è un personaggio grigio, in conclusione è semplicemente un ventiduenne che vive la sua vita.
ISCRIZIONI IN AUMENTO DEL 30%, LE CONSEGUENZE DELL’EFFETTO SINNER.
Proprio grazie al fenomeno Sinner, a quanto pare, il tennis non sarà più una seconda o una terza scelta da parte di migliaia e migliaia di ragazzi. Questo sport, attrae sempre di più, come testimoniano i numeri: nel 2023 i tesserati Fit in Lombardia sono stati 87 mila, ed erano 67 mila nel 2022, quasi il 30% in più. Mentre per quanto riguarda Milano, i tesserati nel 2023 sono stati 20.200, ed erano
18.000 nel 2022. Sicuramente l’esempio di atleti come Jannik Sinner e Berettini ha inciso molto all’avviamento di questo fenomeno, ma secondo gli esperti il vero “boom” deve ancora arrivare, come quello che c’è stato dopo la vittoria della Coppa Devis nel 1976 (vinta appunto dagli azzurri).
E sempre secondo il parere di tali, il così detto “Effetto Sinner” sarà più visibile sugli adulti che sui ragazzi, tant’è che molti giocatori che negli ultimi anni si erano dilettati nel padel, torneranno a praticare tennis.
“La centralità del nostro paese è basata sulla famiglia, e questo suo modo di essere sta facendo si che in Italia, di tennis, si parli ovunque”.
“Mi è capitato di vedere due bambini di 4 anni che giocavano a tennis, provando ad imitare il dritto e rovescio di Sinner”. ~Giacomo Cortopassi~
Espressioni come queste, danno prova che il tennis si sta evolvendo in seguito all’espressività di un ventiduenne altoatesino, facendo muovere di conseguenza, famiglie che rispettano precisi parametri quantitativi e qualitativi, tanto che le liste d’attesa per entrare nei tennis club sono ormai infinite.
LO SCONTRO DECISIVO: SINNER VS DJOKOVIC.
Come sappiamo, è proprio grazie ai match contro il serbo Djokovic che Sinner ha acquisito molta visibilità e fatto esaltare il pubblico italiano; vediamo di seguito le cause.
Innanzi tutto, battere per ben due volte il primo al mondo, vincitore di 24 slam, 7 atp finals e 40 masters 1000 in una settimana è stata un'impresa titanica. Ciò, si collega di conseguenza al fatto che il giovane altoatesino, sia stato il primo a mettere in difficoltà Djiokovic, che ha dovuto vendere cara la pelle contro di lui, e proprio per questo è stata una partita bellissima.
Infine, dobbiamo riconoscere che mai nemmeno un italiano, era arrivato fino alla finale del torneo Slam Australian Open, il che rende l’impresa ancora più assurda, se si considera che il ragazzo ha 22 anni.
Ma quella, oltre ad essere stata una battaglia all’ultimo sangue, è stata anche una sfida di stile. Da un lato abbiamo Sinner, testimonial per la rinascita del tennis italiano, universalmente apprezzato e stiloso: il primo a portare un prodotto come Gucci su un campo da tennis, ambassador del brand, visto in alcuni casi anche a bordo passerella. Dall’altra Dijokovic, che ha invece un legame stilistico più vicino al mondo del tennis, ambassador di Lacoste, con dei completi che porta anche in campo.
SINNER E LA VETTA DEL GRANDE SLAM.
E per concludere questo articolo, propongo una brevissima riflessione sull’ipotetica vittoria del Grande Slam da parte di Jannik Sinner, obbiettivo che come ben saprete, consiste nella vincita di 4 Slam consecutivi e la medaglia d’oro alle olimpiadi che si terranno quest’estate a Parigi.
Appunto, il giovane altoatesino, sarebbe il favorito per la consecuzione del tanto ambito trofeo appena citato, per alcuni semplici motivi; anche se… arrivati a questo punto non servono più molte spiegazioni per l’ipotetico raggiungimento del traguardo, che attribuisce al vincitore immensa tenacia, dedizione, e continuità. Per quanto riguarda le prime due sono già in saccoccia del campione da diverso tempo, ma per l’altra, beh… cari lettori, non ci rimane che affidarci a padre tempo.
Lorenzo Papa
L’Australian Open 2024 si è svolto a Melbourne Park, in Australia, dal 14 al 28 gennaio 2024. È stata la 112ª edizione dell’ Australian Open, il primo dei quattro tornei del Grande Slam dell’anno 2024.
Ecco alcuni dettagli chiave del torneo:
Singolo maschile: Il vincitore è stato Jannik Sinner. Novak Djokovic era il campione in carica, ma è stato sconfitto in semifinale dall’altoatesino, che ha poi battuto Daniil Medvedev in una finale al meglio dei cinque set vincendo così il suo primo titolo del Grande Slam. Il giovane italiano ha fatto un grandissimo percorso nel torneo: ha raggiunto la semifinale senza perdere un set, sconfiggendo il russo Andrey Rublev nei quarti di finale con un punteggio di 6-4, 7-6 (7-5), 6-3. Dopo la vittoria in semifinale contro Novak Djokovic per 6-1 6-2 6-7 6-3, in finale, Sinner ha sconfitto in rimonta il russo Daniil Medvedev con il punteggio di 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3 in 3 ore e 46 minuti di gioco.
Il campione in carica Djokovic ha condotto un torneo non al meglio delle sue qualità: dopo un intenso esordio con il diciottenne Dino Prizmic, il serbo ha ceduto un altro set anche nel secondo turno, ma ha battuto Alexei Popyrin ed è arrivato al terzo, proseguendo poi agevolmente la sua corsa nei turni successivi. Tuttavia è stato sconfitto in semifinale da Jannik Sinner.
Il russo Medvedev ha mostrato una grande tenacia nel torneo: ha superato in semifinale Alexander Zverev in 5 set in carica di 5-7, 3-6, 7-6 (7-4), 7-6 (7-5), 6-3 dopo aver affrontato nei turni precedenti altri avversari di minor calibro ma che lo hanno costretto a lasciare per strada molti set. Alla fine di questo intenso e tortuoso percorso, Medvedev è stato sconfitto in finale da Jannik Sinner.
Questo torneo ha dimostrato ancora una volta che nel tennis nulla è scontato e che ogni partita può riservare sorprese. L’Australian Open 2024 sarà ricordato per la straordinaria performance di Jannik Sinner e per le emozionanti partite che hanno entusiasmato gli appassionati di tennis in tutto il mondo, innanzitutto – ovviamente –. L’Italia, che ha visto un'impennata improvvisa dell’interesse e del tifo verso il tennis, con dimostrazioni di affetto e di passione verso un giovane protagonista che, fino a non molto tempo fa, era conosciuto e apprezzato perlopiù dai soli addetti a lavori o appassionati “di nicchia”… Tutto in pieno stile italico!
Singolo femminile: la tennista Aryna Sabalenka ha vinto il titolo, difendendo con successo il titolo femminile. Ha vinto il suo secondo titolo del Grande Slam in singolare, e l’ha fatto senza perdere un set durante il torneo.
Doppio maschile: I vincitori sono stati Rohan Bopanna / Matthew Ebden.
Doppio femminile: Le vincitrici sono state Hsieh Su-wei / Elise Mertens.
Doppio misto: I vincitori sono stati Hsieh Su-wei / Jan Zieliński.
Il montepremi del torneo è stato di A$ 86,500,000. Questo torneo ha subito due importanti problemi: In mattinata gli allenamenti erano stati interrotti e i match in programma sono stati rimandati a causa del fumo sprigionato dagli incendi che continuavano a devastare ampie aree dell'Australia. Quando la situazione è iniziata a migliorare, consentendo l'inizio di qualche partita, è arrivato un forte temporale che ha costretto a interrompere diverse partite.
Andrea Bortolotti
La Coppa Davis è una competizione di tennis fondata nel 1900 da Dwight F. Davis, un tennista statunitense. Il primo incontro tra Stati Uniti e Regno Unito si svolse a Brookline, nel Massachusetts. La Coppa Davis è stata ribattezzata così dopo la morte di Dwight Davis nel 1945.
La Coppa Davis 2023 è stata la 111ª edizione del torneo mondiale tra squadre nazionali di tennis maschile. Il Canada era il detentore del titolo, ma è stato eliminato nei quarti di finale. Il torneo si è svolto dal 3 febbraio al 26 novembre, con la fase a gironi che si è tenuta tra il 12 e il 17 settembre. Domenica 26 novembre si è realizzata la finale che ha avuto luogo al Palacio de Deportes José María Martín Carpena.
Le squadre che hanno partecipato sono 16, divise in quattro gruppi:
Le partite del Gruppo A della Coppa Davis 2023 svolte a Bologna sono state le seguenti:
Svezia vs Cile 0-3
Canada vs Italia 3-0
Cile vs Canada 1-2 --> L' ITALIA E IL CANADA SI QUALIFICANO PER LA FINALE
Italia vs Cile 3-0
Svezia vs Canada 0-3
Italia vs Svezia 2-1
Gruppo B (partite giocate a Manchester):
Francia vs Svizzera 3-0
Australia vs Gran Bretagna 1-2
Australia vs Francia 2-1 --> LA GRAN BRETAGNA E LA FRANCIA SI QUALIFICANO PER LA FINALE
Gran Bretagna vs Svizzera 2-1
Australia vs Svizzera 3-0
Gran Bretagna vs Francia 2-1
Gruppo C (partite giocate a Valencia in Spagna):
Serbia vs Repubblica di Corea 3-0
Spagna vs Repubblica Ceca 0-3
Repubblica ceca vs Repubblica di Corea 3-0
Spagna vs Serbia 0-3. --> LA REPUBBLICA CECA E LA SERBIA SI QUALIFICANO PER LA FINALE
Serbia vs Repubblica Ceca 0-3
Spagna vs Repubblica di Corea 2-1
Gruppo D (partite giocate a Spalato in Croazia):
Paesi Bassi vs Finlandia 2-1
Croazia vs Stati Uniti 1-2
Paesi Bassi vs Stati Uniti 2-1
Croazia vs Finlandia 1-2 -->I PAESI BASSI E LA FINLANDIA SI QUALIFICANO PER LA FINALE
Stati Uniti vs Finlandia 0-3
Croazia vs Paesi Bassi 2-1
Così l’Italia, il Canada, la Repubblica Ceca, la Serbia, i Paesi Bassi e la Finlandia si qualificano per i quarti di finale che si disputano a Malaga. I primi a sfidarsi sono il Canada e la Finlandia con la vittoria di quest’ultima 2-1. Come seconda partita, giocano Repubblica Ceca - Australia, e quest’ultima si qualifica per la semifinale. Poi arriva il turno per l’Italia contro i Paesi Bassi: la vittoria è della Nazionale Italiana. Come ultima partita dei quarti, si sfidano Serbia e Gran Bretagna e vince la Serbia 2-0.
In semifinale, l’Australia sconfigge la Finlandia 2-0 e l’Italia vince contro la Serbia 2-1.
L’ Australia e l’Italia sbarcano in finale: la prima non vince questa competizione dal 1939, quando ha battuto gli Stati Uniti 3-2, mentre l’Italia non vince da 47 anni - l’ultima vittoria, infatti, risale al 1976.
Il match inizia con il primo incontro tra Matteo Arnaldi e Alexei Popyrin, Arnaldi lascia a zero Popyrin e tiene il servizio. Inizia però a commettere i doppi falli, che saranno nove in tutto il match; riesce comunque ad avere la meglio. Il primo ace gli vale il 2-1 e, nel game successivo, riesce a prendere il gioco all’avversario alla terza palla break. Subisce però il controbreak immediato di Popyrin e non riesce ad avanzare portando il game a durare molto. Sul 5-5, si invertono i ruoli: due palle break annullate da Arnaldi che riesce ad annullare con la prima di servizio. Fa un ace per ottenere il vantaggio, poi utilizza il serve and volley (è uno stile di gioco basato sulla discesa a rete dopo il proprio servizio per provare a chiudere subito il punto)sulla seconda; l’Italia termina con un 7-5 in questo primo incontro.
Nel secondo set, Arnaldi perde la lucidità, commette una serie di errori che si sarebbero potuti evitare, facendo terminare il set 6-2 per l’Australia.
Nel terzo set, Arnaldi ottiene un 6-4 e l’Italia si risolleva. Ora è il turno di Jannik Sinner.
Sinner sfida Alex de Minaur. All’inizio, de Minaur tiene a zero l’italiano anche se quest’ultimo poi recupera, rischiando polso e caviglia per contendere il servizio, e termina poi il set vincendolo 6 a 3.
Nel secondo set, Sinner riesce a realizzare l’1 a 0 con un ace centrale; poi,nel secondo game, ai vantaggi de Minaur sbaglia un rovescio e porta Sinner sul 2-0. Sinner ha letto perfettamente il game tanto che arriva al 5-0 e poi segna per sempre la storia del tennis con il suo 6 a 0 che porta l’Italia a vincere la Coppa Davis.
Andrea Bortolotti
La stagione 2023 è stata lunga, combattuta e diversa dalle altre: infatti, al sabato, oltre alle classiche qualifiche che decidevano la griglia di partenza, si correva anche la gara Sprint, una gara con la metà dei giri rispetto alla gara della domenica e in cui i primi nove piloti ottenevano punti; il risultato della gara sprint non cambiava la griglia di partenza.
Vediamo ora i ventidue piloti e gli undici team protagonisti nella massima categoria delle moto.
Ducati Lenovo Team
Francesco Bagnaia, detto Pecco, Campione del Mondo Moto2 nel 2018 e Campione del Mondo MotoGP nel 2022: sarà lui l’uomo da battere;
Enea Bastianini, Campione del Mondo Moto2 nel 2020: su di lui ci sono molte aspettative dopo un gran 2022; è alla prima stagione con la Ducati ufficiale.
Ducati Prima Pramac Racing
Jorge Martin, Campione del Mondo Moto3 nel 2018 e possibile candidato al titolo;
Johann Zarco, Campione del Mondo Moto2 nel 2015 e nel 2016, alla sua terza stagione con il team.
Ducati Mooney VR46 Racing
Marco Bezzecchi, rookie dell’anno 2022 e pilota molto veloce;
Luca Marini, fratello di Valentino Rossi e alla seconda stagione con il team.
Ducati Gresini Racing
Fabio Di Giannantonio, alla sua seconda stagione con il team: vuole migliorare le sue prestazioni dopo un 2022 non facile;
Alex Marquez, Campione del Mondo Moto3 nel 2014 e Moto2 nel 2019 e fratello di Marc Marquez.
Monster Energy Yamaha
Fabio Quartararo (El Diablo), Campione del Mondo MotoGP nel 2021;
Franco Morbidelli, Campione del Mondo Moto2 nel 2017.
Aprilia Racing
Aleix Espargaró, unico pilota della MotoGP a firmare tre pole position con tre case diverse (Forward Yamaha, Suzuki e Aprilia);
Maverick Viñales, Campione del Mondo Moto3 nel 2013.
Aprilia CryptoData RNF Racing
Miguel Oliveira, al primo anno con Aprila;
Raul Fernandez, anche lui al primo anno con Aprilia.
Honda Racing Corporation (HRC)
Marc Marquez, otto volte Campione del Mondo, sei volte in MotoGP (2013-2014-2016-2017-2018-2019);
Joan Mir, Campione del Mondo Moto3 nel 2017 e MotoGP nel 2020.
Honda LCR Racing e Honda Idemitsu Racing
Alex Rins, al primo anno in Honda;
Takaaki Nakagami, al sesto anno con il team.
Red Bull KTM Factory
Jack Miller, al primo anno con KTM dopo l’esperienza in Ducati;
Brad Binder, Campione del Mondo Moto3 nel 2016.
GASGAS Factory Racing Tech3
Pol Espargaró, campione del Mondo Moto2 nel 2013;
Augusto Fernandez, unico esordiente e Campione del Mondo Moto2 nel 2022.
Dopo mesi di attesa e tante aspettative soprattutto per le gare Sprint, viste non molto bene da alcuni piloti, la prima gara è in Portogallo.
Alla mattina Marc Marquez fa la pole position; al pomeriggio si scrive la storia: dopo un brutto incidente tra Marini e Bastianini, che dovrà saltare un po’ di gare, la seconda parte di gara vede sorpassi e frenate al limite con la vittoria di Bagnaia davanti a Martin e a Marquez.
Alla domenica, Marquez, al terzo giro, si vede protagonista di un incidente “da esordiente” che purtroppo coinvolge Martin ma soprattutto Oliveira, eroe di casa. I primi tre ora sono Bagnaia, Viñales e Miller.
Il pilota Aprilia cerca di avvicinarsi al ducatista, ma non c’è niente da fare: Pecco vince, secondo Maverick, terzo Bezzecchi dopo un bel sorpasso su Miller.
La settimana dopo si vola in Argentina e le difficoltà Yamaha continuano, questa volta soprattutto per Quartararo.
La pole la firma Alex Marquez, la prima in MotoGP e dopo una prima sessione di qualifica dove la prima moto è andata in fiamme. La Sprint è divertentissima: Binder da quindicesimo a quarto solamente nel primo giro, Morbidelli che vede la possibilità di salire sul podio e la battaglia tra Marini e Bezzecchi con Binder che alla fine la spunta, lasciando secondo Bezzecchi e terzo Marini.
