EX-LOG

Sezione dedicata alle collaborazioni con i nostri ex studenti.

NUMERO 21

MARZO 2024

LAS ISLAS CANARIAS 

ENTRE HISTORIA Y LEYENDAS

Descripción y origen física de las islas

Puede ser que interpretemos las islas como continentes en miniatura, en particular, las islas Canarias son siete mini continentes a lo largo de la costa del odierno Marruecos/Sahara occidental (pero que no hacen parte del continente africano) de origen volcánica (), muy diferentes la una a la otra por variaciones de clima, topografía y suelo; aquí una frase de David Abulafia, el autor del libro “La scoperta dell'umanità”que nos lo explica: [Continua a leggere su Lingue...]

NUMERO 20

DICEMBRE 2023

Dialogo di un fisico e della gravità sopra l'abisso  

Ispirato dalle Operette Morali di Giacomo Leopardi 


L'anno che il tetto del mondo fu conquistato,1 mille metri sotto la seconda vetta più alta della terra un gruppo di alpinisti penzola nel vuoto, trattenuto dagli sforzi d'uno solo. Tra di loro, un fisico.2 


GRAVITA’: Signor fisico! 


FISICO: Chi è là, che risuona nel baratro? Non c'è anima viva qui, oltre che me e i miei sventurati compagni. Nulla qui cresce, nulla qui vive. C'è solo ghiaccio e vento e morte. Eppure, odo una voce. Rispondi! Chi o che cosa sei? 


GRAVITÀ: Come, non mi riconosci? 


FISICO: Sei forse la morte, che mi chiama dall’abisso? 


GRAVITA’: Non sono madama Morte, ma più d’uno ho portato alla sua dimora. Non mi riconosci davvero, signor fisico?  Eppure mi studiasti, tempo addietro.


FISICO: Studiai molte cose, mia signora. 


GRAVITA’: Dunque te lo dirò io. Son colei che governa il moto dei pianeti, colei che li sospinge come cavalli di un carosello a fare mille e mille giri attorno allo sfavillante braciere finché esso, un giorno, li inghiottirà. Son colei che per ischerzo gettò una mela sulla testa di un giovanotto inglese e davanti a lui mi spogliai dei veli, finché nuda gli apparvi, quando nuda non ero. Son la gravità, che tu così tanto ami sfidare.  


FISICO: Gravità, si, io ti conosco. Che cosa vuoi da me? 


GRAVITA’: Trascinarti verso l’abisso.


FISICO: Perché vuoi questo? Forse ti spiace che con denti d'acciaio e canapa e la forza della mia miseria umana oso procedere al contrario delle tue leggi? Forse ti risenti per le catene che ho aiutato a forgiare, catene che hanno reso le tue sorelle schiave? 


GRAVITA’: Non lo voglio. Lo faccio, perché è ciò che sono. 


FISICO: So cosa tu sei. Ho studiato Newton e Einstein. Da ragazzetto ho gettato io stesso palline da un'alta torre e guardandole scendere sapevo il perchè. Ti ho vista sondata in ogni tuo aspetto, calpestata dai leggiadri aerei che, ignorando il posto tributato alla nostra specie, ci hanno portato in aria come gli uccelli. Ti ho guardata, due mesi orsono o poco più, con gli occhi di coloro che, dal Tetto del Mondo, vedevano l'intera Terra sotto di sè, e tu con essa. 


GRAVITA’: Eppure, stai cadendo. 


FISICO: Eppure sto cadendo e non so il perchè. 

GRAVITÀ: Ti ritieni così importante che la tua morte debba avvenire per una qualche ragione? 


FISICO: Non ti curi, dunque, di portare nell'abisso un innocente? 


GRAVITÀ: Ciò che tu chiedi non ha significato per me. 


FISICO: Non ti curasti, allora, quando trasportasti la morte fabbricata dai miei colleghi uomini? Quando il fuoco fu affidato alle tue innumerevoli braccia, quando cadendo per te le bombe devastavano le città… non ti importava? 


