Bachelet News Network
Ha appena iniziato ad albeggiare quando, nel gelido mattino del 22 novembre, le classi 5BL e 5DL partono dall’istituto Bachelet, per un’uscita didattica alla scoperta delle profondità invisibili del cosmo, accompagnate dalle professoresse Raffaella Ferretti, Barbara Piana e Anna Di Grazia. Dopo un lungo tragitto in pullman, eccoci finalmente in Emilia Romagna, mentre il percorso si snoda verso Bologna. I paesini si fanno sempre più agricoli e contenuti, mentre i campi coltivati si estendono a perdita d’occhio, avvolti dalla calma piatta dell’autunno sferzata da un vento impetuoso. Infine, il pullman raggiunge un casale rimesso a nuovo e circondato da vecchi telescopi e radiotelescopi in esposizione; la targa sul cancello recita: osservatorio INAF di Medicina.
L’OSSERVATORIO DI MEDICINA
L'Osservatorio di Medicina è un centro di ricerca all'avanguardia nel campo della radioastronomia, situato a circa 20 km da Bologna. Fondato nel 1964, il centro è gestito dall'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ed è noto per le sue avanzate capacità di osservazione radio. Il sito è stato scelto strategicamente per la sua posizione lontano dalle interferenze elettromagnetiche delle aree urbane, che permettono di raccogliere dati radioastronomici con una precisione maggiore. L'Osservatorio è coinvolto in numerosi progetti di ricerca a livello internazionale e collabora con altre strutture, contribuendo a una vasta gamma di studi, dalle supernove agli studi cosmologici. E’ gestito da un team altamente qualificato composto da circa 50 persone, tra cui astronomi, ingegneri, tecnici e personale amministrativo; è anche un importante polo di formazione per i giovani ricercatori.
L’impressione è quella di essere in un luogo piuttosto remoto, ma dove regna una gran quiete e molte curiosità e misteri ci attendono; un luogo la cui atmosfera ci fa pensare insomma all’oggetto della nostra visita: le profondità dell’universo studiate dalla radioastronomia.
Veniamo accolti dalla nostra guida nel centro visitatori, dove ci fa accomodare in un’ampia sala conferenze, per guidarci in una presentazione su questa branca della fisica, la sua storia e le sue applicazioni.
LA RADIOASTRONOMIA
Le onde radio sono un tipo di radiazione elettromagnetica con lunghezze d'onda che vanno da pochi millimetri a centinaia di metri, corrispondenti a frequenze comprese tra 3 Hz e 300 GHz. Queste onde viaggiano alla velocità della luce e trasportano energia attraverso lo spazio. Come tutte le onde elettromagnetiche, le onde radio possono essere riflesse, rifratte e assorbite da oggetti, ma grazie alla loro ampiezza maggiore possono attraversare regioni dell'universo ricche di polvere e gas che bloccano invece la luce visibile, consentendoci di osservare aree dell'universo che sarebbero altrimenti irraggiungibili.
Lo studio delle onde radio ha preso forma negli anni '30 grazie a esperimenti pionieristici di Guglielmo Marconi nella comunicazione. Nel 1937 Grote Reber costruì il primo radiotelescopio, un piatto parabolico da 9 metri che riusciva a captare onde radio provenienti dallo spazio. Il grande sviluppo avvenne negli anni '50, con la costruzione di radiotelescopi di grande calibro e la creazione di osservatori come il National Radio Astronomy Observatory (NRAO) in Virginia. Fu durante questo periodo che la radioastronomia permise scoperte fondamentali, come la radiazione cosmica di fondo, osservata nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, che confermò la teoria del Big Bang.
Il cuore della radioastronomia risiede nei radiotelescopi, che raccolgono onde radio provenienti da oggetti distanti. Un radiotelescopio è composto da un'antenna, generalmente di forma parabolica, che riflette le onde radio verso un ricevitore. Le onde sono quindi convertite in segnali elettrici che possono essere analizzati per rivelare le caratteristiche degli oggetti che emettono radiazioni. Grazie alla loro capacità di rilevare frequenze non visibili all'occhio umano, i radiotelescopi ci permettono di osservare oggetti e fenomeni come pulsar, buchi neri e galassie lontane. Inoltre, è possibile creare delle controimmagini di oggetti già osservati nella banda del visibile, scoprendone nuove caratteristiche; per esempio, è possibile localizzare stelle in formazione all’interno delle nebulose.
I radiotelescopi sono per lo più costruiti sulla Terra, poichè la stratosfera e la parte bassa dell'atmosfera non impediscono infatti il passaggio delle onde radio in molte frequenze.
I radiotelescopi a parabola sono tra i più comuni. Questi strumenti hanno una superficie riflettente di forma parabolica che raccoglie le onde radio da una vasta area e le concentra su un punto di fuoco dove si trova il ricevitore. Questo design permette di ottenere segnali molto forti e di alta qualità, ma ci sono dei limiti ingegneristici alla grandezza di una parabola.
Il problema è risolto dagli interferometri, che utilizzano una rete di radiotelescopi posti a grande distanza l'uno dall'altro. Questi telescopi non funzionano singolarmente, ma in sinergia, per simulare un telescopio molto più grande, aumentando così la risoluzione angolare e la precisione delle osservazioni. Interferometri come il Very Large Array (VLA) negli Stati Uniti permettono di ottenere immagini con risoluzioni angolari che sarebbero impensabili con un singolo radiotelescopio.
Nel corso dei decenni, la radioastronomia ha portato a scoperte rivoluzionarie che hanno cambiato la nostra comprensione dell'universo. Alcuni esempi sono la radiazione cosmica di fondo a microonde, eco del Big Bang, e le pulsar, stelle di neutroni che emettono onde radio a intervalli regolari. Inoltre, la radioastronomia ha aperto nuove strade per lo studio dei buchi neri super massicci e delle galassie attive, aiutando a comprendere meglio i meccanismi di accrescimento e la dinamica di questi oggetti estremi.
La presentazione si conclude con un video 3D con tanto di occhialini: i contenuti sono un po’ ripetitivi, in quanto riprendono gli argomenti appena esposti, ma la presentazione se non altro ha un grande impatto dal punto di vista visivo e, dopo una lunga lezione tecnica, risveglia lo stupore e l’ammirazione per l’astronomia, con immagini immersive di galassie vorticose e profondità punteggiate di stelle.
Dedichiamo ancora parte della mattinata all’esposizione interattiva del centro visitatori, sempre legata alla radioastronomia, i suoi strumenti e i progetti di ricerca dell’osservatorio.
Torniamo quindi sul pullman per raggiungere, a pochi chilometri di distanza, i telescopi dell’osservatorio. Davanti a noi si staglia un oggetto gigantesco e incredibilmente singolare: un’immensa struttura bianca in due bracci, percorsa da impalcature e una miriade di cavi metallici. E’ difficile da descrivere e ugualmente complicato sarebbe indovinare la funzione di quella che sembrerebbe una complessa scenografia di un film di fantascienza, atterrata nel mezzo della campagna emiliana. Si tratta del radiotelescopio “Croce del Nord”, che ovviamente non proviene dallo spazio, ma ci permette di sondarne i misteri. Il vento ci sferza mentre, in piedi nel prato accanto al radiotelescopio, la nostra guida ce ne illustra il funzionamento.
LA CROCE DEL NORD
Il progetto della Croce del Nord ebbe inizio negli anni '60 per volere dell'Istituto di Radioastronomia (IRA) dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). La costruzione del telescopio iniziò nei primi anni '80 e il telescopio divenne operativo nel 1984. La sua enorme apertura e il design innovativo hanno rapidamente reso la Croce del Nord uno degli strumenti principali per la radioastronomia in Europa. Nel corso degli anni, il telescopio ha subito diversi ampliamenti e miglioramenti, divenendo parte di progetti internazionali avanzati come il Square Kilometre Array (SKA), un enorme programma di radioastronomia che mira a costruire una rete di telescopi di grande scala in tutto il mondo.
Il telescopio funziona come un interferometro, con molte antenne disposte in due bracci, che lavorano insieme in sincronia per migliorare la risoluzione angolare e raccogliere segnali più deboli con maggiore precisione; in totale, ha ben 5632 dipoli (che appaiono come cavetti metallici tesi) che trasformano le onde radio incidenti in tensioni elettriche misurabili. L'antenna o braccio principale si estende per 564 metri in direzione est-ovest, il secondo per 640 metri in direzione nord-sud. Il gigantesco interferometro appare come una grande intelaiatura in acciaio chiaro su cui sono tesi sottilissimi cavi paralleli (un po’ come le corde di uno stendibiancheria). Questa configurazione molto conveniente offre un'area di raccolta del segnale radio che supera i 27.000 metri quadrati, senza però dover creare uno specchio che sia realmente così grande (dato che sarebbe ingegneristicamente impossibile). Questo permette al telescopio di rilevare segnali radio debolissimi da una vasta porzione di cielo, ma con una grande precisione angolare (circa 4–5 minuti d'arco). Opera principalmente nella banda UHF, con una frequenza centrale di 408 MHz, corrispondente a una lunghezza d'onda di 73,5 cm. Si tratta di uno strumento di transito: date le grandi dimensioni, non è possibile ruotarlo per direzionare la zona del cielo da osservare, ma si possono studiare solo gli oggetti che passano sopra all’interferometro.
In campo astrofisico, il telescopio ha permesso studi approfonditi su pulsar, quasar e altre sorgenti radio deboli provenienti da regioni lontane dell'universo. Grazie alla sua grande apertura e alta sensibilità, è stato uno degli strumenti principali per l'osservazione di eventi cosmici di grande interesse, come esplosioni di supernova e la radiazione di fondo cosmico. Viene sfruttato anche nello studio della materia oscura e dell'energia oscura, campi della fisica che sono ancora oggetto di intensa ricerca. Viene anche utilizzato per la geodetica, cioè lo studio della Terra, dal periodo dei moti del pianeta all’allontanamento dei continenti.
LA PARABOLA GRUEFF
A qualche centinaio di metri di distanza, vediamo un altro oggetto incredibile, ma sicuramente più vicino all’immaginario comune: la grande parabola bianca da 32 m di diametro, il secondo radiotelescopio del centro (quel giorno in manutenzione). A differenza della Croce del Nord, questo strumento può essere orientato per osservare diverse zone del cielo, e il diametro di 32 metri consente di raccogliere segnali radio da sorgenti molto deboli, con una sensibilità elevata e una risoluzione angolare che rende possibile l'osservazione di dettagli finissimi nei corpi celesti più distanti.
La sua costruzione ha preso avvio alla fine degli anni '90 ed è stato completato nel 2002, nel 2023 è stato intitolato all’astronomo italiano Gavril Grueff. L'obiettivo era di creare un telescopio in grado di operare in bande di frequenza più alte rispetto alla Croce del Nord e integrarsi con essa.
Il sistema di ricezione utilizza una serie di ricevitori altamente sofisticati, capaci di operare a frequenze comprese tra 1,4 GHz e 23 GHz, tipiche di galassie lontane, pulsar e fenomeni astrofisici ad alta energia. Il telescopio è equipaggiato con strumenti di ultima generazione, tra cui un sistema di focalizzazione avanzato che permette di raccogliere segnali a bassa interferenza, e una serie di filtri per ridurre il rumore di fondo, migliorando ulteriormente la qualità delle osservazioni.
È fondamentale anche per il monitoraggio delle supernove e delle esplosioni di raggi gamma, eventi catastrofici che forniscono informazioni preziose sui processi energetici dell'universo. Il radiotelescopio ha anche contribuito alla mappatura della radiazione cosmica di fondo, una delle prove principali a favore della teoria del Big Bang. Inoltre, è stato utilizzato in esperimenti SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), in cui si cerca di identificare segnali radio provenienti da possibili civiltà extraterrestri. Un'altra applicazione è il tracciamento di oggetti in orbita, come satelliti e detriti spaziali, contribuendo alla gestione del traffico spaziale e alla sicurezza delle missioni.
Terminata la spiegazione della guida e dopo aver esaurito anche le nostre domande, ci fermiamo per il pranzo in pizzeria, prima di affrontare il lungo rientro su strada. Ringraziamo le docenti per aver organizzato questa giornata particolare ed interessante, arricchendo il nostro programma in fisica e scienze!
Giungiamo ad Abbiategrasso quando il cielo è tornato buio, così come lo avevamo lasciato alla partenza. Si possono intravedere le prime stelle serali, che ci ricordano delle tantissime informazioni (conosciute e sconosciute) che la visita di oggi ci ha lasciato. Soprattutto però ci ha lasciato, come sempre fa la grande scienza, quel senso di meraviglia e grandiosità per tutta la conoscenza che l’umanità ha conquistato e tutti i misteri che ancora rimangono da svelare. Ci ha ricordato come il fascino del cosmo non stia solo nel cielo stellato che brilla nei nostri occhi curiosi, ma anche negli enigmi invisibili al nostro sguardo. Ci ha regalato un senso di sublime per oggetti remotissimi, nello spazio e nel tempo, che il genio umano è riuscito comunque a raggiungere, e soprattutto, per quelle zone che sembrano ancora buie, ma potrebbero celare segreti incredibili.
“L’essenziale è invisibile agli occhi.” - Antoine de Saint-Exupéry
Articolo e fotografie di Martina Cucchi 5BL
FONTI (siti visitati per come supporto e verifica delle informazioni apprese durante la visita)
Stazione radioastronomica di Medicina - Wikipedia
Radiotelescopi di Medicina - INAF
https://edu.inaf.it/speciale-radioastronomia/
https://public.nrao.edu/radio-astronomy/the-science-of-radio-astronomy/
https://www.med.ira.inaf.it/crocedelnord.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Medicina_Radio_Observatory
https://rahist.nrao.edu/G.Bianchi-HISTELCON%202023%20Firenze.pdf
Naruto, di Martina Cucchi
Tecnica: pennarelliDalla cultura agli anime
Coloratissime capigliature, trame illogiche quanto complesse, con combattimenti tanto appassionanti quanto fisicamente improbabili, personaggi bizzarri e indimenticabili: chi non ama gli anime?
Storicamente, l'Italia è stato uno dei primi paesi ad importare anime e soprattutto tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta furono oltre un centinaio le serie acquistate, probabilmente come in nessun altro paese occidentale.
Il secondo incontro di storia viva è stato dedicato proprio a loro, come continuazione più leggera delle due lezioni sul Giappone proposte dai professori di storia e filosofia Maltagliati e Toffoletto.
L’obiettivo della lezione del 12 febbraio è stato quello di andare alla ricerca nelle serie anime più note dei concetti propri della filosofia nipponica, che si erano precedentemente evidenziati nella lezione più storica. Infatti, sebbene nascano principalmente come prodotti di intrattenimento, molti di essi fanno riferimenti a concetti culturalmente significativi o sviluppano tematiche psicologiche e personali complesse all’interno delle trame e dell’evoluzione dei personaggi; proprio per questo, soventemente degli Shounen, cioè serie per ragazzi, si trasformano durante la narrazione in prodotti più maturi dai toni serie e cupi. Essendo entrati ormai nell’immaginario collettivo, forse potremmo non fare caso a questi elementi particolari, oppure ignorarne il significato e le caratteristiche della loro società di provenienza.
La serie “Evangelion”, per citare un esempio, spicca per i temi psicologici, come la ricerca di una definizione per la propria identità ed il proprio essere, o l’accettare di imporre delle regole che limitino la nostra libertà pur di avere un’indicazione da seguire
“Tante cose uguali, tante cose inutili”
Riallacciandosi al problema giapponese (e non solo) di ricostruire il mondo dopo la guerra, alcune produzioni offrono degli “spunti” di carattere -che potremmo azzardare- universale per creare un’umanità pacifica. E’ rilevante notare come in questo senso non si riscontri molto ottimismo: l’antagonista Madara Uchiha in Naruto vorrebbe creare un’ipnosi eterna per controllare i cittadini come unica via certa per mantenere l’ordine, dato che la natura umana è intrinsecamente portata al conflitto:
“In this world, wherever there is light, there are always shadows. As long as there is a concept of victors, the vanquished will also exist. The selfish desire for peace gives rise to war. And hatred is born in order to protect love.”
Impossibile non pensare al concetto di Yin e Yang: non può esistere nulla di buono in assoluto, poiché il desiderio di conservare ciò che è bene porterà inevitabilmente a scontri, facendo nascere un male, che non è più finalizzato a sé stesso ma giustificabile.
Buono o cattivo non valgono per ciò che è al di sopra delle parti, e farà semplicemente ciò che ritiene autoreferenzialmente giusto: ecco la definizione di kami che sempre la serie Naruto applica al cattivo Pain; i kami, cioè gli dei giapponesi, non corrispondono all’idea di divinità benevole, ma piuttosto sono più vicini al pantheon politesta classico, essendo volubili e spietati.
“"We Act According To Our Own Sense Of Justice."”
Martina Cucchi
Itachi, di Martina Cucchi
Tecnica: pennarelli16 ottobre 2023, Bühlertann
Caro diario,
oggi ho iniziato una nuova esperienza.
Sai, è stata una giornata molto stancante.
L’ho iniziata con una colazione veloce mentre riflettevo sulla giornata che mi aspettava.
Non riuscivo a credere che fosse arrivato il giorno della partenza, sentivo un miscuglio di emozioni, tra ansia ed entusiasmo non sapevo più quale fosse la sensazione predominante.
Mi è sempre piaciuto viaggiare e grazie alla scuola ho avuto la possibilità di venire qui in Germania per un gemellaggio con la mia classe, accoppiati con gli studenti della “Peutinger Gymnasium” di Ellwangen.
Il posto in cui mi trovo ora è Bühlertann, un villaggio vicino ad Ellwangen.
Le quasi 8 ore di viaggio mi hanno stancato più del previsto, ma poi, appena arrivata qua e accolta dalla famiglia ospitante, ho capito quanto fossero felici di conoscermi.
Tutta l’ansia e la paura che sentivo durante il viaggio si era alleviata, dando spazio a tanta curiosità ed entusiasmo nel voler conoscere queste persone.
Nel tragitto verso casa, il cielo si tingeva di rosso mentre il sole tramontava lentamente.
Mi hanno fatto fare una tappa in un castello del villaggio e raccontato la sua storia.
Non nego che inizialmente mi ha messo un po’ paura quel racconto, quindi ti direi che come inizio non è stato proprio il massimo, ma poi arrivata a casa non mi hanno fatto mancare di nulla.
A seguito di una doccia, tante chiacchiere con la famiglia e una lezione di musica, mi sono ritrovata una tavola con diversi piatti tipici abbellita da candeline.
La cena, preparata con cura, ha riempito la casa di profumi deliziosi.
Mentre mangiavo, ho scambiato qualche parola qua e là con la famiglia. Inizialmente è stato abbastanza imbarazzante, soprattutto ritrovarmi qualche battuta che non capivo e fingere una risata, diciamo molto isterica, ma poi tutto si è risolto.
Devo ammettere di non riuscire a capire mezza frase nel loro dialetto tedesco.
Mi sarebbe piaciuto fermarmi a parlare un altro po’ con tutti loro, ma sono troppo stanca e quindi eccomi qua che mi sto preparando per una notte di riposo, scrivendo i miei ultimi pensieri e non vedendo l’ora che arrivi domani.
18 ottobre 2023
Caro Diario,
sono state due giornate piuttosto intense.
Ieri mi sono svegliata con una sensazione di ansia, perché avrei dovuto prendere un pullman pubblico per arrivare a scuola con la ‘mia tedesca’, la paura per i pullman non gioca un ruolo molto positivo nella mia vita, ma ho cercato di affrontare la giornata con positività. Ho trascorso la mattinata a scuola. La giornata è iniziata con una cerimonia di benvenuto da parte della preside e il professore che ha organizzato questo gemellaggio con il mio insegnante.
Rivedere i miei compagni è stato bello, eravamo molto entusiasti di raccontarci come fosse stata la prima serata con le nostre famiglie.
Dopo una pausa pranzo, nel pomeriggio siamo tornati a scuola per la grande giornata sportiva divertente organizzata per noi studenti dello scambio.
La sera, invece, è stata dedicata ad un’altra cena tranquilla in famiglia.
A seguito della giornata di ieri posso dire che è stato molto interessante notare le differenze del sistema scolastico in Germania e nonostante le differenze linguistiche, grazie alla voglia di conoscerci, è stato facile comunicare.
Ma se ieri è stato stancante, oggi il triplo.
Non siamo andati a scuola, siamo partiti la mattina presto per dirigerci a Stoccarda, la visita di questa città ci ha permesso di vedere un parlamento tedesco e soprattutto il “Mercedes-Benz Museum”, lasciandomi affascinata dalla bellezza di alcune macchine presenti.
La sera invece le nostre amiche tedesche ci hanno portato in un ristorante e lasciato assaporare la cucina tedesca.
Ora sono a casa, mi piace tanto stare qua, è tranquillo, a contatto con la natura e tutto particolarmente pulito.
Ora però è meglio che vada a dormire, la stanchezza si sta facendo sentire, domani mi aspetta un'altra lunga giornata.
20 ottobre 2023
Caro diario,
in questi due giorni, non ho avuto un attimo di tregua, immergendomi in un vortice di emozioni e scoperte mentre giungiamo all'ultima serata di questa straordinaria esperienza di gemellaggio con la città tedesca.
La giornata di ieri è stata un susseguirsi di luoghi incantevoli, partendo dalla visita alla pittoresca città di Dinkelsbühl al mattino, per poi tuffarci nel pomeriggio nella suggestiva birreria di Rotochsen.
La serata è stata la ciliegina sulla torta con una festa di gemellaggio, unendo tutte le famiglie tedesche e gli insegnanti. La musica e l'abbondanza di cibo hanno creato un'atmosfera festosa che ha rafforzato i legami tra le nostre comunità, lasciando un'impronta indelebile di amicizia.