La gara è con la pista bagnata e vede la prima vittoria per il Bez, la grande rimonta di Zarco, secondo al traguardo, il primo podio per Alex Marquez con Ducati Gresini e purtroppo la caduta di Bagnaia a causa di un errore personale a pochi giri dalla fine dopo una bella battaglia con Alex Marquez. Male le Aprilia dopo un venerdì molto promettente chiuso ai primi due posti della classifica dei tempi. Bezzecchi è ora il nuovo leader del mondiale.
Due settimane dopo si vola in Texas (USA), ad Austin , per il terzo round stagionale.
Nonostante la pista piena di buche, Pecco Bagnaia al sabato fa la pole e il record della pista; in prima fila anche uno straordinario Alex Rins con la Honda LCR. La sprint è controllata da Bagnaia, Rins termina secondo, mentre per il terzo posto va in scena una bella battaglia tra Jorge Martin e Aleix Espargaró, vinta dal ducatista. Bagnaia torna leader.
Alla domenica Rins prova ad impensierire Pecco, l’italiano si difende, ma, proprio quando sembrava tutto sotto controllo, Bagnaia cade. Da lì in avanti Rins controlla la gara e va a vincere, secondo Luca Marini (primo podio in gara lunga in carriera), terzo Fabio Quartararo con la Yamaha (molto bravo a gestire una moto non semplice). Bezzecchi è sesto, e Bagnaia, nonostante la caduta, si trova ancora in testa al mondiale.
Due settimane dopo si ritorna in Europa, precisamente a Jerez, in Spagna. Qui vediamo dalle prove libere Aprilia e KTM molto veloci, con anche la wild-card (si tratta di un pilota, che non corre più nella competizione, a cui viene data la possibilità di fare una gara) Dani Pedrosa, tester KTM. In qualifica la pole è di Aleix Espargaró, poi le due KTM di MIller e Binder. Nella sprint dopo due incidenti alla partenza e la caduta del pole-man si vede la vittoria di Binder su KTM davanti a Bagnaia, che limita i danni dopo un brutto venerdì e Miller, sempre su KTM. Lo stesso podio lo vediamo anche alla domenica, però con una differenza: è Pecco Bagnaia a vincere davanti alla due KTM. Ducati firma la terza vittoria di fila negli ultimi tre anni su questa pista.
La prossima gara è in Francia, a Le Mans; qui si assiste al ritorno di Marc Marquez e all’ennesima pole position di Bagnaia.
Per la prima volta quest’anno Jorge Martin vince la sprint, secondo Binder, terzo Bagnaia dopo una grande lotta con Marc Marquez, quinto al traguardo. In gara Bagnaia non è velocissimo, infatti Bezzecchi e Martin lo passano; poi, nel tentativo di passare Viñales, i due si toccano, cadono, fanno “rissa” e si ritirano. Marco Bezzecchi domina la gara e si porta a -1 dal mondiale, secondo Martin dopo una battaglia “all’ultimo sangue” con Marquez, poi caduto; terzo Zarco, eroe di casa. Da segnalare la grande gara di Augusto Fernandez, rookie, arrivato quarto al traguardo.
Dopo un mese di pausa si corre al Mugello e Pecco fa il weekend perfetto, facendo pole, vittoria nella sprint e vittoria in gara.
Nella sprint, in cui rischiava di piovere, si son visti molti sorpassi, soprattutto nella fase in cui ha iniziato a piovere. Pecco domina, secondo Bezzecchi, terzo Martin. In gara dominio di Bagnaia, secondo Martin, terzo Zarco. Marc Marquez cade ancora, invece il fratello Alex, prima fa una staccata (frenata) al limite, poi cade proprio quando era in lotta per il podio.
Si vola in Germania e nelle prove libere vediamo un Marc Marquez molto nervoso: record di cadute in un weekend, che poi salterà dopo la “botta” della domenica mattina. Da qui si capisce che non rinnoverà con Honda per il 2024.
Al sabato Bagnaia firma un’altra pole, ma è Jorge Martin che si impone nella sprint, proprio davanti a Pecco e a Miller. Domenica assistiamo al primo episodio della rivalità nata quest’anno tra Pecco e Jorge: sorpassi e controsorpassi, un contatto tra la ruota anteriore di Pecco e la ruota posteriore di Jorge e la vittoria dello spagnolo per soli 64 millesimi. Martin torna a vincere una gara lunga dopo quasi due anni; secondo Bagnaia, terzo Zarco.
L’ultima gara prima della pausa estiva è ad Assen: Marco Bezzecchi conquista la pole e la sprint race, secondo Bagnaia, terzo Quartararo dopo la penalizzazione di Binder per essere andato sul verde (viene tolta una posizione se si tocca la parte esterna del cordolo all’ultimo giro). Il Bez sembra il dominatore del weekend, ma è Bagnaia a vincere la gara domenicale, secondo proprio il Bez, terzo Aleix Espargaró dopo la penalizzazione di Binder per lo stesso motivo della gara sprint. Bagnaia è solidamente in testa al mondiale.
Dopo la pausa la caccia a Pecco riparte da Silverstone, in Gran Bretagna. Bezzecchi domina in un sabato mattina piovoso realizzando una gran pole position: nella sprint si arrende solo a un grande Alex Marquez, alla sua prima vittoria con Gresini; completa il podio Viñales, che non ci saliva dalla prima gara. Delusione Bagnaia, solo quattordicesimo. La gara domenicale è un’altra cosa e Pecco mostra tutte le sue qualità nella gara lunga: Bezzecchi, mentre lo insegue per il primo posto, esagera nella staccata alla curva Stowe (una delle ultime del circuito) e cade.
Sembra una gara controllata da parte di Pecco, ma arriva la pioggia: i primi quattro (Bagnaia, Espargaró, Binder e Viñales) iniziano a lottare e vengono raggiunti da Oliveira, che sfiora il podio. All’ultimo giro, Alex esce più velocemente di Pecco e lo passa prima della sezione delle curve veloci: vince il pilota Aprilia, davanti al ducatista e a Binder.
In Austria domina Bagnaia: pole, vittoria della sprint e della gara domenicale rimanendo in testa per tutti i giri delle due gare; completano il podio della sprint Binder e Martin. In gara, dietro a Pecco, Binder e Bezzecchi, che si riscatta dopo la caduta nella sprint; si riscatta anche Marini, quarto; Jorge Martin settimo dopo il long lap penalty a causa dell’incidente con Marini nella sprint. Bagnaia ha 62 punti di vantaggio sugli inseguitori, ma il pericolo è dietro l’angolo: dopo la pole a Barcellona e il secondo posto nella sprint, tra le due Aprilia con la vittoria di Espargaró e il terzo posto di Viñales, nella gara di domenica avviene il fattaccio: prima una quintupla caduta di Ducati, con Bastianini protagonista e Bezzecchi coinvolto, poi un high-side (termine che indica il “volo” del pilota disarcionatosi dalla moto) del campione del mondo e la moto di Binder che colpisce la sua gamba. Si temeva il peggio, ma per fortuna niente di rotto. La gara, dopo essere stata sospesa, riparte e vede il primo uno-due di Aprilia in Top-class: Espargaró e Viñales fanno gioire il team, chiude il podio Jorge Martin.
Sette giorni dopo si corre a Misano e Bagnaia torna a correre dopo lo spavento: Jorge Martin conquista la pole “distruggendo” il record della pista, la vittoria nella sprint e della gara domenicale restando in testa per tutto il tempo. Bezzecchi e Bagnaia secondo e terzo sia nella sprint che nella gara lunga. Altra grande prestazione della wild-card Pedrosa, due quarti posti.
Due settimane dopo si corre per la prima volta nella storia in India: Bezzecchi conquista la pole, ma nella sprint viene toccato dal suo compagno di squadra; da lì in avanti Martin domina la gara, Bagnaia secondo; terzo Marc Marquez con la Honda. La gara viene dominata da Bezzecchi, Bagnaia prima fa un sorpasso capolavoro su Martin, poi cade. Completano il podio Jorge, arrivato stremato al traguardo e “El Diablo” Quartararo. Lo spagnolo ha ridotto il gap da Pecco: mondiale che entra nel vivo.
In Giappone altra pole e vittoria nella sprint per Jorge Martin, secondo Binder, solo terzo Bagnaia dopo un bel duello con Miller. La gara domenicale viene interrotta a causa della forte pioggia: punti interi perché due terzi di gara sono stati completati. Vince Jorge, davanti a Pecco, e terzo Marc Marquez, al suo 101esimo podio e anche ultimo con Honda perché poco dopo sarebbe uscito l’annuncio che non avrebbe rinnovato per il 2024 con la squadra giapponese e che avrebbe invece corso con Ducati nel team Gresini.
Si vola in Indonesia con Jorge Martin a -3 dal campione in carica.
Luca Marini conquista la pole, ma è ancora una volta Martin a conquistare la sprint, podio completato da Marini e Bezzecchi, dopo l’operazione alla spalla. Bagnaia solo ottavo, quindi Jorge nuovo leader del mondiale; ma questa vetta dura meno di ventiquattro ore, perché Jorge cade quando era al comando con tre secondi di vantaggio sul secondo. Bagnaia compie una straordinaria rimonta: da tredicesimo a primo, lasciando secondo Viñales e terzo Quartararo.
La settimana dopo si corre in Australia: a causa del maltempo la gara della domenica viene spostata al sabato e la sprint viene spostata alla domenica tempo permettendo. Martin “distrugge” il record della pista, ma per una scelta sbagliata della gomma posteriore si vede una vittoria facile sfuggirgli dalle mani: vince il suo compagno di squadra, Zarco, alla prima vittoria nella categoria; secondo Bagnaia, che a fine gara festeggia (e non poco!), terzo Di Giannantonio (primo podio in carriera in MotoGp). Sprint annullata a causa della pioggia e del forte vento.
In Thailandia Martin fa un’altra pole e vince un’altra volta la sprint, secondo Binder, terzo Marini. La gara della domenica è bellissima: grande battaglia tra Martin e Binder con un Bagnaia spettatore: alla fine vince Jorge, Binder va sul verde all’ultimo giro e viene penalizzato regalando il secondo posto a Pecco. Terzo il pilota KTM.
Si rimane in Asia per la terzultima gara stagionale: in Malesia, Pecco Bagnaia torna in pole position davanti al suo rivale principale, Martin. In qualifica si rivede anche Bastianini, terzo. La sprint è un dominio inaspettato di Alex Marquez; secondo Jorge, terzo Pecco. In gara Jorge non riesce ad essere esplosivo come al solito: prova a superare Pecco, ma lui gli risponde due volte, la seconda all’esterno. Da lì in avanti il pilota Pramac sparisce dai radar.
Bastianini torna a vincere dopo più di un anno, secondo Alex Marquez, terzo Bagnaia, quarto Martin a sette secondi dal podio.
La settimana dopo si vola in Qatar: sorprese già in qualifica, con la pole di Luca Marini davanti alle due Ducati del team Gresini, Di Giannantonio e A. Marquez.; Bagnaia e Martin rispettivamente quarto e quinto. Nella sprint Jorge tocca Pecco per ben due volte e l’italiano non va oltre al quinto posto, invece il rivale vince l’ennesima sprint della stagione davanti a Diggia e a Marini. La gara domenicale di Jorge Martin è un incubo: partenza sbagliata e gomma difettosa lo costringono a terminare decimo; davanti, invece, Bagnaia controlla la gara fino al quartultimo giro quando Diggia lo passa. Il giro dopo Pecco rischia di colpirlo, ma per fortuna va largo senza toccarlo: Diggia vince davanti a Pecco e a Luca Marini.
Pecco a +21 su Jorge: il mondiale si deciderà a Valencia.
Lo spagnolo infastidisce il campione in carica al venerdì e lo stesso è costretto ad affrontare la prima sessione di qualifica, mentre lo spagnolo no.
Pecco domina la prima sessione di qualifica e fa secondo tempo nella seconda sessione dietro solo a Viñales; Martin solo sesto. La sprint è un’altra volta dello spagnolo, la nona stagionale, secondo Binder, terzo Marc Marquez, all’ultimo weekend con Honda. Pecco solo quinto, il mondiale si deciderà domenica.
Dopo tre giri i due protagonisti sono subito attaccati, ma lo spagnolo sbaglia la prima curva, quasi tocca Pecco e rientra in ottava posizione. Innervosito, nel tentativo di rimontare si tocca con Marquez, cadono e si ritirano tutti e due: nello stesso tempo Bagnaia perde la leadership della gara a favore di Binder, ma tutti gli italiani ormai gioiscono perché Bagnaia è Campione del Mondo per la seconda volta consecutiva, terza in carriera dopo la Moto2 nel 2018. KTM poteva vincere facilmente la gara, ma Binder sbaglia alla curva undici, mentre Miller cade alla curva dieci.
Pecco vince gara e mondiale; secondo Zarco e terzo Binder dopo la penalizzazione inflitta a Diggia per la pressione irregolare della gomma anteriore.
Bagnaia si conferma il NUMERO 1 e si prepara per un 2024 di fuoco con tanti ducatisti possibili candidati al titolo.
Buon motomondiale a tutti!!
Tommaso Rattegni
COME NASCE IL FENOMENO?
Le prime testimonianze di calciomercato, ossia il complesso delle trattative per il trasferimento, definitivo o temporaneo, di un giocatore di calcio vengono collocate agli inizi del secolo scorso, quando, inizialmente, gli emissari di una società si recavano presso il campo di allenamento di un altro club e chiedevano di ingaggiare un determinato giocatore. Più che un pagamento tra società, si trattava di un gentlemen agreement (tradotto letteralmente, “accordo tra gentiluomini’’), durante il quale i nobili dell’epoca si mettevano d’accordo, applicando, quella che noi potremmo definire oggi una tipologia di calciomercato “prematuro’’. Esso si basava appunto sul rapporto “dare-per-avere’’, nel quale venivano barattati favori commerciali e offerti impieghi fissi o residenza in una data città al calciatore.
GLI ANNI ‘20
Nei primi anni ‘20, si è cominciato a parlare più di calciomercato vero e proprio che di “dare-per-avere’’ iniziarono quindi a formarsi dei veri e propri scambi epistolari su tutto il territorio fra presidenti di club e persone di rango (spesso nobili).
Nel decennio successivo, ci fu, invece, il primo cambiamento epocale, che spalancò le porte agli oriundi. Una sorta di dramma. Per acquistare un giocatore straniero che avesse un qualsiasi nesso con la bandiera italiana, anche solo dei lontani parenti italiani, con le difficoltose comunicazioni di allora, era quasi un miracolo: per concludere l’affare occorrevano scambi di telegrammi, telefonate intercontinentali molto costose e innumerevoli viaggi alla scoperta di nuovi talenti.
GLI ANNI ‘50: NASCE IL CALCIOMERCATO VERO E PROPRIO
Solo a metà del secolo scorso nasce il calciomercato, molto simile a quello che intendiamo noi oggi con questo nome. E sapete chi ne fu l’inventore? Raimondo Lanza di Trabia, un nobile che voleva far scalare la vetta del panorama calcistico italiano al Palermo, portandolo all’Olimpo di quest’ultimo, e che cominciò a ricevere presidenti e dirigenti nella suite del suo albergo a Milano, tra bottiglie di champagne e divani di broccato.
Ed è quindi così, tra l’altro, che nacque l’idea che ci fosse una sede fissa, in un ambiente lussuoso, per le trattative di calciomercato; luoghi come il Gallia, l’Hilton e altri alberghi milanesi sono quelli in cui ritrovarsi e chiudere affari ancora oggi per chi opera in questo settore (soprattutto per i club di Milan e Inter).
Successivamente, nei decenni a venire, il calciomercato non faticherà a diventare un fenomeno mediatico, venendo seguito dai professionisti del settore – ma anche dai tifosi attraverso i media (prima i giornali, poi la televisione e ora internet) – dalla fine del campionato fino a luglio, mese di chiusura. Cominciano quindi ad affermarsi le prime grandi famiglie proprietarie di club calcistici e i primi dirigenti addetti al mercato, come Italo Allodi, prima all’Inter e poi alla Juventus, o Gipo Viani del Milan.
Ovviamente, essendo che l’esplosione di questo fenomeno avviene in epoca post fascista e dopo la Seconda Guerra Mondiale, non dobbiamo dimenticarci che è un’Italia che si dirige verso il suo “boom economico’’; di conseguenza, vi è una maggior ricchezza, maggiori ricavi e investimenti nel mondo del calcio e quindi anche un aumento del valore dei singoli giocatori.
Il senatore Achille Lauro, armatore e presidente del Napoli, è il primo ad oltrepassare la barriera delle 100 milioni di lire, versandone ben 105 all’Atalanta per procurarsi l’attaccante svedese Jepson giocatore che, peraltro, pareva essersi ormai promesso alla Roma. Naturalmente, non bisogna considerare ciò come il primo “sgarbo” della storia del calciomercato’, dato che i giocatori non avevano alcun potere decisionale riguardo la loro carriera, e impotenti, venivano fatti uso di scambio dai club sovrani, che alloggiavano in miglior maniera, dopo aver offerto cifre folli.
LA COMPROPRIETÀ
La comproprietà, ossia l’acquisizione di un giocatore anche solo per il 50% del suo valore totale, è una pratica la cui spiegazione necessita di un salto nel passato.