GRAVITA’: Ti curi tu, camminando in un fertile terreno, dei germogli che soffochi sotto il tuo piede? Te ne avvedi?


FISICO: No. Ma essi non sono che piante, noi siamo uomini. 

GRAVITA’: Questo lo dici tu, che sei uomo. Non direbbe forse la stessa cosa una pianta, sapesse essa parlare? Non direbbe ciò ogni essere animato da quella scintilla, come la chiamarono gli antichi sciocchi, che spinge a nuotare controcorrente come i salmoni nel corso eterno del Caos che avanza? 


FISICO: Suppongo di sì. Essi, però, non parlano. Solo a noi è data in sorte l’abilità di discutere il nostro fato. 


GRAVITA’: E lo ritieni tanto un gran dono? 


FISICO: E’ ciò che ci rende diversi dagli animali. Un gatto alza gli occhi alle stelle e vede luci. Io, se alzo gli occhi al firmamento, vedo giganti rosse e nane bianche, vedo atomi che si fondono insieme, vedo onde che si propagano nell’immensità…


GRAVITA’: E puoi per questo toccarle? Puoi strapparle dal cielo e portartele giù, a servire i tuoi comodi? La tua matematica le descrive forse meglio delle leggende degli antichi? Il tuo coseno o il tuo integrale è tanto più vicino alla Verità del carro del dio Sole? 


Stolti e arroganti, questo voi siete. Ridefinire con un punto in più i confini della vostra ignoranza ha tra voi il nome di sapere. Scoprite per caso, per diletto di una qualche mia sorella o figlia, un qualche tassello minuscolo di verità ed ecco un gran rumore scuote il vostro pianeta piccino piccino. Un gran tripudio di scienziati, filosofi, professori, sedicenti esperti o semplici imbecilli strilla dai giornali, teorie e contro-teorie in lotta come se in palio ci fosse la chiave del Tutto. Ma anche vi capitasse, per benevolenza del Destino, di stringerla, sarebbe per un battito di ciglia, dopodichè morireste, nè più nè meno delle formiche, dei vermi, delle muffe. L’eternità non ne rimarrebbe turbata affatto.

FISICO:  Le tue parole, ahimè, risuonano alquanto vere. Ho stretto la mano di colui che primo spezzò a suo piacimento ciò che gli antichi chiamavano indivisibile. Ho camminato nelle sabbie roventi del deserto3 che videro l’atomo piegarsi schiavo ai sanguinari desideri umani. Queste mie mani e questa mia mente hanno lavorato affinchè, un anno orsono, sulla Terra brillasse un nuovo sole.4 Ma fu di un istante appena, questo nostro sole terrestre. A che ci giova, quando il Sole stesso, il sole di madama natura, non è altro che un breve scintillio nell'eternità? 


A che mi giova, ora il mio sapere, quando tra me e la fine della mia tremula esistenza non c’è che una corda sottile? A che mi giova conoscere te, quando sei solo ancella di madama Morte reina, e di lei nulla so?


GRAVITÀ: Se ti rispondessi sinceramente, cambierebbe qualcosa? 


FISICO: No, non farebbe differenza alcuna. Non posso rinnegare la mia natura di uomo più di quanto tu non possa fare con la tua. Una sete brucia in me e non basterebbe a saziarla l’acqua offerta alla samaritana. Dimmi questo, quindi, e questo solo: sarà madama Morte la prossima voce a chiamarmi? 


GRAVITÀ: Come e perché dovrei io esserne a conoscenza? Lo sfarfallio delle esistenze umane non mi tange. Oggi, ieri, domani, per me sono cosa unica e sola. La tua morte o la tua vita non increspano il lenzuolo che tendo per l’universo intero più che uno spillo turbi l’oceano. E se anche conoscessi, a voi esseri umani non è dato sapere. 