Oggi, la mattinata è stata dedicata a una visita in un tunnel, dove però per l’ennesima paura per i luoghi ristretti non sono riuscita a vivermi appieno l’esperienza.
Nel pomeriggio, invece, abbiamo esplorato Aalen con i nostri amici tedeschi, alcuni di noi concentrati sui souvenir, altri nello shopping.
È qui che ho iniziato a sentire una leggera nostalgia, rendendomi conto che da domani sera non rivivrò più tutte queste avventure.
La serata è stata l'apice di questo viaggio. Ho trascorso il tempo con i miei amici tedeschi e la mia classe, celebrando, ballando e cantando. Avrei voluto che questa festa non finisse mai.
Rientrata a casa, una dolce sorpresa mi attendeva dalla mia famiglia ospitante, insieme a un toccante discorso che mi ha fatto capire quanto mi mancherà tutto questo.
Caro diario, per oggi è tutto.
Vado a dare la buonanotte alla mia affettuosa famiglia ospitante e mi avvolgo nelle coperte, portando con me i ricordi di questi giorni indimenticabili.
21 ottobre 2023
Caro Diario,
Aaah, che stanchezza!
Il viaggio di ritorno è stato un susseguirsi di sonno, e credo di aver dormito praticamente per l'intero tragitto.
Ieri sera è stata lunga con la mia amica tedesca, ci siamo perse in chiacchiere senza renderci conto dell'orario. La mancanza di sonno ha prevalso, e sono sprofondata nel sonno durante il viaggio.
Ora che sono finalmente a casa, provo un senso di sollievo, ma la mancanza della mia famiglia ospitante si fa sentire.
Appena arrivata, ho colto l'occasione di sentire la mia famiglia e far loro sapere che il viaggio è andato tutto bene.
Stasera, mi trovo immersa in riflessioni.
Tra ansie e curiosità, penso di aver vissuto una delle esperienze più belle regalatemi dalla scuola fino ad oggi e rifarei tutto nonostante le paure iniziali.
Mi mancherà tutto, dalla calda accoglienza della famiglia alle piccole attenzioni, come le bottiglie di Coca Cola che mi venivano preparate ogni mattina, perché la madre si era ricordata fosse la mia bibita preferita., come a scuola tra una risata e l’altra, io e le mie amiche abbiamo fatto diversi apprezzamenti sulla bellezza dei tedeschi, ma soprattutto, le cene e l'affetto sincero che la famiglia ha saputo donarmi.
Spero davvero di riuscire a mantenere viva l'amicizia che si è creata in questi giorni. Ogni momento trascorso con la mia famiglia ospitante ha reso questo viaggio unico e irripetibile.
Adesso, con il cuore pieno di emozioni e la mente ricca di ricordi preziosi, chiudo questo capitolo del mio diario.
A presto.
Tabasum Tanzina
Nelle settimane successive alla riaccensione del conflitto in Palestina, il dipartimento di storia e filosofia del nostro istituto si è attivato per organizzare un incontro che potesse fare chiarezza sullo sfondo storico e geografico della situazione, e successivamente proporre un dialogo costruttivo e di confronto. La trattazione di questo argomento di attualità era stata infatti piuttosto eterogenea nelle classi: una parte degli insegnanti aveva semplicemente evitato il tema, altri avevano cercato di fornire delle introduzioni generali o un quadro storico in alcuni casi approfondito e con lavoro sulle fonti moderne, ma si sono anche verificate “tensioni” nei casi in cui si è affrontato il dibattito; il problema principale potrebbe essere stato la conoscenza superficiale della situazione, unita all’eccessivo bombardamento da parte dei mezzi di informazione che in alcuni casi è proceduto quasi per slogan e luoghi comuni, che si rischia di adottare per partito preso, senza una comprensione reale e profonda.
La conferenza è stata proposta durante l’orario scolastico alla classi quinte, e ripetuta nel pomeriggio di venerdì 24 novembre per tutti gli studenti interessati.
L’incontro è stato aperto dal professor Pietro Toffoletto, che ha presentato i relatori e organizzatori dell’incontro come “innanzitutto professori di storia e filosofia” con il proposito di “far parlare i fatti, anche se non è sempre facile”. Ha evidenziato inoltre la difficoltà nel trovare fonti affidabili nell’immediatezza del conflitto, poichè è difficile reperire attualmente dei testimoni diretti; in più, la mole di informazioni, sia storiche sia di attualità, è immensa e di provenienze diverse, perciò richiede un confronto incrociato. Per ottenere un’informazione quanto più completa e affidabile si propone perciò di tentare una ricerca “onesta”, partendo dalle fonti ufficiali ma cercando di cogliere più spunti possibili.
Successivamente, il professor Paolo Maltagliati ha illustrato gli antecedenti storici dello stato di Israele e della Palestina, risalendo fino al 721 a.C. e correlando l’esposizione con cartine storico-politiche. La spiegazione ha rivelato un quadro sicuramente complesso (molto più complesso di quello che le testate giornalistiche quotidiane possono mostrarci), e penso che il messaggio fondamentale, al di là di date o nomi di trattati, sia che non si possa puntare il dito con leggerezza contro nessuno. Ognuno ha le sue colpe e le sue ragioni, e l’ingerenza – nonchè frequenti “voltafaccia” – di altri stati, come l’Inghilterra, non hanno aiutato la situazione; infine, anche gli interventi dell’ONU sono stati tragicamente vani, poiché Israele non ha rispettato le numerose risoluzioni volte a stabilire una maggiore equità nella distribuzione territoriale.
A seguire, è stato lasciato spazio ai commenti e alle domande dei partecipanti, con i due docenti come moderatori. In particolare, la parola è stata presa da alcune studentesse per ricordare come non si dovrebbe parlare di una “guerra di religione”, ma fra due popolazioni per un territorio, e come la popolazione palestinese viva e abbia vissuto ingerenze e limitazioni da parte dell’esercito israeliano. Per questo il loro invito è stato quello di non giudicare a prescindere le parti in causa, ma di analizzare la situazione con maggiore equità e poterne discutere oggettivamente e in modo costruttivo anche a scuola, come appunto si stava facendo durante l’incontro. Le stesse hanno poi organizzato, con la supervisione e l’aiuto della prof.ssa Margherita Quaglia, una raccolta fondi per sostenere il fondo di emergenza di Medici Senza Frontiere nell’aiuto della popolazione della striscia di Gaza.
Infine, il prof.re Toffoletto ha mostrato alcuni esempi di collaborazione positiva fra i popoli per auspicare una distensione della situazione e come un dialogo dovrebbe essere possibile. Fra questi, in particolare è significativo quello dell’orchestra diretta da Daniel Barenboim, la West-Eastern Divan Orchestra, un’orchestra sinfonica che unisce giovani musicisti professionisti provenienti da Israele e da diversi Paesi arabi, con lo scopo di favorire attraverso la musica classica il dialogo e la convivenza pacifica. I musicisti hanno infatti dovuto discutere se mantenere viva la loro formazione dopo i terribili avvenimenti, decidendo – non alla cieca, ma dopo una riflessione insieme – di proseguire con il loro progetto.
Lasciando spazio ad un commento personale, ho trovato questa iniziativa fondamentale per fornire un approccio “accademico” più trasparente, critico ed imparziale, nonché per ascoltare direttamente anche le opinioni degli studenti. E’ stato un sincero e lodevole tentativo di informare correttamente la componente studentesca, poiché non credo che anche in questa occasione i canali di informazione principali abbiano fatto il loro dovere in modo professionale. Mi è parso che soprattutto nelle prime settimane del conflitto i giornali abbiano sfruttato eccessivamente l’impatto emotivo sulla popolazione, proponendo titoli sensazionalistici e “poco equi” rispetto alle parti del conflitto.
Per esempio, il celeberrimo Corriere della Sera ha aperto l’edizione del 9 ottobre con “Israele, oltre 700 morti” e le foto di alcuni giovani rimasti uccisi durante “il massacro al rave dei ragazzi nel deserto”, con l’ordine di “Non dimenticare questi volti, mai”. La Repubblica proponeva come titolo “Il dramma degli ostaggi” ma ricorda “400 vittime” dei bombardamenti sulla striscia di Gaza, da La Stampa “Massacro in Israele” con pronostici catastrofisti sulla dissoluzione della geopolitica mondiale e nessuna menzione delle vittime a Gaza. Premettendo che questo scritto non vuole in alcun modo negare o screditare la tragedia che è avvenuta e sta tuttora avvenendo, e che non si supporta o giustifica in alcun modo il ricorso alla violenza da parte di una qualsiasi delle parti in causa, mi permetterei di commentare che delle testate giornalistiche di tale importanza non si possono permettere di fare solo leva sulle emozioni della popolazione scioccata da questi eventi; dovrebbero, invece limitarsi a eseguire dei reportage affidabili, completi e imparziali, lasciando che siano i lettori a formarsi una propria opinione personale (per quanto sia pur vero che l’argumentum ad passiones, l'appello alle emozioni, è da secoli la fallacia argomentativa preferita da ogni oratore e tale rimarrà…).
Guardando al futuro, ci si augura che non solo i cittadini ma anche i governi di tutto il mondo facciano affidamento alla ragione e non all’emotività, e ricordino che non esiste una sola prospettiva sulla realtà.
A proposito di altre visioni, gli incontri di Storia viva proseguiranno durante il secondo quadrimestre per affrontare altre tematiche legate al mondo orientale: innanzitutto, approfondire gli effetti del colonialismo e dell’apertura al mondo occidentale sulla Cina e sul Giappone durante l’800, per passare al più (apparentemente) leggero tema di come la nostra cultura e il mondo dei manga e degli anime si influenzino a vicenda; poi, trattare della Guerra in Vietnam, come altro esempio di relazione problematica tra Occidente e Oriente. Si auspica che possano infondere agli studenti una visione d'insieme più ampia rispetto a temi che purtroppo non si ha sempre il tempo di affrontare in modo approfondito entro i programmi scolastici, per dare qualche strumento in più per vivere con maggiore consapevolezza il nostro mondo moderno, che sembra sempre più piccolo, data l’intensità della globalizzazione, ma che, in realtà, è sempre immensamente grande e variegato.
Martina Cucchi
Walking in Gaza. Have you ever tried walking in their shoes? , di Fatima Lamiri
TECNICA GRAFICA: DigitaleOrmai da qualche tempo, fa piuttosto notizia tra le studentesse e gli studenti del Bachelet il problema dell’incuria nei bagni.
Non solo è presente sporcizia, ma - soprattutto nei bagni femminili - vagano qua e là assorbenti usati e carta igienica sporca.
Malgrado lo sforzo delle collaboratrici scolastiche, il problema non si attenua, anzi sembra peggiorare sempre di più.
Le autrici di questi gesti non si sa mai chi siano e soprattutto non si sa quante siano: si sa solo che il problema sta degenerando al punto che il corpo docente e i genitori vogliono intervenire per arginare questa situazione.
Una soluzione trovata dalle collaboratrici scolastiche è stata la distruzione della carta igienica a ogni ragazza che va da loro di persona a chiederla per usare il bagno.
Una soluzione trovata è stata quella di dover richiedere la carta igienica per utilizzare il bagno direttamente allə collaboratorə scolasticə.
Purtroppo la sporcizia dei bagni non è l'unico problema, perché la scuola sta subendo furti e danni al materiale, soprattutto negli spogliatoi della palestra, come successo anche di recente.
Sfortunatamente questi episodi non si svolgono solo in istituti di istruzione superiore come il nostro, ma anche in altre scuole, persino quelle primarie.
La situazione sta diventando sempre più imbarazzante e drammatica: saranno gli stessi autori che sporcano i bagni oppure altri soggetti che si divertono in un modo così idiota?
Quali soggetti possono essere così idioti da divertirsi a sporcare i bagni (senza voler indagare su ulteriori dettagli)?
Nonostante l'interessamento del preside, non sono mai stati rivelati i nomi dei responsabili di queste azioni infantili, e, soprattutto, coloro che sono stati derubati non sono più entrati in possesso dei beni sottratti.
Si potrebbe ovviare a questo inconveniente dei furti, dotando di una chiave per chiudere anche gli spogliatoi?
Non solo: emerge anche il problema dei distributori automatici, dove negli anni precedenti sono avvenuti furti di soldi, motivo per il quale oggi sono munite di chiavette; ciò però non impedisce ai soggetti di scassinarli qualvolta rimane incastrata una merenda portando poi al malfunzionamento del distributore. Per non parlare delle sedie rotte in aula magna, per poi lamentarsi che la scuola non fornisce oggetti indispensabili per la vita di un alunno.
Le soluzioni della distribuzione della carta e delle chiavi per gli spogliatoi, possono risolvere queste questioni solo in parte. Il problema è purtroppo ben più profondo: occorre maggior educazione, sensibilizzazione degli utenti degli spazi comuni e al rispetto del prossimo, tutte cose che sembrano ormai ‘fuori moda’. Ci sarebbe da chiedere a questi soggetti che lasciano i bagni in condizioni inagibili se a casa loro si comportano nello stesso modo. E a coloro che rubano, piacerebbe trovarsi vittime di un furto?
Tanzina Tabasum
Ciao a tutti! Siamo un gruppo di ragazzi di terza dell’istituto tecnico, del liceo linguistico, del liceo scientifico e del liceo delle scienze umane.
Insieme ai nostri professori e in collaborazione con l’agricoltore Marco Cuneo @ortidelparco abbiamo deciso di intraprendere questa avventura: creare e coltivare un orto nel nostro grande giardino scolastico con il progetto "Orti-Cultura", un orto nel quale coltiveremo - oltre agli ortaggi - la conoscenza e l'amore per la nostra terra, insomma la cultura agricola del nostro territorio!
Video di Davide Bertolotti
Dopo due conferenze (delle quali vi parleremo… no spoiler) intorno a cibo, salute e sostenibilità ambientale abbiamo pensato a cosa coltivare e la scelta è ricaduta su (fingers crossed 🤞🏻): patate, zucche, mais, arachidi e luppolo.
Ci siamo subito rimboccati le maniche e con l’aiuto di Marco Cuneo (e del motocoltivatore) abbiamo iniziato a preparare il terreno utilizzando la zappa e il rastrello, liberandolo dai sassi e ammorbidendolo con la canna dell’acqua (meno male che Madre Natura ci sta dando una mano!)
La prossima cosa che ci serve... beh ce la potete dare voi! Per aiutarci e sostenerci nel progetto potete portare a scuola i fondi di caffè (macchinetta, cialda svuotabile o moka) e lasciandoli nell’apposito contenitore all’ingresso; questo ci aiuterà ad arricchire la terra in modo naturale ed eco-logico!
Grazie mille!!! ☕
PS: abbiamo un account Instagram, che sarà il nostro "Diario dell'orto", seguiteci!
Il ricordo di quell'incontro è nitido nella mia mente, come se fosse avvenuto ieri, ma è trascorso ormai più di un mese da quando abbiamo
avuto l'occasione di ascoltare la testimonianza di Francesco, ex latitante e narcotrafficante internazionale. Personalmente anche io farei un balzo in aria dopo queste parole, ma ora come ora ci tengo solo a ringraziare profondamente il professor Trapani, che ci ha dato la possibilità di sentire e percepire un racconto del genere in prima persona. Non fermatevi qui, non chiedetevi come è stato possibile, ma siate grati che la scuola abbia organizzato un tale incontro ed io, al mio ultimo anno qui, spero vivamente che questa possa essere un'iniziativa ripetibile, capace di sensibilizzare e far riflettere altri ragazzi come me.
Non saprei da dove partire per raccontare cosa mi ha colpito e come mi sono sentita quel giorno. Inizialmente ero un po' dubbiosa, avevo paura che quell'incontro mi avrebbe portato solo pensieri negativi, sia riguardo l'argomento che la persona stessa che lo stava esponendo. Mi sono resa conto che la partecipazione ad una tale testimonianza non si riduce al solo ascolto: non serve aver vissuto quello che questa persona sul palco ci sta raccontando, l'esperienza di quei continui trasferimenti da un istituto detentivo all'altro, ma è necessario cercare di capire il suo pentimento e il suo cambiamento. Ecco, forse ciò che più di qualsiasi altra cosa mi ha toccata nel profondo è stato il modo con cui ha affrontato la sua vita e come è riuscito a cambiare utilizzando i suoi errori come occasioni per cambiare. Ho percepito il pentimento, il dispiacere, ma soprattutto la sincerità nei suoi occhi, più che nelle parole. Il dispiacere di cosa? Di aver perso o volontariamente allontanato qualsiasi tipo di affetto pur di proteggerlo, non coinvolgere nessuno, dimostrare ai propri cari che nonostante tutto non smetterà mai di amarli, con la consapevolezza che non tutti sarebbero potuti restargli accanto.
Non sono brava con le parole, sono qui solo per testimoniare il suo coraggio e la sua volontà di cambiare; credo che sia stato proprio questo lo scopo dell'incontro: noi, diciottenni in ascolto, siamo stati messi in guardia dal mondo che ci aspetta là fuori. Avere la forza di poter dire "no", di non smettere mai di amare e credere in noi stessi, anche quando ci sembra di non vedere alcuna luce in fondo al tunnel. Francesco ci ha dimostrato che questo non solo è possibile a parole, ma
effettivamente realizzabile, se davvero è ciò che si vuole.
Appena ha accennato alla storia di suo fratello io ho subito alzato le mie antenne, ponendo ancora più attenzione alle sue parole. A questo riguardo avrei moltissimo da dire, come sorella minore è stato inevitabile sentirmi particolarmente coinvolta. Solo un tale gesto nei confronti
di una persona amata, per provare a salvare un minimo di ciò che resta di lui, poteva farmi affondare completamente nei miei pensieri. "Adesso mio fratello ha sessant'anni", mi ha detto Francesco.
Non ho potuto fare altro che sorridergli, nonostante avessi capito quanto gli stesse facendo male aver passato anni senza poter esprimere il proprio legame fraterno, senza essere amato e senza aver la possibilità di provare qualcosa. Un dolore tanto grande e represso da portarlo ad essere sul punto di rinunciare a tutto, a sé stesso, rinunciare alla possibilità di diventare migliore. Quando stava per toccare il fondo è arrivata la scintilla che ha stravolto tutto, che gli ha dato l'occasione di aggrapparsi a una mano che gli era stata tesa al solo fine di farlo risalire da quell'abisso così profondo.
Il 23 febbraio scorso Francesco ha avuto la volontà e la forza di raccontare a cinquanta e più ragazzi la sua storia, non sapendo come l'avremmo giudicato e cosa avremmo pensato di lui. Ciò che mi ha indirettamente detto è che di coraggio ne disponiamo tutti, dobbiamo solo trovare il modo di tirarlo fuori, parlare, agire, cambiare, ma farlo per noi. Mi ha fatto capire che lasciar perdere non è mai un'opzione, se si tratta di perdere sé stessi e rischiare di non avere più un'altra possibilità di tornare indietro. Solo noi siamo gli artefici della nostra vita, a noi sta scegliere come vogliamo condurla e quest'incontro mi ha fornito molti spunti su come migliorarla.
In questo pezzo non ho voluto soffermarmi sulla sua storia, non era questa la mia idea, spero solo che chi legge possa in futuro avere un'occasione come quella che è capitata a me, per togliersi da dentro un peso che ci si porta da tanto e riuscire a cambiare. Non rinunciare mai alle proprie passioni, non sentirsi mai così fragili di fronte a esse, perché solo queste potranno salvarci dall'amarezza della vita.
“Quando entri a far parte di questo mondo non capisci mai realmente quanto vale la libertà, finchè non rimani rinchiuso per anni in una cella senza poter vedere il mondo esterno e come progredisce senza di
te”.
- cit. Francesco Castriotta, 22/02/2023.
Non è facile per me parlare di quel giorno, far uscire i sentimenti e le sensazioni che quell’incontro del 22 febbraio ha lasciato in me. Quel giorno ho avuto la possibilità di partecipare a un incontro con un detenuto: Francesco Castriotta, ex narcotrafficante e latitante; questa possibilità si è realizzata grazie all'iniziativa dell professor Trapani, il quale oltre ad essere un docente di religione è da tempo impegnato ad aiutare e accompagnare in un percorso riabilitativo Francesco e tante altre persone che hanno conosciuto il carcere. Inizialmente, lo ammetto, non ero molto convinta di questo incontro, avevo molti dubbi e perplessità perchè, per esperienza personale, avendo il papà in carcere, non credevo che una persona potesse cambiare o meglio che qualcuno che avesse causato così tanto dolore e commesso tanti errori nella vita potesse cambiare. Appena sono entrata in Aula Magna il professor Trapani mi ha invitata sul palco per scambiare due parole con Francesco. Fin da subito ho notato una cosa che catturava la mia attenzione mentre parlavamo: gli occhi, o per meglio dire lo sguardo: non era come me lo immaginavo, aveva qualcosa di diverso e avrei capito subito dopo, mentre raccontava la sua storia, che cosa fosse.
Quando Francesco ha iniziato a raccontare la sua storia non sono rimasta così colpita dalle sue parole, come detto in precedenza, nella mia vita ho già avuto a che fare con il mondo criminale anche se indirettamente. Eppure nell’esatto istante in cui ha nominato la sua famiglia e ha iniziato a raccontare tutto il dolore che la sua vita da criminale gli aveva causato, sono crollata in un pianto. Fino a quel momento non ero consapevole di saper cosa si provasse ad essere dall’altra parte, sapevo benissimo cosa significasse volersi allontanare e distaccare da un famigliare che aveva intrapreso quella strada senza riuscirci, perché inevitabilmente facendo parte dello stesso tipo di famiglia so quanto sia facile essere associati a quest’ultimo. Francesco quel giorno ha ammesso che nella sua vita aveva abbandonato l’amore e l’affetto verso chiunque, perchè chiunque gli stesse vicino poteva essere ferito per colpa sua, a causa della vita che
aveva scelto di intraprendere.