Siamo negli anni ‘50 quando nasce questa operazione, la quale richiede di essere risolta entro un anno, o al massimo due con una proroga (prolungamento della durata del contratto per un periodo ulteriore), ma, se non fosse stato fissato un diritto di riscatto, i due club avrebbero dovuto ricorrere all’offerta in busta chiusa. Certe volte, i risultati di questa risoluzione a busta chiusa sono stati veramente sorprendenti. Un esempio molto famoso è il caso di Salvatore Bagni, che, al momento di scrivere sul modulo federale il doppio della cifra che il Bologna intendeva offrire (4,710 milioni), sbagliò, riportando solamente la metà della cifra, ovvero 2,335 milioni.
Il caso che fece però più clamore fu quello che portò a fissare, nel 1971, una cifra minima di riscatto.
Ovviamente sto parlando del caso di Paride Tumburus, giocatore che in carriera vinse uno scudetto nel 1964 col Bologna ed ebbe il vanto di qualche presenza con la maglia nerazzurra dell’Inter. Egli, ormai, a 32 anni, non era più oggetto di interesse per nessun club calcistico; tant’è che in quell’anno (estate 1971), il Vicenza scrisse in una busta 175 lire, mentre il Rovereto non si fece molti scrupoli ad offrirne appena 25. Considerato che un pieno di benzina costava in media 5.000 lire… una miseria.
Il caso causò tanto stupore che si decise di fissare un'offerta minima di 100 mila lire.
DAGLI ANNI ‘60 AGLI ANNI ‘70: STOP AGLI STRANIERI E BARRIERA DEL MILIARDO SUPERATA
La chiusura delle frontiere viene causata grazie alla pessima prestazione degli azzurri ai mondiali del 1966.
Con la seconda riapparizione degli oriundi, i prezzi dei calciatori italiani toccano le stelle. Un esempio clamoroso è l’acquisto di Marco Tardelli, passato dal Como alla Juventus per 950 milioni. La barriera del miliardo è cominciata così a traballare per venire poi stata abbattuta dal presidente del Napoli Corrado Ferlaino, che verrà ricordato come “mister 2 miliardi’’ . Il maestro dei “colpi” azzurro firma infatti un assegno da 1 miliardo e 400 milioni di lire al Bologna per acquistare Giuseppe Savoldi, aggiungendo successivamente Clerici e la comproprietà di Rampanti, valutati per un totale di 600 milioni, raggiungendo i 2 miliardi. Ed è così che il calcio italiano entra così in una nuova era.
PLATINI, ZICO E MARADONA: GLI ANNI ‘80 E LA NUOVA FRONTIERA DEL CALCIO MERCATO
Nel 1980 vengono riaperti i porti; anche se inizialmente non tutti i presidenti di serie A sfruttano la possibilità di ingaggiare degli stranieri, abbiamo l’acquisto di Prohaska da parte dell’Inter, di Bradi per la Juventus, Falcão per la Roma ed infine Bertoni per la Fiorentina.
Ma a vincere la “caccia all’immigrato’’ (per dirla così, ironicamente), è proprio la Juve, che riesce ad accaparrarsi il francese Michel Platini due anni dopo, strappato all’Inter durante un blitz notturno da parte del presidente Gianni Agnelli.
IL CALCIOMERCATO PROSEGUE CON CIFRE FOLLI
Il campionato italiano diventa improvvisamente la nuova pista di atterraggio per i giocatori di tutto il mondo, inducendo così i presidenti di vari club ad una gara per chi meglio alloggia.
Nel 1983 l’Udinese investe 6 miliardi per acquistare il calciatore brasiliano Zico dal Flamengo, proprio come se oggi, il 31enne Neymar decidesse di giocare nell’ Udinese.
Ma riavvolgendo il nastro di un anno, siamo nel 1982, quando arriva il via libera per il secondo straniero in rosa, per poi passare a 3 elementi per squadra nel 1988/89. Successivamente nel 1995 la sentenza Bosman, ex giocatore belga, impedisce alle varie leghe continentali di imporre al numero di stranieri nell’ Unione Europea. Di conseguenza con il passare degli anni il potere dei procuratori dei calciatori assume sempre più importanza.
Fino ad arrivare poi ai nostri giorni, in cui le offerte da capogiro si palesano in campionati minori, come ad esempio la serie C.
L’Arabia Saudita apre le porte al nuovo calciomercato, in cui ultimamente, i calciatori danno più importanza ai soldi che alla destinazione e al livello calcistico del campionato.
È proprio Cristiano Ronaldo ad aprire le danze ai trasferimenti in Arabia, nella quale giungono anche il pallone d’oro Benzema, Kanté, Koulibaly, Neymar, Marcelo e Brozovic ( questi sono la maggior parte ).
Per concludere questo articolo, ci tengo a sottolineare che, c’è differenza nell’ andare a svernare in posti con meno pressione, che favoriscono magari il lato economico, quando le condizioni fisiche di un calciatore non permettono di giocare ancora ad alti livelli; al contrario di coloro che decidono di rovinare il loro percorso calcistico fin dall’inizio, ossessionati dalle cifre che propongono questi campionati.
Lorenzo Papa
Come nel calcio abbiamo l’eterno confronto tra Messi e Ronaldo, nel basket abbiamo altri due G.O.A.T. (acronimo inglese dell’espressione greatest of all time), ovvero Stephen Curry e LeBron James che, per adesso, hanno vinto la bellezza di 4 anelli a testa.
Questi due signori continuano a dare spettacolo aiutando rispettivamente Lakers (da Los Angeles) e Golden State (da San Francisco) nella scalata al titolo.
Steph, dall'alto dei suoi 35 anni, continua ad avere una media di trenta punti a partita, una delle più alte della lega, continuando instancabilmente a correre e mettere triple (ovvero canestri segnati oltre la linea dei tre punti) incredibili una dopo l'altra, tenendosi stretto il record di tiri da tre punti mai segnati da un unico giocatore in carriera.
LeBron, invece, ha appena iniziato la sua 21esima stagione: e lo ha fatto con la stessa grinta della prima, con la stessa fame di chi, nei primi anni Duemila, vestendo la maglia dei Cleveland, fa una storica schiacciata per poi arrivare a replicarla, identica, qualche settimana fa stavolta con la maglia dei Lakers.
Anche se ha appena compiuto 39 anni, continua a “distruggere” ogni giocatore che prova a fermarlo, riuscendo ad arrivare a quota 39.000 punti in carriera, traguardo che ancora nessun altro giocatore era mai riuscito a raggiungere.
Le nuove promesse del basket, quindi, devono ancora rispettare i campioni che sono nella lega da ormai molto tempo e devono riuscire a fare vedere che possono difendersi, tenendo lontani questi fenomeni dai canestri. Non solo: i giovani giocatori devono anche mettere a referto punti contro le squadre di quei due, cosa non semplice soprattutto con LeBron, che ha anche una grandissima qualità nella fase difensiva del gioco.
Se da una parte, infatti, abbiamo una vera e proprio “macchina da triple”, che continua a splendere e a essere efficace, dall'altra abbiamo un omone muscoloso che non solo segna da ogni posizione, ma torna in difesa e stoppa chiunque provi a segnare contro di lui.
A chi piace davvero il basket per forza riconoscerà la grandezza di entrambi, ma ognuno – sotto sotto – ha un preferito.
Il mio preferito è LeBron, un grande leader con grande mentalità, che guida una squadra come i Lakers che continua a vincere, vincere per esempio il torneo iniziato quest'anno per la prima volta: l’in season, un torneo che hanno giocato tutte le squadre nel mezzo della stagione; e indovinate chi é stato votato come miglior giocatore del torneo? Si, proprio LeBron James.
E voi preferite il talento naturale di Curry o l'ossessione per il basket e il duro allenamento di LeBron? Chi è il vostro G.O.A.T.??
Thomas Tedesco
ATP Finals: per la terza edizione consecutiva il torneo di tennis di fine stagione e il più importante dopo le quattro prove del Grande Slam si svolge a Torino. Dopo mesi di grandi e intense partite, dal 12 al 19 novembre si sfidano gli otto tennisti migliori al mondo; Questi i partecipanti, arrivati a questo torneo dopo vittorie, sconfitte e giocate spettacolari:
-Novak Djokovic, n.1 al mondo, campione in carica del torneo e, a oggi, il tennista più vincente nei tornei del Grande Slam (ne ha vinti la cifra record di 24, di cui 7 Wimbledon, il torneo Slam più prestigioso;)
Carlos Alcaraz, n.2 al mondo, il tennista più vincente della sua generazione, vincitore di Wimbledon 2023;
Daniil Medvedev, n.3 al mondo e vincitore ATP Finals 2020;
Jannik Sinner, n.4 al mondo e autore di una grandissima stagione, con una semifinale raggiunta ai tornei di Indian Wells e di Wimbledon, una finale raggiunta a Miami e le vittorie nei tornei di Umago (Croazia), Vienna, Pechino e soprattutto Toronto, la sua vittoria ad oggi più prestigiosa (trattandosi di un torneo ATP categoria Master 1000, che sono quelli che danno più punti dopo gli Slam e le Finals).
Andrey Rublev, n.5 al mondo, vanta 14 vittorie nell’ATP Tour (che è il circuito dei tennisti professionisti);
Stefanos Tsitsipas, n.6 al mondo, vincitore delle ATP Finals 2019 e due volte del Master 1000 di Monte Carlo (2021 e 2022);
Alexander Zverev, n.7 al mondo, vincitore delle ATP Finals 2018 e 2021;
Holger Rune, n.8 al mondo, classe 2003 e grande rivelazione di quest’anno della generazione dei più giovani.
Il primo gruppo (verde) comprendeva Djokovic, Sinner, Tsitsipas, Rune;
il secondo (rosso) Alcaraz, Medvedev, Rublev, Zverev.
Ora vediamo com'è andato il torneo.
Nella prima giornata, il Pala Alpitour di Torino è pronto per sostenere il “nostro” Jannik Sinner che affronterà come primo avversario il tennista greco Stefanos Tsitsipas.
Jannik è carico, consapevole delle sue capacità e sa che deve partire bene in questo “girone di ferro”. L’italiano non sbaglia: in poco più di due ore doma il greco e lo batte
6-4 6-2. Prova convincente… Ma poi subito la testa va al match con Djokovic. Il serbo, intanto, la sera stessa avrebbe affrontato il ventenne danese Holger Rune, grande rivelazione di questo 2023. Nonostante non fosse facile battere uno dei più grandi tennisti di sempre e campione in carica, il danese lo impensierirà: vincerà un set, ma alla fine dovrà arrendersi all’esperienza di Djokovic. Rune, quindi, viene sconfitto ma non abbattuto.
Il lunedì successivo si sono giocate le due partite del gruppo rosso: Alcaraz contro Zverev e il “derby russo” tra Medvedev e Rublev.
Si parte con la partita tra lo spagnolo e il tedesco: sarà una battaglia tra due ottimi tennisti, il secondo al mondo e recente autore di grandi stagioni contro il settimo al mondo, che ha avuto un periodo un po’ difficile dovuto all’infortunio alla caviglia nel 2022. Alcaraz parte forte, vince il primo set al tie-break, poi, clamorosamente, si “spegne” e Zverev rimonta, vince il secondo set, cade e, nonostante il dolore, vince la partita, col risultato di 7-6 3-6 4-6.
La seconda partita è tra Medvedev e Rublev, due amici che in queste ore di gioco devono provare a dimenticare l’amicizia… e vincere la partita. Il match vede un primo set combattuto e un secondo set dominato da Medvedev, che si afferma con un netto 6-4 6-2.
Di martedì si gioca una partita fondamentale per il gruppo verde: Djokovic contro Sinner. Prima di questa, si sarebbe dovuta giocare la partita tra Tsitsipas e Rune, ma il greco si è dovuto ritirare per un problema alla schiena, che aveva già avuto in passato, ma rispetto al quale era stato rassicurato dai medici, che gli avevano dato l’ok per giocare. La questione sull’opportunità o meno di giocare è stata dibattuta: secondo me avrebbe dovuto lasciare il posto a un altro tennista, in questo caso Hurkacz, perché Stefanos non è praticamente riuscito a dimostrare mai le sue qualità.
Ora, però, il momento più atteso è arrivato: nei tre precedenti tra Nole e Jannik il serbo ha sempre vinto, ma questa sera è tutto diverso, Sinner è caricato da tutto il palazzetto, Djokovic lo ha – comprensibilmente – tutto contro, ma, conoscendo la sua forza mentale, non si farà condizionare. Sinner preciso e aggressivo nel primo set, Djokovic grandioso ma sbaglia troppo troppo sotto rete. Il primo set è dell’italiano. Il secondo, combattutissimo, è di Djokovic, vinto al tie break. Il terzo, concluso sempre al tie break, lo vince Sinner, che, in questo modo, trionfa per la prima volta contro Djokovic, diventando leader del gruppo verde!
Il giorno dopo giocano Alcaraz contro Rublev e Medvedev contro Zverev.
Alcaraz, dopo un primo set combattuto e vinto 7-5, domina il secondo chiudendolo 6-2. Rublev viene così eliminato con una giornata d’anticipo. Tra Medvedev e Zverev sembrava una sfida combattuta, ma, dopo qualche game, si è vista tutta la forza del russo, in grado di portarlo alla vittoria. Ora il tedesco deve sperare che Medvedev vinca contro Alcaraz e lui stesso contro Rublev.
Giovedì si giocano le ultime due partite del gruppo verde: Djokovic-Hurkacz (giocatore polacco sostituto di Tsitsipas) e Sinner-Rune.
La prima partita è molto combattuta nei primi due set: il primo lo vince Djokovic, il secondo Hurkacz: grazie a questo Sinner è, per una questione di punteggio, già automaticamente in semifinale. La partita viene vinta da Djokovic: 7-5, 4-6, 6-1. Rune, per andare in semifinale, dovrebbe battere Sinner, ma così non accade: Jannik vince il primo set, perde il secondo, ma vince il terzo e ultimo: risultato finale 6-2, 5-7, 6-4. Eliminato Rune.
Nel venerdì Alcaraz vince contro Medvedev e Zverev, nonostante la vittoria contro Rublev, viene eliminato.
Il sabato è “bollente”, perchè dopo queste partite è arrivato il momento delle semifinali: Sinner-Medvedev e Alcaraz-Djokovic.
Sinner è preciso nel primo set e lo vince, nel secondo Sinner concede troppi scambi lunghi a Medvedev (il gioco da fondocampo, con scambi prolungati, è il suo punto forte) e il russo vince il set; il terzo viene dominato da Jannik, che vince e va in finale. Siamo di fronte a un risultato storico per lo sport italiano, perché nessun tennista italiano era mai arrivato nemmeno in semifinale, e Jannik porta l’Italia del tennis addirittura all’ultimo atto del quinto torneo più importante di questo sport!
Alla sera si affrontano Alcaraz e Djokovic, la rivincita della finale di Wimbledon: questa è tutta un’altra partita, infatti Alcaraz, nonostante qualche colpo straordinario, non riesce a battere il serbo un’altra volta.
Djokovic, dunque in finale contro Sinner, rivincita della partita del girone.
Jannik purtroppo non riesce nell’impresa di vincere, perde 6-3, 6-3, ma esce sconfitto a testa alta.
Djokovic vince le ATP Finals per la settima volta in carriera.
Dopo la partita Sinner dichiarerà che non è stato abbastanza intelligente in alcuni momenti della partita e negli stessi è calato un po’ dal punto di vista fisico; ha aggiunto di aver sbagliato qualcosa di troppo nel dritto, però si è divertito allo stesso tempo; giocando contro Djokovic ha capito che deve migliorare, ma allo stesso tempo giocare con lui lo rende un giocatore migliore. Il serbo lo ha elogiato: gli ha detto che Jannik deve essere orgoglioso di quello che ha fatto e gli ha augurato il meglio per il 2024. Nole ha poi analizzato il suo torneo dicendo che la semifinale e la finale sono state le sue due migliori partite dell’anno; inoltre ha aggiunto che vincere a 36 anni è diverso rispetto a vincere dieci anni fa, ma grazie alla sua dedizione arrivano i risultati; ha dedicato la vittoria ai suoi bambini, i quali gli hanno dato forza e gioia.
Questo torneo ha unito tutti gli italiani, i più e i meno esperti che lo hanno fatto per tifare e seguire le imprese del nostro Jannik Sinner che proverà a battere altri record e a vincere altri tornei nel 2024.
Tommaso Rattegni
Analizzando le seguenti caratteristiche, e cioè trofei e gol da un lato, stile di gioco dall’altro, confermate da statistiche, otterremo una risposta pressoché definitiva riguardante il dilemma più frequente del fútbol: ‘’chi fra Cristiano Ronaldo e Lionel Messi è il più grande giocatore della storia del calcio”?
TROFEI E GOL
Le prime statistiche che bisogna confrontare, per decidere chi tra i due campioni sia più forte e più completo riguardano sicuramente i trofei vinti nell’arco della carriera e i gol segnati.
Ovviamente, confrontando i due giocatori, emergeranno anche i due differenti stili di gioco che li caratterizzano, che serviranno a motivare determinate statistiche.
Partiamo, quindi, con l’analizzare a fondo la carriera dei due fuoriclasse iniziando da una panoramica statistica
Per quanto riguarda i gol totalizzati, Cristiano è – ad oggi – un passo avanti a Lionel, avendo segnato ben 863 gol contro gli 821 dell’argentino, avendo però giocato anche un numero maggiore di partite (circa 148 in più).
Questo dato, quindi, mi consente di attribuire per ora un pareggio: il portoghese è più completo a livello di presenze e gol ma Messi ha fatto quasi i suoi stessi gol in meno partite.