Elisa Frigerio

La Storia e le Fonti 

Storia e narrazione

Scrivere o studiare storia significa rispondere a dei “perché” con un lavoro di ricerca e analisi. Per iniziare a “fare storia” occorre la capacità di narrare, quindi di essere capace di comprendere i personaggi a 360 gradi senza l’utilizzo della fantasia.

Come direbbe lo storico Marc Bloch: alla base di ogni ricerca ci si crea un “questionario”;occorre quindi porsi delle domande prima dell’analisi di qualsiasi fonte.

Qualunque testimonianza storica è sempre stato il prodotto di esseri umani che hanno vissuto in un dato contesto.

Tipi differenti di fonti

La fonte, o, per Bloch, la testimonianza corrisponde ad ogni elemento della società umana nella storia. Le fonti si dividono in fonti primarie e fonti secondarie: le fonti primarie sono testimonianze prossime all’evento studiato, mentre quelle secondarie sono, in pratica, la storiografia scientifica più o meno recente relativa al tema.

Vi è poi una distinzione da fare tra ciò che si può definire ‘testimonianza’ vera e propria, ossia un’informazione esplicita in forma di testo scritto e il termine più generico di ‘resti’, che rappresentano tutta quella vasta gamma di resti archeologici relativi. Simile, ma non identica, è la distinzione tra fonti scritte e fonti materiali: Di fonti scritte ce ne possono essere varie, pubbliche e private come le corrispondenze epistolari (i carteggi), giudiziarie (come sentenze e statuti), fiscali (come la valutazione delle imposte di famiglia); fonti agiografiche, ossia che ritraggono le vite dei santi; registri o carte sciolte. Le fonti materiali sono, invece, della natura più varia. I principali esempi “archeologici” possono essere le sepolture e le epigrafi, ma anche le armature, la numismatica (quindi lo studio delle monete) o la sfragistica, la disciplina che studia i sigilli. Delle fonti altrettanto importanti sono quelle iconografiche, un esempio lampante è la foto dello Zio Sam, sotto la quale vi sono scritte frasi del tipo “I want you for US Army”, o le miniature medievali.

Un’ultima categorizzazione si può fare relativamente all’intenzione delle fonti. Il testo di uno storico è ‘intenzionale’, ha cioè l’ intento specifico di trasmettere una informazione; una fonte preterintenzionale è invece qualcosa che ci racconta di un determinato evento o periodo indipendentemente dal suo scopo originale (come un giradischi o una serie televisiva, per fare alcuni esempi).


La storia come propaganda – le fonti

Le fonti però, raramente (anzi, tendenzialmente mai) sono considerabili ‘oggettive’. Per esempio, la stampa veniva utilizzata per cronache, testi, modulistica, grida, saggi, riviste e vi era grande consumo di stampa, per avere prestampati. Veniva anche sfruttata per fini istituzionali e pragmatici, anche se a volte causava problemi di controllo del potere

La storia ce la insegnano i vincitori,motivo per il quale, spesso si ha persino una distruzione di una parte di fonti (per esempio, già dal rinascimento si usava mettere la documentazione in acido cloridrico per far scomparire le scritte dei testi ‘nemici’, come in molte documentazioni viscontee poi andate perdute)

La musica, poi, nella storia contemporanea ha rappresentato un aspetto importante per la propaganda politica, si pensi a “Cara al Sol” o “Faccetta Nera” (che pure Mussolini non amava particolarmente) per la propaganda delle dittature di estrema destra rispettivamente spagnola e italiana, ma anche “Il Piave mormorava” durante la Prima Guerra mondiale. Ogni canzone, tra le righe, può comunicare un messaggio preciso, più o meno funzionale a un potere o a un contropotere.

Ma anche quando le fonti vogliono comunicarci qualcosa, ci riescono? Non sempre. A volte sorge il problema delle ‘lacune’. Le lacune possono essere strutturali: certe interazioni sociali parevano così ovvie (anche se a noi moderni non sembrano tali) che non si sentiva il bisogno di specificarle. A ben pochi interessava descrivere (o, tantomeno, leggere) la giornata tipo di un mercante medievale, anche se gli storici moderni pagherebbero per avere un documento del genere! 