Queste parole mi hanno fatto riflettere molto e mi hanno portato a svolgere un lavoro di introspezione. Ho pensato tanto dopo quest'esperienza e pensare a queste cose, ovviamente, comporta anche il riaprirsi di una ferita, ma quel giorno ho capito una cosa, Francesco, in privato, appena dopo la fine dell’incontro mi ha detto queste parole: “lasciati quel passato alle spalle, ti farà solo del male per quello che mi hai detto, allontanatene e vivi la tua vita”. Fin da piccola mi sono sempre incolpata per le azioni di mio papà, il fatto che non mi cercasse mai, ma da quel giorno ho deciso che non mi sarei più fatta influenzare da quel mondo, perchè, semplicemente, non mi apparteneva più. Il professor Trapani ci ha fatto un regalo enorme il giorno in cui ha deciso di proporre un progetto così importante alla scuola, perchè al giorno d’oggi, più che mai, c’è la necessità di dover mostrare ai ragazzi in cosa consiste davvero il mondo della criminalità, portarli a domandarsi se è davvero questa la vita che si vuole seguire, se davvero ci sivuole circondare di dolore, di tanti rischi e della continua assenza di amore.
Negli ultimi anni vedo sempre più ragazzi davvero giovani che intraprendono questa strada solo per il desiderio di sentirsi importanti, per sentire l'ebbrezza di essersi “fatti un nome”, essersi fatti conoscere,
perché purtroppo nella società odierna, per la smania di sentirsi qualcuno di importante, i ragazzi sono disposti a rovinarsi la vita senza che se ne possano rendere conto e l’unico modo per far sì che ragionino su questo aspetto tanto delicato della propria vita è che ascoltino qualcuno che effettivamente questa vita l’ha vissuta.
Come ha affermato Francesco, lui non si perdonerà mai per tutto quello che ha fatto ma spera che attraverso la sua testimonianza almeno una persona su cento possa cambiare per tempo la via che sta percorrendo, per non ripetere i suoi stessi errori e quelli di tanti altri. Che almeno un ragazzo su cento possa salvarsi da questo mondo che ti ingloba in una fantasia di potere che è del tutto illusoria perché ti porta soltanto a perdere la sicurezza e l’amore.
Sono convinta che incontri di questo genere dovrebbero essere proposti più spesso nelle scuole perché potrebbero davvero fare la differenza nella vita di ciascun ragazzo. Sarò sempre grata al professor Trapani e alla scuola per avermi permesso di vivere un’esperienza tanto forte quanto costruttiva per la mia vita e spero anche per la vita di altri studenti, che come me fino ad allora non avevano avuto l'occasione di smuovere quelle emozioni e quei pensieri che erano chiusi in una stanza buia, nella quale, magari, grazie a questo incontro è entrato finalmente uno spiraglio di luce. Il consiglio che posso dare io, dopo aver partecipato a questo incontro, ai ragazzi che stanno leggendo questa mia testimonianza è quello di restare fedeli al proprio essere: non cambiate mai solo per essere notati dalle altre persone, solo per avere un po' di fama, perchè quando una persona decide di starvi accanto lo fa sempre per ciò che siete davvero. Non intraprendete questa strada, qualsiasi motivo possa esserci, perchè si tratta della vostra vita e di come questa potrebbe diventare pericolosa, ingestibile, piena di falsità e sofferenza; ricordate che qualsiasi sia il problema c’è sempre un’altra via, anche se magari può significare attraversare un temporale o vedere sulla propria strada un macigno in più da superare. Quando vi guarderete indietro vedrete i sacrifici fatti per ottenere una vita più dignitosa e sarete sollevati di avere cambiato strada quel giorno.
Per la rubrica "Le Interviste (im)possibili" incontriamo Michele Raffaeli, che è stato Dirigente Scolastico Reggente presso la nostra scuola durante la prima metà di quest'anno scolastico e che ci ha gentilmente ricevuti nel suo ufficio per confrontarsi con la redazione e raccontarci le sue impressioni su questa nuova esperienza professionale... e non solo!
Cogliamo l'occasione per ringraziarlo per la gentile disponibilità e per la sua reggenza, ormai giunta al termine, ma anche per dare un caloroso bentornato al preside Giovanni Ferrario!
Intervistatrici: Sofia Rebagliati e Alice Scuri
Tecnica fonica: Hagar Eloziri
Video operatrici: Jessica Jaku, Sara Lamiri e Likaa Mohamed
Produzione e montaggio: Davide Bertolotti e Mattia Canali
Si ringraziano per la collaborazione i proff. Alessio Rossodivita e Marco Terranova
Con la collaborazione di WIP (Work In Progress), ogni anno la nostra scuola organizza uno spettacolo per la giornata della memoria. Quest’anno, insieme al gruppo musicale e al coro, ha dato vita a Foto ricordo, una rappresentazione teatrale, che, attraverso le interpretazioni degli studenti dell’Istituto, ha raccontato in modo diretto avvenimenti dolorosi, pezzi della nostra storia novecentesca da non dimenticare, perché la memoria non sia solo qualcosa del passato ma interroghi anche il nostro presente.
Questa doppia intervista nasce dunque dall'esigenza di raccontare le splendide iniziative che ogni anno prendono forma durante i corsi di teatro proprio qui, nella nostra scuola, e che coinvolgono alunni e alunne (...ma anche autentici professionisti della Settima Arte) come è avvenuto anche quest'anno con Foto ricordo, un coinvolgente viaggio nella memoria delle tragedie della nostra storia più recente che è riuscito ad emozionare la platea del Bachelet (ma anche quella della scuola media Terzani) combinando magnificamente musica e teatro.
Per questo motivo abbiamo deciso di coinvolgere una delle giovani attrici dello spettacolo, Chiara Antraciti, e il regista che ha dato vita ad esso, Alessandro Treccani.
Ciao Chiara, raccontaci per prima cosa come mai hai deciso di iscriverti ad un corso di teatro organizzato dalla nostra scuola e come valuti fino ad ora quest'esperienza. Ma prima, per favore, presentati ai nostri lettori.
Ciao a tutti, e grazie per la bellissima esperienza a cui mi avete proposto di collaborare. Sono una sedicenne piena di passioni e di obiettivi da raggiungere, una di queste è proprio l’interesse per il teatro, e per la trasmissione indiretta di messaggi ed emozioni che da sopra il palco è possibile mandare ad un pubblico. Sicuramente questo è il motivo principale per il quale ho deciso di intraprendere questo bellissimo percorso teatrale che la nostra scuola ci offre.
Dicci sinceramente cosa hai provato quando hai saputo che avresti dovuto recitare davanti ad un pubblico in uno spettacolo come quello di cui parliamo oggi, considerando soprattutto il personaggio che avresti dovuto portare in scena.
Sono una persona molto sensibile, e sicuramente questa mia peculiarità ha influito notevolmente sul percorso di creazione del personaggio.
Non avevo ancora letto il copione quando Alessandro mi accennò che avrei dovuto interpretare una bambina, perciò non diedi molto peso alla difficoltà che avrei dovuto affrontare nel corso del lavoro. Successivamente, dopo averlo letto, non credevo che la storia di quella “bimba” potesse emozionarmi così tanto. Ogni parola scritta sul copione era una spina nel cuore; frasi lancinanti per una ragazzina.
Quanto tempo ci è voluto a mettere in scena una rappresentazione importante come quella che ti ha vista protagonista?
Il copione e i rispettivi personaggi, ci sono stati comunicati la prima settimana di gennaio, in seguito Ale ha pianificato le settimane successive, assegnando ad ognuno i giorni in cui bisognava presentarsi in auditorium dopo scuola. Il lavoro si è concluso il giorno prima dello spettacolo, dove abbiamo affinato ogni scena corale e ci siamo occupati di fare memoria non solo dei monologhi, ma anche dei movimenti e degli spazi che avremmo dovuto utilizzare in scena.
Raccontaci uno dei tanti momenti belli e importanti che hai vissuto nella fase di sviluppo di questo progetto.
Uno dei momenti più belli che questa esperienza mi ha donato è sicuramente la possibilità di fare gruppo con ragazzi con cui non avevo mai stretto un rapporto così forte di amicizia. Per di più, è stato un arricchimento personale quello di trattare un argomento così delicato.
Qual è stato, invece, il momento più difficile o più impegnativo che hai dovuto affrontare?
Il momento più difficile che ho dovuto affrontare, e sicuramente quello che mi ha fatto crescere maggiormente in campo artistico, è l’utilizzo delle emozioni all’interno del monologo. In scena, infatti, il mio personaggio variava emozione ad ogni frase, e questo personalmente mi ha decisamente destabilizzata. Risulta già difficile doverne trasmetterne una sola; così ho lavorato a fondo sul significato di ogni frase e della corrispettiva emozione insieme al mio professore, che anche in questo caso è riuscito ad insegnarmi le tecniche migliori per superare questa mia difficoltà.
In questa rappresentazione teatrale giocano un ruolo fondamentale le scelte musicali: conoscevi i pezzi che il regista ha selezionato e, più in generale, quanto è importante per te la musica?
La scelta delle canzoni è stata presa dagli insegnanti dei rispettivi gruppi che hanno partecipato allo spettacolo, Alessandro Treccani e Pietro Toffoletto -professore di musica al Bachelet-, i quali, coscienti del difficile e importante tema che avremmo portato in scena, hanno selezionato due toccanti canzoni. Una risalente al periodo dell’olocausto, e l’altra più recente.
In tutti i contesti teatrali, e in particolare in questo, ricco di emozioni strazianti, il ruolo della musica è fondamentale per riuscire a trasmettere a pieno le sensazioni giuste al pubblico.
Abbiamo capito, a conclusione di questa intervista, che tu consiglieresti senz'altro anche ai tuoi coetanei di provare questa esperienza teatrale...Quali argomenti utilizzeresti per convincerli a rompere ogni indugio?
Consiglio a tutti i primini che verranno, e ai ragazzi un po’ indecisi di iscriversi a questo meraviglioso corso.
Ripensando al mio primo anno, ero sola e non conoscevo nessuno, ricordo la preoccupazione e la paura di dover fare nuove conoscenze, ma alla fine è risultato più facile del previsto, anche grazie ai lavori che ci venivano assegnati in gruppo.
Inoltre, c’è sempre da imparare, sia a livello storico e culturale attraverso i vari temi trattati, sia in ambito artistico e personale, dove i professori ci insegnano svariate tecniche da utilizzare in scena e nella vita.
Nel ringraziarti per averci permesso di raccontare la tua importante esperienza ti domandiamo in conclusione se stai pensando di proseguire questo cammino artistico, impegnandoti in futuro in altri progetti simili.
Spero di terminare questo percorso con la fine degli studi qui al Bachelet, è davvero un’esperienza gratificante. Mi piacerebbe far parte di altri progetti, ma oltre al teatro pratico uno sport a livello agonistico che mi occupa gran parte delle ore pomeridiane, e da amante dell’arte quale sono, a casa mi occupo di approfondire vari temi che mi interessano particolarmente.
Salve Alessandro, vorremmo conoscere meglio da lei come nasce questa felice collaborazione artistica con il Bachelet, ma innanzitutto le presentazioni.
Ciao a tutti, lettori e lettrici di B-log, io sono Alessandro Treccani, ho ventisei anni ed è da una decina di anni che ho intrapreso la carriera teatrale come percorso di vita. Ho iniziato a seguire dei corsi al terzo anno di liceo, quando mi sentivo bombardato da domande sul mio futuro, su quello verso cui mi sentivo portato e su ciò che avrei fatto della mia vita. Successivamente, queste domande, soprattutto in quinta, continuavano ad assillarmi. L’unico posto in cui non mi facevo queste domande era a teatro, quindi mi sono detto che era quella la mia strada. Fin dai primi anni della mia carriera ho fatto parte dell’associazione Dedalus, composta da me e Maurizio Brandalese, anche lui da una decina di anni lavorava in pianta stabile al Bachelet. Fu lui il creatore del gruppo Wip, partito con appena una decina di ragazzi dell’Istituto nel 2013. A quei tempi assistevo alle sue lezioni nel tempo libero che riuscivo a ritagliare al di fuori delle mie lezioni e progetti. Tre anni fa, quando finii di fare quella che in gergo chiamiamo “gavetta”, iniziai ad accompagnarlo nel suo ruolo di insegnante, occupandomi della fase di riscaldamento che precede le vere e proprie lezioni.
Possiamo ben immaginare che la sua passione per il teatro e la recitazione sia nata fin da quando era un ragazzo: cosa prova quando vede uno studente o una studentessa particolarmente portata, cimentarsi per la prima volta in quest'avventura?
L’insegnamento teatrale mi ha fatto apparire il teatro come un mezzo ancora valido per costruire qualcosa, soprattutto con gli adolescenti. Il riscontro particolare che vedo nei ragazzi è il mettersi in gioco per crescere, superare delle sfide che io, in quanto attore già formato, non notavo. Siamo partiti in dieci e ora siamo in quaranta, le sfide aumentano e c’è sempre più voglia di andare avanti.
Sono proprio i ragazzi che mi fanno apprezzare il mio ruolo come insegnante di teatro. Ogni allievo ha un percorso totalmente unico e personale, che lo porta ad abbattere dei muri e a superare dei problemi importanti, e, quando li vedo riuscire in questo, mi rallegro e per me questa è la motivazione più importante per andare avanti nel fare ciò che faccio.
Potrebbe riassumere, a beneficio dei nostri lettori, come si articola il suo spettacolo e come è nata l'idea di ripercorrere, attraverso delle toccanti testimonianze, le pagine più buie del Novecento?
Wip ha una bellissima tradizione di progetti dedicati alla memoria che si tramanda sin dai suoi esordi: c’è sempre stato, a metà dell’anno scolastico - all’inizio si trattava di un semplice evento, un flash mob, delle brevi letture - un'iniziativa sulla memoria. In passato sono stato spettatore di tanti di questi spettacoli fatti da Maurizio, ad alcuni ho preso anche parte. Quest’anno toccava a me scriverlo, costruirlo e metterlo in scena. Fino ad oggi le rappresentazioni artistiche sono state dedicate soltanto alla giornata della memoria e all’Olocausto. Questo spettacolo, invece, aveva lo scopo di variare - ma non di spostare l’attenzione- e ampliare la tematica della guerra, in particolare in Europa.
Tutto è nato dal titolo: ragionando sulla parola “memoria” mi è venuta in mente la parola “ricordo” e ho riflettuto su un oggetto in particolare che ci regala ricordi, e mi è subito venuta in mente l’idea della fotografia, da qui, dunque, “Foto Ricordo”. Quindi lo step successivo è stato quello di immaginarmi una foto di famiglia nella quale i componenti non avevano legami di parentela, ma legami emotivi. Ogni interprete, in qualche modo, ha un ruolo parallelo legato ai legami di parentela e al tempo in cui vengono narrati i fatti. L’armena, per esempio, che è l’interprete che recita la parte che narra la storia più vecchia, era una specie di “nonna” all’interno del gruppo. Inoltre nell'ultima testimonianza ambientata in un periodo storico più recente, non abbiamo rappresentato la figura del soldato come mostro, ma come persona umana, un ragazzo gettato in un inferno (il Vietnam) da cui è difficile discernere la vittima del carnefice. Questo è uno degli scopi del teatro: dare profondità al pensiero.
In questo momento della sua carriera professionale la scelta di rivolgersi ad un "materiale umano" molto speciale come quello rappresentato da ragazzi e ragazze in età scolare le ha permesso di trarre qualche insegnamento importante sul modo di approcciarsi a questa professione?
Anni fa, sempre con Wip, ho portato in una scuola elementare uno spettacolo diventato poi un monologo intitolato Ogni bambino ha un nome e un giorno un bambino, a spettacolo concluso, mi chiese “Ma tu non preferiresti essere famoso e recitare in un teatro importante, piuttosto che stare qua davanti a noi bambini?”. Non ci avevo mai riflettuto prima, questo pensiero si era manifestato solo un po’ da giovane quando vedevo la vita d’attore come quella con un grande pubblico. Ma è con il tempo che, proprio con il teatro con i ragazzi, mi sono reso conto di quanto potesse essere potente in questa epoca così complessa questo dialogo fatto in una dimensione più intima e più raccolta con dei giovanissimi spettatori e allievi. Il potere del teatro è fatto per questa età ed è dove la nostra vera personalità può risvegliarsi senza essere giudicata. E’ un posto sicuro in cui si può parlare di qualunque cosa, che sia personale o legata al teatro. Se durante le lezioni di teatro qualcuno ha uno sfogo, si ferma tutto e si dà la possibilità al ragazzo di esprimersi. Questa è forse una delle cose più belle che il teatro mi ha insegnato: il poter parlare liberamente e avere un luogo sicuro dove esprimersi.
Quindi, secondo lei, il teatro ha un effetto speciale per i ragazzi diverso rispetto agli adulti?
No, ho lavorato anche con gli adulti, semplicemente i ragazzi si fidano di più, invece gli adulti sono più chiusi e questa scintilla di libertà è più sopita, ma esiste anche nei più grandi. Non per tutti questa libertà è data dal teatro però. Ci sono vari campi, come l'aiuto regia o la scrittura, che sono altrettanto importanti e non per forza la recitazione è il nostro canale. Questo può avvenire anche in altri diversi ambiti. Bisogna entrare in ascolto con se stessi per capire dove si è in pace e dove ci si sente capiti, sia se si è ragazzi sia se si è già adulti.
Durante la fase creativa che ha preceduto questo lavoro così importante avrà sicuramente colto qualche momento speciale che ha visto protagonista lei e i suoi ragazzi. Ce ne parli per favore.
Quest’anno, per lo spettacolo, abbiamo deciso di non coinvolgere tutto il gruppo di Wip, quindi sono state delle prove molto intime. La storia in sé dello spettacolo non ha origini omogenee: alcune scene hanno avuto origine da poesie, scritti e testimonianze storiche esterne, altre tracce invece, le ho scritte io. Il lavoro che io e i ragazzi abbiamo fatto per mettere in scena lo spettacolo è stato molto delicato, ecco perché la selezione: per fare un buon lavoro c’è stato bisogno che gli interpreti capissero ciò che volevano dire i loro personaggi, superando la fase di lettura meccanica del copione. La fase finale è attribuire un significato proprio alle parole del personaggio, un passaggio non per tutti così immediato. Serve comprendere realmente il significato di ogni parola che il ragazzo andrà a dire sul palco, farla sua e reinventarla.
É anche molto importante interiorizzare i gesti di ogni personaggio: per fare un esempio, il personaggio interpretato da una ragazza - Cristel - ad un certo punto dello spettacolo avrebbe dovuto accarezzare il naso del suo bambino: eseguire correttamente il compito ed interiorizzare il gesto sono due cose molto diverse, e lei, ad un certo punto, ci è riuscita perfettamente.
Ci dica anche quale, a suo avviso, le è sembrato il momento più difficile e impegnativo.
Il momento più difficile è sempre quando un regista ha una piccola scenografia, come nel nostro caso solo cinque blocchi bianchi, che deve diventare tanti ambienti e un'immagine. Questo problema fortunatamente si risolve sempre durante le prove: dico ai ragazzi di giocare con la scenografia che pian piano prende forma. Quindi la parte più difficile è l'insicurezza di un fallimento, del non riuscire a far venire fuori la magia, soprattutto quando hai una scadenza. In questo sono molto d'aiuto i ragazzi: chi non fa parte della scena si esprime liberamente esprimendo le proprie idee e collaborando. Non sono un regista che non accetta consigli perché anche io ho bisogno di una mano e spesso loro riescono a vedere la scena meglio di me.
Potrebbe spiegarci quanto sia stata importante la scelta musicale e come ha gestito il coro e le canzoni cantate da quest'ultimo in questo suo progetto?
Da ragazzo sono rimasto folgorato dal testo di “Zombie”, una canzone ebraica per restare sull’argomento della memoria, perché così semplice ma profondo e quindi ho proposto di cercare di creare un ponte ideale tra passato e presente con le storie del Novecento che abbiamo affrontato in quest'opera.
Questa scelta si spiega anche per un video visto non molto tempo fa in cui le donne russe protestavano contro la guerra in Ucraina cantando questa canzone perché volevano la pace. Questo video che è circolato sui telegiornali di tutto il mondo mi è sembrato una sorta di inno universale alla pace.
Quali argomenti userebbe per invogliare un ragazzo o una ragazza - magari di prima - a sperimentare un'esperienza teatrale, intraprendendo un percorso che poi, come in questo caso, potrebbe portare ad una vera e propria esibizione in pubblico?
Quello che vorrei dirgli è che non c’è nessun tipo di fretta nel gruppo Wip, nel nostro gruppo non sarai mai forzato a fare quello che non vuoi. Io a lezione faccio entrare anche persone che stanno solo sedute a guardare, perché non c’è nulla di più odioso di quando hai paura di provare una nuova esperienza e qualcuno insiste a fartela fare, perchè il teatro non è il posto della violenza. Dalla mia esperienza ho imparato che ogni gesto violento, anche piccolo, a teatro non può essere tollerato. Da attore ho notato che molti registi trattano in modi violenti gli attori e alcuni di loro persino lo preferiscono, ma io credo l’opposto perchè quando ti senti al sicuro è lì che puoi creare qualcosa. Infatti quando una persona è serena sulla scena puoi guardarla con tranquillità e interesse, ma se qualcuno non si sente a proprio agio sul palco anche tu dalla platea non vuoi vederlo perchè in quel momento provi sicuramente un'empatia e un sentimento non dissimile al suo stato emotivo. Il teatro sicuramente non è un posto in cui sentirsi a disagio ma un posto in cui vieni ascoltato e quando sei disposto a dare fiducia a chi ti ascolta questo ti darà tanto in seguito. Ci sono molte amicizie che nascono in questo contesto, che sono completamente diverse da quelle scolastiche, si tratta di amicizie forse più autentiche, amicizie tra persone che puoi scegliere liberamente, che non sei costretto a frequentare. Quello che a me il teatro ha dato di più è stato l’ascolto perchè era quello di cui avevo più bisogno, ma esso aiuta anche a sconfiggere le proprie paure, ti dà sicurezza e anche se magari non supererai mai la tua timidezza riuscirai senz'altro a vincere l’insicurezza.