Per quanto riguarda invece i più importanti trofei vinti da Ronaldo, siamo a quota 5 Champions League, 4 Coppe del mondo per club FIFA, 5 Palloni d’oro, 4 trofei Scarpa d’oro (stagioni 2007/8, 2010/11, 2013/14, 2015/16), 5 volte miglior marcatore dell’anno IFFHS, 3 volte “The Best FIFA Men's Player” e 1 Fifa Puskas Award, 3 Premier League, 2 Coppe del Re, 2 vittorie in Liga, in Supercoppa europea e in Supercoppa italiana, 2 Serie A italiane,1 Coppa Italia, 1 Europeo e 1 Nations League con la Nazionale del Portogallo.
Mentre nella bacheca di Messi, tra i trofei più preziosi vinti, vi sono 8 Palloni d’oro (di cui circa 2/3 sono stati più volte messi in discussione), 6 Scarpe d’oro, 3 volte miglior marcatore dell’anno IFFHS, 3 volte “ Best FIFA Men’s Player’’, 3 volte “World Soccer Young Player of The Year’’, 3 Champions League, 3 Coppe del mondo per club FIFA, 7 Coppe del Re, 10 vittorie in Liga, 1 Coppa America e 1 Mondiale di calcio con la Nazionale dell’Argentina.
Da questo confronto è emerso che Ronaldo, pur possedendo 34 trofei totali rispetto ai 42 vinti da Messi, non sia comunque da meno, dato che, confrontando i trofei più importanti tra i due giocatori, emerge che Cristiano sia comunque più completo da questo punto di vista, avendo giocato in più campionati, e avendo vinto diversi titoli in ognuno di essi. Inoltre, ha fatto in modo di diventare (grazie alle sue doti atletiche e al suo esempio) il punto di riferimento della propria squadra, così che essa gira proprio intorno a lui, al G.O.A.T. (acronimo di Greatest Of All Time) portoghese.
“Pass to Ronaldo’’ - Zinédine Zidan
STILE DI GIOCO:
Ora, passiamo invece ad analizzare i loro due diversi stili di gioco.
Per quanto riguarda la “pulce” (è questo il soprannome più celebre di Messi), possiamo notare che è un goleador in grado di fornire più assist rispetto a Ronaldo, totalizzandone 361 (contro i 247 del suo rivale).
Proseguendo nel confronto, eccoci al punto forse più inimitabile del giocatore argentino: Messi, infatti, è in grado di dribblare gli avversari con improvvisi cambi di gioco,spostando la palla con tocchi rapidi, e, giocando un calcio apparentemente semplice, riesce a saltare gli avversari con grande efficacia. Queste sue caratteristiche, sono sintetizzabili in questa espressione: riuscire a fare le cose più difficili con i gesti più facili.
Analizziamo, invece, il gioco di Ronaldo. E partiamo proprio dal dribbling: notiamo che egli è più propenso ad usare finte più complesse al fine di saltare l’uomo.
Il portoghese, inoltre, possiede uno dei fisici migliori che si possa desiderare per il calcio, in particolare quando si tratta di affrontare partite impegnative: per esempio, è molto più alto e fisicato di Messi, motivo per cui la sua media di duelli aerei vinti straccia quella di Leo, del quale ha anche realizzato più del doppio dei gol di testa. Per non parlare dei notevoli gol dalla distanza realizzati, e il record ottenuto arrivando all’altezza di 2,92 metri con un salto per segnare un gol di testa. Queste sono alcune delle caratteristiche che rendono Cristiano Ronaldo migliore, anche sotto questo punto di vista, essendo che Lionel Messi, all’età di 35/36 anni, si ritrova a giocare nell’Inter Miami, in un campionato molto indietro rispetto al calcio europeo; al contrario di Ronaldo, che, alla stessa età, fa tripletta agli ottavi di finale di Champions League facendo cosìqualificare la Juventus ai quarti di finale della competizione.
Di seguito, ecco a voi due video che rappresentano alla perfezione le caratteristiche appena elencate dei due fuoriclasse:
https://youtu.be/juwPkXuQjps?si=4KPaB4A3I6fmnTwu
https://youtu.be/PSanJ5swYBM?si=UoKujNlKAmvU7cyT
PROFESSIONALITÁ
Per concludere l’articolo, vorrei illustrare i due personaggi anche dal punto di vista dell’atteggiamento e del comportamento. Come si “muovono” i due fuoriclasse, al di fuori del campo?
Per quanto riguarda Messi, sappiamo che si sia comportato come un signore fuori dal campo, avendo donato 30 milioni di euro per realizzare un reparto di oncologia pediatrica, nonché lanciato una campagna di raccolta di fondi per la salute e l’istruzione dei bambini.
Non possiamo non dire lo stesso del G.O.A.T. Ronaldo, che ha venduto il Pallone d’oro vinto nel 2013 raccogliendo 600 mila euro per poi donarli ai bambini malati; e che ha donato un 1000.000 di euro agli ospedali di Lisbona e Porto. Inoltre, egli è andato a trovare diversi bambini malati terminali realizzando così il loro desiderio di incontrarlo.
IL VERO GOAT
In conclusione, in base al mio parere, assegno quindi il “premio GOAT’’ a Cristiano Ronaldo (come si è potuto notare, lo stavo già chiamando così…), colui che, grazie alla sua versatilità dovuta alle sue doti atletiche è sempre stato un giocatore molto ambito dai club più importanti.
Egli rappresenta l’esempio di calciatore modello per eccellenza, nonché l’incubo di tutti i portieri e difensori.
Se dovessi quindi rappresentare il gioco del fútbol attraverso un giocatore… Beh, senza dubbio sceglierei Cristiano
E voi che cosa dite? Chi è per voi il G.O.A.T. della storia del calcio e perché?
Lorenzo Papa
Il basket è uno sport che nasce negli stati uniti nel ‘800 e si diffonde molto velocemente anche in europa in soli 20 anni, appassionando ragazzini e adulti fino a diventare uno degli sport più seguiti al mondo. La maggior parte di persone che lo pratica sono ragazzini o ragazzi poco più che maggiorenni, e la domanda che viene spontanea è la seguente: il basket praticato in Italia nelle scuole superiori e quello praticato nelle High School americane è lo stesso sport?
Le differenze tra questi due tipi di basket ci sono e non sono così poche. Negli Stati Uniti, i ragazzi giocano nelle squadre delle High School dove tutta la scuola li supporta, mentre in Italia i ragazzi non indossano maglie di scuole ma di società al di fuori di queste.
– La maggior diversità però riguarda il modo in cui viene insegnato questo sport ai ragazzi: infatti, in Italia si tengono come capisaldi i fondamentali tecnici e gli schemi di squadra, grazie a i quali tutti influiscono nelle azioni e un ruolo decisivo è quello della difesa; in USA, invece, il lavoro sulla difesa non è in primo piano, mentre e il fattore più presente è quello della spettacolarità e delle doti dei singoli, che si esibiscono in numeri e giochetti o in tiri da lunghissime distanze creando – appunto – spettacolo, uno spettacolo che, a metà partita, letteralmente, va in scena, quando entrano gruppi di cheerleader per animare il pubblico e incitare la squadra con le loro coreografie. Inoltre, questo tipo di gioco porta tantissime persone nelle palestre per vedere e tifare le proprie piccole stelle e “caricarle” a ogni loro fantastico canestro. In Italia, come già detto, questo tipo di spettacolo non c’è quasi per nulla.
Un’altra enorme differenza tra il basket italiano e quello delle High School è che negli Stati Uniti un bravo giocatore di basket prima di scegliere il college in cui andare a studiare guarda il prestigio della squadra da basket in cui giocherebbe se andasse lì; e, in molti casi, sono le scuole che offrono borse di studio solo per il basket; questa cosa in Italia non accade mai, perché scuola e basket vanno per due strade separate.
E voi cosa preferite? Un basket che si concentra di più sul gioco di squadra e una fase difensiva ben organizzata oppure un basket in cui ci sono intere scuole a supportare le proprie squadre e in cui si può vedere lo spettacolo che mettono in scena i giocatori con le loro azioni e i loro numeri tecnici ?
Per scoprire di più…
https://www.nbareligion.com/2018/03/12/high-school-basketball-ragazzi-2000/
Thomas Tedesco
Dal presente numero collaborerà con noi un atleta paralimpico che ci parlerà della sua esperienza a 360 gradi nel mondo dello sport, prima di leggere della nascita delle Special Olympics, ecco la presentazione di Federico Correzzola!
Mi chiamo Federico Correzzola ho 29 anni vivo a Vigevano ho frequentato la scuola professionale panificatori pasticceria, conseguendo l’attestato di fine corso.
Nel 2009 ho conosciuto la mia associazione sportiva I Quadrifogli di Vigevano e conseguenza Special Olympics di cui mi sono subito innamorato, ho subito intuito che quella era mia strada per uscire da un periodo di solitudine (post scuola) e di conseguenza di poca stima in me stesso.
Ho iniziato con l’attività di calcio per poi proseguire con bowling, nuoto, nuoto in acque libere, atletica, tennis tavolo e sport invernali ( corsa con le racchette da neve).
Ho iniziato da subito a partecipare a gare regionali e nazionali conseguendo risultati sempre soddisfacenti, le trasferte sportive con i miei compagni di squadra e con l’aiuto dei tecnici, mi hanno fatto ritrovare l’autostima in me stesso e a credere nelle mie capacità, non solo sportive ma anche di relazione con il prossimo.
Nel 2011 arriva la convocazione per fare parte della Nazionale Italiana hai Giochi Mondiali Estivi in Grecia dove ho partecipato nella disciplina del bowling ottenendo una medaglia d’argento nel doppio, un bronzo nella prova a squadre e un 5 posto nel singolo. È stata una esperienza che mi ha totalmente cambiato la vita, far parte di 7 mila atleti provenienti da tutto il mondo mi ha fatto capire quanto è importante lo sport, per tutti, ma soprattutto per persone con difficoltà.
Con grande sorpresa nel 2015 arriva la seconda convocazione che mi permetterà di indossare nuovamente la divisa della Nazionale Italiana, per volare negli Stati Uniti e precisamente a Los Angeles nella disciplina del nuoto e nuoto in acque libere. Pur avendo già vissuto questa mia esperienza non dimenticherò mai la meraviglia e soddisfazione di quei giorni, negli 800 stile libero sono salito sul gradino più alto del podio con al collo la sognata medaglia d’oro. Ho poi gareggiato con il mio partner nei 1500 metri Unified in acque libere classificandoci al 4 posto.
A oggi mi sento realizzato e soprattutto o la fortuna di fare quello che mi piace “sport“ ho acquisito tante altre capacità, ho partecipato a corsi organizzati da Special Olympics Italia per la leadership degli atleti che da modo di essere portavoce di questa meravigliosa realtà, impegnandomi costantemente nel miglioramento delle mie capacità, oggi faccio parte del direttivo ( area atleti) di Special Olympics Italia, di Special Olympics Lombardia e del mio team.
30 Anni fa dicevano che non eravate in grado diCorrere i 100 metri…
Special Olympics nasce nel 1968 negli Stati Uniti dall’intuizione della sua fondatrice Eunice Kennedy Shriver, figlia di Joseph P Kennedy e sorella di John F Kennedy presidente degli Stati Uniti dal 1961 al 1963.
Eunice aveva una sorella Rosemary che aveva un lieve ritardo mentale, a quei tempi le disabilità intellettive che venivano definite “ritardi mentali” erano poco capite e stigmate da una società che considerava le persone con disabilità diverse, di cui ci si doveva vergognare.
Questa triste sorte toccò anche a Rosemary; che passò gran parte della propria vita in manicomio dove vi morì all’età di 86 anni.
Fu proprio il segreto della famiglia Kennedy ad ispirare la nascita delle Olimpiadi Speciali.
Durante gli anni che Rosemary visse a casa, venne inclusa nella vita famigliare facendo tutto insieme ai suoi otto fratelli, in particolare con Eunice praticava molte attività sportive riuscendo a stare al passo con la sorella, vincere a qualcosa portava sempre un sorriso meraviglioso sul suo viso, ad Eunice tutto questo non passò inosservato e incominciò così a pensare quanti benefici arrecava lo sport nelle persone con disabilità.
Questa triste sorte toccò anche a Rosemary; che passò gran parte della propria vita in manicomio dove vi morì all’età di 86 anni.
Fu proprio il segreto della famiglia Kennedy ad ispirare la nascita delle Olimpiadi Speciali.
Durante gli anni che Rosemary visse a casa, venne inclusa nella vita famigliare facendo tutto insieme ai suoi otto fratelli, in particolare con Eunice praticava molte attività sportive riuscendo a stare al passo con la sorella, vincere a qualcosa portava sempre un sorriso meraviglioso sul suo viso, ad Eunice tutto questo non passò inosservato e incominciò così a pensare quanti benefici arrecava lo sport nelle persone con disabilità.
Nacque nel 1960 il camp Shriver nella fattoria del Maryland, Eunice reclutò bambini provenienti da istituti e scuole speciali, reclutò studenti delle scuole superiori per supporto durante le attività sportive; con sorpresa quasi tutti – ad accessione di Eunice – fu un successo immediato. I bambini nuotavano, calciavano palloni da calcio, tiravano canestri e cavalcavano cavalli sotto il sole estivo. I ragazzi dei college da prima titubanti sul risultato del progetto, cominciarono a vedere come già Eunice, che questi bambini non erano “ difficili”, “bellicosi” e tutti quegli altri stereotipi che erano stati loro attribuiti, volevano solo divertirsi…proprio come tutti gli altri bambini.
In un ventoso pomeriggio del 20 luglio 1968 Eunice Kennedy si avvicinò al microfono al Soldier Field di Chicago e convocò i primi Giochi olimpici speciali, con un pubblico di nemmeno 100 persone in uno stadio da 85.000 posti, circa 1000 atleti provenienti da 26 stati e Canada, tutti classificati a quei tempi come “ritardati mentali” sfilarono con le proprie bandiere di stato con l’accompagnamento della banda musicale, un giovane diciasettenne portò la torcia ed accese una fiamma di 40 piedi in onore di Joan F Kennedy. Nella cerimonia di apertura e stato recitato per la prima volta il giuramento dell’ atleta Special Olympics: “che io possa vincere ma se non ci riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze”. Il sindaco di Chicago partecipò all’evento di 4 giorni ed espresse un pensiero “il mondo non sarà più lo stesso dopo tutto questo…” frase che oggi a distanza di 50 anni a un valore a dir poco veritiero. L’evento del 1968 è descritto come “l’alba”, l’iniziale agitazione di un movimento globale per persone con disabilità intellettive non più intrappolati nell’ombra, i giochi olimpici Speciali di Chicago hanno permesso agli atleti di competere e divertirsi, non di essere stigmatizzati.
“Trent’anni fa dicevano che non eravate in grado di correre i 100 metri. Oggi voi correte la maratona. Trent’anni fa, dicevano che dovevate rimanere chiusi negli istituti. Oggi siete di fronte alle televisioni di tutto il mondo. trent’anni fa, dicevano che non potevate dare un valido contributo all’umanità. Oggi voi riunite sullo stesso terreno dello sport nazioni che sono in guerra…”
Oggi 50 anni dopo, l’intuizione di Eunice ha trasformato la vita di centinaia di milioni di persone nel mondo, ed essi sono la sua eredità vivente.
Paesi nel mondo accreditati: 172
Atleti: 5.657.652 ( 725.898 atleti partner )
Competizioni: 108.821 ( 298 giochi al giorno – 12 giochi all’ora )
Volontari: 1.156.397
Federico Correzzola
Salve a tutti, cari lettori di B-Log!
Oggi vi parlerò delle rivalità tra gli sportivi, che da sempre esistono e, se sane, rendono il tutto più affascinante. Vi presenterò delle rivalità sia del passato che del presente, tratte dal mondo del tennis, della Formula 1 e, infine, dal mondo del calcio.