Altre lacune invece possono essere incidentali: spesso succede che i filologi sanno (perché lo ricostruiscono o perché un cronista ce lo dice esplicitamente) che gli autori antichi si basavano, per scrivere quello che scrivevano, a documenti che però, purtroppo, non sono arrivati fino a noi. In questo senso, quello le fonti saranno sempre, in qualche misura ‘frammentarie’, illuminando solo una piccola parte dell’oscurità del passato.


Critica delle fonti

 La critica delle fonti è una vera e propria scienza,  detta ermeneutica (non si riferisce alla corrente filosofica). Una volta che si deve analizzare un materiale entra in gioco l’esperienza, Alcuni storici famosi come Marc Bloch o Federico Chabod, dicono che lo storico ‘lotta’ con le fonti, usando tutto ciò che hanno a disposizione, materiale o immateriale che sia, persino l’intuizione

Del resto non tutte le fonti sono ‘ciò che dichiarano di essere’. Ad un esame estrinseco, possiamo riconoscere dei veri e propri falsi, mentre a un esame intrinseco, le conoscenze riportate possono essere più o meno volontariamente false (anche se è sempre interessante capire il motivo per cui uno storico antico scrive delle informazioni volutamente errate!). Per questo il mestiere dello storico non è mai particolarmente semplice. Deve, con pazienza, ricostruire un periodo storico attraverso una molteplicità di fonti, non sempre esatte o veritiere; insomma, deve essere abile a ‘interpretare’, anche a partire dalle conoscenze che già possiede sul contesto.


Infine, Il tempo dello storico non è il tempo della fisica perché si occupa in generale di vita vissuta; Il tempo dello storico è dunque quantitativo e non qualitativo, infatti ci sono tante dispute nella storia per le periodizzazioni.Per esempio, l’idea appurata che oggi abbiamo riguardo alle periodizzazioni è la seguente:

-  476 – Le insegne imperiali vengono rispedite a Roma e finisce l’impero Romano d’Occidente e inizia il Medioevo

- 1492 – Cristoforo Colombo raggiunge le Bahamas e “scopre” un nuovo continente che verrà poi chiamato “America” ed inizia l’Età Moderna

- 1815 – Congresso di Vienna e inizio dell’Età Contemporanea

È da notare che queste date sono convenzioni utilizzate dallo storico per facilitare il suo lavoro, anche perché i contemporanei non sapevano di essere entrati in una nuova era (per fare un esempio pratico, quando Odoacre ha inviato le insegne imperiali a Oriente, i contemporanei lo vedevano però come un altro imperatore e non avevano idea di essere entrati nel Medioevo, con Giustiniano, tempo dopo, riaffiorando il diritto romano, si intuiva di essere in una nuova era per via di presunti valori ormai andati persi)

Il tempo è il nocciolo della storia, non può essere considerato come qualcosa di evanescente. Lo spazio che decide lo storico è uno spazio limitato, per una ricerca di fonte. Si può decidere se studiare microstoria, quindi la storia locale, ossia eventi come la fine di un singolo comune medievale, oppure ‘macrostoria’ ed eventi come la fine dell’ impero britannico. Rogari afferma che il tempo sia una dimensione solo relazionale e non oggettiva della società… ma senza questa forma non si comincia nemmeno la ricerca storica.

Lo storico francese Braudel ci lascia una interessante descrizione delle ‘dimensioni del tempo’: ci parla di un tempo breve, medio e lungo e usa la metafora dell’oceano, in cui i mulinelli rappresentano la durata breve, le maree quella media e la massa oceanica quella lunga. La lunga durata prende in esame le strutture (quasi) immobili, come  il clima o più in generale il tempo geografico, la media durata quindi la struttura economica-socio-culturale e le civiltà e il tempo della breve durata quindi il tempo ‘evenemenziale’ (histoire événementielle) come una guerra o una battaglia.