E per terminare la nostra intervista, dopo averla ringraziata per la sua ampia disponibilità concessaci, le domandiamo se ha in cantiere nuovi progetti o idee per il futuro...
In realtà vi posso anticipare solo quello che c’è qui adesso a Wip, abbiamo chiuso il capitolo sulla memoria e adesso si torna a pensare allo spettacolo di fine anno in cui il faro che ci guiderà sarà l’Antigone, non solo quella classica ma anche quella ritrattata dai testi dell’800 e del '900. Abbiamo riscoperto le tragedie greche per capire perché queste rappresentino ancora qualcosa di “contemporaneo” e ho scelto l’Antigone perchè penso che sia un’opera fondamentale per l’adolescenza e soprattutto per questa generazione: lei ha detto no al potere e all’istituzione solo per dare una sepoltura a suo fratello.
Agli attori in questi giorni di lezione chiederò quale sia una cosa per cui loro direbbero “NO!”, perché il teatro in fondo può essere anche un megafono per parlare di qualsiasi cosa ci stia a cuore.
Eleonora Di Bella, Thomas Tedesco, Sofia Defendenti
Nella mattinata del 23 settembre 2022, presso il cortile del castello di Abbiategrasso, si è tenuta la seconda edizione di “Scienza che Spiazza”: una vera e propria fiera della scienza (un po’ come quelle dei college che si vedono nei film americani), aperta alla cittadinanza e realizzata dagli alunni del nostro istituto con la supervisione del dipartimento di scienze. Gli studenti di varie classi del triennio, dopo aver preparato i propri progetti a gruppi a partire dal secondo quadrimestre dello scorso anno, sono stati impegnati tutta la mattina nell’installazione degli stand e, soprattutto, nel presentarli: moltissime classi hanno visitato la mostra, sia alcune prime dello stesso Bachelet, ma anche quelle degli istituti secondari di primo grado di Abbiategrasso. Questa edizione si è focalizzata sui temi dell’inquinamento, della sostenibilità e dell’ambiente.
Dalle classi del linguistico, arrivano originali fonti di elettricità: è possibile, infatti, accendere una lampadina sfruttando la chimica di un limone, o addirittura le proprie mani, come i visitatori hanno testato in prima persona. Ad accompagnare la dimostrazione, cartelloni esplicativi anche in lingue straniere.
La 3BL, invece, ha realizzato un’installazione dove i visitatori hanno potuto cimentarsi con quiz e giochi educativi online sulle energie rinnovabili. Inoltre, sempre dalla stessa classe, sono stati realizzati esperimenti sulla fisica della Terra e del cambiamento climatico – come dimostrare l’azione della CO2 nell’atmosfera e le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai sull’innalzamento dei mari, e il modellino di una turbina idrica.
Due stand sono stati dedicati a bioplastiche realizzate direttamente dagli alunni: un materiale rigido ottenuto a partire dalla caseina del latte, pellicola dall’amido delle patate e vasetti compostabili ottenuti con bucce di banana. Inoltre, sono stati mostrati dei modellini ai visitatori per illustrare concretamente la composizione dei polimeri plastici e quali rischi comporta la loro dispersione nell’ambiente.
“Mi ha soddisfatta creare un materiale plastico con delle caratteristiche piuttosto buone, anche se artigianale; in particolare, abbiamo ripetuto l’estrazione della caseina per ogni singolo gruppo di visitatori (per fortuna ha funzionato!), per poter mostrare concretamente il procedimento: è stato gratificante vedere l’attenzione e la curiosità per l’esperimento di alcuni ragazzi. Mi sarebbe sempre piaciuto poter esporre un progetto in una fiera della scienza” -Martina Cucchi
Dalla 3CL, è stato esposto “l'eolico in terraferma e offshore”: i ragazzi hanno creato delle pale eoliche di diverse forme e materiali, in modo che fossero in grado di accendere un led rosso, mentre ne veniva monitorato il voltaggio e confrontate le prestazioni dei vari modelli.
“Ho apprezzato il fatto di poter spiegare il funzionamento e i benefici di un impianto rinnovabile”
Sempre dalla 3CL, è stato realizzato un forno solare a partire da una scatola di cartone: inserendo all’interno un termometro, si è potuto verificare come i raggi solari riuscissero a far aumentare la temperatura del contenitore.
“È stato molto piacevole preparare gli esperimenti ed esporli agli altri”
“Mi è piaciuto molto il fatto che l'esperimento abbia funzionato ed inoltre ho adorato costruirlo” -Jessica Jaku
Presente anche quest’anno il progetto di sensibilizzazione sul problema del Radon, tenuto da alunni di quarta e quinta: i visitatori hanno completato un questionario digitale per verificare quanto la conoscenza di questa tematica fosse già diffusa; dunque, è stata tenuta una spiegazione degli effetti di questo gas radioattivo sulla salute e come prevenirli. Il progetto si occupa anche di rilevare la concentrazione di Radon nelle abitazioni, un’attività solitamente svolta dalle scuole per raccogliere dati per l’università.
Gli studenti sono stati interessati da “l'intero processo di monitoraggio”, “L'aver trattato argomenti scientifici vicini a noi che molto spesso si sottovalutano o conoscono poco”, “Scoprire l'esistenza di un gas radioattivo a cui siamo esposti quotidianamente”, “soprattutto l'analisi dei dati conseguente al sondaggio; anche il far fare un sondaggio, cosa che non avevo mai provato a fare – Elisa Frigerio"
Partecipanti quindi soddisfatti, ma ci riserviamo di lasciare qualche suggerimento per una possibile prossima edizione, a cui speriamo di poter partecipare…
“Mi piacerebbe poter avere maggiore libertà nella scelta del tema degli esperimenti da presentare: sarebbe interessante per esempio mostrare come alcuni concetti di fisica che sembrano astratti e molto complessi siano utilissimi per la vita quotidiana (come l’applicazione dell’effetto tunnel all’informatica), oppure spiegare con modelli semplificati alcuni argomenti ritenuti universalmente “oscuri” come la relatività o i buchi neri. Riconosco però che si tratta di temi complessi da sviluppare ed esporre, e ho apprezzato che la mia insegnate abbia comunque lasciato piena libertà al gruppo nello sviluppo dell’esperimento scelto, seppur nell’ambito della sostenibilità”
La mattinata di presentazione dei progetti ai ragazzi è stata comunque molto impegnativa ed intensa, soprattutto vista la grande affluenza; un consiglio dunque da parte degli studenti:
“Forse sarebbe più interessante ridurre il numero di visitatori per giorno, organizzando più giornate, in modo tale da poter garantire una maggiore interazione e un approfondimento più specifico”, “troppe classi contemporaneamente” ?
Se non altro, questa esperienza, forse proprio perché stancante, ha permesso agli studenti di immedesimarsi nel ruolo di “professori” e provare in prima persona le sfide che spiegare ad un gruppo comporta; infatti, le ore dedicate a quest’attività di divulgazione scientifica saranno accreditate come PCTO nel curriculum degli studenti.
Secondo un’alunna, sarebbe utile poter implementare anche i materiali a disposizione:
“Avrei voluto strumenti più precisi per alcune fasi del progetto. Anche se tuttavia è giusto dire che il processo non ha subito intoppi.”
Per prepararsi a questo progetto, gli studenti del gruppo Radon hanno anche “assistito ad alcune spiegazioni di professori dell’Università, che hanno spiegato e fornito materiali su cos’è la radioattività e quali possono esserne le applicazioni/conseguenze (positive o negative)”. Raccontano i partecipanti come questo abbia permesso dunque un primo approccio agli studi futuri…
“non meno importante è sottolineare come progetti di questo tipo possano far conoscere persone nuove e far vivere esperienze interessanti” -Chiara Spinella
…“scoprire come e dove il radon si concentra mi servirà per la carriera universitaria che ho deciso di intraprendere”
Si ringrazia per questa opportunità i docenti di scienze e fisica dell’istituto che hanno reso questo progetto possibile, coinvolgendo i ragazzi nella realizzazione degli esperimenti e organizzando l’evento. Per le insegnanti è stato bello vedere “l’interesse è la partecipazione degli studenti”, infatti si potrebbe “estendere a tutte le classi liceali”
Martina Cucchi
Foto di Mattia Canali e Davide Bertolotti 3BL
Palazzi, chiese, ville, castelli e molti altri luoghi di tutta Italia sono quelli che il Fondo per l'Ambiente Italiano, FAI, rende disponibili per visite a contributo libero durante le Giornate d’Autunno e di Primavera.
CHE COSA SONO LE GIORNATE FAI?
Il FAI, di cui sentirete parlare molto nell’articolo, è una fondazione nata nel 1975 senza fini di lucro che ha lo scopo di tutelare e valorizzare il patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano. Tra le numerose attività che propone, ci sono le Giornate FAI d’Autunno e di Primavera, dedicate alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano, nelle quali l’associazione apre al pubblico luoghi come ville storiche, castelli o abbazie; le visite sono guidate e sul percorso vengono raccontati fatti storici da volontari del FAI o da studenti “Apprendisti Ciceroni”.
Gli Apprendisti Ciceroni sono coloro che, come l’antico oratore Cicerone, hanno una forte passione nel raccontare il proprio sapere davanti a degli spettatori, ma che, come è proprio degli apprendisti, hanno ancora molto da imparare.
IL FAI E IL BACHELET
Sono diversi anni che l’Istituto Bachelet propone questo progetto per le classi del triennio; gli alunni che quest’anno hanno partecipato alle Giornate d’Autunno sono stati una settantina. Per questo evento dell’anno scolastico ‘22-’23, si è visitata la campagna circostante all’abbazia di Morimondo e la sua chiesa abbaziale con il coro ligneo; il piccolo borgo, insieme all’abbazia, è ricco di storia: lo stesso monastero cistercense è sopravvissuto a più saccheggi nel corso dei secoli.
Coloro che aderiscono al progetto – oltre che contribuire al proprio arricchimento culturale – si vedranno riconosciute come ore di PCTO quelle che gli studenti impiegano per studiare una piccola sintesi su ciò che verrà descritto e per esporre durante le Giornate d’Autunno e di Primavera.
APPRENDISTI CICERONI FOREVER!
Un’esperienza davvero incredibile e impareggiabile, quella di un Apprendista Cicerone: grazie a questo progetto, infatti, si migliora la propria arte oratoria e, parlando davanti a un gruppo di una ventina di persone, si impara anche a intrattenere un pubblico e a coinvolgerlo durante tutta la visita. Inoltre, si apprende anche di più sui luoghi visitati, poiché, per conoscere veramente una località, che sia un borgo o anche solo una chiesa, bisogna vederla con i propri occhi e visitarla, oltre che studiare solamente una serie di informazioni.
Ciò che più fa piacere nell’esporre è che tutti ascoltano con attenzione, dato che sono interessati a quello che noi Apprendisti Ciceroni abbiamo da dire. Inoltre, dal momento che bisogna parlare davanti a un gruppo, è un’occasione per superare la propria timidezza e imparare a mettere sia se stessi che il pubblico a proprio agio durante una visita guidata. Anche in caso di difficoltà, non si deve pensare che sia la fine del mondo, a tutti capita di sbagliare o di non sapere una risposta a una domanda.
INTERVISTA ALLA PROF. VALERIA VITARI
Qui sotto sono riportate alcune domande poste alla professoressa Vitari, una dei tre referenti del progetto:
Da quando segue questo progetto e come si è trovata lavorando con gli studenti in attività extra-scolastiche?
«Seguo questo progetto da circa cinque anni, dopo averlo "ereditato" dal prof. Mereghetti che aveva iniziato ancora prima la collaborazione con il Fai. Lavorare con gli studenti è sempre molto interessante e, nel corso del progetto, ho modo di interagire con alunni di classi e indirizzi diversi. Il rapporto è in parte differente rispetto a quanto si instaura al mattino durante l'ora di lezione: in questo progetto studente e docente lavorano insieme per preparare al meglio la visita guidata che sarà poi giudicata e valutata dal pubblico.»
Come crede che questo progetto aiuti gli studenti?
«Credo che questo progetto possa servire agli studenti in diversi modi: è, a tutti gli effetti, un approfondimento culturale d'ambito storico-artistico; gli studenti devono mettere in gioco le proprie competenze comunicative e relazionali e infine può servire come indicazione ai fini dell'orientamento post diploma per un lavoro in quest'ambito. Nel corso degli anni ho visto studenti, anche piuttosto timidi, acquisire una maggiore consapevolezza nelle proprie capacità attraverso le visite guidate.»
E, infine, come descriverebbe questo progetto con tre aggettivi e perché?
«Stimolante: ogni anno, infatti, su indicazione del Fai, il monumento da valorizzare cambia e questo è stimolante perché vengono approfonditi aspetti storico-artistici del territorio che ci circonda e ciò arricchisce gli studenti e i docenti che se ne occupano.
Impegnativo: gli studenti che scelgono questo progetto si impegnano a memorizzare qualcosa di nuovo e a documentarsi sul bene oggetto della valorizzazione; bisogna partecipare a sopralluoghi e a visite di prova.
Interdisciplinare: quasi sempre si toccano diversi ambiti culturali come storia, letteratura, storia dell'arte. Inoltre, questo progetto rientra nell'ambito dell'Educazione civica poiché la valorizzazione del patrimonio storico-artistico ed ambientale è prevista anche dalla nostra Costituzione.»
«Aggiungo questo: il progetto è cresciuto negli ultimi anni per quanto riguarda la partecipazione degli studenti (nelle Giornate d'Autunno erano impegnati circa 70 alunni); questo è segno che vi è un passaparola positivo e molti studenti del triennio rinnovano la loro partecipazione di anno in anno.»
Alice Scuri
Le elezioni dei rappresentanti d'Istituto si sono da poco concluse e per la componente studentesca sono stati eletti tre ragazzi e una ragazza che rappresenteranno tutti noi negli organi più alti dell'organizzazione scolastica.
Ecco quindi l'intervista che abbiamo proposto a Francesco Rizzo (Specialista), Lorenzo Aceti (Lista nera), Matilde Tesa e Massimo Guzzi (Aloud).
Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto a candidarvi? Avevate già fatto quest'esperienza in passato o si è trattato della vostra prima volta?
F.R.: Per me è stata la prima volta, ho deciso di candidarmi perché volevo prendermi delle responsabilità maggiori, osservando poi anche i rappresentanti degli anni precedenti mi sono convinto a fare questo passo.
L.A.: Questo è il primo anno che mi candido, anche perché ho appena cominciato il triennio, per me, quindi, è stata la prima (fortunata) esperienza.
M.T.: Anche per me è la prima volta. Ho sempre voluto candidarmi, fin dal primo anno, per partecipare attivamente alla gestione della scuola e poter realizzare quei cambiamenti che ho sempre desiderato.
M.G.: Io mi ero già candidato l’anno scorso, ma non ero stato eletto, ed ero già stato per due anni rappresentante di classe. Mi sono candidato perché penso che prendersi queste responsabilità possa aiutarti a crescere e, come hanno detto anche gli altri, credo sia giusto impegnarsi per migliorare la propria scuola.
Raccontaci quale è stato, a vostro giudizio, il momento più significativo ed emozionante che avete vissuto durante la presentazione delle liste…
L.A.: Per me è stato sicuramente il momento della presentazione delle liste in assemblea, perché siamo entrati in contatto con le persone che poi ci avrebbero votato, e siamo riusciti a farci conoscere nella scuola, ad esempio grazie ai volantini, che hanno raggiunto ogni angolo del nostro istituto.
F.R: Per me è stata la proclamazione della lista vincente, perché abbiamo sentito tutta l’approvazione è il sostegno di chi ci aveva votato.
MT, M.G: Anche per noi è stato significativo girare nelle classi, distribuire i volantini e presentare la nostra lista, stabilendo un contatto diretto con i nostri potenziali sostenitori.
Spiegateci quali sono state le parole d'ordine della vostra lista, i principali punti programmatici e cosa vi ha ispirato nella scelta del nome…
L. A.: Il nome “Lista Nera”, come è stato già specificato, non ha nulla a che vedere con ispirazioni Fasciste, ma è stato piuttosto un modo per ironizzare sui recenti avvenimenti politici in Italia e dal modo di dire “essere sulla lista nera”, cioè essere abbastanza anticonformisti e fuori dagli schemi.
F.R.: Il motto “Ubriacatevi di sapere” non nasconde uno speciale significato: in realtà l’abbiamo scelto perché ci forniva un’idea per il volantino, utilizzando il gioco di parole con l’immagine della bottiglia.
Quali sono state le idee che avete maggiormente apprezzato negli altri candidati? Da quali siete invece più distanti?
F.R, M.G, L.A, M.T: In realtà ci siamo subito accorti che le idee e le proposte delle varie liste non erano così in contrasto tra loro, molte anzi sono comuni a più liste, perché trattano dei temi più sentiti dagli studenti e a nostro avviso più importanti per la scuola. Da quando siamo stati eletti abbiamo iniziato a condividere le proposte di tutte le nostre liste, prendendo le idee migliori da ciascuna.
Ad esempio abbiamo preso le proposte della Lista Nera per quanto riguarda le feste, di Aloud per quanto riguardo la biblioteca e la creazione di una bacheca studentesca, e quelle di Specialista per quanto riguarda il merchandising.
Ognuno di voi, nello specifico, come affronterà questo incarico di rappresentante degli studenti? Sarà il rappresentante di tutti o manterrà un canale privilegiato solo con quelli che lo hanno eletto?
L.A, M.T, M.G, F.R.: Non manterremo canali privilegiati con i nostri specifici elettori, non potremmo farlo anche perché non possiamo sapere con certezza chi ci ha espresso il proprio consenso.. "nel segreto dell'urna".
Quali sono secondo voi le priorità più importanti e urgenti da affrontare in sede di Consiglio d'istituto con tutti gli altri membri?
F.R: Non si tratta certo di un'urgenza, ma ritengo sia importante iniziare sin da subito a definire l'organizzazione della giornata di autogestione, una nuova iniziativa per questa scuola che potrebbe cadere tra la fine del quadrimestre e l'inizio del secondo. Bisognerebbe partire dal sondare l'opinione dei ragazzi, per capire quali possono essere i punti di maggior interesse. Molte scuole di Milano hanno già intrapreso da tempo questo genere di attività che, tra le altre cose, hanno lo scopo di responsabilizzare in prima persona proprio noi studenti.
L. A: Secondo me occorrebbe ripristinare subito un'adeguata zona ristoro, dove si possa distribuisca cibo fresco (il classico paninaro, per intenderci). La vicepreside ci ha confermato che ne parleremo nel prossimo consiglio.. ma si tratta di un obiettivo molto difficile da ottenere.
M.G, M. T: L'urgenza per noi è legata soprattutto al discorso macchinette: l'ultimo bando scade infatti a dicembre e da gennaio ne serviranno di nuove.
Tra le tante questioni da affrontare c'è sicuramente anche quella relativa ai lavori di manutenzione del plesso scolastico… pensate anche voi che si tratti di una vera e propria urgenza e a nome degli studenti porrete la questione al primo consiglio di istituto?
F. R, M.T, M.G, L.A: Si tratta di una questione che non dipende da noi, ma dai rappresentanti della consulta..comunque, sia per i soffitti da coprire che per le porte dei bagni da riparare i tempi d'attesa si preannunciano alquanto lunghi, bisogna chiamare tecnici e ingegneri e ottenere l’approvazione delle operazioni. Noi,dal canto nostro, possiamo sollecitare il Consiglio d'istituto a provvedere a soluzioni temporanee ma rapide, come abbiamo intenzione di fare.
Il Consiglio è già al corrente del problema è già a maggio dello scorso anno c’era stata una richiesta e al momento siamo in attesa di un qualche risultato. Staremo a vedere..
Bene... la nostra breve intervista termina qui, in futuro potremmo avere altre occasioni di confronto, ma per il momento desideriamo ringraziarvi per aver risposto alle nostre domande...
BUON LAVORO a tutti dalla redazione di B-Log! !
Giorgia Cinfrignini, Stella Lenti e Iris Mazza
Qu’est-ce que le slam ?
Pour ceux qui n’en n’ont jamais entendu parler le slam est un art répandu spécialement aux États-Unis et en France qui consiste à faire passer un message à travers un texte poétique parlé avec ou sans musique de fond.
En France, le représentant le plus connu du Slam est “Grand Corps Malade”.
Avec ma classe 2CG et nos professeures de français nous avons travaillé sur un Slam en choisissant quatre thèmes importants pour nous à partir d’une pièce de théâtre de Molière “Dom Juan”... [continua a leggere nella sezione lingue]
Eufemia Zizzi 2CG
Abbiamo provato a intervistare 4 ragazzi di quinta dei rispettivi indirizzi, cercando di capire cosa pensassero della nuova maturità, degli scioperi che si sono svolti a riguardo e degli atti di vandalismo che sono avvenuti ultimamente nella nostra scuola…
Come state vivendo la questione maturità?
A causa della pandemia durante gli anni precedenti è stato difficile riuscire a seguire un programma di preparazione efficace alla maturità. Cosa pensi si sarebbe potuto fare di più, o meglio?