TENNIS
Rivalità storica:
Una delle rivalità più grandi della storia del tennis è sicuramente quella tra lo svedese Björn Borg e lo statunitense John McEnroe. Correva l’anno 1979 e lo svedese Björn Borg, idolo di McEnroe quand’era agli inizi della sua carriera, aveva vinto il suo quarto Wimbledon di fila, compiendo un’impresa unica. Passiamo ora all’anno seguente, il 1980: i due si sarebbero potuti incontrare sul campo; McEnroe brama di diventare il numero uno al mondo, mentre Borg, con tutta la pressione mediatica di allora su di lui, rincorre quello che può diventare il suo quinto titolo consecutivo a Wimbledon. L’irascibile McEnroe viene definito “l’incubo di Borg”, cosa che, insieme alla sua maleducazione, lo porta ad essere odiato dagli inglesi, a tal punto che essi lo fischiano durante i suoi match. I pronostici si sono avverati e i due fuoriclasse si ritrovano ora uno contro l’altro in finale. Due personalità diverse, due stili di gioco differenti: Borg da fondo campo, mentre McEnroe con aggressività a rete. Lo statunitense parte aggressivo, come suo solito, segnando un secco 6-1 in suo favore, aggiudicandosi il primo set. Nel secondo set la partita inizia ad accendersi e regalare spettacolo. Il glaciale Borg, nonostante abbia tutta la pressione addosso e nonostante si trovi sotto di un set, risponde al dominio iniziale di McEnroe vincendo il set 7-5. La vittoria del secondo set dona a Borg la sicurezza necessaria per affondare McEnroe con i suoi missili fatti partire dalla racchetta e vincere il terzo set 6-3. Il quarto set è giocato punto su punto ad intensità elevatissima, tanto che si andrà al confronto al tie-break (quinto set che gli atleti giocano punto a punto) sul 6-6. Sarà proprio durante il tie-break che la pressione salirà alle stelle, poiché l’intensità sarà tale da far impiegare ai due tennisti ancora venti minuti prima che arrivino all’ultimo punto, quello che segna la vittoria del tie-break 18-16 e di conseguenza del set (7-6) per John McEnroe. Sicuramente non può rimanere nell’ombra il fatto che Borg abbia sprecato cinque match point, cosa che non gli era mai accaduta prima. Ora, pensate di essere ad un passo dalla vittoria del quinto titolo consecutivo a Wimbledon, di avere cinque match point e tutta la pressione di questo mondo addosso, ma tutto ciò viene sprecato e vi ritrovate a dover giocare il quinto set con la possibilità di perdere quello che sarebbe il quinto titolo di Wimbledon; ecco, vi siete appena immedesimati in Björn Borg durante quella finale del 1980. Tutti iniziavano a dare Borg per sconfitto; d’altronde, dopo ciò che era accaduto, non si poteva dar torto a tutti quelli che lo pensavano. Ma Björn Borg decide di fare il miracolo e, come se nulla fosse mai accaduto, vince il set 8-6, aggiudicandosi il suo quinto titolo consecutivo a Wimbledon, entrando nella storia, proprio come lo farà questa partita; ma anche come lo farà John McEnroe, che era già riuscito a realizzare il suo sogno di diventare il numero uno al mondo qualche mese prima e che vincerà anche il suo primo torneo di Wimbledon l’anno successivo
Rivalità contemporanea:
La rivalità più conosciuta nel mondo del tennis del XXI secolo è quella dei cosiddetti “Big Three”, ossia Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic.
Il primo dei tre a farsi notare maggiormente è stato Roger Federer, che nel 2003 vince il suo primo titolo Wimbledon. Da quell’anno partirà l’ascesa del mito dei “Big Three”, che vedrà innanzitutto il dominio di Federer in quel di Wimbledon, con la vittoria di cinque titoli consecutivi in quella competizione (2003-2007) e altrettanti titoli consecutivi che arriveranno agli US Open (2004-2008). Durante questo primo dominio dello svizzero, però, una nuova stella spagnola si stava facendo spazio tra i grandi: Rafael Nadal, che vince il Roland Garros per quattro volte consecutive (2005-2008). Proprio il 2008 darà il via a quella che sarà la rivalità che prenderà il nome di “Big Three”, poiché in quell’anno Nadal vincerà sia il Roland Garros che Wimbledon, Federer vincerà gli Us Open e una nuova stella emergente originaria di Belgrado, in Serbia, cioè Novak Djokovic, vincerà gli Australian Open. Da quell’anno i tre continueranno ad essere messi a confronto e sfidarsi, regalando grande spettacolo agli appassionati di tennis, ma anche agli amanti di sport in generale. Durante questi anni Federer riceverà il titolo di “Re di Wimbledon”, vincendolo per ben otto volte, siglando il record storico, a cui però sta dando la caccia Novak Djokovic, fermo a quota sei. Rafael Nadal dimostra invece di essere il “Re del Roland Garros”, vincendolo tredici volte con un massimo di cinque vittorie consecutive. Novak Djokovic invece, durante questo periodo ha fatto registrare il record storico di titoli vinti all’Australian Open, vincendolo ben nove volte. Questi tre tennisti hanno dato spettacolo negli anni passati, ma continuano a farlo anche ora, come ha dimostrato Novak Djokovic l’anno scorso vincendo di fila gli Australian Open, il Roland Garros e Wimbledon, e come ha dimostrato Rafa Nadal vincendo l’edizione del 2022 degli Australian Open. Questi atleti hanno già dimostrato molto, ma, forse, non è ancora tutto: vedremo cosa avranno ancora in serbo per noi.
FORMULA 1
Rivalità storica:
Erano gli anni Settanta, un giovane britannico donnaiolo James Hunt correva nel campionato di Formula 3, dove stava dimostrando di essere molto talentuoso e di meritarsi un posto nel palcoscenico più grande, ovvero quello della Formula 1. Proprio in Formula 3 avverranno i primi incontri tra Hunt e il genio austriaco Niki Lauda. La battaglia dei due piloti iniziò ad entrare nel vivo nel 1973, nel palcoscenico mondiale della Formula 1, dove Lauda si pagò un posto per la BRM (la British Racing Motors), mentre Hunt trovò spazio nella March. La prima stagione non rivelò sorprese, ma confermò le aspettative, ossia che Lauda fosse un vero e proprio genio automobilistico, tanto da migliorare lui la propria auto meglio di quanto avrebbero potuto fare gli ingegneri, mentre Hunt si dimostrò, come sempre, uno spericolato disposto a morire pur di prevalere sul rivale. Si giunse così al 1974: Clay Regazzoni, ex compagno di squadra di Lauda alla BRM, viene richiamato dalla scuderia di Maranello, ossia la Ferrari. Regazzoni, visto l’incredibile ingegno e talento dell’austriaco, chiese ad Enzo Ferrari di prenderlo nella squadra e il patron della monoposto rossa così fece. Mentre Lauda si era trovato un posto alla Ferrari, Hunt, invece, sarebbe corso per la scuderia fondata dal suo procuratore Alexander Hesketh. La scelta giusta si rivelò quella di Lauda, che, dopo svariate migliorie fatte fare alla monoposto, si aggiudicò il campionato del mondo del 1975 portando la rossa a surclassare la Hesketh, che, vista la mancanza di sponsor, finì in bancarotta lasciando Hunt senza un posto in Formula 1. La fortuna, però, iniziò a girare dalla parte di Hunt quando, quasi allo scadere delle possibilità di trovare un posto, successe che Emerson Fittipaldi, pilota della McLaren, decise di lasciare il posto per guidare con una scuderia tutta sua. Hunt era in ballottaggio con Ickx, ma lo vinse aggiudicandosi un posto in una delle scuderie di maggior prestigio. La stagione del 1976 vedette Lauda partire molto forte, con Hunt che faticava ad ingranare, sia per merito dell’austriaco che anche a causa di problemi con l’autovettura, come il fatto che, al circuito di Jarama in Spagna, la sua M23 risulta più larga di un centimetro e mezzo; questo problema lo portò alla squalifica proprio nel giorno della sua prima vittoria di quella stagione. Da quell’evento in avanti ci saranno molti altri problemi con la sua monoposto. Lauda riuscì a guadagnare un gran distacco rispetto a Hunt, che si presenta all’ottava gara stagionale con un solo obiettivo, ovvero quello di vincere per accorciare le distanze. Hunt vince, Lauda è costretto a ritirarsi; la distanza di punti tra i due si accorciò, ma venne nuovamente ristabilita la gara successiva. La McLaren fece ricorso nei riguardi della squalifica ricevuta a Jarama, lo vinse e recuperò i punti della vittoria che gli erano stati tolti. Ma eccoci al momento culminante di tutta la rivalità. Siamo nel 1976. Il primo agosto la F1 va in scena in Germania al Nürburgring, con le condizioni atmosferiche non adatte per correre. Hunt parte primo, Lauda secondo, entrambi con le gomme da bagnato, visto che il tracciato in alcuni tratti è ancora particolarmente umido. La gara vede in partenza un equilibrio totale tra i due piloti, che, appena dopo un giro, si fermano ai box per montare le slick, ovvero le gomme da asciutto; proprio qui Hunt, grazie ai suoi meccanici, riesce a guadagnare molto terreno su Lauda, che, però, al suo rientro in pista, spinge la rossa al limite, molto al limite, fino a quando alla curva Bergwerk, a causa della temperatura fredda delle gomme e del tracciato bagnato, sbanda finendo contro le barriere. In quell’istante è per tutti drammatico vedere la vettura di Lauda andare a fuoco con lui dentro e vederlo estratto poi a fatica, quasi senza vita, dagli altri piloti. Niki Lauda riporta numerose ustioni, che lasceranno su di lui cicatrici per il resto della vita. L’austriaco viene immediatamente sottoposto alla pulizia polmonare (per via dei fumi inalati nell’incendio dell’auto), mentre, dal canto suo, Hunt recupera i punti di svantaggio nel campionato. Niki Lauda, spinto dal fatto che la Ferrari aveva già ingaggiato Reutemann come suo sostituto e determinato a battere Hunt, quarantadue giorni dopo aver ricevuto l’estrema unzione, si presenta a Monza per gareggiare, dove chiuderà in quarta posizione, con Hunt ritirato. L’inglese, però, vince in Canada e negli USA. Il mondiale si decide in Giappone, al Fuji, l’ultimo tracciato stagionale; quel giorno la pioggia scendeva intensa e ininterrottamente, come era successo al Nurburgring. Niki Lauda, dopo due giri, decide di ritirarsi viste le condizioni del tracciato. James Hunt, invece, sarà artefice di una gara pazzesca e al limite dell’improbabile, che lo vedrà riuscire a chiuderla in terza posizione, prendendo i punti necessari per laurearsi campione del mondo di F1 nella stagione dell’anno 1976. Gli anni successivi la rivalità non sarà più la stessa: Hunt avrà un declino delle prestazioni, arrivando a ritirarsi nel 1979; Lauda, invece, vincerà altre due volte il campionato mondiale, per poi ritirarsi nel 1985.
CALCIO
Rivalità contemporanea:
È il 23 aprile del 2008, semifinale di Champions League: i protagonisti dello scontro sono il Manchester United e il Barcellona. Nella prima squadra c’è un giovane “robot” portoghese che indossa la numero 7 e che si sta affermando sempre di più: il suo nome è Cristiano Ronaldo; nella seconda c’è un giovane fenomeno argentino, dotato di un talento naturale che raramente si vede e che sulle spalle porta il numero 10: il suo nome è Lionel Messi. In quella data avviene il primo scontro di quella che sarà la rivalità che ha segnato e segna tuttora il calcio moderno. Personalmente, credo che i due fuoriclasse possano essere divisi in due categorie differenti: la prima, cui appartiene Cristiano Ronaldo, può essere sintetizzata da questo concetto: “il duro lavoro viene ripagato”. Ronaldo, infatti, poiché ha lavorato e lavora costantemente sul suo fisico e sulla sua tecnica è riuscito a diventare una sorta di macchina da calcio in tutto e per tutto; la seconda categoria, invece, ha a che fare con… l’esistenza dei corpi celesti, ed è proprio rappresentata al massimo dal talento naturale di Lionel Messi, il quale, grazie ad esso, ha sovrastato la sua forma di nanismo, dovuta da una mancanza di un’insufficienza ormonale, curata tramite una terapia a base di ormoni della crescita. Ronaldo e Messi si sono sfidati sul campo numerose volte; la caratteristica di ognuna di esse è che non si è mai trattato di una partita qualsiasi, ma in ogni occasione è stato dato spettacolo e mostrato al mondo perché i due siano ancora considerati i giocatori più ? forti. Tutti li hanno sempre visti come cane e gatto, ma entrambi, più volte, hanno affermato che, se l’uno non avesse condiviso il palcoscenico del grande calcio con l’altro in questi anni, probabilmente non sarebbe accaduto che si spingessero reciprocamente così al limite delle loro possibilità. Una cosa è certa: si capisce che si siano spinti al limite cercando di battersi continuamente quando si nota che il portoghese ha messo la firma sui record di gol fatti in carriera (in Champions, in Nazionale con il suo Portogallo e nei vari campionati in cui ha giocato); mentre la pulga “pulce”, come viene chiamato Messi, riesce a rompere la maledizione della Nazionale, con la quale non è riuscito a vincere per oltre dieci anni, vincendo la Copa America con la sua Argentina. In più, oltre alle svariate vittorie nei palcoscenici nazionali, quindi vincendo scudetti o coppe della nazione, sono riusciti a vincere il trofeo più prezioso ed ambito in Europa, la Champions League, conquistata cinque volte dal portoghese e quattro dall’argentino. I due hanno vinto molti premi di squadra; ma da non trascurare assolutamente sono anche quelli personali. Il più importante è sicuramente il Pallone d’oro (premio dato al giocatore che si è distinto maggiormente nell’anno, tramite votazione di una giuria di giornalisti, capitani e c.t. delle Nazionali affiliate alla FIFA), che Ronaldo riesce a vincere cinque volte, un numero certamente incredibile; ma Messi lo surclassa e, con lui, surclassa chiunque altro conquistandolo per ben sette volte (in alcune occasioni anche suscitando molte polemiche). Lo scontro fra questi due fuoriclasse è stato sicuramente tra i migliori nella storia del calcio: hanno vinto tutto, dimostrato di essere i più forti numerose volte. Ma non è ancora finita, perché “l’alieno” e “la macchina” sono ancora in attività; vedremo dunque cosa decideranno di tirare fuori dal cilindro per l’ennesima volta, come fossero due ragazzini che giocano a chi sia il più forte e che, però, mettono in difficoltà tutti (anche oltre il mondo calcistico) sullo stabilire chi lo sia tra i due.
Andrea Licciardi
Il Qwan Ki Do è un’arte marziale sino-vietnamita, fondata dal Maestro Pham Xuan Tong. Il nome Qwan Ki Do è composto dalle parole Quan (l’insieme), Khi (l’energia) e Dao (la via). L’unione di queste ha portato al termine vietnamita Quan Khi Dao (la Via dell’Energia Corporea), trascritto foneticamente in Qwan Ki Do.
Questa arte marziale si basa sulla conoscenza di diverse tecniche di difesa con lo scopo di neutralizzare gli attacchi dell’avversario attraverso l’uso di sequenze di colpi e prese.
L’emblema del Qwan Ki Do è il Drago, simbolo dello spirito cavalleresco. Ogni colore e figura nel simbolo ha un particolare significato.
Il Bianco rappresenta la purezza; il Nero rappresenta la determinazione e la serietà; il Giallo rappresenta la lucidità, la chiaroveggenza e la generosità; il Verde e il Blu rappresentano la bontà, la speranza e la forza di volontà; il Rosso rappresenta il coraggio e la combattività.
La divisa del Qwan Ki Do viene chiamata Vo-Phuc; è una divisa composta di casacca e pantaloni neri. La scelta del nero deriva dal colore degli abiti della nobiltà vietnamita.
Le cinture del Qwan Ki Do sono di sette tipi: bianca, viola, blu, nera, nera bordata di rosso, nera bordata di giallo e a strisce bianche gialle rosse e blu.
La cintura bianca è sia per bambini/ragazzi sia per adulti e si distingue dal colore del Cap (delle strisce cucite sulla cintura a ogni superamento di livello). I cap gialli e successivamente quelli rossi sono per i bambini dai 3 ai 12 anni; il cap blu è per i ragazzi dai 13 anni in su.
Questi sono solo alcuni cenni storici e informativi a proposito di questa immensa arte marziale (prenderli in considerazione tutti richiederebbe un libro intero o, meglio, una vita intera come praticante del Qwan Ki Do).
Secondo il mio punto di vista, però, la storia di un’arte marziale non la fanno solo le origini e i singoli Maestri, ma anche e, forse, soprattutto, i suoi praticanti. Vorrei parlare come una semplicissima praticante di quest’arte marziale da molti anni quale sono, e vorrei raccontarvi in poche, ma, spero, chiare parole che cos’è davvero il Qwan Ki Do.
Praticando questa arte marziale ho incontrato persone meravigliose: figure dalle quali prendere esempio, come il mio Maestro e tutti i praticanti più “veterani”, e fratelli e sorelle sempre pronti ad aiutarmi nel momento del bisogno.
Come in tutti gli sport, ovviamente, anche questo ha i suoi lati difficili. Del resto, come nella vita, le cose non sono sempre rose e fiori, ma finché ci sarà anche solo una cosa positiva nel praticare questo sport sarebbe un peccato lasciarlo.
Durante gli anni che ho vissuto dentro la mia palestra ho incontrato figure che sono diventate fondamentali nella mia vita, ma ho anche visto andare via tanti amici. Al di fuori della mia palestra ho avuto l’onore di incontrare Maestri di tante altre palestre, dal quale ho appreso molto. Inoltre, attraverso tutti gli stage al quale ho partecipato mi sono relazionata con ragazzə della mia età e non, riuscendo anche a migliorare ogni anno la mia scarsa capacità relazionale, dovuta alla mia introversione e timidezza.
In questi incontri ho conosciuto ragazzi uguali a me, spaventati dalle nuove sfide, ma vogliosi di imparare tutte le tecniche che questa arte trasmette.
In uno di questi stage mi è rimasto impresso un evento molto bello dove ci è stato chiesto di scrivere cosa fosse per noi il Qwan Ki Do; da questi testi si è visto come questo sport, nonostante la faticosità della pratica, sia qualcosa di davvero importante per tutti i suoi praticanti.
Questo, per esempio, è uno dei tanti interventi scritti in quell’occasione:
Il Qwan Ki Do è ciò che amo e che odio di più al mondo. Amo come mi si illuminano gli occhi quando entro nella mia palestra, che ormai è una seconda casa, e odio quando quegli occhi diventano pieni di lacrime per un colpo subito ben assestato o una tecnica mal riuscita. Il Qwan Ki Do è tante, troppe cose: è il luogo e le persone nel quale e con le quali sono davvero me stessa, anche la me stessa che odio di più a volte.