Mattias Mastrovito

NUMERO 18

MAGGIO 2023
Shirin Neshat, Rebellious Silence, Women of Allah series, 1994, black and white RC print and ink, photo by Cynthia Preston ©Shirin Neshat (Barbara Gladstone Gallery, New York and Brussels)For educative use onluy, please contact b-log@iisbachelet.edu.it for removal 

Shirin Neshat

Presentazione della fotografa di Women of Allah

Nata il 26 marzo del 1957 a Qazvin, in Iran, Shirin Neshat è una regista, fotografa e artista iraniana di videoarte contemporanea, naturalizzata americana. Per proseguire i suoi studi universitari d'arte, infatti, nel 1974 si trasferisce in California, negli Stati Uniti d'America, dove frequenta l'università di Berkeley, per poi stabilirsi a New York. Nel 1990 decide di tornare nel suo paese natale, ma la situazione politica e sociale che vi ritrova la lascia completamente sconcertata, tanto che non riesce più a riconoscere il suo paese. Shirin è nata sotto il governo dello Shah (o Scià) Mohammad Reza Pahlavi, in un periodo in cui vi era una grande espansione dei diritti delle donne, grazie ai quali, sia l’artista che le sue sorelle, ebbero accesso ad una buona istruzione. Infatti, nonostante la dittatura dello Shah, basata su una violenta repressione della libertà politica e religiosa, l’Iran stava andando incontro ad una forte modernizzazione che portava ad assumere  modelli culturali occidentali. Il suo stile oppressivo, però, portò al rovesciamento del suo stesso regime, avvenuto con la rivoluzione del 1979, in cui la monarchia venne abolita, sostituita da un governo religioso conservatore guidato dall'ayatollah Khomeini. L'opposizione esplicita di Khomeini al modello occidentale dello Scià lo ha reso un eroe nazionale per il popolo iraniano, soprattutto dopo la decisione  di unificare religione e politica facendo rispettare le convinzioni dei musulmani in tutto il Paese. Di conseguenza, a tutte le donne iraniane, comprese quelle che un tempo indossavano le minigonne e ballavano le ultime canzoni provenienti dagli occidentali, fu vietato di uscire di casa se non avevano addosso lo chador drappeggiato. In pratica, l’Iran abbandonò una dittatura per entrare in un altra. Sarà proprio la situazione politica, religiosa e sociale, con particolare attenzione alle restrizioni imposte alle donne, che spingeranno Shirin a diventare un'artista per documentare la realtà e criticare le nuove regole imposte alle donne, da lei considerate ingiuste. Dopo il suo ritorno in Iran, creerà la serie di fotografie Women of Allah che si interroga sul ruolo delle donne musulmane e sul corpo femminile in relazione alla violenza subita durante la rivoluzione. Le fotografie, tutte in bianco e nero, hanno come soggetto donne velate, primi piani di parti del corpo femminile (volti, mani, piedi), sulle quali sono scritti versi di poetesse iraniane contemporanee, come F. Farrukhzād, fatti a mano dall’artista stessa. Neshat utilizza simboli iconografici specifici come il velo, il testo, le pistole e lo sguardo indurito per suggerire idee contraddittorie come la repressione, la sottomissione, la resistenza e l'aggressione. Il suo scopo non è quello di giustificare la cultura musulmana per abbattere le convinzioni stereotipate degli occidentali. Al contrario, l'autrice costringe il pubblico a ripensare a ciò che crede o che è stato condizionato dalla società ad essere la norma, trasmettendo queste idee sbagliate idealizzate. L’immagine distorta della donna velata si è profondamente radicata nella mente delle persone, diventando un simbolo di repressione, soprattutto per gli occidentali. Tuttavia, Neshat lo inserisce nel suo lavoro per mostrare la sua cultura e anche il modo e le cause che l’hanno fatta cambiare. In un'intervista ha infatti dichiarato: «Si può studiare la cultura studiando le donne: il modo in cui si vestono, il modo in cui la loro società cambia, il modo in cui devono indossare il chador». Nell’autoritratto Rebellious silence, un'opera della serie Women of Allah, illustra i modi in cui Neshat percepisce le complessità delle identità femminili in Medio Oriente, unendo il tema della realtà persiana ad alcuni aspetti della cultura occidentale. Ritroviamo i quattro simboli che caratterizzano le sue opere (velo, il testo, le pistole e lo sguardo). Il velo ha lo scopo di proteggere il corpo delle donne dal diventare l'oggetto sessualizzato dello sguardo maschile, ma protegge anche le donne dall'essere viste. La pistola, oltre agli ovvi riferimenti al controllo, rappresenta anche il martirio religioso. I testi, scritti a mano in in persiano contemporaneo, non riportano testi di denuncia come si potrebbe pensare, ma i versi di alcune poetesse iraniane che esprimono i molteplici punti di vista che risalgono sia a prima che a dopo la Rivoluzione del ‘79. Alcuni dei testi scelti da Neshat sono di natura femminista. Tuttavia, in Rebellious Silence, la scritta che attraversa il volto dell'artista è tratta dal poema di Tahereh Saffarzadeh Allegiance with Wakefulness, che onora la convinzione e il coraggio del martirio. Lo sguardo è sicuramente l’aspetto più occidentale che ritroviamo nella fotografia. Neshat riprende, infatti, l’idea femminista del gaze back, volto a spiegare come lo "sguardo maschile" sia stato normalizzato nella cultura visiva e popolare: i corpi delle donne sono esibiti come oggetti di desiderio. Nelle immagini di Neshat, le donne restituiscono lo sguardo, liberandosi da secoli di sottomissione al desiderio maschile o europeo. A causa del forte e violento impatto che ebbero i suoi lavori, Shirin Neshat fu esiliata dall’Iran nel 1990, diventando così un’artista militante. Questo non le ha però impedito di continuare a lottare per le cause a cui crede fermamente, decidendo di non voltare le spalle alla sua cultura, come molti altri avrebbero potuto fare, ma, anzi, rendendola una costante della sua vita e parte integrante delle sue opere. 