Qual è la vostra posizione rispetto all’aggiunta degli scritti? Pensate che sia stata una scelta pensata seguendo quale criterio?
A vostro parere lo sciopero può servire a ottenere qualcosa?
Avete appoggiato lo sciopero che è stato fatto venerdì 4 davanti al Bachelet? Come lo avete percepito?
Perché secondo voi solo poche persone hanno aderito e, di queste, pochissime erano di quinta?
Cosa ne pensate del corteo che c’è stato a Milano il venerdì seguente? Credete possa essere stato utile?
Gli scioperi che sono stati fatti durante le ultime settimane hanno portato avanti anche altri importanti punti: lo sfruttamento delle esperienze di PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), la necessità di pensare al benessere psicologico dello studente e l'importanza di una scuola sicura dal punto di vista strutturale ed edilizio. Cosa ne pensi a riguardo?
A proposito degli atti di vandalismo che dall’inizio dell’anno sembrano essere diventati un fenomeno quasi all’ordine del giorno, come la vedete? Come un’opportunità per saltare qualche ora di lezione? Oppure come un disagio, soprattutto per voi maturandi?
Lara Colombo - Liceo delle Scienze Umane
Sicuramente ognuno di noi ha iniziato quest’anno col pensiero fisso di quello a cui saremmo andati incontro a giugno, ma visti gli esami degli anni scorsi di certo non ci saremmo mai aspettati un ritorno alla modalità classica di maturità.
A parer mio i professori sono rimasti dell’idea che gli esami non sarebbero cambiati di molto da un anno all’altro e si sono concentrati maggiormente su colloqui orali, piuttosto che prove scritte. Rimane comunque una scelta sensata, dato che una parte dell’esame verterà proprio su questo, ma le prove scritte sono ora la preoccupazione principale, e resta il problema che in quasi 2 anni di DAD di temi se ne sono svolti ben pochi.
Una soluzione secondo me sarebbe potuta essere quella di sostituire le innumerevoli interrogazioni orali con più prove scritte, per esercitarci con più frequenza.
Se è stata presa questa scelta evidentemente c’è stato un ragionamento alla base di essa, ma non si riesce comunque a comprenderne il perché.
Siamo stati l’annata più sfortunata da questo punto di vista, perché abbiamo passato più anni di tutti in DAD, e non abbiamo avuto la possibilità di prepararci come avremmo dovuto. L’unico criterio di scelta che penso abbiano utilizzato è la fretta che tutti avevano di tornare alla totale normalità, che va però a nostro discapito.
Secondo me gli scioperi sono utili sotto diversi punti di vista, perché servono a noi studenti, e più in generale a tutti quelli che vi partecipano, per esprimere delle opinioni che spesso non vengono nemmeno prese in considerazione. Se ben organizzati possono portare a qualcosa di buono e soprattutto ai cambiamenti sperati.
Tutta la mia classe (me compresa) non ha partecipato allo sciopero perché avevamo delle lezioni importanti da seguire quel giorno, ma abbiamo comunque sostenuto la causa nel nostro piccolo. Secondo me se fosse stato organizzato meglio avrebbero aderito molte più persone.
Per come la vedo io molti non hanno partecipato perché non potevano permettersi di saltare ore di scuola, anche se favorevoli a uno sciopero del genere. Se fosse stato in orario extrascolastico ci sarebbe stata molta più affluenza, e magari avremmo ottenuto risultati diversi.
Sicuramente se si parla di Milano ci si aspettano cortei molto più ampi di quelli che si potrebbero creare in un paese di provincia, e sono sicura che sia stato così. Non ho visto molta esposizione mediatica a riguardo, ma spero che qualcuno dai “piani alti” se ne sia accorto e abbia riflettuto sulle scelte prese.
Penso che siano argomenti di fondamentale importanza. Spesso si vedono foto sui social di scuole al degrado, con soffitti e finestre pericolanti, che potrebbero ferire qualcuno da un momento all’altro, e penso che la sicurezza degli studenti debba essere messa al primo posto. Si parla anche di sicurezza per quanto riguarda le esperienze formative degli studenti di alternanza scuola-lavoro; sono innumerevoli le testimonianze di ragazzi che hanno perso la vita per colpa della scarsa sicurezza nelle fabbriche dove si formano per il loro futuro, e altrettante quelle di sfruttamento da parte di datori di lavoro che non prendono seriamente l’esperienza formativa degli studenti.
Si pensi ad esempio l'ultimo episodio avvenuto il 21 gennaio 2022 a Udine a Lorenzo Parelli, un ragazzo di 18 anni che è morto colpito da una trave d’acciaio (https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/alternanza-scuola-lavoro-occasione-o-sfruttamento-la-morte-di-lorenzo-parelli-mette-a-nudo-i-limiti-del-sistema-le-proposte-di-presidi-e-studenti-per-migliorarlo/6473460/).
Si parla ben poco secondo me del benessere psicologico degli studenti a scuola, ma basta solo pensare all’aumento di casi di studenti che durante il periodo della pandemia hanno sviluppato problematiche a livello psicologico. Da questo punto di vista penso che la scuola non se ne sia preoccupata molto, ma trovo comunque utile la presenza di una psicologa negli istituti, anche se purtroppo non la troviamo dovunque.
Penso che questi atti di vandalismo abbiano creato forti situazioni di disagio, costringendo, alle volte, molte classi a saltare ore importanti di lezione.
Magari i più piccoli la vedono solo come opportunità per non fare lezioni o saltare verifiche e interrogazioni, ma per noi quinte, che abbiamo effettivamente capito l’importanza della scuola, sono ore di fondamentale importanza che ci vengono tolte.
Martina Messina - Liceo Linguistico
Ovviamente non siamo per niente tranquilli, dato che non sappiamo ancora al 100% come sarà la nostra maturità. Vorremmo più informazioni e soprattutto al più presto.
Penso che i professori avrebbero dovuto sfruttare di più la DAD , ad esempio fare dei corsi di recupero durante l’anno per colmare le nostre lacune principali.
Inizialmente avevo molta ansia per questi scritti, ma una volta che ci hanno detto che i professori sarebbero stati tutti interni mi sono tranquillizzata.
Più che gli scritti per me, il problema sarà la prova orale finale perché a differenza degli anni scorsi non ci sarà più l’elaborato ma questo “documento” e la parte di collegamenti tra le materie su tutto il programma.
Si, sono del parere che in generale gli scioperi possano servire a qualcosa, ma devono essere fatti bene e soprattutto deve esserci la partecipazione della maggior parte delle persone, altrimenti non ha lo stesso peso.
Sì, è stata la prima volta che la mia classe è stata unita e che si è fatta riconoscere.
Sono stata molto contenta di questa cosa, peccato che allo sciopero che doveva essere per noi quinte hanno partecipato per lo più ragazzi più piccoli, facendo perdere leggermente il senso dello sciopero.
Probabilmente avranno avuto interrogazioni o lezioni importanti, ma per me me aveva più importanza lo sciopero. Anche nella mia classe c’erano persone interrogate, ma abbiamo preferito partecipare allo sciopero data la sua importanza.
Sicuramente il corteo a Milano è stato più utile del nostro sciopero davanti scuola, perché c’erano molte più persone e soprattutto giornalisti che riprendevano il tutto.
Penso che questi altri temi siano sicuramente molto più importanti rispetto allo sciopero per i nostri esami di maturità.
Secondo me questi atti di vandalismo oltre ad essere inutili hanno creato situazioni poco belle.
Non penso proprio che siamo un'opportunità per saltare le lezioni visto che arrivati fino a qui, abbiamo bisogno di tutte le ore che abbiamo a disposizione (che già non sono tante). Speriamo non accadano più episodi di questo genere.
Matteo Invernizzi - Liceo Scientifico
Personalmente con serenità, però c’è molta ansia in generale sia tra gli studenti che tra i professori.
Oltre ad aver fatto male la terza e la quarta, poiché eravamo in DAD era anche difficile essere produttivi come in classe… quest’anno nessuno si aspettava ci fossero gli scritti (professori compresi) perciò fino a gennaio non ci siamo esercitati più di tanto per lo scritto di matematica (per l’indirizzo scientifico nel mio particolare).
A nostro modo di vedere è una scelta insensata, fuori luogo, è dettata dall’alto verso il basso, senza preavviso e senza considerare fino in fondo la nostra preparazione. Non ho idea del motivo per cui abbiano preso questa decisione .
Le manifestazioni che ci sono state in tutta Italia sono servite ad accettare un colloquio tra “la gente che comanda” e alcuni rappresentanti di noi studenti, in cui si è arrivati alla conclusione di farci accedere all’esame con un massimo di 50 crediti al posto di 40.
Non lo abbiamo solo appoggiato, lo abbiamo organizzato.
È stata una decisione presa dopo un’assemblea tenuta da 120/130 rappresentanti dei vari istituti di Milano e provincia, in cui si è organizzata la protesta insieme ai rappresentanti di Roma, decidendo di fare prima una manifestazione in ogni scuola e poi di riunirsi tutti in un corteo.
Semplicemente perché è sempre più semplice non esporsi e pensare a se stessi piuttosto che al collettivo.
Sì, è stato utile poiché se ne sono svolti contemporaneamente in tutte le città più importanti d’Italia, e a qualcosina ha portato come dicevo prima.
Sono tutte rivendicazioni molto importanti, in particolare la necessità di pensare al benessere psicologico, poiché le vite degli adolescenti rispetto anche a solo 50 anni fa sono cambiate molto, perciò bisognerebbe sviluppare il sistema scolastico anche in base all’evoluzione e i cambiamenti della vita di noi studenti.
Però su questi argomenti, anche se è molto difficile, bisogna distinguere le proteste politiche da quelle che, come in questo caso, vengono fatte semplicemente dagli studenti per rivendicare una loro posizione di “sofferenza”.
Il vandalismo che ha colpito la nostra scuola è ovviamente un grande disagio col rischio di perdere ore, le macchinette fuori uso… ma ora dovremmo essere riusciti, insieme al consiglio d’istituto a risolvere il problema, aggiungendo maggior sicurezza rafforzando la chiusura delle finestre.
Simone Mancini - Istituto Tecnico
Ma la maturità la sto vivendo bene, non mi sta creando particolari ansie.
Forse più che pensare a cosa non è stato fatto, sarebbe stato meglio mantenere solo l'esame orale.
Mi pare che la scelta di rimettere gli scritti sia stata presa molto frettolosamente e senza un vero criterio.
Certo, basta che sia fatto con motivazione e organizzazione adeguata.
No.
Perché il fulcro dello sciopero era la maturità e quindi probabilmente gran parte della popolazione scolastica non è interessata, mentre gli interessati sono troppo preoccupati a preoccuparsi dell'esame!
Non mi sono informato molto a riguardo quindi forse il mio parere sarebbe limitato.
Penso che, nonostante gli scioperi, la maggior parte delle strutture scolastiche in Italia rimane non a norma e non garantisce la sicurezza.
Vedo questi atti come un divertimento per ragazzi disagiati e infantili, che sputano nel piatto in cui mangiano. Il disagio vale per tutti non solo per i maturandi.
Sofia Beretta e Ludovica Tempesta
Per questo numero, B-Log ha scelto di approfondire la recente elezione dei nuovi rappresentanti d’istituto con un’intervista. Per questo motivo li abbiamo “interrogati” sui potenziali risvolti dell'evoluzione della scuola e su quello che credono essere il suo futuro, ma abbiamo anche deciso di scoprire qualcosa di più sui loro sogni e ambizioni personali.
Quindi cominciamo: per iniziare, perché avete scelto questo ruolo, cos’è che vi ha spinto a candidarvi come rappresentanti?
P: In realtà è nato tutto da un gioco: i miei amici mi hanno detto di candidarmi a rappresentante per scherzare, ma poi ci ho riflettuto e ho capito che forse sarei potuto essere il ragazzo adatto a questa carica.
S: Inizialmente ho visto questa opportunità come un modo per competere con me stesso, per dimostrare a me stesso e agli altri (soprattutto agli altri!) che potevo farcela.
L: Ho scelto questo ruolo perché penso che riuscirò pienamente a rappresentare il volere degli studenti, i loro desideri e, soprattutto, i loro bisogni.
M: Anch’io penso di poter soddisfare i bisogni del corpo studentesco.
Molto bene, speriamo che l’idea sui vostri ruoli non muti. Proseguiamo con la seconda domanda: quali sono i vostri progetti e le proposte per la scuola? Il vostro cavallo di battaglia nel periodo precedente alle elezioni.
L: Quello che avevamo in mente per la scuola era proporre un merchandising più abbondante, qualche “aggiustatina” agli spogliatoi che non sono più nuovi di zecca, uno sport day dove pratichiamo tutti assieme gli sport più disparati per unificare la scuola come una squadra sportiva e rendere più forte il legame tra di noi, una vera e propria “pagella” agli insegnanti da parte degli alunni alla fine di ogni quadrimestre e, sempre verso la fine dell’anno scolastico, una corsa campestre attorno alla scuola.
Bene, dal merchandising allo sport, dopo due anni in DaD e DDI ci sta tornare a fare squadra fisicamente e non online! La prossima domanda è: qual è il vostro più grande sogno? Avete idoli da cui prendere spunto?
P: Io non svelo i miei sogni, un po’ per scaramanzia: credo che se tutti lo sanno poi non si avverano.
S: Non so, penso di prendere spunto da Berlusconi: un leader politico che si è fatto strada da solo e, cosa più importante, ha fatto tanti soldi [sic.]
L: Anch’io non saprei… Sono appassionata di pattinaggio, lo pratico ormai da tanto tempo, e ammiro molto una pattinatrice artistica russa, Evgeniya Medvèdeva: è due volte campionessa mondiale di pattinaggio di figura.
M: Dopo la scuola vorrei fare il calciatore; il mio idolo è José Mourinho, è un allenatore di calcio ed ex calciatore -portoghese-. Di ruolo era difensore, ora è tecnico della Roma.
La prossima domanda è: pensate che riuscirete a mantenere le proposte fatte alla scuola durante la propaganda? La preoccupazione di molti è che siano solo chiacchiere “acchiappavoti”.
M: Assolutamente no: tutte le proposte che abbiamo fatto sono prima state sottoposte al preside e considerate da lui stesso come fattibili, questo è stato ripetuto più e più volte dai componenti della nostra lista durante il periodo pre-elezioni.
Grazie, siamo contenti che sfatiate il mito dei molti “ bla bla”, come li avete chiamati voi sul vostro volantino in campagna elettorale, vi aspettiamo - con i nostri lettori - a fine mandato per vedere come sarà andata!
M: Il nostro volantino è nato dall’idea di ragazzi di diversi indirizzi uniti per la scuola per rappresentarla al meglio; il titolo della nostra lista è nato dalla fusione della parola “lista” con “illuminista”(il movimento rivoluzionista del ‘700); abbiamo inserito molti simboli che facevano riferimento alla luce (come la lampadina e il fiammifero) e il nostro slogan maggiore è "Riaccendiamoci insieme": questo fa riferimento ai brutti momenti che ha vissuto la nostra scuola, in particolare quello del Covid 19.
A proposito di questo argomento abbiamo preparato una domanda adatta: Cosa farete dopo il covid? Quale nuove e interessanti proposte farete al preside e alla scuola intera?
S: Sicuramente finita l’emergenza ci sarà più libertà; sfortunatamente non c’è la certezza che la situazione termini durante il nostro anno in carica; magari Piero, che è in terza, potrà fare qualche nuova proposta una volta finita l’emergenza. Se si presenterà l’eventualità di una scomparsa del virus durante l’anno scolastico proporremo più gite, forse anche di più giorni, ma per adesso dobbiamo essere attenti a non far diffondere il virus nella scuola e nelle classi: ne sono già state chiuse diverse…
Certamente sono fatti che fanno preoccupare gli studenti e le famiglie; ma tornando a voi come "personaggi politici" e quindi più esposti al giudizio altrui: siete preoccupati o avete paura delle opinioni delle persone che non hanno votato per voi?
S: Non ho certamente “paura” delle opinioni altrui: rispetto lo stesso gli studenti che non hanno scelto di votarmi, avranno avuto le loro motivazioni.
L: Anch’io rispetto le persone che non mi hanno votato e sono aperta a un dialogo con loro o con i componenti dell’altra lista e ad accogliere le loro proposte e i loro consigli.
M: Sinceramente non mi importa.
P: Non m’interessa.
Una domandina invece per conoscervi meglio: se doveste rappresentare la vostra personalità con un personaggio di un film o di un libro, quale sarebbe
M: Sicuramente Dom Toretto di Fast & Furious.
S: Ahah, bella domanda; se devo proprio scegliere forse Goku di Dragonball.
P: Todoroki di My Hero Academia.
L: In molti mi hanno detto che la mia personalità somiglia a quella di Bella della saga Twilight.
Va bene, proseguiamo; prossima domanda: dato che la maggior parte di voi sono in quinta, cosa pensate di fare dopo la scuola?
S: Pensavo di orientarmi verso l’economia dei mercati immobiliari.
L: Io invece pensavo di fare il test di economia alla Bocconi.
M: Io ho ancora le idee molto confuse: penso di entrare all'Università Cattolica di Milano oppure andare all’estero negli Stati Uniti a giocare a calcio tramite una borsa di studio.
P: Per adesso non saprei, io sono ancora in terza quindi ho ancora abbastanza tempo per pensarci.
Ok, la prossima domanda è rivolta al presente: perché pensate di aver vinto? Quali sono le qualità che pensate di poter donare al corpo studentesco in quanto rappresentanti?
S: Io, e penso di parlare a nome di tutti, penso di aver vinto sì per le proposte interessanti e attuabili, ma anche perché sono molto popolare nella scuola e tutti sanno che siamo dei ragazzi seri, affidabili e che ce la metteranno tutta per far progredire questo istituto. Stiamo anche pensando di allungare gli orari di apertura della scuola per permettere agli studenti interessati di frequentarla negli orari pomeridiani e studiare o ripassare per il giorno dopo.
Pensate davvero che questa proposta sia attuabile come le altre?
L: Come abbiamo detto, le proposte sono state sottoposte al preside; sfortunatamente non tutte sono così semplici da mettere in atto, a causa di molte complicazioni: in questo caso stiamo parlando di mancanza di supervisione negli orari pomeridiani da parte del personale scolastico.
Peccato, sarebbe stata una magnifica idea da realizzare! Speriamo tutti che durante questo nuovo anno possiamo vedere nuove e consistenti modifiche alla monotona scuola di tutti giorni grazie a voi! Grazie mille per la vostra intervista, speriamo che molti studenti la leggeranno per conoscere di più i loro rappresentanti.
P,S,M,L: Grazie a voi. Mandiamo un saluto alla scuola e a B-Log, che ci ha permesso di farci conoscere tra i ragazzi. Arrivederci!
Sofia Defendenti, Gaia Gardiolo, Giada Vaccalluzzo
Laurea triennale o ciclo unico? Accesso libero o programmato? Seminari o tirocini? Master o dottorato di ricerca? Questo è il dilemma…
Cosa vogliono dire tutte queste espressioni? Gli universitari ne parlano come se fossero le cose più ovvie del mondo, ma noi poveri studenti delle superiori non abbiamo idea di cosa siano e ci prende il panico a sentirle! Il mondo dell’università, così, rimane un territorio totalmente inesplorato per molti alunni, che vedono gli studi dopo le superiori come un futuro indefinito e lontano, un sogno sfocato: “Tanto è presto” potremmo pensare, ma non siete curiosi? Facciamo un po’ di chiarezza…
“ATENEO”: cos’è?
Innanzitutto, “ateneo” è praticamente un sinonimo di “università”, intesa come scuola, istituto di studio; probabilmente penserete che è un termine inventato giusto per complicare la vita alle matricole (cioè gli studenti del primo anno), ma ha un origine molto più antica… Deriva cioè dal latino “Athenaeum”, a sua volta nato dal greco Αϑήναιον, ovvero il «luogo sacro ad Atena”, la dea della sapienza. Fu il nome dato ad una scuola romana fondata dall’imperatore Adriano e quindi, per estensione, oggi indica istituti scientifici o letterari e accademie artistiche.
ISCRIVERSI: requisiti, test ed accesso
Per iscriversi al primo anno di un corso di laurea, (o meglio immatricolarsi e diventare dunque “matricole”) è necessario aver conseguito un titolo di istruzione secondaria di 2° grado, cioè un diploma di maturità. Molti corsi necessitano di una solida preparazione di base nel proprio campo di studi e nella lingua straniera (in generale un livello B1 di lingua inglese), quindi le certificazioni linguistiche ottenute in passato, se ancora valide, potrebbero tornarvi utili, ma ovviamente tutte le conoscenze acquisite durante la scuola superiore anni sono fondamentali.
Sarà anche necessario sostenere un test d’ingresso (chiamato testTOLC), in cui verranno verificate le vostre conoscenze di base utili per lo svolgimento del corso prescelto (per accedere alla laurea triennale in matematica, per esempio, il test comprenderà quesiti di matematica di base, ragionamento e problemi, comprensione del testo, chimica, fisica e geologia).
Se avete scelto uno dei corsi ad accesso libero (come filosofia, fisica, lettere e matematica), però, niente panico: non è previsto infatti nessun limite di posti e il test, anche se obbligatorio, sarà semplicemente autovalutativo. In caso di lacune, sarà possibile comunque iscriversi, ma verranno prescritti degli Obblighi Formativi Aggiuntivi, cioè delle attività in più per recuperare gli argomenti in cui non si è sufficientemente preparati.