Per concludere questa carrellata di disordinati pensieri ed emozioni che vogliono provare a esprimere il significato della via nel Qwan Ki Do, voglio prendere spunto da un libretto (“Storie di Qwan Ki Do e dintorni”) scritto dal Maestro Umberto Maggesi per tutti gli allievi del Qwan Ki Do, piccoli e grandi .
Lessi questo racconto tanti anni fa e ancora mi ricordo tutte le grandi storie e i meravigliosi personaggi racchiusi all’interno. Agli occhi di una bambina di 10 anni quei racconti mostravano solo le cose bellissime che il Qwan Ki Do poteva offrirmi, ma ora mostra anche ciò che c’è di brutto a volte in uno sport che si ama così tanto.
All’inizio di questo libretto gli allievi chiedono al Maestro di spiegargli come sarà la via del Qwan Ki Do:
“Vedete piccoli miei, la vita è fatta di tante cose e di tante scelte. Il cammino che state intraprendendo è impegnativo, non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello morale. Più si sale e più diminuisce il numero di allievi che riescono a continuare il loro cammino. Qualcuno per scelta si ferma a uno stadio per aiutare gli altri a proseguire. Altri devono rinunciare per i problemi e gli imprevisti che la vita ci pone davanti e solo pochi, i più perseveranti, riescono a raggiungere gli edifici più alti. Come dice il nostro Maestro Fondatore: Il Cammino è Lungo, le Radici sono Amare ma… il Frutto è Dolce.
Chi più sale si è donato ai fratelli più piccoli, ha dimostrato di dedicarsi alla buona riuscita della Scuola e ha fatto suoi i valori indispensabili per diventare un vero Fratello Maggiore, unendo l’esperienza alla tecnica, la disponibilità alla calma, l’amicizia all’unione. “
In effetti, i veri valori del Qwan Ki Do stanno proprio nel senso di amicizia che si crea tra gli allievi, nel valore paterno e materno che acquistano i nostri insegnanti e nell’aiuto che ci porgono sempre.
Questi valori non devono essere mai Orgoglio ed Ego per la cintura ottenuta o Potere e controllo nei confronti di altri. Ma solo rispetto tra maestro e allievo, che deve sempre essere reciproco, e unione e lealtà nei confronti di chi ci è sempre stato per noi.
Questi è ciò che questa disciplina cerca di trasmettere ai suoi praticanti, nonostante le difficoltà che, purtroppo, si annidano in tutti gli sport del mondo.
Credo, quindi, che il Qwan Ki Do non sia fatto per le persone che amano cose semplici e indolore, ma, piuttosto, per quelle persone che - come dimostrano i suoi praticanti - decidono di perseverare, sempre, comunque, nonostante fatica e dolore, per testare i propri limiti, per scoprire (spesso meravigliandosene) sino a quali confini si può spingere il proprio corpo ed espandere la propria forza interiore.
Mara Ranzani
Certe volte, la fantasia anticipa la realtà, come dimostrato dai libri di Jules Verne.
Certe volte è la realtà a imitare la fantasia: è il caso del Quiddich, sport magico nato dalla penna di J.K. Rowling e, nel 2005, diventato uno sport vero e proprio.
Ho avuto l'occasione di fare qualche domanda a Marco Gazzi, che gioca nei Milano Meneghins, una delle due squadre ufficiali di Milano.
Elisa: È uno sport molto particolare, come l'hai scoperto?
Marco: Sono andato a un campus estivo a tema Harry Potter e tra le attività c'era il Quidditch. L'istruttore era nella squadra dove sono adesso e mi ha invitato a provare.
E: In quale ruolo giochi?
M: Ho iniziato come battitore, ora gioco come cacciatore.
E: Il Quidditch si basa su elementi puramente fantastici, come scope volanti e palle animate da vita propria. Qual è la loro versione "babbana"?
M: Di certo non voliamo! Abbiamo una scopa, però, e la teniamo in mezzo alle gambe mentre corriamo. Neanche i bolidi volano, ovviamente: sono semplici palle che vengono lanciate dai battitori come a palla prigioniera o dodgeball. Il boccino invece è un arbitro vestito di giallo con un sacchetto di feltro legato dietro alla schiena e una pallina da tennis dentro che entra in gioco al diciassettesimo minuto.
E: Ci sono tornei ufficiali?
M: Sì. C'è appena stato un torneo a Verona e nel 2018 a Firenze ci sono stati i campionati mondiali.
E: Nella saga, durante le partite di Quidditch capitano spesso pericolosi incidenti (ad Harry più che spesso). Il Quiddich "babbano" è pericoloso come quello "reale"?
M: Come quello "reale" no, però è pericoloso. Nei tornei ufficiali, per esempio, è obbligatorio indossare il paradenti, perché ci sono i placcaggi.
Elisa Frigerio
Salve a tutti, cari lettori di B-Log!
Dopo il periodo di stop, siamo tornati con la pubblicazione degli articoli; dunque, torna anche la sezione sport.
Oggi vi voglio parlare della meravigliosa estate azzurra – anche se non dobbiamo limitarci alla sola estate, in quanto i nostri successi in questo 2021 sembrano all’ordine del giorno. Tutti più o meno siamo al corrente della favola azzurra vissuta durante il periodo pre-estivo, estivo e post-estivo, favola non solo a livello sportivo, ma anche in altri ambiti, come quello cinematografico, musicale e culinario: essi non sono inerenti alla sezione sport, ma è giusto menzionarli e mettere tutti a conoscenza di quanto il nostro Paese stia scalando le vette non solo d’Europa, ma anche del mondo, e, giorno dopo giorno, di quanto si stia riscrivendo la nostra storia.
Facciamo dunque uno strappo alla regola, “invadendo” il campo delle altre sezioni del giornale, per meglio introdurci al racconto delle nostre imprese sportive.
Eurovision e Golden Globe
I nostri successi, come molti di voi sapranno, iniziano nella serata del 22 maggio 2021 all’Eurovision, competizione musicale tra artisti in maggioranza europei, ma anche di altri continenti come l’America, l’Asia, l’Africa e l’Oceania, che già in passato hanno partecipato. A rappresentare l’Italia in quella serata del 22 maggio 2021 ci sono i vincitori di Sanremo, i Maneskin, band molto conosciuta e apprezzata dagli italiani.
I Maneskin sono primi, manca solo la Francia alla ricezione dei voti, siamo con il fiato sospeso fino all’ultimo… ma alla fine possiamo esternare la nostra gioia, perché dopo 31 anni torniamo a vincere il contest, grazie ai Maneskin e al loro brano Zitti e Buoni. Oltre alla stupefacente vittoria dell’Eurovision, l’Italia è protagonista anche di quella del Golden Globe, la seconda rassegna di premi cinematografici più importante al mondo (dopo gli Oscar), con Laura Pausini ed il suo brano Io sì, premiato come miglior canzone originale all’interno della colonna sonora del film di Edoardo Ponti La vita davanti a sé.
Luca
Il film d’animazione Luca fa il suo debutto il 18 giugno 2021, venendo apprezzato da molte persone, e, visto che il regista Enrico Casarosa è un italiano naturalizzato statunitense, ha portato i riflettori sulla cinematografia italiana, rendendoci molto orgogliosi, in quanto è ambientato interamente in Italia, nello specifico nella zona delle Cinque Terre.
Pasticceria
Il terzetto formato da Lorenzo Puca, Massimo Pica e Andrea Restuccia ci porta alla conquista del campionato del mondo di pasticceria, a Lione, dominando la classifica e arrivando a vincere con circa trecento punti di scarto rispetto al Giappone (secondo) e alla Francia (terza). Titolo di grande prestigio, che mancava da sei anni e che fa capire quanto effettivamente nella pasticceria siamo grandiosi.
E ora siamo davvero pronti al cuore della nostra cronaca! Iniziamo con…
Olimpiadi
Come un po’ tutti saprete, le Olimpiadi di Tokyo 2020 sono state un gran successo per la nostra nazione, che ha dato spettacolo in tutte le discipline, facendoci emozionare di continuo. Molti sono i protagonisti, ma prima voglio parlare un po’ di statistiche, per poi andare a parlare dei singoli.
L’Italia ha concluso il suo medagliere con ben 40 medaglie (record storico del nostro Paese), di cui 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi (quest’ultimi forse sono troppi, rispetto agli altri due… ma sono comunque podi). Le discipline in cui l’Italia si è trovata dominante sono molte, a partire dall’atletica leggera, per arrivare poi anche al nuoto e alla scherma. Queste ultime due non hanno portato ori, ma moltissimi podi; quindi, non possiamo certo definirle un flop totale. Partiamo dunque con il racconto di queste imprese.
La prima disciplina di cui voglio parlare è sicuramente l’atletica leggera, dove abbiamo avuto una vera e propria rinascita ottenendo cinque ori su cinque podi. Le nostre vittorie si aprono con quella di Gianmarco Tamberi, che nel salto in alto sovrasta i suoi avversari, compiendo il miracolo e facendo capire al mondo di essere un vero e proprio fuoriclasse; tra l’altro, arrivato primo a pari merito con il qatariota Mutaz Essa Barshim, decide poi insieme a lui di condividere l’oro: un evento straordinario, più unico che raro!
Restando in tema di atleti italiani fuoriclasse, è giusto menzionare Marcell Jacobs, il nostro eroe dei 100 m, il detentore del record europeo sui 100 m, corsi in 9.80’’, facendoci gioire per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Iconica è l’immagine di Tamberi che attende Jacobs alla fine dei 100 m, per abbracciarlo ed esultare con lui. Due ori dei tre rimanenti provengono da una disciplina che è meno seguita e quindi passano più “inosservati” rispetto ai precedenti: si tratta della marcia 20 km, in cui le prestazioni superlative di Massimo Stano e di Antonella Palmisano ci permettono di aggiungere al medagliere altri due ori, facendoci risalire un po’ la classifica.
Chiudiamo l’ambito dell’atletica con la menzione della vittoria dell’oro nella staffetta 4x100m, tipologia di gara che vede quattro nuovi campioni incoronati: Lorenzo Patta, Eseosa Desalu, Marcell Jacobs e Filippo Tortu, quest’ultimo autore di una rimonta verso l’arrivo, dove chiudiamo (ancora!) le porte della vittoria in faccia all’Inghilterra.
Restando in tema di ori, passiamo al canottaggio, dove, nei doppi pesi leggeri femminili, Federica Cesarina e Valentina Rodini, facendo una rimonta incredibile per tecnica e cuore, vincono la storica prima medaglia per l’Italremo femminile.
Molto iconica è anche la vittoria dell’oro nel ciclismo su pista – nella disciplina dell’inseguimento a squadre maschile –, dove Francesco Lamon, Simone Consonni, Jonathan Milan e Filippo Ganna vincono la finale in rimonta contro la Danimarca, facendo siglare il nuovo record mondiale; fondamentale per la rimonta Filippo Ganna, che ha preso la testa del gruppo quando l’Italia era a circa un secondo dai danesi, portando poi il gruppo alla vittoria.
Due ori vengono anche da discipline da combattimento, nello specifico dal karate, categoria “Kumite -75 kg”, dove il nostro Luigi Busà brilla e vince, così come ha fatto Vito Dell’Aquila nel taekwondo, categoria “-58kg maschile”, riportando così l’Italia sul gradino più alto del podio dopo lo zero assoluto di Rio nel 2016.
L’ultimo nostro oro viene dalla vela, sport in cui l’Italia ha fatto scintille durante quest’estate: nella categoria “Nacra 17 Misto”, il duo composto da Caterina Banti e Ruggero Tita, già campioni del mondo e d’Europa, decidono di dominare anche alle Olimpiadi, vincendo l’oro.
Terminati i nostri ori, vorrei dire che anche le altre medaglie e gli altri vincitori sono comunque risultati speciali, ma era giusto entrare nello specifico della conquista delle medaglie più prestigiose.
Paralimpiadi
La nostra spedizione è stata un successone!
Ci siamo trovati veramente dominanti in molte discipline; una su tutte il nuoto, dove abbiamo conquistato ben undici ori.
Ma andiamo con ordine. Io ho deciso di raccontare solo le medaglie d’oro, ma voglio ribadire il concetto che anche chi è arrivato secondo, terzo o magari nemmeno sul podio, è comunque importante, anche solo per il fatto stesso di trovarsi lì. Questo concetto vale in particolar modo per gli atleti paralimpici, perché, di fronte a un loro grave problema fisico, non hanno mai smesso di voler fare ciò che amavano, restando determinati e arrivando dove sono ora, contro tutto e tutti.
Partiamo ora con l’oro di Ambra Sabatini, conquistato nei 100m femminile T63 (il prefisso “T” indica le gare su pista, mentre il numero 63 atleti con un’amputazione monolaterale transfemorale con una protesi), dominando la finale e facendo segnare il record paralimpico mondiale. Sabatini sicuramente protagonista in quella finale sprint dei 100m, ma da sottolineare che sul podio di quella finale c’erano altre due atlete azzurre, Martina Caironi e Graziana Contrafatto, rispettivamente seconda e terza.
Il ciclismo su strada porta gioie con la staffetta mista H1-5 open, dove il terzetto composto da Luca Mazzone, Paolo Cecchetto e Diego Colombari dimostra di essere superiore agli altri conquistando l’oro olimpico. Passando alla scherma, nello specifico al fioretto individuale femminile, Beatrice Vio, l’azzurra che, per via di un’infezione di stafilococco, ha rischiato di non essere più tra noi, dimostra di essere una guerriera vincente, sconfiggendo prima la malattia e poi vincendo una grande quantità di medaglie d’oro nella sua carriera: a Tokyo ha conquistato l’oro olimpico nella sua categoria e ha trascinato le sue compagne Ionela Mogos e Loredana Trigilia all’argento nella categoria fioretto a squadre femminile.
La disciplina che più ha stupito, però, è stata certamente il nuoto, che ha portato ben 39 podi – di cui undici nel gradino più alto. Di questa disciplina vorrei entrare nello specifico in quattro casi, dicendo che Simone Barlaam, Fantin Antonio, Trimi Arjola e Terzi Giulia hanno fatto segnare, rispettivamente: il record paralimpico nei 50m stile libero S9, il record del mondo e paralimpico nei 100m stile libero S6, il record del mondo e paralimpico nei 50m stile libero S3 ed il record paralimpico nei 100m stile libero S7. Possiamo solo applaudire tutti i nostri atleti per tutti questi successi!
Le menzioni d’onore delle paralimpiadi riguardano proprio due nuotatori, il detentore del record paralimpico nei 50m stile libero S9 maschile, ossia Simone Barlaam, e Alberto Amodeo vincitore della medaglia d’argento nei 400m stile libero S8 maschile. Di loro bisogna sottolineare un fatto clamoroso: non solo sono di Abbiategrasso e zona, ma hanno anche frequentato il nostro istituto!!
Berrettini in finale a Wimbledon
Molti italiani domenica pomeriggio dell’11 luglio si saranno sintonizzati per vedere Matteo Berrettini giocarsi la finale del torneo più prestigioso per quanto concerne il tennis, ossia quello sull’erba londinese di Wimbledon. Tutti ci abbiamo creduto moltissimo: speravamo di vedere una vittoria, quel pomeriggio, e Matteo ce l’ha fatta sognare ancor di più vincendo il primo set; ma poi il tennista serbo Novak Djokovic, attuale numero uno al mondo nella classifica dei punti ATP (Association of Tennis Professionals), dimostra di essere, in questo momento, il più forte di tutti, vincendo gli altri tre set. Il sogno si interrompe, ma il rammarico non è altissimo, poiché Berrettini ce l’ha fatto comunque vivere, questo sogno, giocando un ottimo tennis anche contro il serbo, che purtroppo ha appunto dimostrato di essere superiore. Forse l’anno prossimo andrà diversamente, o forse no, fatto sta che anche nel tennis siamo tornati competitivi. Lo dimostra il fatto che alle ATP Finals, il torneo finale più importante dopo i quattro tornei del Grande Slam, abbiamo avuto ben due italiani in campo: Matteo Berrettini, infatti, presente tra i primi otto tennisti al mondo, in seguito ad un infortunio, si trova costretto a ritirarsi; e, al suo posto, ecco che è subentrato un altro tennista italiano, Jannik Sinner, che risponde “presente!” vincendo contro il polacco Hurkacz e dedicando la vittoria a Matteo.
Pallavolo
Dalla pallavolo ci si aspettava molto alle Olimpiadi, ma purtroppo non si è vista neanche l’ombra di un podio. Flop totale, le voci sul perché della sconfitta sono tante, ma la squadra femminile e quella maschile sono subito al lavoro per preparare l’Europeo, competizione dalla quale vogliono uscire vincitrici e vincitori.
Le azzurre, in finale, trovano la Serbia, la squadra che alle Olimpiadi le ha eliminate ai quarti, arrivando poi terze nella competizione; questa volta è diverso, però: le azzurre hanno molta fame di vittoria, volevano la rivincita, giocano una gran pallavolo e, con il risultato finale di tre set a uno, si laureano campionesse d’Europa, prendendosi quella rivincita e lasciando alle spalle tutti i rumours.