Ho trovato il lavoro di Shirin Neshat davvero impressionante, ma soprattutto poco artificioso. L’uso di pochi elementi, sufficienti ad esprimere molte cose, evidenzia le sue capacità e qualità in quanto artista-attivista. Inoltre, mi trovo a sostenere come lei l’idea che  l’arte non debba diventare una forma di intrattenimento, ma rimanere un mezzo per denunciare e lottare contro le ingiustizie sociali, politiche e religiose e gli stereotipi radicati nelle menti delle persone.


Benita Sagbohan 

NUMERO 17

MARZO 2023

Colpo di cena

The Menu, thriller del 2022 diretto da Mark Mylod, è un'esperienza sorprendente e sanguinolenta che si affronta  il tema del divario sociale attraverso gli occhi della scaltra Margot interpretata da Anya Taylor-Joy e i piatti dello chef Slowik interpretato da Ralph Fiennes.

La vicenda si apre con un gruppo di benestanti uomini e donne in tragitto verso un ristorante estremamente rinomato per via dello chef che lo dirige  e delle sue preparazioni innovative, che schockeranno – sia positivamente che negativamente, è il caso di dire – sia gli ospiti che  lo spettatore.

Il regista con questa pellicola ha due  intenti principali: il primo, sicuramente quello meglio riuscito, è quello di cogliere alla sprovvista lo spettatore, come anche lo chef fa con i suoi invitati a cena attraverso molteplici colpi di scena, e di pistola. La serata si fa sempre più intensa, sia attraverso la scoperta di lati nascosti dei commensali, sia grazie al crescendo di violenza e gore messo in atto dalla brigata. Il lato thriller del film è sicuramente ben sviluppato, nonostante l'esperienza resti comunque più spaventosa per i protagonisti che per lo spettatore, il quale si trova ad assistere senza un coinvolgimento emotivo elevato, in quanto, eccezion fatta per la protagonista, i personaggi vittima di questo menù sono per lo più stereotipati e monodimensionali.