La faccenda si complica per i corsi ad accesso programmato: purtroppo prevedono un numero limitato di posti, stabilito dai singoli atenei (quindi uno stesso corso potrebbe essere libero in un’università ma ad accesso programmato in un’altra) o dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (ovvero a livello statale, come accade per medicina e chirurgia, medicina veterinaria o farmacia). Per potersi immatricolare, è necessario dunque posizionarsi nel numero di posti disponibili nella graduatoria durante il test d’ammissione (o sulla base del voto di maturità). Buona fortuna agli aspiranti medici!
CICLI DI STUDIO
I corsi universitari hanno durate diverse e permettono di acquisire conoscenze più o meno specifiche...
Durante la laurea triennale (per esempio chimica, biotecnologie, informatica e filosofia), della durata di 3 anni, studierete in modo generale il vostro campo d’interesse e al termine potrete iniziare direttamente a lavorare oppure continuare gli studi. Infatti, c’è la possibilità di proseguire con un corso di laurea magistrale (come archeologia, editoria, lettere moderne e scienze agrarie), della durata di 2 anni, per acquisire conoscenze di livello avanzato al fine di svolgere attività che richiedano una preparazione elevata e specifica.
Alcune facoltà presentano entrambi i piani di studio (per esempio esistono corsi di fisica e matematica sia triennali che magistrali, che si possono svolgere in successione per una formazione completa).
Un’altra opzione è il corso a ciclo unico (ad esempio farmacia, medicina e chirurgia o medicina veterinaria): della durata di 5-6 anni, non prevede la distinzione tra il triennio iniziale e il biennio successivo e permette di acquisire conoscenze avanzate per svolgere professioni di elevata qualificazione.
Ora che siete diventati ufficialmente matricole, siete pronti per iniziare il vostro primo anno! Ma come e cosa studierete?
PIANO DI STUDIO
Il piano di studio è l'elenco di tutte le attività formative (corsi di insegnamento, seminari, esercitazioni pratiche o di laboratorio, attività didattiche di gruppo, tutorato, orientamento, tirocini, progetti, tesi per i corsi di laurea magistrale, attività di studio) che lo studente deve svolgere nel corso della propria carriera universitaria per conseguire la laurea e in alcuni casi può essere personalizzato dallo studente, per esempio con l’aggiunta di corsi e attività non previste dalla sua facoltà.
Ogni corso di laurea prevede infatti un certo numero di esami: alcuni sono determinati dal Manifesto degli Studi e sono obbligatori, altri invece possono essere scelti dagli studenti; bisogna però rispettare il minimo di crediti obbligatori per ciascun ambito disciplinare previsti dal proprio corso di laurea (quindi non si potranno ottenere i CFU solo con attività di laboratorio o solo studiando un determinato settore).
Lo studente può quindi inserire anche corsi a scelta libera nel piano di studio, in base agli argomenti che vuole approfondire ed il tempo a disposizione.
I piani vengono infine approvati da apposite commissioni, composte da docenti del corso di laurea che fungono da referenti per gli studenti che necessitano di una consulenza.
I CREDITI FORMATIVI UNIVERSITARI (CFU)
L’anno accademico inizia a ottobre e termina a settembre dell’anno successivo; al suo interno le attività didattiche sono suddivise in due semestri, il primo da ottobre a gennaio e il secondo da marzo a giugno.
Il vostro avanzamento (formale) nello studio però non è legato allo scorrere del tempo: mentre fino alle superiori per passare da una classe all’altra si impiega necessariamente almeno un anno, all’università potreste laurearvi più velocemente del previsto, oppure diventare dei fuori corso perché ci impiegherete troppo; tutto dipende da quante attività svolgerete e in quanto tempo darete gli esami.
Per giungere alla laurea è necessario, infatti, accumulare Credito Formativo Universitario (CFU), l’unità di misura dell’impegno di uno studente in termini di tempo dedicato all’apprendimento (esami, laboratori, tirocinio, stage…). Un credito corrisponde convenzionalmente a 25 ore di impegno, che vengono convertite in CFU al termine di un’attività didattica o dopo il superamento dell’esame (indipendentemente dal voto): studiate 25 ore e otterrete un credito, come una tessera a punti.
Per uno studente a tempo pieno, un anno accademico normalmente prevede il raggiungimento di 60 crediti: per ottenere una laurea triennale sono necessari dunque 180 CFU, quella magistrale ne richiede 120 e quella a ciclo unico 300 o 360.
LEZIONI
Per imparare, dovrete ovviamente frequentare le lezioni, ma non sarete sempre obbligati a presentarvi. La frequenza può essere infatti obbligatoria o consigliata (quindi potrete rimanere a casa a studiare autonomamente invece che seguire le lezioni in presenza), a seconda dei regolamenti didattici dei singoli corsi. Logopedia, per esempio, richiede una frequenza minima del 75%, ad economia la presenza a lezione non è obbligatoria ma a medicina sì, per chimica e fisica lo è solo durante le attività di laboratorio, mentre è solo “fortemente consigliata” per giurisprudenza.
ESAMI E VALUTAZIONI
Gli esami si tengono normalmente al termine del trimestre delle lezioni, ed è possibile iscriversi durante gli “appelli”. E’ lo studente che decide quindi quando sostenere la prova, non più il professore che stabilisce la data della verifica come alle superiori. Gli esami vanno comunque completati entro i limiti stabiliti dal proprio piano di studi, altrimenti si diventerà studenti fuori corso e si impiegherà più tempo per raggiungere la laurea.
A seconda del proprio corso, gli esami possono essere scritti o orali. Durante gli orali, della durata variabile (in media 20 minuti), il professore è di solito affiancato da uno o più assistenti che interrogano lo studente in merito ai contenuti delle lezioni svolte. Esistono anche prove scritte, generalmente svolte alla fine del corso, composte da domande multiple o aperte (che durano da meno di un’ora alle 2 ore).
L'esito dell'esame è valutato con un punteggio da 18 (la sufficienza) a un massimo di 30, con eventuale lode. E’ necessaria l'accettazione del voto stabilito, per acquisire i crediti formativi corrispondenti e per aggiungerlo alla vostra media (che contribuirà al voto finale dell'esame di laurea). In caso di un voto non soddisfacente o bocciatura, però, è possibile ripetere l’esame durante la sessione successiva per cercare di ottenere un risultato migliore, senza che la prova negativa incida sul proprio curricolo.
TIROCINIO
Gli stage e i tirocini curriculari sono esperienze che aiutano lo studente ad entrare nel mondo lavorativo del suo campo di studi, acquisendo abilità sul campo (per esempio lavorando per qualche tempo in aziende o istituzioni statali). Contribuiscono ad ottenere CFU, ma per alcune facoltà, soprattutto quelle mediche, sono obbligatori per poter sostenere l’esame di stato (gli studenti di farmacia devono fare per esempio 900 ore di esperienza in una farmacia).
LAUREARSI
Il percorso universitario si conclude con una prova finale, che varia a seconda del corso: consiste in un elaborato o una relazione per i corsi di laurea triennali e nella discussione di una tesi, per i corsi di laurea magistrale o a ciclo unico.
Per superare l'esame è necessario ottenere una votazione minima di 66/110, mentre il punteggio massimo è di 110/110, con la possibile attribuzione della lode: il voto si basa principalmente sulla media degli esami svolti durante il corso e sulla performance della prova finale.
STUDI DOPO LA LAUREA
Una volta conseguita la laurea, potrete frequentare dei master (di 1° livello con il diploma triennale, di 2° dopo cicli unici o magistrali): sono corsi di alta formazione della durata di circa un anno, per perfezionare le proprie conoscenze su un determinato argomento.
Esistono anche corsi di perfezionamento, per l’aggiornamento professionale e scientifico, e scuole di specializzazione, per ottenere alcuni diplomi o certificazioni necessarie allo svolgimento della professione.
Dopo la laurea magistrale o a ciclo unico, gli aspiranti ricercatori potranno iniziare il proprio PhD, il dottorato di ricerca, il più alto livello di formazione universitaria, che dà accesso al mondo della ricerca scientifica: durante il corso, della durata di 3 o 4 anni, gli studenti dovranno svolgere un progetto di ricerca (attraverso didattica avanzata, approfondimento personale e scambi culturali con altri Paesi) per scrivere una tesi finale originale condotta con metodo scientifico.
In tutto questo, però, non abbiamo chiarito un punto molto importante, anzi fondamentale: come scegliere il proprio campo di studi. Ci sono davvero troppe variabili per dare delle indicazioni univoche sulla materia che studierete all’università, ma sicuramente la più importante sono i vostri interessi: se un argomento vi affascina, qualunque esso sia, capirete da soli che è la direzione giusta da prendere. Non importa se il corso è ad accesso programmato ed avete paura del test d’ingresso o se i professori della facoltà sono fra i più severi dell’ateneo e avete già gli incubi pensando agli esami: la strada più ripida e faticosa è quella che conduce alla vetta più alta!
Martina Cucchi
Fonti:https://www.unimi.it/it/studiare/frequentare-un-corso-di-laurea/laurearsi https://www.miur.gov.it/accesso-programmato-a-livello-nazionale https://www.miur.gov.it/web/guest/accesso-programmato-a-livello-locale https://www.miur.gov.it/web/guest/sistema_universitario https://www.unimi.it/it/corsi/facolta-e-scuole https://www.unimi.it/it/studiare/stage-e-lavoro/stage-e-tirocini https://online.scuola.zanichelli.it/ideefuturo/come-funziona-luniversita/ https://www.skuola.net/orientamento-universitario/guida-universita/esame-orale-universita-come-funziona-quanto-dura-come-si-fa.html https://www.skuola.net/orientamento-universitario/guida-universita/appelli-esami-universitari-sessioni-tempistiche.html https://www.skuola.net/orientamento-universitario/guida-universita/fuori-corso-cosa-significa.html https://www.skuola.net/come-studiare/quanto-dura-esame-scritto-orale-universita.html https://www.skuola.net/orientamento-universitario/guida-universita/come-funzionano-gli-stage-curriculari.html https://www.unimi.it/it/studiare/frequentare-un-corso-di-laurea/seguire-il-percorso-di-studi/piano-studi https://www.unimi.it/it/studiare/frequentare-un-corso-di-laurea/iscriversi/iscriversi-una-prima-laurea https://www.unimi.it/it/corsi/orientarsi-e-scegliere/il-sistema-universitario https://www.treccani.it/vocabolario/ateneo/ https://www.unimi.it/it/studiare/frequentare-un-corso-post-laurea/dottorati-di-ricerca-phdNella mattinata di sabato 9 gennaio si sono svolti i laboratori del nostro istituto per permettere ai nostri futuri studenti di immergersi nel mondo del Bachelet per qualche ora. Data l’attuale situazione sanitaria, le attività si sono svolte in collegamento online con Google Meet, ma la partecipazione e l’entusiasmo non sono mancati nemmeno quest’anno. Ovviamente, non poteva nemmeno mancare il laboratorio dedicato al nostro giornale d’istituto B-Log!
La prof.ssa Quaglia, referente del progetto, e il prof. Toffoletto hanno presentato il nostro giornale e alcuni studenti della nostra redazione hanno raccontato la loro esperienza ai ragazzi di terza media. Dopo una presentazione del sito web e di tutte le sue ricche sezioni, che spaziano dalle news di istituto all’attualità, dalla scrittura creativa in tutte le lingue e le grafiche originali alle notizie scientifiche e le recensioni, i ragazzi hanno potuto porre le loro domande sul funzionamento della redazione.
I partecipanti hanno condiviso i loro interessi, portando nuove ed originali proposte per il giornale, ed infine hanno potuto avere un assaggio di “collaborazione B-log” cimentandosi nella scrittura a più mani di un breve racconto partendo da un Emoji Prompts. Buona lettura!
Martina Cucchi
Una tartaruga doveva attraversare la strada, ma stava per passare un taxi… la povera tartarughina era lentissima…
una signora dal marciapiede si fermò stupita, spaventata, impotente davanti alla tragedia imminente, un bambino scoppiò in lacrime.
Ma per fortuna una bici riesce a prendere la tartaruga e la mette in salvo.
Due gemelle che stavano assistendo alla scena invocarono il diavolo che fece volare il taxi e così non ci furono feriti. Una signora rimase a bocca aperta e per precauzione chiamò la polizia.
La polizia arrestò il guidatore per mancato rispetto della natura l'indiano decise di adottare la povera tartaruga che ebbe un trauma per 2 anni!
Partecipanti al laboratorio
Dalla redazione
Dopo le elezioni dei rappresentanti d’istituto, abbiamo deciso di sottoporre loro dei quesiti, al fine di sapere qualcosa sulla loro candidatura, sui loro progetti e sui loro pensieri. Perciò, eccovi le interviste dei quattro studenti che quest’anno rappresenteranno il corpo studentesco, Tommaso Gambarè (Realista), Luca Gruppo (5.changes), Carlotta Bianchini (Apocalista) e Marco Arpaia (Apocalista).
Ecco le domande che abbiamo loro sottoposto e le risposte dei quattro rappresentanti! [Continua a leggere nella sezione Interviste...]
Sofia Beretta
Ebbene, come promesso dalla ministra Azzolina, il 14 settembre nella maggior parte delle scuole del nord Italia siamo tornati in classe, in modi più o meno discutibili.
Nonostante tutti i problemi del caso, sentendo le opinioni di amici e conoscenti, devo ammettere che l’organizzazione del Bachelet è egregia (infattibili a mio avviso lezioni dalle 16 alle 18 su meet).
Quando sono arrivate le 24 pagine di PowerPoint con le nuove indicazioni per il rientro ho pensato che sarebbe stato un vero trauma. In realtà si sono rivelate parzialmente funzionali: la suddivisione degli ingressi limita gli assembramenti anche se risultano inutili dato che la maggior parte degli studenti non indossano la mascherina e si ammucchiano fuori dal cancello… non potremo lamentarci se a breve saremo nuovamente in quarantena. Al contrario “spezzare” l’intervallo, per quanto uccida la socialità e renda difficile un vero “stacco” dalle lezioni, credo stia dando i risultati sperati. Trovo personalmente disfunzionali le confezioni di mascherine che la scuola ci fornisce, essendo in una confezione unica ci obbliga o a distribuirle o a prendersi ognuno la propria e passano così di mano in mano, e per quanto igienizzate rimango riluttante a prendere la mia. L’unico problema serio penso siano le lezioni in DAD, a parte la difficoltà nello stare attenti, ho l’impressione di “perdere i pezzi”: non sentire gli interventi dei compagni ma semplicemente la spiegazione/risposta dell’insegnante impedisce il confronto/riscontro diretto che, specialmente in alcune materie (cof cof* filosofia cof cof*) è a dir poco fondamentali.
Un altro punto discutibile ma che purtroppo, c’entra solo parzialmente con la scuola di per sé, sono i trasporti pubblici. Prendo l’autobus sia all’andata che al ritorno e lì non vengono rispettate né le distanze (per cause di forza maggiore, eviterei di entrare un’ora dopo perché mi hanno chiuso le porte in faccia) né l’uso delle mascherine (pura stupidità), quindi per quanto il preside e chi di dovere si preoccupino della nostra sicurezza e si impegnino, i loro sforzi vengono vanificati da quelli che mi piace definire “carri bestiame” su cui quotidianamente saliamo.
Non sappiamo ancora come andrà a finire, sicuramente la riapertura delle scuole, innovativa e allo stesso tempo precaria, sarà il banco di prova della responsabilità degli studenti sia all’interno delle mura scolastiche ma soprattutto al di fuori di queste.
Francesca Curti
Avete presente le scene d’azione dei film a sfondo medioevale, dove un esercito di cavalieri armati fino ai denti si lancia al galoppo sfrenato giù per un dirupo? Ecco, questa dovrebbe essere un’immagine efficace per descrivere l’ingresso del primo giorno di scuola, quando una folla di studenti spaesati e ancora persi nei ricordi delle vacanze si lancia selvaggiamente contro l’ingresso dell’istituto. Forse la maggior parte preferirebbe non varcare la soglia del cancello, confine fra la vita beata dell’estate e l’inizio dell’anno scolastico, ma ormai è troppo tardi: benvenuti alle superiori!
Vi guardate intorno spaesati e, con passo titubante, vi disponete insieme alle altre matricole nel cortile assolato, tutti ritti in piedi di fronte agli insegnati, aspettando l’appello per venir divisi nelle classi: la prof sta scorrendo inesorabile l’elenco, mentre uno dopo l’altro i primini terrorizzati si fanno largo tra la folla e si avviano verso le aule.
Nonostante tutti i racconti e gli aneddoti sulla scuola superiore che avete sempre sentito da famigliari e amici, non avete idea di cosa vi aspetti, non sapete nemmeno se reputarvi pronti oppure no: questa scuola è stata veramente la scelta giusta per voi, oppure state al liceo come i cavoli stanno alla merenda? (Ecco che già la matematica si manifesta)
I professori vi caricheranno veramente di compiti e vi minacceranno costantemente con interrogazioni a sorpresa, oppure è solo una leggenda metropolitana?
Forse dovrete passare interi pomeriggi sui libri e impegnarvi molto per mantenere una buona media, però non volete nemmeno passare come il secchione di turno: meglio sacrificare i risultati scolastici per salvare la reputazione e la salute mentale?
E i compagni… i compagni come saranno? Forse temete di essere troppo bassi per la vostra età e di sentirvi come uno gnomo da giardino in mezzo a dei giocatori di basket? Oppure siete già alti 1,70m, ma invece non vi sentite abbastanza cresciuti nell’atteggiamento e nel modo di parlare? Non dovete assolutamente apparire come “quello strambo” il primo giorno di scuola! Dovete trovare il giusto equilibrio per tutto e alla svelta, altrimenti potreste cadere dal filo su cui state camminando.
Con questa tormenta di dubbi che imperversa nella mente, vi avviate nei corridoi con passo tremante, ma cercando di apparire decisi: dovete dare l’impressione di essere grandi, forti e sicuri di voi, anche se in realtà vi sentite come al primo giorno delle elementari e odiate questa sensazione di impotenza e impreparazione.
È come prima di un bungee jumping: guardando il vuoto sotto di voi sentite la paura scorrervi nelle vene, ma dovete saltare, dovete buttarvi per forza e dimostrare a tutti che siete coraggiosi, non potete pensare, dovete solo piegare le ginocchia senza farle tremare, poi ciò che è fatto e fatto. Un salto nel vuoto, nell’ignoto, ecco cos’è il primo giorno di scuola: dovete buttarvi ma non sapete se centrerete la rete, sempre che una rete ci sia…
Vi igienizzate le mani, entrate e vi sedete titubanti al vostro banco: guardandovi intorno, vedete negli occhi dei vostri nuovi compagni la stessa paura che potrebbe attanagliare il vostro cuore, lo stesso sguardo smarrito che, anche senza il sorriso nervoso nascosto dalla mascherina, comunica chiaramente che anche loro sono nella vostra stessa situazione di panico. Estraete l’astuccio e iniziate a preparare il vostro materiale, mentre la tormenta interiore non accenna a scemare: l’aula sembra così fredda, i compagni sono perfetti sconosciuti, l’ambiente vi è estraneo quanto un pianeta alieno ghiacciato… Come si potrà, tra mascherine, distanziamento sociale e imbarazzo diventare amici? Le risate che riempivano le ore di lezione alle medie, quel senso di familiarità e calore che provavate vedendo ogni mattina i medesimi volti dei ragazzi che conoscevate da anni, torneranno mai? La scuola, dopo tanti mesi di lockdown, potrà tornare a essere una cosa ordinaria, con tutti i rituali e le tradizioni giornaliere che avete abbandonato a febbraio?
Un fremito scuote l’aula come una ventata gelida e tutti si alzano in piedi agitati: è arrivata la professoressa! Anche se in parte nascosto dalla mascherina, però, il suo sorriso sembra amichevole, quindi potete stare tranquilli. Dopo un noioso ma necessario monologo riguardo alle nuove norme igienico-sanitarie e dopo aver sbrigato le procedure d’ufficio, l’insegnante inizia finalmente il classico discorso d’inizio anno scolastico, quelle parole forse un po’ scontate ma che non possono mai mancare, un po’ come la presentazione di Albus Silente, che tutti già conoscono ma che vogliono comunque ascoltare. A tutti “quelli del primo anno”, dunque, benvenuti ad Hogwarts (ehm, cioè al Bachelet): speriamo che anche questa scuola possa sempre essere un po’ magica e diventare la nostra seconda casa, di incontrare amici fidati come Ron e geniali come Hermione, con i quali condividere avventure e qualche peripezia. Speriamo che gli insegnanti siano brillanti come la McGranitt che “riempiano le nostre menti piene di venti” e aiutino ognuno di noi a scoprire e coltivare i suoi poteri magici. Possiamo noi essere coraggiosi come Grifondoro, leali come Tassorosso, geniali come Corvonero e determinati come Serpeverde e possano anche le lezioni essere interessanti e particolari come quelle di Hogwarts. Speriamo solo che alle nostre scale non piaccia cambiare, altrimenti orientarsi sarebbe un disastro!
Sì, possiamo farcela: presto i corridoi che prima ci erano sembrati tanto freddi e vuoti si riempiranno delle nostre chiacchiere non appena suonerà la tanto attesa campanella, impareremo a conoscere i volti dei nostri compagni e insegnanti, le loro voci e il loro carattere. Fra qualche mese, come è già successo alle elementari e alle medie, tutto ci sembrerà familiare, normale e nostro: basta salti nel buio, basta incognite e cose nuove e sconosciute, solo la routine giornaliera a cui eravamo tanto abituati.
È l’ora di iniziare il vostro viaggio in un territorio per voi totalmente sconosciuto: siete pronti ad addentrarvi nello spazio inesplorato per andare alla scoperta del nuovo e bizzarro mondo chiamato “scuola superiore”?