Gli azzurri, invece, giocano la finale contro gli sloveni: entrambi hanno una gran voglia di vincere, si vede subito dal primo set, che l’Italia perde 22-25. Ci vuole subito una reazione, ed essa arriva: l’Italia vince il secondo set 25-20 portandosi alla pari con gli avversari. La Slovenia è molto organizzata, sbaglia poco e infatti vince il terzo set: due a uno e titolo che sembra sfuggire dalle mani degli italiani, che però non demordono e, vincendo il quarto set, portano il match al tie-break. La Slovenia parte forte vincendo i primi tre punti, ma, ancora una volta, con il cuore e il gioco, i nostri ragazzi vincono 15-11 e salgono sul tetto d’Europa.
Europei
L’Italia si presenta all’Europeo di calcio non da favorita, vista la catastrofe del 2017 (con la mancata qualificazioni ai Mondiali) e visto il fatto che sotto i riflettori ci sono altre squadre sulla carta più forti, come la Francia dei fenomeni e il Belgio della generazione di campioni. Il nostro cammino parte venerdì 11 giugno, la partita di apertura ci vede contro la Turchia, secondo tutti l’avversaria più temibile del nostro girone, in cui ci sono anche Svizzera e Galles. Il commissario tecnico della Nazionale Roberto Mancini, in questi anni, ha lavorato molto sul gioco dell’Italia, ha valorizzato molto i nostri giocatori: tutto ciò si nota poiché quella sera di venerdì liquidiamo la Turchia con un facile 3-0, (reti di Immobile, Insigne e autorete di Demiral), giochiamo un bellissimo calcio nonostante l’assenza del “professore” del centrocampo Marco Verratti, sostituito da Manuel Locatelli, altro giocatore di spessore.
Mercoledì 16 giugno ci troviamo davanti la Svizzera, l’avversario è cambiato, ma la “pratica” rimane uguale, dominio del gioco e 3-0 facile, con la doppietta di un superlativo Manuel Locatelli e rete di Ciro Immobile. Arriviamo alla terza giornata domenica 20 giugno, già agli ottavi, si gioca per stabilire se il passaggio del turno avverrà da primi o da secondi; riguardo ciò vengono fatte molte ipotesi, ma dall’altra staff, dall’allenatore e dai giocatori non vengono ascoltate, siamo all’Europeo per vincerle tutte. Infatti, nonostante il turnover fatto da Mancini, vinciamo 1-0 anche con il Galles, con la rete di Matteo Pessina.
È sabato 26 giugno, siamo agli ottavi, di fronte abbiamo la corazzata austriaca. La partita rimane sullo 0-0 fino al quinto minuto del primo tempo supplementare, dove troviamo il goal con colui che diventerà la stella della Nazionale, ossia Federico Chiesa; troviamo il raddoppio con Matteo Pessina che va ancora in gol. L’Austria la riapre a cinque minuti dalla fine, ma di cuore approdiamo ai quarti di finale.
Ai quarti incontriamo l’unica favorita, vista la sconfitta agli ottavi della Francia contro la Svizzera – che ha fatto gioire e non poco il popolo italiano. L’Italia scende in campo con un motto ben preciso: “Rispetto per tutti, paura di nessuno”. E così è anche in campo, poiché a fine primo tempo con una magia di Barella e la pennellata a giro sotto l’incrocio di Insigne siamo in vantaggio di due gol. Il Belgio a inizio primo tempo la riapre con Lukaku, che realizza dagli undici metri, ma non basta, anche la generazione di campioni belga si deve inchinare all’Italia.
In semifinale martedì 6 luglio c’è forse l’avversario più insidioso per la nostra Italia, ovvero la Spagna, allenata da Luis Enrique. Gli spagnoli sono padroni del possesso palla per tutta la partita, e in questo momento l’Italia si sta comportando come eravamo abituati a vederla in passato, ossia chiusa dietro e pronta a ripartire. La partita si infiamma al sessantesimo con il gol della nostra stella, ossia Federico Chiesa, al quale però risponde Morata, che porta la partita ai supplementari e successivamente ai calci di rigore. Abbiamo l’opportunità di vincerla con Jorginho, che calcia l’ultimo rigore per noi; si presenta sul dischetto con tutto il peso di questo mondo sulle spalle, ma con una freddezza disumana mette la palla in rete e ci porta a Wembley, dove giocheremo la finale contro i padroni di casa.
Sono le 21 di domenica 11 luglio, l’inno di Mameli è cantato a squarciagola anche a Wembley. L’Inghilterra parte fortissimo e dopo due minuti va in vantaggio con Luke Shaw, una partenza lampo che ci fa raffreddare gli animi, ma non spegne la speranza e la voglia di vincere. L’Italia gioca bene ma non trova il gol fino al sessantasettesimo, quando Leonardo Bonucci con un tap-in insacca la palla del pareggio, facendo sciacquare la bocca a tutti e facendo impazzire di gioia i tifosi italiani presenti a Londra, come quelli in Italia e in altre parti del mondo. La partita rimane in stallo e ancora una volta si va ai calci di rigore. Donnarumma diventa un supereroe, poiché, dopo il palo di Rashford e il gol di Bernardeschi che ci porta sul 2-2, para il rigore di Sancho, dando a Jorginho la possibilità di vincerla segnando il rigore decisivo… così non è, però, perché Pickford è bravo a non cascare nella sua finta e rimanere in piedi fino all’ultimo, per poi parare. Donnarumma ha davanti a sé Saka, il ragazzino calcia e Donnarumma compie la parata decisiva e ci fa salire sul tetto d’Europa, facendo gioire tutti gli italiani nelle piazze.
Un’italia così perfetta tatticamente, padrona e dominatrice del campo e capace di esprimere un bel gioco, non si era mai vista prima: questo progresso lo dobbiamo al ct della nazionale Roberto Mancini, che, con una rosa forse priva di veri e propri top player, ma con tutti buoni giocatori, rivoluziona il calcio espresso dall’Italia, la mentalità dei giocatori, rendendola vincente. Il risultato di queste azioni ci ha portato alla conquista del record storico d’imbattibilità per una nazionale di calcio, con ben 37 partite senza sconfitte. Questa nazionale ci fa divertire e sognare ad occhi aperti. Prossimo obiettivo… il Mondiale!
Andrea Licciardi
Buongiorno cari lettori di B-Log, oggi mi trovo in compagnia del prof. Paolo Maltagliati, che, come un po’ tutti noi, è al corrente di uno dei principali fatti di cronaca degli ultimi giorni, ossia la nascita… e morte della Superlega.
Io procederei col farle alcune domande, in modo tale da comprendere al meglio in che cosa consiste. Partendo dall’ambito sportivo, potrebbe spiegare come si sarebbe dovuta svolgere questa nuova competizione?
La Superlega, in breve, sarebbe stata una competizione continentale alternativa all'esistente Champions League, composta da 20 club europei e in cui, al contrario della Champions League, non vi era accesso in base al piazzamento nel campionato nazionale, ma piuttosto per "diritto ereditario". Ossia i 15 più grandi club europei avrebbero avuto un posto riservato nella suddetta Superlega, sempre e comunque; gli altri 5 posti sarebbero stati assegnati invitando squadre meritevoli (ovviamente a discrezione degli organizzatori stessi).
Dei 'magnifici quindici' sei erano inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham), tre spagnole (Atletico e Real Madrid, Barcellona) e tre italiane (Inter, Milan e Juventus). Ne mancavano ancora tre all'appello, ma i fari erano puntati sui due top team tedeschi, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, e sulla squadra francese del Paris Saint Germain.
L'ispirazione sarebbe l'NBA americana e, più in generale, la Superlega voleva portare in Europa il modo statunitense di gestire lo sport e di fare business nello sport.
Il suo riferimento all’NBA ci fa capire che la Superlega avrebbe avuto le caratteristiche di uno show; dunque, per quanto riguarda l’aspetto economico, quale sarebbe stato il budget delle squadre partecipanti?
Il consorzio dei soci fondatori (il cui leader indiscusso, anche se non dichiarato, è il multimiliardario Florentino Perez, patron del Real Madrid) aveva promesso di distribuire qualcosa come 3,5 MILIARDI di euro alle squadre partecipanti (fate voi il conto di quanto sarebbe andato in tasca a ogni singola squadra), attraverso un prestito contratto con la banca d'affari JP Morgan. In altre parole, immensamente più di quanto potessero guadagnare con i diritti televisivi e le sponsorizzazioni allo stato attuale delle cose.
Possiamo quindi dire che le cifre sono veramente voluminose, praticamente esorbitanti; ma, se lei fosse stato al posto del proprietario della banca JP Morgan che sponsorizza quest’evento sportivo, come avrebbe investito questa enorme somma? Sponsorizzando questa competizione, aiutando la Uefa, rimanendo imparziale, o addirittura – visto il momento di pandemia che stiamo vivendo –, non investendo sul calcio e dando così una mano al suo Paese?
Ahahahah! Beh... è puro e semplice capitalismo. Non si prestano mai soldi se non si pensa che possano ritornarne altrettanti e con gli interessi. Le chiacchiere sui club “in ginocchio a causa del Covid” fanno ridere al pensiero di quella massa di oligarchi, emiri, megadirigenti e ammiragli d’industria che cerca di equipararsi ai ristoratori in rivolta. È la versione calcistica di quei multimiliardari che fanno il “cambio di cittadinanza fiscale” trasferendo la residenza alle Barbados perché, dicono con le lacrime agli occhi, sono “oppressi” da tasse ridicolmente alte... Sì, che gli lascerebbero comunque abbastanza soldi da comprarsi un paio di pianeti...
Quindi, per tornare alla domanda, se mi dovessi immedesimare in loro, 'dare una mano al paese' non mi passerebbe nemmeno per l'anticamera del cervello (magari, al limite, mi giustificherei dicendo che, dando una mano alle MIE tasche, poi farei un favore a catena a un sacco di altra gente).
Lei ha colto nel dettaglio queste false lamentele, e per quanto riguarda la sua scelta, non si può biasimarla. Restando in tema economico, vorrei chiederle un parere per quanto riguarda il fairplay finanziario e i debiti che hanno molte delle squadre che avevano aderito al progetto. Glielo chiedo perché, proprio per questo motivo, in molti hanno accostato la Superlega alla mafia, in quanto grazie alle somme offerte dalla competizione avrebbero potuto ripagare questi debiti. Lei cosa ne pensa?
La verità è che da anni ormai i grandi club fanno i porci comodi proprio sapendo che il loro potere economico impedisce alla UEFA di agire in modo equo nei loro confronti. Basti pensare al famoso caso del PSG di qualche anno fa, che passò indenne tra le accuse di violazione dei fair play con i petrodollari dell’Emiro suo proprietario e che si comprò Neymar e Mbappé, mentre l’Inter fu messo “a dieta” per diverso tempo e costretto a vendere giocatori per compensare.
Questo braccio di ferro tra federazioni e grandi club a dire il vero è iniziato anni fa: i secondi volevano per costringere le prime (cioè la struttura FIFA-UEFA-leghe nazionali) a ceder loro una più grossa fetta di profitti, in particolare di diritti televisivi, e a lasciar loro più potere decisionale in ambito “organizzativo”. Il trucco era già stato applicato con successo nei decenni passati – passando prima dai tornei a eliminazione diretta a quelli a gironi (più partite, più diritti), poi la transizione dalla Coppa dei Campioni alla Champions League, l’allargamento del numero dei club e la moltiplicazione dei tornei (Europa League) –, e si basa sul principio che senza i diritti assicurati dai “grandi” il settore morirebbe economicamente. Alla fine, però, si è arrivati a un limite e la UEFA ha opposto resistenza, non volendo cedere al suo ruolo di regolatore del mercato né vedere altri guadagni ai club. Questi ultimi, quindi, promuovono una bella e simpatica storiella che li vede “costretti” alla scissione, poiché la UEFA e la FIFA non gli riconoscerebbero i loro “sacri” (...) diritti e li affamerebbero (povere stelline!), oltre a mettergli i bastoni tra le ruote con regole “assurde” come il fair play finanziario.
Il timing della Superlega non è casuale: la nuova riforma allargante doveva essere approvata in queste settimane dal comitato UEFA. È ovvio che i club citino il modello NFL come esempio della loro “rivoluzione”: come tutte le cose che gli americani fanno, anche lo sport negli USA è al servizio del mercato e una lega (per esempio, appunto, la NFL) è posseduta dai proprietari dei club riuniti in un apposito consorzio.
Quindi, come ci dice lei, questi debiti e il fair play finanziario sono effettivi o meno in base alla squadra a cui si applicano.
Ma, tornando alla creazione della Superlega, vorrei sapere se, per quanto riguarda le tre squadre italiane che avevano aderito (ossia: Inter, Milan e Juventus), ci sarebbero state eventuali conseguenze o provvedimenti presi da parte della UEFA e della FIGC.
Possiamo vedere che, ora come ora, la FIGC ci sta pensando (proprio adesso) a come penalizzarle; ma, parlando in generale della UEFA e della FIFA, esse hanno minacciato di escludere i suddetti club dai campionati nazionali. Questa, però, è stata una minaccia vana, perché senza di loro la Serie A diventerebbe un torneo minore e tutti guarderebbero la Superlega.
La vera minaccia che ha fatto rientrare la faccenda in verità è stata mirare ai giocatori e minacciare di escluderli dalle competizioni internazionali (Europei e Mondiali). Questo ha immediatamente mobilitato anche i non esperti di calcio, oltre ai tradizionali tifosi, e soprattutto i governi (UK e Francia in primis), desiderosi di assicurare al pubblico lo spettacolo dei loro beniamini che trionfano con i colori nazionali sul petto (adesso che la Francia ha una delle sue nazionali più forti di tutti i tempi, ha appena vinto il mondiale e, SOPRATTUTTO, è oggettivamente molto più forte degli odiati cugini d'Oltralpe... Cioè noi).
Ha anche avuto l’effetto di neutralizzare l’effetto “snowball” su cui contavano i club, poiché ha agito da deterrente sui loro ricchi colleghi (in primis il PSG, il cui emiro non ha alcuna intenzione di perdere gli sponsor del Mondiale dell’anno prossimo, che si terrà da quelle parti, e che ha fatto un fulmineo dietrofront).
La minaccia ha retto poi per due ragioni: in primo luogo perché la UEFA/FIFA pensa che comunque potrebbe tirar su qualcosa (anche se i nomi sono meno “altisonanti”, guardare la Nazionale è guardare la Nazionale), in secondo luogo perché non ha niente da perdere, nel senso che la UEFA/FIFA morirebbe, assieme a tutte le squadre minori, se accettasse la Superlega, diventando ininfluente e perdendo ogni guadagno. Alla fine, sganciando qualche soldino in più (non sapremo mai di preciso quanti), ha fatto sfilare dal progetto di Perez un po' tutti.
Possiamo dunque confermare che una competizione europea a squadre di club non unisce tutto un Paese come una competizione mondiale che prenda in causa le nazionali; ma sapere che in molti si sono chiamati fuori non tanto per questa motivazione, ma dopo aver ricevuto una somma in denaro, rende minore suddetta felicità. Secondo lei, un’eventuale esclusione di queste squadre dai campionati nazionali e dalle coppe europee avrebbe distrutto un pezzo di storia del calcio italiano ed europeo (viste le sette Champions League del Milan, il triplete dell’Inter ed i trentasei scudetti della Juventus)?
Dopo aver fatto il cinico affarista per tutta l'intervista, permettetemi di cedere un po' al romanticismo: la storia si chiama storia proprio perché resta scolpita nella memoria. Tutti i soldi del mondo non cancelleranno le gesta di quelli che per un po' della nostra vita ci hanno esaltato, ci hanno fatto sognare, ci hanno fatto disperare, ci hanno regalato, insomma, emozioni che ci hanno fatto sentire parte di qualcosa di grande. Il gol a tutto campo di Weah? Il rigore sbagliato di Sheva contro il Liverpool? Nah, restano dentro, fidati.
Sono pienamente d’accordo con lei, i soldi non cancelleranno e offuscheranno mai le emozioni date da questi ricordi, che siano meravigliosi o malinconici. Per ultimo, vorrei farle la domanda più importante, chiedendole se lei è pro o contro alla ormai definitiva cancellazione di questa competizione.
Fa un po' strano che non sappia che risposta dare, dopo essere stato particolarmente critico nei confronti dei cinici affaristi che ormai dominano il mondo del calcio fino ad ora. Il fatto è che, francamente, penso che almeno alcuni di quelli che parlano ora della “vittoria del calcio sano” siano un po' ipocriti. Pur con qualche virtuosa eccezione, che ogni tanto ci stupisce e ci emoziona (su tutti, il Leicester di Ranieri, o l'Atalanta dei Percassi e del buon Gasp), i soldi, anche senza la Superlega, dominano. La sproporzione tra grandi club e squadre minori c'è ed è inevitabile che si ampli sempre di più. In serie C non si contano le squadre che saltano per debiti ogni anno, ormai. Quindi, che lo vogliamo o no, che ci piaccia o no, questo non sarà l'ultimo tentativo di creare una cosa del genere. E, probabilmente, alla fine, ci riusciranno. Non so, forse dovremo semplicemente abituarci all'idea, senza fare gli scandalizzati e nasconderci dietro ad un dito.
Purtroppo, è vero: il divario tra grandi club e squadre minori è ormai parecchio ampliato, e anche secondo me questo non sarà l’ultimo tentativo di creazione di una competizione calcistica europea contrastante con la FIFA/UEFA.