Qui è forso dove pecca principalmente il film, la sua superficialità. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una popolarizzazione del tema del “mangiare i ricchi”, come direbbe Rousseau: recentemente il pluripremiato Parasite, ma anche i meno criticamente acclamati Glass onion e Triangle of sadness hanno esplorato questa tematica, già cara al genere horror (basti pensare They Live (1988) e Society (1989) che già nei primi anni ‘90 hanno approfondito la differenza di classe attraverso diverse allegorie. Sotto questo punto di vista i temi principali di The Menu sono scontati e non sofisticati come lo erano, invece, nel sopracitato Parasite. Si percepisce una volontà di essere intelligente, che però stride con la stupidità cercata in numerose scene e Molti dei punti di forza diventano debolezza nel momento in cui lo spettatore viene continuamente schiaffeggiato con il messaggio, infatti non solo il film spinge troppo sulla morale, ma usa solo un metodo comunicativo, facendola risultare noiosa.

Tutto sommato però, il regista, trovatosi spaccato a metà tra insegnante e giullare, riesce comunque bene nel secondo, e moderatamente impreparato nell'altro, producendo un risultato sicuramente godibile.

Luca Rebagliati

NUMERO 10

2021

L'effetto farfalla

Il 2020 è stato un anno lunghissimo e allo stesso tempo brevissimo. In una manciata di ore mi sono ritrovata dal festeggiare capodanno insieme ad altre venti persone urlando “IL 2020 È  IL MIO ANNO!” a “che palle, la prossima lezione online è INGLESE MONOGRAFICO, se sento ancora la parola «morfema» giuro che non mi metto più l’amuchina”.

È stato uno strano effetto farfalla, direi.

Sono passata da liceale, a diplomata, a universitaria così velocemente che non me ne sono nemmeno accorta; il giorno prima facevo lezione a letto con il piumone fino a qui e poi il giorno dopo BAM, ancora lezioni online, ancora a letto, ancora con il piumone fino a qui, ma con più cose da studiare.

Che poi, lasciatemelo dire, ma perché l’università odia così tanto le matricole?

No, perché spero sia stata la situazione Covid, pandemia, amuchina bla bla bla, perché se l’università per le matricole è davvero così, ragazzi di quinta, ho pietà per voi.

Di questo ne ho già parlato ai poveretti che si sono dovuti sorbire il mio lamentosissimo monologo sull’università, che è iniziato più o meno così: “Mi chiamo Beatrice, ho diciannove anni e frequento Lingue e Letterature straniere alla Statale di Milano. Per adesso studio Lingue e Letterature straniere sulla scrivania della mia camera, ma attendo fiduciosa che le cose cambino”.

Il bello è che, quando noi ex-studenti prendiamo parte a questa iniziativa, quella del “Peer-to-peer”, intendo, che si deve pronunciare correttamente prima di affermare di prendere parte all’iniziativa “pera-a-pera” (noi linguisti siamo particolarmente simpatici), ci sentiamo tutti universitari seri, impomatati, dottoroni. Dico solo che, in quanto matricola che non è mai andata in università, sono stata felicissima delle domande poco tecniche che mi sono state fatte.

Domande frequenti sono state soprattutto in merito alla mole di studio, a quanto questa cambia rispetto alle superiori. Molto semplicemente, ho risposto ai ragazzi, all’università non c’è quell’ansia perenne e quella inquietudine costante per le mille verifiche e interrogazioni e lavori di gruppo che si sovrappongono, si mescolano, si accumulano. In Università, è vero, tutto è condensato in una sessione di due, tre mesi dove vorresti strapparti i capelli, ma intanto ti vivi bene e senza angoscia quei mesi di lezione.