Voi avete il comando, siete liberi di prendere le vostre decisioni e plasmare la vostra nuova vita: questi cinque anni vi insegneranno ciò di cui avrete bisogno per tuffarvi nel vostro futuro e afferrarlo, qualunque esso sia, e non lo faranno solo grazie ai libri stampati, ma saranno le esperienze che vivrete e le persone che incontrerete a insegnarvi cos’è la vita, con le sue gioie e le sue difficoltà, e forse come affrontarla.
Buon viaggio e, come dissero agli astronauti dell’Apollo 11, good luck men! In fondo, anche noi come loro stiamo iniziando un’avventura piena di incognite, ma che abbiamo atteso e desiderato tanto a lungo.
Possiate anche voi puntare alla Luna e raggiungerla, così mal che vada, anche se sbaglierete mira, camminerete tra le stelle.
Martina Cucchi
La prima settimana di scuola è stata molto ben strutturata e molto utile per farci presente come comportarsi in questo particolare e diverso anno scolastico.
Personalmente, mi aspettavo la scuola molto meno organizzata rispetto alla situazione in cui ci troviamo, ma si è percepita la preparazione in ogni settore scolastico del Bachelet, soprattutto nell’emergenza Covid-19.
Quest’anno me lo aspetto molto diverso dagli anni precedenti e sono molto curioso di sapere come andrà a finire.
14 settembre 2020: un giorno pieno di novità.
Ambiente nuovo, professori nuovi, materie nuove. Ho ancora in mente la prima ora che ho fatto dentro queste “4” mura: spagnolo con la prof Quaglia.
In realtà non mi aspettavo chissà cosa dalle superiori... Ho preferito non farmi aspettative e viverla come una sorpresa: non si può mai sapere cosa c'è dietro un nuovo inizio, meglio lasciarsi il gusto della scoperta.
La prima settimana purtroppo l'ho passata a casa: noia mortale, ma d’altronde siamo consci che serve per la mia sicurezza e quella degli altri.
I professori ci hanno accolti molto positivamente, diversamente da come pensavo. (Piton come prof di matematica non sarebbe stato il massimo)
Da quest'anno mi aspetto novità, un mio cambiamento interiore, ma anche di migliorare il mio impegno nello studio e di conoscere persone nuove.
Qui parla la 1c del liceo scientifico, siamo pronti a fare un rapporto completo con lati negativi e positivi delle prime settimane di scuola per il giornale scolastico b-log, speriamo vi piaccia, buona lettura.
Accumulando le opinioni di ogni nuovo compagno di classe come fossero pepite d’oro, abbiamo costruito un testo che racconta e descrive la nostra esperienza in questa nuova scuola che, chi lo sa, potrebbe essere intrigante e piena di sfide, mortali e non, come Hogwarts.
Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato né un rientro così particolare né un inizio di liceo simile.
Per noi studenti delle classi prime, come per tutti coloro che hanno iniziato un nuovo percorso scolastico, essere fin dal primo giorno così distaccati e divisi è stato strano. Abbiamo usato questo termine perché tutti noi di solito ci aspettiamo che durante il primo giorno ci si guardi un po’ intorno e si osservino i compagni in modo imbarazzato e disorientato, e nei giorni seguenti si inizi a fare amicizia con qualcuno e conoscere pian piano tutta la classe, ma, ahimè, per noi ragazzi reduci da una pandemia non ancora finita, non è stato così.
Abbiamo avuto tanti primi giorni: quello vero e proprio, in cui eravamo divisi in due classi differenti, il secondo, nel quale un terzo di compagni faceva lezione da casa e gli altri due gruppi di compagni si conoscevano faccia a faccia, o meglio, mascherina a mascherina e infine il terzo primo giorno, che è stato il primo giorno della seconda settimana, durante il quale erano presenti a scuola i ragazzi e le ragazze che si erano collegati da casa nella settimana precedente e invece quelli di un altro terzo della classe seguivano con il collegamento meet. Conoscere i prof è stata la cosa più simile a quando andavamo a scuola senza il Covid-19, se non per il fatto che indossassero la mascherina.
La settimana iniziale è stata a grandi linee come ce la immaginavamo, con tutte le regole da rispettare e le norme di sicurezza uscite nei giorni precedenti, non c’era molto spazio lasciato all’immaginazione. A tutti, e soprattutto a chi ha avuto la possibilità di conoscere i compagni in presenza, la prima settimana di scuola con pandemia in corso, è piaciuta, i professori sono stati disponibili e ci hanno spiegato il programma per questo anno. Tutti i docenti hanno fatto il solito discorso sullo studio che deve essere fatto volta per volta e non tutto all’ultimo, infine ognuno ha parlato delle norme di sicurezza e del regolamento scolastico.
Per quelli a scuola le lezioni al banco sono come un ritorno alla normalità, i prof spiegano mentre si ascolta e, magari, si prendono appunti, ma quando qualcuno da casa accende il microfono o quando si distoglie lo sguardo dal prof e ci si accorge di essere al banco da solo, con nessun compagno vicino a sé, ci si ricorda che siamo ancora distanti dalla normalità.
Al contrario, per alcuni tra i collegati da casa è più difficile concentrarsi, essendo circondati da distrazioni di ogni tipo, quali possono essere il gatto che miagola, un fratello o una sorella che entrano in camera ma soprattutto le applicazioni del computer stesso; nonostante questo, con i professori che si ricordano dell’esistenza di coloro che sono costretti a stare chiusi in una stanza e che li interpellano, si riesce comunque a rimanere svegli e attivi anche di mattina presto e per le ore seguenti.
Qualche giorno dopo l’inizio della scuola è arrivata una notizia che tutti gli studenti hanno adorato fin da subito: una gita a Morimondo per tutti gli alunni delle classi prime.
Il lato che per alcuni è stato negativo? Bisognava arrivarcisi a piedi, certamente non era un problema per chi era allenato e non si affaticava velocemente, ma per alcuni ragazzi magari molto sedentari, l’idea di andarci camminando non era sembrata subito molto simpatica. Nonostante i piedi di molti volessero staccarsi dalle gambe all’arrivo, ne è valsa la pena, abbiamo visitato l’abbazia e il monastero di Morimondo con anche delle alunne di quarta superiore che spiegavano tutti i luoghi che visitavamo all’interno della chiesa. Successivamente siamo andati in un campo sportivo nel quale ci siamo riposati e abbiamo fatto un’attività tutti insieme. Il ritorno è stato forse più traumatico dell’andata dato che per circa metà del tragitto siamo stati sotto il sole cocente delle tre e mezza del pomeriggio. Nonostante questo ci siamo divertiti e abbiamo avuto un’occasione in più per conoscere i compagni.
Da quest'anno ci aspettiamo di imparare tanto, di fare nuove esperienze nonostante la pandemia che stiamo vivendo. Conoscere nuove realtà attraverso lo studio e stringere nuove amicizie. Accrescere il bagaglio culturale e divertirci.
1CL
Quest’anno i maturandi, me compresa, si troveranno ad affrontare una situazione che è ancora da capire. L’anno scorso, purtroppo, i maturandi non sono riusciti a godersi appieno quella che secondo me è
l’esperienza della maturità: totalmente immersi nella grave situazione di emergenza che stavamo vivendo (e che stiamo vivendo tuttora), si sono “persi” tutte le emozioni che seguono questo rito di passaggio per tutti i giovani italiani.
L’esame di fine anno è una tappa fondamentale e inevitabile per uno studente perché è la fine di un periodo di vita che rimpiangeremo molto probabilmente ma è l’inizio di qualcosa di nuovo in cui ognuno di noi avrà la possibilità di intraprendere il cammino che desidera davvero, per poi sbarcare nel fatidico mondo del lavoro.
Ho intervistato alcuni miei compagni di classe e altri quintini di diversi indirizzi, ponendogli questa domanda : “Cosa vi aspettate da questa maturità? Quali sono le vostre emozioni e pensieri a riguardo?”
Ecco alcune testimonianze:
“Secondo me la scorsa e questa maturità saranno le più discusse di sempre perché svoltasi in situazioni fuori dal comune….. personalmente credo che nonostante ci sia la possibilità che cambi qualcosa a livello pratico (come l’anno precedente) le emozioni, l’ansia e lo spirito di competizione rimarranno invariati. Spero con tutto me stesso che questa situazione non influisca negativamente su questa esperienza faticosa perché la maturità è un qualcosa che ti porterai nei ricordi per sempre”
“Sinceramente non ho ancora delle aspettative. Spero solo che i prof capiscano la situazione complicata venendoci incontro e di riuscire a dare il mio meglio nelle prove per poter uscire con un voto di cui andare fiera”
“Quest’anno non sarà come lo avevo immaginato all’inizio dei cinque anni, è tutta un’incertezza, siamo solo all’inizio e le ansie e le preoccupazioni arriveranno nei prossimi mesi. Per ora sono molto positiva e il mio unico pensiero è rivolto al conseguimento del diploma. Spero che i professori possano prepararci al meglio.
Sono consapevole del fatto che quest’anno sarà difficile ma in fondo la maturità l’hanno affrontata tutti e sono ancora vivi. Ce la posso fare!”
“Ho molta ansia e fondamentalmente spero di passare, anzi prima devo essere ammessa, quindi dopo l’ammissione posso sperare di uscire da questa scuola con un voto di cui essere soddisfatta.
Spero che non sia troppo difficile e di non impappinarmi.”
“Sono spaventato ma allo stesso tempo tranquillo tanto entro la fine dell’anno si ritorna tutti in quarantena – profetico il ragazzo -, spero comunque ovviamente di superare questa maturità alternativa, se possiamo dire così, e di chiarirmi le idee sul mio futuro fuori.”
“Principalmente l’emozione che prevale in me quest’anno è la voglia di uscire e di passare questa maturità con un voto alto, impegnandomi come ho fatto finora nonostante la situazione di emergenza che ci rende un po’ tutti meno motivati perché ne si percepisce la gravità.
Per adesso l’ansia non è una delle emozioni che sento ma sono sicura che invaderà tutto il mio corpo molto presto.”
I ragazzi sono stati molto disponibili e alcuni mi hanno anche confidato che progetti hanno dopo aver affrontato l’esame di stato. Allo stesso tempo ho notato che c’è un’indecisione generale
riguardo alla strada da prendere per il futuro, questione che però ritengo del tutto normale, essendo noi giovani e pieni di mille idee ancora da definire.
Auguro con tutto il cuore ai maturandi di riuscire a far valere se stessi, lasciando da parte le emozioni negative come ansia e paura... perché sono sempre quelle che fregano e spero che riescano a capire quello che vogliono davvero dalla vita e a realizzare tutti i loro progetti.
Che siano indecisi, completamente volubili e che cambiano idea ogni ora, o che siano determinati e testardi riguardo al loro obiettivo, mi piacerebbe concludere lasciando con la frase di una grande donna, di quelle con la D maiuscola:
“Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri”
Rita Levi-Montalcini
In bocca al lupo, ragazzi di quinta!
Alice Ferretti
«La Prima Repubblica non si scorda mai»: così cantava Checco Zalone nel film Quo Vado?. Ebbene sì, è proprio vero – anche se detto con il taglio ironico tipico del noto attore e cantante –: ogni italiano si porta dietro l’eredità culturale e politica di quel periodo storico complesso, articolato, per tanti aspetti ancora poco chiarito, ma che non potrà mai essere dimenticato.
In particolare, per introdurre bene il tema di questo articolo, bisogna aver presente la nascita, alla fine degli anni Sessanta, della contestazione studentesca, e cioè del cosiddetto “movimento del ‘68”: fu un momento fondamentale di ribellione di giovani contro un mondo di adulti “maestri” e “autorità”, uno scontro tra due generazioni che (per vari motivi che sarebbe troppo lungo elencare qui) si trovarono a non comprendersi e non comunicare più tra di loro. Avvenne soprattutto nelle università, nell’anno 1968 e in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia. Nel nostro paese, però, questa ribellione quasi fin da subito assunse toni e modi violenti, spesso unendo, attraverso l’adesione a ideologie estremiste, studenti e operai in una lotta armata. La strage di Piazza Fontana nel 1969 (una bomba esplose a Milano facendo 17 morti) fu il primo atto di quelli che sarebbero stati poi definiti gli “anni di piombo”. Da quel momento, cioè, nella nostra società – anche se oggi potrebbe risultare assurdo (soprattutto per chi ha la nostra età) –, ebbe inizio, a causa di questi gruppi estremisti armati, un periodo veramente angosciante, con tanti aspetti inquietanti e ancora ignoti. Quello che sappiamo con certezza è che, nella “strategia della tensione” – altra espressione con cui si è indicato l’effetto che cercavano di creare questi gruppi nella società –, si contrapposero estremismi di destra e di sinistra, prima iniziando dagli scontri nelle manifestazioni; poi, in un crescendo di atti di violenza fatto di rapimenti e agguati, arrivando a una serie di sanguinosi attentati realizzati ovunque, contro bersagli politici o del mondo istituzionale e civile moderato, tanto da lasciare una scia di morti che sembrava senza fine. Tali frange estremistiche furono di fatto autrici di molteplici pagine la cui collocazione, all’interno della storia della nostra Repubblica, risultano ancora oscure e controverse (tanto per darvi un’idea di quanto il quadro fosse complicato: un ruolo importante lo hanno avuto anche i servizi segreti e le logge massoniche, organizzazioni e associazioni che hanno agito in modo per niente chiaro nella lotta tra terrorismo e Stato).
La famiglia Bachelet
Il 16 marzo 1978, a Roma, avvenne la strage di via Fani, nella quale le Brigate Rosse tesero un’imboscata ad Aldo Moro (allora presidente della Democrazia Cristiana) e lo rapirono, dopo aver ucciso tutti e cinque gli uomini della sua scorta. Il 9 maggio dello stesso anno, dopo cinquantacinque giorni di prigionia, venne ritrovato morto in un baule di una macchina, sempre a Roma, in Via Caetani. Nella stessa città, il 12 febbraio del 1980, all’Università “La Sapienza”, venne assassinato, ancora dalle Brigate Rosse, Vittorio Bachelet, professore ordinario di Diritto pubblico ed economia e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Quest'anno, proprio il 9 maggio – quasi per caso, una data particolarmente significativa per la memoria di quegli eventi – noi studenti di quinta dell'istituto abbiamo assistito alla videoconferenza con il figlio di Vittorio Bachelet, Giovanni, docente di Fisica all’Università “La Sapienza” di Roma, nella quale abbiamo scoperto tante cose in più su suo padre e sul periodo storico in cui è vissuto. Per un figlio, ripercorrere le vicende di un padre la cui vita fu spezzata da questi terroristi, non è una cosa semplice e, certamente, non tutti riescono a farlo.
Prima di rispondere ad alcune domande, presentandosi ci ha detto che i modelli da cui traeva ispirazione la famiglia Bachelet erano John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti dal 1961 al 1963, e Martin Luther King, leader politico di colore che lottava per i diritti civili della comunità afroamericana. Bisogna anche aggiungere che la famiglia era cattolica e molto legata ai valori della Chiesa (come dirà più avanti), che suo padre fu dirigente dell’Azione Cattolica e che, all’epoca, l’elettorato di questo tipo rifluiva pressoché totalmente nel partito della Democrazia Cristiana.
Bachelet afferma poi che, nonostante il periodo travagliato degli anni di piombo, il sistema politico democratico e le istituzioni ressero; e questo fu anche grazie al contributo del Partito Comunista Italiano, fermo nel condannare in modo rigoroso l’operato dei gruppi terroristici dell’estrema sinistra, come le Brigate Rosse, dissociandosi da essi. Se non ci fosse stata questa presa di posizione ufficiale, sicuramente sarebbe stato molto più difficile giungere ad una fine dei conflitti. Tuttavia, con l’assassinio di molti “pezzi da novanta” della politica, come per esempio Aldo Moro, c'è stato sicuramente uno stravolgimento ulteriore degli eventi: molto probabilmente – ha sostenuto Bachelet –, se Moro non fosse stato ucciso, avremmo forse visto l’alternarsi bipolare di governi della DC e del PCI; e, in più, ha aggiunto che, con l’assassinio di dirigenti, politici e giornalisti che non avevano paura di esporsi e fare politica o informazione in modo democratico, si è in qualche modo impoverito il Paese.
Politica, contestazioni, lotte: quale eredità?
L'incontro è proseguito in un alternarsi di domande e risposte. Rispondendo ad una prima domanda sull’eredità di quegli anni, Bachelet ha affermato che questo periodo storico controverso ha in parte contribuito a portare all’attuale allontanamento della gente dalla politica, il cui progressivo disinteresse, specialmente tra i più giovani, è fenomeno per certi versi grave. Sicuramente è un sentimento che si può capire, sotto certi aspetti, e il nostro ospite ci lancia una giusta provocazione: dare, come è accaduto in quel decennio, «troppa importanza alla politica», a tal punto da dimenticare che essa è nata per servire il benessere della comunità e non a distruggerlo fino al punto da uccidere in suo nome, è certamente una cosa spregevole.
Una ragazza ha chiesto a Bachelet se ci sarebbe mai potuto essere un dialogo con le BR, sostenendo che, in fondo, erano degli esseri umani anche loro, e che quindi, forse, si sarebbe potuto trovare un qualche punto di contatto. Lui ha iniziato raccontando l’episodio più significativo della sua storia pubblica, quello per cui è ancora adesso noto e stimato pubblicamente, e cioè che, durante il funerale di suo padre, a un certo punto, pregò anche per i terroristi. E (cosa meno nota) scrisse anche una lettera aperta, un appello alla pace al quale molti brigatisti risposero. Ma, secondo Bachelet, «il dialogo si può fare quando entrambe le parti lo vogliono fare». E, per rendere l’idea dell’impossibilità di avere un dialogo, in quel dato momento, con le BR, ha fatto un esempio molto semplice: «se uno ha in mano una pistola ed io dico ‘dialogo’, vuol dire che sto io cedendo al ricatto della violenza». Non bisogna dimenticare, d'altra parte, che, storicamente parlando, le Brigate Rosse furono un’organizzazione terroristica il cui scopo era di rovesciare la democrazia e che avevano definito quello che è l’insieme di leggi fondamentali dello Stato, e cioè la sua Costituzione, inutile e falsa: trattare con loro da pari sarebbe stato come – riprendendo le parole di Bachelet – cedere ai loro ricatti, implicitamente riconoscerli come una legittima forza politica. La loro visione – ha aggiunto il professore – era un misto molto elementare di stalinismo, leninismo e maoismo, nel tentativo di realizzare una sintesi che risultava (e lo risulta ancor di più ai nostri occhi contemporanei), oltre che inapplicabile alla realtà italiana, anche inevitabilmente violenta.
Un altro studente gli ha posto una domanda a nostro avviso molto interessante, chiedendogli un giudizio sui movimenti giovanili che sono stati all’origine della primissima fase della contestazione del ’68, e cioè prima che arrivassero a politicizzarsi in senso ideologico; questi – gli ha chiesto – hanno saputo solo distruggere oppure anche costruire qualcosa?
Bachelet ha affermato che solo una minoranza di movimenti giovanili è passata da manifestazioni pacifiche, creative e musicali a manifestazioni più violente, per cui poteva anche accadere che piccoli gruppi di violenti si infiltrassero tra i cortei pacifici, mutando la non-violenza in una guerriglia urbana. Come precedentemente detto, solo una piccola parte ha contribuito a distruggere la possibile l’alternanza dei governi della DC e del PCI; l’unico politico che fu in grado di provare a creare le basi di un possibile governo unitario, cioè Moro, venne ucciso proprio da questi (come spunto di un possibile approfondimento, ci limitiamo solo a suggerire che questo stesso eventuale governo DC-PCI non sarebbe stato ben visto né dagli americani né dai sovietici; che legame c’è tra questo fatto e il terrorismo? Come vedete, questo periodo di storia italiana è davvero complesso e, in parte, oscuro…). La maggioranza, che non partecipò alle frange estremiste della sinistra extraparlamentare (come viene anche chiamata, proprio perché agiva fuori dal dialogo democratico in Parlamento), si era illusa per un periodo di una rivoluzione pacifica che non avvenne; ma, di fatto, ha contribuito, alla lunga, a creare il cambiamento in senso democratico del paese.
Vittorio Bachelet, Aldo Moro: un vero impegno politico e il suo prezzo
Bachelet commenta poi la domanda che riguarda una dichiarazione di Pertini in cui l’ex-Presidente della Repubblica avrebbe affermato che suo padre Vittorio era stato uno degli obiettivi più alti a livello istituzionale tra quelli delle Brigate Rosse. Il professore constata che, come vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, suo padre era effettivamente una personalità di spicco, in ambito istituzionale – oltre ad aver avuto un importante ruolo come presidente di Azione Cattolica, associazione che ha guidato per diversi anni dimostrando grande competenza e impegno. Tuttavia, egli riconosce che il rapimento di Aldo Moro da parte delle BR fu considerato dall’opinione pubblica un fatto di eccezionale gravità, il più significativo di tutti quelli precedenti (e successivi): questo perché lo statista italiano aveva un ruolo di grande responsabilità politica, essendo presidente della Democrazia Cristiana, il principale partito dell’epoca. Inoltre, la sua era una delle figure più popolari e anche più apprezzate tra i cittadini e tra gli stessi politici (di ogni appartenenza).
Bachelet continua approfondendo la questione dei partiti in Italia. Al tempo essi rappresentavano un’entità solida e duratura a cui i cittadini facevano riferimento: con una forte presenza anche nei piccoli centri abitati, i partiti contribuivano a mantenere acceso il fermento socioculturale del Paese, e lo facevano anche grazie a diversi “corpi intermedi” tra politica e cittadini come le polisportive, le cooperative, le associazioni, che potevano innestarsi nel territorio costituendo dei veri e propri distaccamenti dei partiti stessi. La DC, ad esempio, intesseva stretti legami con Azione Cattolica, mentre i comunisti, giusto per citare un caso emblematico, avevano società sportive denominate “Stella Rossa”, il cui nome richiamava subito una certa appartenenza.