Ringrazio lei per la sua disponibilità e ringrazio anche voi, cari lettori del B-Log, per aver letto quest’intervista. Proprio come detto dal nostro prof. Maltagliati, i soldi non cancelleranno o compreranno mai le nostre emozioni, quelle legate ai ricordi calcistici o sportivi in generale; ricordiamocelo sempre.
Andrea Licciardi e Paolo Maltagliati
INTRODUZIONE
I Giochi olimpici, conosciuti meglio come “Olimpiadi”, sono un evento sportivo quadriennale nel quale i migliori atleti del mondo si sfidano in diverse discipline sportive.
ORIGINE
La loro origine risale all’antica Grecia, dove le prime Olimpiadi si svolsero; in particolare, la prima volta fu ad Olimpia, nel 776 a.C., e avvennero in onore di Zeus: difatti, ogni inaugurazione incominciava con un sacrificio in suo onore. I primi sei sport che venivano praticati in quel periodo erano la lotta, il salto, l’atletica leggera, la corsa, il lancio del giavellotto e del disco.
STORIA
I Giochi divennero sempre più trascurati con l’aumentare del potere romano in Grecia e, quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano, le celebrazioni, i riti pagani e l’agonismo divennero cose avverse ai vescovi cristiani e agli uomini di cultura romani. Fu così che nel IV secolo d.C., a seguito della strage di Tessalonica e con la forte pressione del vescovo Ambrogio di Milano, l’imperatore Teodosio li vietò.
In questo vasto arco di tempo, però, i Giochi olimpici non morirono; infatti, in Inghilterra, nel XVII secolo si teneva un festival sportivo che prendeva il nome dalle Olimpiadi. L’interesse nel far rinascere i Giochi olimpici aumentò quando vennero scoperte le rovine dell’antica Olimpia nel XIX secolo. Nello stesso momento il barone francese Pierre de Coubertin stava cercando una spiegazione sulla sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana. Egli capì che i francesi avevano una scarsa educazione fisica e di conseguenza lavorò per migliorarla; inoltre voleva creare una competizione dove i giovani del mondo si sarebbero potuti confrontare in un contesto diverso da quello della guerra. Fu così che nel 1894 De Coubertin presentò le sue idee durante un congresso a Parigi. Il 23 giugno si decise che i primi Giochi olimpici dell’era moderna si sarebbero svolti nel 1896 nel loro luogo d’origine, ad Atene, in Grecia.
LE OLIMPIADI MODERNE
I Giochi olimpici dell’era moderna (come quelli antichi) prevedono una cerimonia di apertura e una di chiusura. La cerimonia di apertura comprende diversi elementi. Si inizia con il conto alla rovescia per l’inizio dell’evento, seguito dalle attrazioni del Paese ospitante, che prevedono prevalentemente danze, canti e coreografie legate alla storia di questo stesso Paese. Si continua poi con la sfilata dei Paesi partecipanti, con gli atleti che marciano per lo stadio divisi per nazioni; essi sono guidati dal portabandiera, che è un ruolo di grande onore e assegnato ad uno degli atleti più rappresentativi della nazione. Al termine della sfilata incominciano i discorsi del Comitato Organizzatore e del presidente del CIO (Comitato Internazionale Olimpico), ed infine il capo di Stato del paese organizzatore che apre formalmente i Giochi. A quel punto viene suonato l’inno olimpico e innalzata la bandiera olimpica al fianco di quella del Paese ospitante dopodiché viene pronunciato il giuramento olimpico. Infine, un atleta famoso o una persona importante del paese ospitante accende il braciere, contenente il fuoco olimpico che arderà per tutta la durata dei Giochi.
La cerimonia di chiusura invece è molto più semplice. Gli atleti entrano nello stadio mescolati, senza distinzione tra le nazioni. Le bandiere del Paese ospitante, quella della Grecia e quella del futuro Paese ospitante dei Giochi, vengono issate e seguite dall’esecuzione dei rispettivi inni. In seguito, pronunciano i loro discorsi il Comitato Organizzatore e il presidente del CIO (Comitato Internazionale Olimpico), che dichiara i Giochi ufficialmente chiusi. La bandiera olimpica viene calata e una sua versione speciale viene consegnata al sindaco della città che ospiterà le prossime Olimpiadi. Infine, viene spenta la fiamma olimpica.
I Giochi olimpici si dividono in estivi e invernali; entrambi hanno cadenza quadriennale, ma si svolgono in periodi diversi e seguendo tra loro un’alternanza biennale.
LE OLIMPIADI ESTIVE
Le Olimpiadi estive hanno data di apertura tra luglio e settembre e data di chiusura tra agosto e ottobre, con competizioni divise in maschili e femminili. Gli sport presenti sono 28 e la maggior parte di questi è praticato all’interno di uno stadio. Tra gli sport presenti da sempre, troviamo l’atletica leggera, che è divisibile in tre gruppi di discipline, la corsa, il lancio e il salto, che a loro volta si divideranno in più discipline. La ginnastica, come per l’atletica leggera, è divisibile in più settori, ma quelli olimpici sono tre: la ginnastica artistica, la ginnastica ritmica e il trampolino elastico. Nel nuoto, gli atleti svolgono la loro gara su una distanza prestabilita, fronteggiandosi nei quattro stili previsti: rana, dorso, farfalla e stile libero; ma ci sono anche gare in cui gli stili si combinano. Ogni nuotatore ha lo scopo di percorrere la distanza prestabilita nel minor tempo possibile, arrivando prima dei suoi avversari. Infine, troviamo la scherma, dove ogni incontro prevede 3 segmenti da 3 minuti ciascuno intervallati da un minuto di pausa. Le discipline cardine ancora in vigore prendono il nome dalle loro armi e sono tre: fioretto, sciabola e spada. Lo schermidore vince se riesce a infliggere 13 stoccate all’avversario o se, allo scadere del tempo, ne ha subite di meno.
LE OLIMPIADI INVERNALI
Le Olimpiadi invernali hanno data di apertura e di chiusura a febbraio; sono una competizione che raccoglie gare di sport invernali, praticati prevalentemente su ghiaccio o neve. Il numero degli sport e di gare disputate alle Olimpiadi invernali è in continuo aumento. Gli sport presenti dal 1924 (anno della fondazione dei Giochi invernali) sono sei: lo sci di fondo, con il numero di gare in continuo aumento negli ultimi anni (si è arrivati persino a 12 in un solo evento); il pattinaggio di figura, che fu il primo sport invernale ad essere inserito nelle Olimpiadi, comparendo nelle Olimpiadi estive del 1908 e nel 1920; l’hockey sul ghiaccio, che, come per il pattinaggio di figura, ha fatto la sua prima apparizione nelle Olimpiadi estive del 1920, per poi essere presente in ogni edizione di quelli invernali (un suo torneo femminile fu introdotto nel 1998); la combinata nordica, una competizione dove si uniscono le discipline di salto con gli sci e lo sci di fondo.
Fino al 1988, esistevano solo le gare individuali, ma, in quell’anno vennero introdotte anche la gara a squadre. Il salto con gli sci (con il trampolino piccolo), seguito poi da una seconda gara con il trampolino grande nel 1964 e una gara a squadre sul trampolino grande nel 1988. Dal 2014 è stata introdotta anche una gara femminile. Infine, il pattinaggio di velocità, le cui gare femminili vennero incluse nel 1960. Attualmente le gare sono: 500, 1500, 5000 e 10000 metri per quelle maschili e 500, 1000, 1500 e 3000 metri per quelle femminili (inoltre dal 2006 è stato inserito l’inseguimento a squadre sui 3200 metri).
TOKYO 2020
I Giochi della XXXII Olimpiade, noti anche come Tokyo 2020, si sarebbero dovuti tenere dal 24 luglio al 9 agosto 2020, ma, a causa del COVID, le date sono state posticipate di un anno, quindi saranno dal 23 luglio all’8 agosto 2021. Il nome invece rimarrà Tokyo 2020 per motivi di marketing. I Paesi partecipanti saranno 207; sono previsti 33 sport, con un totale di 50 discipline divise in 339 eventi. La cerimonia d’apertura avverrà venerdì 23 luglio, ma, prima di questa, ci saranno già state due competizioni di calcio e di softball.
Avendo potuto seguire gli atleti italiani in modo abbastanza ravvicinato, posso dire che, in molte discipline, riusciremo a farci valere. Se dovessi scegliere su chi puntare, sceglierei sicuramente la regina dei 200 m stile libero, ossia Federica Pellegrini, pronta a tornare sul gradino più alto del podio. Il secondo atleta su cui punterei è Gregorio Paltrinieri, anche lui nuotatore, che dopo un anno di stop è tornato a gareggiare e lo ha fatto a Doha nella gara di fondo della Coppa del mondo, conquistando un ottimo terzo posto. L’ultimo atleta su cui voglio puntare è Filippo Tortu: il classe 1998 continua a stupire giorno dopo giorno, è già l’italiano più veloce di tutti i tempi e l’unico italiano in grado di correre i 100m sotto i 10 secondi. Nonostante tutti questi titoli che gli vengono riconosciuti, Filippo continua a lavorare per migliorarsi e, giorno dopo giorno, la sua fame di vittoria aumenta: questa fame potrebbe saziarsi (solo momentaneamente) con un podio alle Olimpiadi di Tokyo 2020.
Io ho scelto le mie tre punte di diamante, ma la nazionale è in un crescendo continuo e sono certo del fatto che a Tokyo 2020 l’Italia si farà valere.
Andrea Licciardi
Questa è una domanda che per molti potrebbe risultare banale; ma siamo sicuri che proprio a tutti siano ben noti e chiari i benefìci e i valori legati ad una corretta pratica dell’attività sportiva?
Fare sport non significa solo frequentare una palestra, una piscina o un campo da calcio, ma significa anche intraprendere un percorso molto articolato, composto da almeno cinque fasi.
La prima fase è l’acquisizione di una continuità nella pratica sportiva.
La continuità nello sport non deve essere considerata limitata all’età giovanile, perché, proprio come dice la parola stessa, è una pratica destinata a durare nel tempo, come un vero e proprio “amico” (almeno per alcuni) che non ti lascerà mai solo; un errore commesso dalle persone che hanno effettivamente il tempo materiale di fare sport è quello di ridurre a poche e saltuarie le ore settimanali dedicate agli allenamenti, che per noi sportivi sono considerati come il fulcro dello sport.
Di conseguenza, si può dire che chi ha il tempo materiale e ama lo sport dovrebbe mantenere costanti le ore di allenamento oppure anche aumentarle. Un grosso sbaglio di chi possiede del tempo e della voglia è quello di concentrare gli allenamenti addirittura in pochi giorni all’anno: ecco, questo sarebbe il perfetto esempio del primo “peccato capitale dello sportivo”.
La continuità nello svolgere attività sportiva o fisica, quindi, è semplicemente una sorta di compagno che ci dovrebbe, anzi, ci deve “correre al fianco” per tutta la vita; e il vero obbiettivo di questa fase è definito in modo egregio dagli anglosassoni, i quali racchiudono questo concetto in tre parole: Active For Life (“attivo per tutta la vita”).
La seconda fase del percorso sportivo riguarda il tema della salute e degli effetti della pratica sportiva su di essa.
Lo sport è considerato fonte di salute: quelle due ore d’aria che si prendono andando a correre, oppure praticando un semplice allenamento (nel quale basta un tappetino e tanta voglia di fare), hanno anche l'obiettivo di rendere migliore il proprio status mentale. Lo sport, come ho accennato prima, aiuta anche a questo livello, perché permette di liberare la mente da qualsiasi tipo di pensiero che possa essere d’intralcio a uno stato d’animo sereno. Per parlare di questa fase è impossibile non fare riferimento a un po’ di statistiche che riguardano la popolazione del nostro Paese.
Attualmente, in Italia, i cittadini che praticano uno o più sport con continuità sono il 24%; mentre chi lo fa saltuariamente è il 9,8%. Il 26,5% svolgono attività fisica, e il 39,1% della popolazione è sedentaria (dati presi dal sito dell’ISTAT). Bisogna dire però che la maggior parte dei sedentari comprende un gran numero di anziani (non a caso il nostro paese viene considerato “vecchio”); quindi molti di essi non svolgono attività per via dell’età avanzata.
La terza fase del percorso sportivo è forse la più importante perché riguarda l’elemento educativo.
Lo sport, infatti, ha anche come scopo quello dell’educazione; cioè, non ha solo il dovere di far crescere in salute e forti nel corpo e nella mente, ma ha come obiettivo primario di promuovere tra gli atleti un comportamento leale, sotto tutti gli aspetti.
Per parlare di educazione sportiva bisogna fare riferimento all’etimologia della parola educare: questa parola viene dal latino e-ducere, che significa “condurre fuori”, far venire alla luce qualcosa che è in ciascuno di noi.
Educare significa proporre, e non imporre; vuol dire non mortificare la creatività. La frase più brutta che si possa sentir dire da un bambino che pratica sport è “facciamo sempre le stesse cose”! L’antidoto per rendere l’allenamento divertente per i giovani è proporre esercitazioni a carattere sempre diverso: polivalenti, multilaterali, appassionanti, stimolanti e, infine, in forma ludica. Polivalenza, multilateralità e gioco sono i capisaldi nella proposta dell’attività giovanile per le prime fasce d’età (che arrivano fino agli otto anni): infatti, è tramite questo tipo di esercitazioni che i bambini sono invogliati a continuare uno sport non smettendo dopo poco tempo. Ed è proprio in questi momenti che ci deve essere un mister, o un coach, che stiano dietro ai loro allievi in modo tale che i ragazzi comprendano le loro potenzialità e come esse si possano sviluppare, lasciandoli liberi di esprimersi e senza esagerare in rigide impostazioni.
Margaret Mead, un’antropologa statunitense, ha detto: “Dobbiamo insegnare a pensare, non a cosa pensare”. Ecco, questa è una frase che ogni allenatore dovrebbe avere in mente.
Le fasi terminano con la quarta e la quinta, che vanno considerate unite: si tratta dell’aspetto formativo e di quello agonistico.
Intraprendere un percorso formativo significa saper attendere i tempi giusti. Non bruciare la carriera agli atleti nella inutile ed effimera ricerca di risultati nell’età giovanile, risultati che andranno invece ricercati, e più facilmente conseguiti, in seguito, quando gli stessi assumeranno reale importanza.
Per arrivare all’agonismo c’è una lunghissima strada da fare, che ha il dovere di essere resa piacevole da percorrere dagli operatori del mondo sportivo, i quali devono comprendere pregi e difetti di un atleta e farlo crescere e migliorare sempre di più rispetto ai suoi limiti e alle sue potenzialità.
Le fasi in cui si può suddividere l’attività sportiva, nella sua pratica e nei suoi effetti, sono terminate; ma bisogna fare ritorno all’elemento educativo per parlare dei valori che lo sport dona a chi lo pratica.
Una premessa: i valori non sono rappresentati dalle medaglie. Quelle sono relativamente importanti, perché ti rendono solo felice nel momento in cui le ricevi, ma a livello di effetto duraturo sulla persona non danno nulla. Una corretta attività sportiva porterà invece i seguenti valori e benefici: socializzazione, integrazione, amicizia, benessere psicofisico, conoscenza delle proprie capacità e dei propri limiti, acquisizione di nuove abilità, crescita dell’autostima, miglioramento e gestione della competitività.
Lo sport porta anche il valore del coraggio, inteso come capacità di assumersi responsabilità e capacità di autocontrollo; introduce anche alla conoscenza (tramite gli educatori) del fair play, elemento portante della sportività, che implica il rispetto delle regole comportamentali, dei regolamenti e di chi è preposto a farli rispettare; proprio in questo momento entrano in gioco anche tolleranza e collaborazione, ed infine il valore più importante: il rispetto. Dell’avversario, del pubblico, dei tecnici, della diversità ma anche di noi stessi, che possiamo impegnarci per uno sport pulito, che non cerchi una scorciatoia – come può essere, ad esempio, l’uso di sostanze dopanti, le quali ti permettono di essere quasi sempre un gradino più in alto degli altri a livello di prestazioni atletiche e performance psico-fisiche –.
E, infine, si presentano i valori universali dello sport come democraticità e meritocrazia.
I valori universali definiscono cosa si intende per spirito olimpico (noto anche come “olimpismo”).
Lo sport è dunque risorsa nazionale, ma anche universale; perché non bisogna mai scordare che esso è per tutti e senza distinzioni di alcun tipo; infatti, nel momento in cui tu giudichi e discrimini l’altra persona per una qualsiasi sua diversità, non solo offendi lei, ma offendi te stesso come atleta e, allo stesso tempo, anche tutto lo sport.
Andrea Licciardi
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a cura del dipartimento di Scienze Motorie
New sports centres, more efficient train stations, and airports that will get closer and closer, ideally, to the city centre. [Continua a leggere nella sezione B-Lingue...]
Caterina Lambertini
Venerdì 15 novembre si è svolto, nella nostra scuola, un incontro (rivolto solamente agli studenti di Scienze Umane) con dei responsabili, volontari ed atleti dell’associazione Special Olympics; l’incontro è durato circa 2 ore e ci ha permesso di confrontarci con questa, per molti nuova, realtà sportiva. [Continua a leggere nella sezione BNN...]
Matteo De Angelis
Lunedì 11 novembre alcune classi del liceo delle scienze umane, nell’aula magna dell’istituto, hanno partecipato all’incontro con gli esperti dell’associazione “I Quadrifogli” a proposito delle Special Olympics. [Continua a leggere nella sezione BNN...]
Alessandra Zagaria
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