Inoltre, in Università è possibile sperimentare qualcosa che, quando si è alle superiori, non esiste: la mattina libera. Assurdo pensare che esista effettivamente un mondo vivo la mattina, che le gente esista, vada in giro, faccia cose, mentre tu, studente, ovviamente sei impossibilitato a muoverti almeno fino all’una o alle due. Sì, da una parte un universitario vive la mattina, ma dall’altro è anche obbligato a sperimentare il brivido delle lezioni fino alle sette e mezza di sera. Effettivamente c’è una gestione del tempo completamente diversa, che può o non può giovare alla carriera scolastica. Io, personalmente, trovo che le lezioni così distribuite nel corso della giornata siano, da una parte, manna dal cielo: per un night owl come me, che la mattina ha bisogno di quindici caffè per essere lontanamente presente in questo mondo, ma che salta come un grillo anche all’una di notte, è un grande affare. Dall’altra parte, però, il fatto di avere tempo è un’arma a doppio taglio, visto che, diversamente dalle superiori, non bastano due, tre ore il pomeriggio per studiare, ma tutta la giornata. Quindi sì, capita la fortuna di un giorno libero, ma capita anche la sfortuna di avere otto ore di lezione in una giornata, ma la mole delle cose da studiare non cambia e devi per forza trovare una soluzione. Per me, come per gli altri universitari in didattica a distanza, questo non è, poi, un gran problema, visto che molte lezioni sono registrate e sono sempre disponibili e non dobbiamo vivere il problema dei mezzi di trasporto che, che siano o no in ritardo, tolgono molto tempo allo studio.

Un’altra domanda frequente tra i ragazzi che hanno preso parte all’iniziativa peer-to-peer è stata in merito ai nuovi corsi. Prima di tutto, specifichiamo: quelle che, alle superiori, si chiamano “materie”, all’Università si chiamano “corsi”. Le matricole, quindi, si troveranno faccia a faccia con corsi nuovi che, magari, non dicono molto: glottologia, per fare un esempio sulla mia carriera universitaria. Corso molto interessante, ma impegnativo, che io ho cominciato un po’ alla cieca, senza sapere bene cosa aspettarmi. Alcuni miei amici, che non frequentano la mia facoltà, ricordano di aver affrontato alla cieca corsi dai nomi non esattamente autoesplicativi, come i corsi di filologia, elettromagnetismo, intelligenza artificiale, archivistica, bibliografia, fisica della materia, chimica delle nanotecnologie e dei materiali. Si entra in un mondo completamente nuovo, sì, perché l’università è un posto del tutto diverso dalle scuole superiori. Si parla di crediti, di lezioni con cento, centocinquanta persone presenti, di esami, appelli, sessioni.

E NESSUNO TI SPIEGA COSA SIANO!

Praticamente vieni lanciato in questa nuova realtà così, senza formazione. È come buttare un anatroccolo nell’oceano e aspettarsi che questo non affoghi. O che nessuno squalo se lo pappi.

Ma, fortunatamente, come per tutte le cose, una volta che si è in ballo, non si può fare altro che ballare! E allora la sessione capisci cos’è, inizi ad organizzarti e a vivere bene quest’esperienza. Viene naturale. Solamente un anno fa non avrei mai pensato di conoscere così velocemente questo nuovo mondo, e mai e poi mai mi sarei immaginata di poterne parlare con i ragazzi che, come me solo pochi mesi fa, non hanno la più pallida idea di cosa sia un Ateneo.  

Posso dire che questa esperienza (gatto che si intrometteva nella videochiamata a parte) sia stata istruttiva per me e (spero!) d’aiuto per i ragazzi che, posso affermare, a prescindere da come sarà la situazione sanitaria, troveranno un posto non di crescita, ma di fioritura.

Ragazzi e ragazze, break a leg! 

Beatrice Uslenghi

NUMERO 6

MAGGIO 2020

5

Avvicinamento sociale

12

Paura e curiosità

13

Voglia di amici

Illustrazioni di Martina Maldifassi (tutti i diritti riservati)

@martifioremaldi