Per gentile concessione del prof. Silvano Brugnerotto, tutti i diritti sono riservati
L’urbanistica contemporanea ha spesso prodotto risultati contraddittori, amplificati da un globalismo culturale volto alla riproduzione di forme sganciate dai contesti sociali. E’ singolare il caso di Chongqing, agglomerato urbano cinese fra i maggiori del mondo, nel quale è stato edificato un centro commerciale che replica, in scala uno-uno, San Gimignano, uno dei siti medievali più belli d’Italia. Essendo un enorme mall, la San Gimignano cinese non ospita abitanti ma solo migliaia di clienti.
E’ un fenomeno, quello dell’erosione del tessuto sociale a favore di enormi spazi di vendita, diffusissimo anche nel nostro Paese, a ridosso delle città e delle province, e che sta progressivamente trasformando i cittadini in anonimi avventori di “non luoghi”.
Gli amministratori pubblici e i politici locali hanno certamente responsabilità notevoli nella diffusione di questo fenomeno, spesso legato a un’idea di sviluppo economico poco lungimirante e destinato all’obsolescenza. Il convegno “RoweRome”, tenuto alla Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma nel 2017, ha mostrato decine di esempi di shopping malls americani che, dopo il fallimento, hanno lasciato il posto a quartieri normalissimi, in una sorta di ritorno all’ordinario dopo l’indigestione di forme mastodontiche di consumo.
Ma anche gli architetti e gli urbanisti sembrano avere le loro responsabilità. Nel Rinascimento e nel ‘600 ad essi veniva richiesta una responsabilità etica, tesa al rispetto del paesaggio che via via andavano rimodulando. Oggi le grandi opere architettoniche, comprese quelle delle “archistar”, appaiono spesso monumenti autoreferenziali, lucidi manufatti calati in dimensioni parallele, slegati dal contesto identitario dei territori. E’ il caso dei super-grattacieli, simboli di un potere tutto economico, o, appunto, dei grandi centri commerciali, straordinarie opere di tecnologia e di design decontestualizzate rispetto al paesaggio naturale e culturale circostante.
L’effetto di questa tendenza è di rendere sempre più residuali gli spazi dei centri storici, ridotti progressivamente a zone franche ad uso turistico, defraudate della produzione identitaria della comunità. Al contempo, le periferie si estendono in base a principi sostanzialmente economico-finanziari, producendo spazi disarticolati, zone sempre più ampie di vuoto sociale e culturale.
Fra i centri storici ridotti a piccole disneyland e la periferia estraniante, si colloca quello che l’architetto olandese Rem Koolhaas ha battezzato junkspace, zone grigie in perenne mutamento, architetture urbane nelle quali, in tempi relativamente brevi, una stessa porzione di spazio può passare da libreria a pub, da filiale bancaria a palestra fitness. Il junkspace garantisce indotti economici appetibili dalle amministrazioni comunali ma anche un’erosione progressiva dell’identità sociale.
Partendo da queste premesse, il progetto PON “Conoscenza e comunicazione del patrimonio locale” dell’Istituto Bachelet di Abbiategrasso si è concentrato nell’analisi del nostro territorio, proponendone una visione alternativa.
Prendendo in esame tre luoghi particolari, ha cercato di interpretarli in ordine a tre dimensioni spazio-temporali, ognuna delle quali è stata sinteticamente svolta nell’arco di tre sezioni. Per ognuna delle tre parti è stata aggiunta la traduzione in tre lingue: inglese, spagnolo e tedesco, dando al numero 3 la valenza di chiave di volta dell’intero progetto. Lo stesso titolo della brochure, “Abbia3grasso”, nasce come gioco di parola sulla ricorrenza di tale numero.
I luoghi presi in considerazione sono stati selezionali in base al loro stato d’abbandono, al loro “non essere più per la città”, e sono:
- l’ex fabbrica Siltal;
- l’Area umida posta fra la Siltal e i confini della città di Abbiategrasso;
- la cascina Prinetti, al confine fra il territorio abbiatense e quello magentino.
Le tre dimensioni spazio-temporali per l’analisi dei tre siti sono:
- la condizione attuale: com’è;
- la condizione possibile dopo un’eventuale riqualifica: come potrebbe essere;
- la visione di Terzo Paesaggio.
La prima dimensione intende testimoniare lo status quo del sito preso in esame: qual è la condizione, oggi, di quel determinato luogo?
La seconda propone una riqualificazione del sito, un’estrapolazione a partire dalle esigenze latenti in città e da possibili indotti di natura economica e culturale.
La terza vuole cogliere, di ogni luogo, l’istanza di “terzo paesaggio”, il nuovo modo di guardare lo spazio proposto dal paesaggista Gilles Clément, che invita a riflettere sui luoghi estromessi dalla funzionalità cittadina, abbandonati al proprio destino e lasciati alla riappropriazione della natura. In questi frammenti di spazio sganciati ormai da ogni ruolo, s’incuneano radici e viticci che determinano uno “spazio altro”, né primario (naturale) né secondario (dell’uomo) ma appunto terziario, uno spazio ibrido di riflessione e di contemplazione fatto di una bellezza del tutto particolare. Il Terzo Paesaggio, ci ricorda Clément, non attiene soltanto ai luoghi abbandonati dall’uomo ma anche a quelli nei quali l’uomo non interviene da lungo tempo: “le vette delle montagne, delle torbiere, dei luoghi incolti che sono comunque portatori di una biodiversità importante”, appartengono al Terzo Paesaggio.
Questa terza dimensione spazio-temporale è stata affrontata, qui, in una pura accezione estetica, con testimonianze fotografiche in bianco e nero, per distinguerle dalle altre sezioni e sottolinearne l’aspetto poetico.
Un ringraziamento particolare vorrei farlo ai ragazzi e alle ragazze che hanno provveduto alla raccolta, alla selezione e all’elaborazione dei materiali. Il confronto di idee che si è instaurato durante le lezioni di questo progetto PON non è valso solo alla loro maturazione di futuri cittadini, ma anche alla mia.
Silvano Brugnerotto
Dipartimento di Disegno e Storia dell’Arte
IIS Bachelet - Abbiategrasso.