Bachelet passa poi a una considerazione sul ruolo della Chiesa in politica e ci ricorda come questa abbia avuto una grande influenza nel Dopoguerra sostenendo attivamente la Democrazia Cristiana – anche se, dopo il Concilio Vaticano II, ha ridefinito alcune sue linee-guida, che l’hanno vista progressivamente allontanarsi dalla scena politica diretta per dedicarsi con maggior zelo all’opera di sostegno sociale alle comunità cristiane e alla diffusione della fede.
Era forse da considerarsi accettabile la grande influenza che avevano i partiti nel Paese, si è chiesto Bachelet? Riguardo a questo ci ha fornito una doppia interpretazione: se, da un lato potevano esserci vantaggi e favoritismi per chi apparteneva al partito più influente sul territorio, dall’altro si registrava una sincera partecipazione dei cittadini alle vicende politiche e una reale fiducia nei progetti dei rispettivi schieramenti. I leader italiani erano considerati come dei “beniamini” dalla popolazione e ciò ha contribuito, secondo il professore, al corretto funzionamento del sistema proporzionale fino agli anni Settanta.
Il valore della libertà
Quando gli è stato chiesto quale importanza abbia avuto la libertà di pensiero (soprattutto in quegli anni), Bachelet non ha avuto esitazioni e ha subito detto: «È stata immensa». È per questa libertà che Moro e suo padre hanno dato la vita. «È stata la conservazione delle libertà democratiche la trincea in cui sono morti». Il terrorismo, infatti, «puntava alla censura ideologica» e aveva una visione totalitaria dello Stato che non contemplava l’esistenza di opinioni diverse dalla propria. Bachelet racconta un aneddoto illuminante in proposito: sia nel ’71 che nel ’73 era andato a trovare la sua madrina di battesimo in una cittadina della Germania Est, che allora si trovava sotto l’influenza sovietica. I residenti non potevano lasciare liberamente il paese, mentre era possibile per i viaggiatori occidentali accedervi. La donna era insegnante di filosofia e il marito era medico condotto. A un certo punto le fu impedito di continuare l’insegnamento poiché si rifiutava di esporre le dottrine marxiste ai suoi alunni, spinta dal suo credo cattolico che non le faceva accettare di dover aderire a un “pensiero unico”. Anche il marito aveva avuto problemi con le autorità: egli confidò a Bachelet che doveva insegnare ai malati ricoverati da più di tre giorni la teoria comunista, ma riusciva a sottrarsi all’obbligo grazie alla complicità dei pazienti stessi, che firmavano un documento che attestava il presunto svolgimento della lezione. La discussione tra i due avveniva con il volume del giradischi al massimo, poiché l’uomo temeva di essere spiato e ascoltato.
Bachelet ci ha ricordato quindi l’incredibile valore della libertà, valore per cui hanno combattuto non solo i democristiani, ma anche molti socialisti e comunisti che già allora non credevano nel modello sovietico. Egli infine cita Guido Rossa, sindacalista della CGIL che aveva segnalato infiltrazioni terroristiche in una fabbrica di Genova e che per questo era stato ucciso dalle Brigate Rosse.
Oltre ogni barriera
L’incontro con Giovanni Bachelet ha rappresentato per noi l’occasione di gettare uno sguardo su un’epoca che si è impressa prepotentemente nella mente di chi ha vissuto quegli anni di fibrillazione politica e sociale. Vite diverse, problemi diversi, ma uguale consapevolezza di ciò che è stato e una comune volontà di lasciarsi un certo passato alle spalle, evitando però di rinnegare o ripudiare anche i momenti più bui.
Di Bachelet ci ha colpito la spontaneità, la naturalezza con cui ha saputo raccontarci episodi sicuramente difficili da interiorizzare. Abbiamo ammirato la grande dignità di un uomo che non si è piegato neanche un secondo al ricatto terrorista e che, anzi, ha mantenuto incrollabile la fiducia nelle istituzioni, convinto della loro insostituibilità per regolare con ordine il vivere comune. Egli ha saputo anche concedere il perdono a coloro che hanno colpito suo padre e lo Stato, dimostrando una sensibilità e un valore morale assoluti.
Se è vero che la conoscenza diretta della storia è la testimonianza di chi quella storia l’ha vissuta, allora possiamo dire di aver toccato con mano una parte di essa. E poco importa se è stata una riunione virtuale. La condivisione autentica di idee, esperienze ed emozioni non è mai limitata da una barriera fisica; e possiamo dire che, in questa giornata, essa è stata veicolata nel modo più potente possibile grazie all’utilizzo di parole che hanno saputo davvero “rendere giustizia” agli eventi.
E le parole, si sa, non hanno confini.
Kevin Zicolella e Luca Frattoni
Il sette febbraio di quest’anno, gli studenti delle classi prime del liceo linguistico, per apprendere lo spagnolo, hanno partecipato a uno spettacolo in lingua organizzato dalla scuola con Albahaca Teatro. I ragazzi hanno potuto provare le proprie battute e, dopo essersi preparati psicologicamente, si sono recati presso l’aula magna dell’istituto, dove hanno recitato i loro ruoli. Alcune classi hanno osato persino salire sul palco per lanciarsi nel mondo della recitazione, in modo tanto comico quanto determinato. I tre attori della compagnia, Mylvis, cubana, Valeria, argentina, e Juan, spagnolo, sono stati molto professionali, improvvisando e replicando punto su punto, tanto, forse, da oscurare persino gli sforzi recitativi dei nostri ragazzi e rubare loro qualche battuta... Nel complesso l’incontro è stato però un grande successo, tanto che un* ragazz* dice: “Questo spettacolo è stato sorprendemente carino e divertente e gli attori recitavano divinamente. Certo, la location non era altrettanto bella, ma comunque adatta per lo svolgimento delle storie. Non sono tipo da queste simpatiche avventure, ma consiglio la visione di questo spettacolo.” Per imparare una lingua bisogna infatti giocare, ma anche lavorare con molta serietà.
i laboratori nelle classi
los talleres en las clases
El burlador burlado (1CG)
Il sette febbraio di quest’anno, gli studenti delle classi prime del liceo linguistico, per apprendere lo spagnolo, hanno partecipato a uno spettacolo in lingua organizzato dalla scuola con Albahaca Teatro. I ragazzi hanno potuto provare le proprie battute e, dopo essersi preparati psicologicamente, si sono recati presso l’aula magna dell’istituto, dove hanno recitato i loro ruoli. Alcune classi hanno osato persino salire sul palco per lanciarsi nel mondo della recitazione, in modo tanto comico quanto determinato. I tre attori della compagnia, Mylvis, cubana, Valeria, argentina, e Juan, spagnolo, sono stati molto professionali, improvvisando e replicando punto su punto, tanto, forse, da oscurare persino gli sforzi recitativi dei nostri ragazzi e rubare loro qualche battuta...
Nel complesso l’incontro è stato però un grande successo, tanto che un* ragazz* dice: “Questo spettacolo è stato sorprendemente carino e divertente e gli attori recitavano divinamente. Certo, la location non era altrettanto bella, ma comunque adatta per lo svolgimento delle storie. Non sono tipo da queste simpatiche avventure, ma consiglio la visione di questo spettacolo.” Per imparare una lingua bisogna infatti giocare, ma anche lavorare con molta serietà.
El melón (1BG)
Vida pasión y muerte de la vecina de enfrente (1AG)
Abbiamo intervistato Valeria, una dei tre attori, per avere qualche notizia in più su questo progetto… Per prima cosa dobbiamo dire che, proprio a scuola Valeria interpretò il suo primo ruolo da protagonista in Cappuccetto Rosso; perse così la paura dei lupi e le piacque tantissimo! A undici anni fece uno spettacolo con le maestre. La scuola fu quindi il mezzo attraverso il quale scoprì la sua passione per il teatro. Dice l’attrice: “Per questo per Mylvis e me è importante portare il teatro nelle scuole: primo perchè ci sono molti ragazzi che non possono accedere, per questioni economiche e per questione di interesse, alle messe in scena nei teatri o a corsi di recitazione. In questo modo riusciamo a portare loro questa arte e attivare la curiosità, il desiderio o l’indifferenza. L’importante è che se non sono io ad andare a teatro... il teatro viene da me! Questo è uno degli obiettivi di “Albahaca teatro”.
Come è iniziato questo progetto?
"Con Mylvis ci conosciamo da 10 anni. Ci siamo conosciute lavorando nell’associazione Teatro en español, e un giorno ci siamo dette “perchè non lo facciamo noi da sole?” Questo perché abbiamo un modo praticamente uguale di affrontare il teatro, un’idea comune su cosa significhi fare teatro per un pubblico di alunni, sia per quanto riguarda la serietà, il rispetto, il contenuto e il livello di recitazione. "
Da dove arriva il nome della compagnia teatrale?
"Abbiamo iniziato a interpretare un’opera di Federico Garcia Lorca che ho visto tanti anni fa a Buenos Aires e si chiama La niña que riega la albahaca y el príncipe preguntón, storia tradizionale andalusa. Dal titolo di quest’opera abbiamo preso il nome della nostra compagnia, è un nome arabo [significa "basilico" nda]. ma ha una ruolo importante nello spagnolo perchè la portarono gli arabi nella penisola iberica e da lì, con la conquista americana, si diffuse anche nel Nuovo Mondo ed è anche un elemento importante anche nei nostri piatti, in più è verde e a me piace molto questo colore ed è aromatica."
Com’è nata, invece, la vostra collaborazione?
"Con Mylvis ci conosciamo da un sacco di anni e soprattutto ci unisce l’approccio al teatro e la serietà a livello lavorativo, dalla reciproca stima sul lavoro è nata successivamente la nostra amicizia. Conosciamo invece Juan da un anno, l’abbiamo conosciuto a ottobre del 2019 ed è quindi la nostra new entry."
Se volete conoscere meglio i nostri tre attori, potete seguirli su Instagram come @albahacateatro, la loro mail invece è albahaca.teatro@gmail.com.
Andrea Brambilla
illustrazione di Bice Tarantola
Bologna, 12 febbraio 2020
Fisica in Moto è il laboratorio didattico interattivo di Fisica realizzato da Fondazione Ducati all'interno della storica fabbrica di Borgo Panigale. Noi studenti di terza liceo scientifico abbiamo avuto la possibilità di scoprire e sperimentare attraverso questo laboratorio la realtà dei principi fisici che guidano ingegneri e tecnici nella realizzazione delle moto Ducati e dei loro motori, non solo attraverso spiegazioni teoriche, ma anche con la possibilità di comprendere, grazie ad alcuni macchinari interattivi appositamente progettati e realizzati, qual è il legame tra determinati principi fisici che noi studiamo quotidianamente e la progettazione di una Ducati. Esperimento che ci ha permesso di osservare direttamente l’utilità di concetti che spesso studiamo senza comprenderne l’effettiva funzione all’interno della realtà. Parlando non prestiamo mai attenzione alla differenza tra massa e peso, durante le interrogazioni non sempre è automatico associare a fenomeni reali il secondo e terzo principio di Newton oppure la conservazione della quantità di moto e del momento angolare.
Su un piano a basso attrito e carrelli con cuscinetti a sfera sono stati posti cubi di diversa massa e abbiamo osservato il principio di inerzia e il rapporto che c’è tra massa e velocità.
Poi su un piano con due sedie sportive montate su cuscinetti ad aria inserite all'interno di un ring ci è stata spiegata la Terza Legge di Newton e della conservazione della quantità di moto. Quando l’aria scorreva all’interno dei cuscinetti nessuno riusciva a spostarsi nella direzione in cui voleva andare con il sedile!
Successivamente siamo saliti sul sedile di una moto, poggiato su una trave che ruota attorno al suo centro. Ruotando assieme alla trave e avvicinandoci o allontanandoci dal centro abbiamo provato la dimostrazione della conservazione del momento angolare.
Qualcuno ha sperimentato il comportamento delle moto in curva.
C’è anche chi è stato messo alla prova fisicamente, cercando di raggiungere la propria velocità massima pedalando su una motocicletta mutante, metà moto e metà bici. Qui ci sono stati spiegati i concetti di coppia e potenza.
Colpendo con martelli di diverso materiale e massa una cella di carico intervengono diversi fattori a determinare l'intensità della forza e il tempo durante l’urto.
Qualcuno di noi si è sfidato ad una specie di “braccio di ferro” per vedere direttamente come funziona il momento di una forza. I due sfidanti, da parti opposte rispetto al centro, hanno provato far ruotare verso di sé un manubrio, la cui forma è stata modificata più volte per osservare in diverse situazioni chi dei due fosse avvantaggiato durante la sfida.
Infine come dei veri meccanici abbiamo smontato e analizzato la frizione del motore Ducati.
Dopo la fisica è stato il momento della storia, abbiamo visitato il museo, osservando l’evoluzione della motocicletta, dalla realizzazione del primo motore “Cucciolo”, montato su quella che ricordava decisamente più una bicicletta che una moto, agli ultimi modelli, e le differenze in dimensioni e materiali in base agli utilizzi e soprattutto ai luoghi su cui corrono le specifiche moto, comprese le tute e i caschi.
Ciò che ha affascinato molti di noi è stato poter accedere alla fabbrica vera e propria, dove ci è stata spiegata e illustrata la realizzazione delle moto Ducati, dal primo passaggio all’ultima verifica di funzionamento del motociclo. Abbiamo assistito passo dopo passo alla nascita delle moto, scrupolosamente progettate e controllate. Per rendere l’idea della grande opportunità dataci, per ragioni di segretezza non ci è stato concesso fare foto all’interno della fabbrica (non si può negare che sapendo questo noi studenti ci siamo sentiti davvero importanti).
La visita ha arricchito tutti culturalmente e anche chi non si era mai interessato prima alle moto è uscito dal centro decisamente soddisfatto dell’esperienza fatta sia in laboratorio che nel museo dove le guide ci hanno dato un sacco di informazioni storiche e curiosità.
Siamo adolescenti, tra non molto saremo anche patentati, e giustamente i nostri professori hanno pensato che potesse essere utile farci fare un corso di sicurezza stradale (fondamentale anche per chi non guida ovviamente, dato che la strada è di tutti, non solo delle macchine). La cosa interessante dell’esperienza al CUBO (condividere cultura) di Bologna è stata che non abbiamo solo assistito ad una presentazione teorica sul comportamento da avere per strada e sulle regole da rispettare mentre si è in giro, ma abbiamo potuto sperimentare attraverso delle simulazioni con uno schermo a cui erano collegati freno, acceleratore e volante cosa significa guidare con della pioggia, sotto effetto di alcool e stupefacenti o con l’improvvisa comparsa di un ostacolo durante il percorso. E’ stato per tutti molto divertente. Attraverso una realtà virtuale abbiamo poi osservato degli incidenti da diversi punti di vista e ne abbiamo corretto gli errori. Infine, per verificare la comprensione degli insegnamenti che ci sono stati trasmessi, ci siamo anche sfidati ad un gioco dove nessuno poteva darci suggerimenti. L’iniziativa è stata molto apprezzata, perché associare “gioco” e insegnamento fa molto bene alla mente per assimilare e memorizzare ciò che le viene comunicato.
Il giorno 11 febbraio 2020, l’auditorium dell’istituto superiore Bachelet di Abbiategrasso ha ospitato il regista Alberto Oliva, nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dall’Associazione culturale UrbanaMente di Magenta, che quest’anno è intitolata: “Io verso la polis”.
Il tema, minuziosamente trattato, è stato il teatro di Dostoevskij, argomento tanto complesso quanto intrigante, che ha catturato l’attenzione di tutta la platea.
La capacità dello scrittore russo di arrivare alla parte più profonda dell’animo umano, portando la sua duplice personalità nelle opere scritte nel corso della vita, è stata messa in evidenza numerose volte nel corso dell’intervento di Oliva, il quale si è destreggiato tra attualità e letteratura, filosofia e psicologia.
“Per raggiungere la polis perfetta bisogna migliorare sé stessi, per migliorarsi bisogna accettare il proprio doppio”. Ed ecco il collegamento: Dostoevskij ci spiega, attraverso le sue opere, che tutto ha un doppio, che tutti abbiamo un sosia.
Il tema del doppio viene spiegato da Oliva con un esempio: ognuno di noi può essere chiunque, un assassino, un pedofilo, un ladro: una volta compreso che la nostra personalità si compone di tante parti possibili (nonostante non appaiano), queste parti possono essere contrastate, in modo che non si diventi ladri, pedofili o assassini. Ma occorre la comprensione, la presa di coscienza.
Il significato ultimo di tutta la serata è stato un ammonimento sul proprio doppio, perchè tutti abbiamo un alter-ego oscuro, che teniamo nascosto.
Il regista commenta: “La serata è stata molto bella per me, davvero di un livello altissimo. Ho avuto un’ottima impressione, è stato bellissimo anche il dibattito dopo il mio intervento, ci sono state delle domande molto belle e interessanti. Ciò che mi ha fatto più piacere è stato vedere come una lezione su Dostoevskij possa far parlare di attualità, e quindi di temi che ci riguardano molto da vicino e questa è la cosa che mi piace di più, perché per me Dostoevskij non è un autore che va studiato solo da chi ama la letteratura russa, ma anche da chi riflette sulle cose del nostro tempo, sull’attualità. Alcuni spunti di Dostoevskij riguardano la nostra contemporaneità, il nostro presente: questa è la sua forza, come quella di tutti i grandi pensatori dell’umanesimo e della tradizione occidentale, che hanno sempre messo al centro della loro ricerca l’Uomo”.
Camilla Scuri
Lunedì 3 febbraio, noi ragazzi delle seconde del liceo di scienze umane ci siamo recati alla mostra-percorso “Dialogo nel buio”, a Milano, per scoprire che la realtà può essere vissuta facendo affidamento non solo alla vista, ma utilizzando i sensi del tatto, del gusto, l’olfatto e l’udito; un percorso in cui non c’è “niente da vedere ma tanto da imparare”. Si tratta di un viaggio sensoriale compiuto in assenza totale di luce, in piccoli gruppi condotti da una guida che aiuta ad orientarsi in un buio che a primo impatto è disarmante. Durante il cammino vengono riprodotte situazioni quotidiane, un’esperienza multisensoriale in cui ci si mette alla prova, riconoscendo per esempio solo con il tatto le figure, identificando suoni, odori, consistenze, senza affidare alla vista la guida della nostra vita. Non è solo, o tanto, un’esperienza finalizzata a comprendere la vita dalla prospettiva di un non vedente, quanto piuttosto è utile per una crescita personale, per entrare in una sintonia più profonda con ciò che ci circonda, cercando nuove risorse per adattarsi e riscoprire un mondo senza la luce.
Alessandra Zagaria
L’Europa in viaggio – Storie di Ponti e Muri è un libro che racconta di un viaggio – quello dell’autore – che attraversa l’Europa tramite le storie delle persone che, chi con ruolo più importante e chi rimanendo nella loro quotidianità, hanno contribuito a diffondere un messaggio di Europa unita, la stessa di quegli ideali sui è stata fondata.
A scriverlo è stato Marco Magnone, autore fantasy che alcune settimane fa è venuto nel nostro liceo per tenere un incontro con le classi che hanno letto il suo il libro. Nato ad Asti e trasferitosi a Torino, nel 2005 parte per un Erasmus a Berlino, dove resta per un anno indimenticabile.
È proprio grazie a quest’incredibile esperienza che ha compreso l’importanza dell’Unione Europea e della comunità che rappresenta. Uno dei temi più discussi nell’incontro, infatti, è stato proprio questo: gli ideali su cui è fondata l’Europa sono ormai persi e corrotti, e nessuno adesso ci si ritrova più. Ciò non ha fatto altro che rendere possibile il clima di divisione che tutti i giorni respiriamo; le persone si sentono sempre meno parte di un gruppo e sempre più lasciate sole, senza qualcuno o qualcosa che le rappresenti e che le tuteli.
È questo il problema che ritroviamo oggi, che ci separa sempre di più gli uni dagli altri, demolendo l’idea di Europa che dovrebbe esistere. Nessuno di noi è in grado di sentirsi parte di qualcosa di vero, di comune; stentiamo ad identificarci in una sola cosa, cercando sempre elementi che ci dividono al posto di elementi che possano unirci. Perché, come detto da Magnone, riconoscersi in più cose è difficile, e fa quasi paura: le etichette sono fondamentali, ci servono per giudicare, denigrare, escludere. Così, invece di provare a sentirci parte di qualcosa che possa comprendere tutti, ci soffermiamo sulle differenze, sui muri che si possono creare, perché così è più facile, più conveniente per noi. Non richiede nessuno sforzo chiudersi e limitarsi, ma è impegnativo allargare i propri orizzonti, cercare di guardare oltre. Ed è una cosa che pochi riescono a fare.
Proprio come ha dimostrato la Brexit, porre dei confini è più semplice che allargarli. L’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito ha contribuito notevolmente a creare quei muri che ci dividono. Muri che però erano già presenti da tempo, e che non hanno fatto altro che innalzarsi e rafforzarsi. La Brexit, infatti, li ha semplicemente concretizzati, rendendo le idee delle persone realtà. Idee discriminatorie, annebbiate dalla paura e dall’odio verso chi è diverso.
Ed è così che, improvvisamente, chi fino a un minuto prima si sentiva a casa sua, ora si sente un vero e proprio estraneo, anche se non lo è affatto. Perché, se il colore della pelle o il luogo in cui si è nati è diverso, allora non si è degni di rispetto, di libertà.
Questo è uno dei tanti effetti causati dai muri che ci separano. Ma il muro per eccellenza, quello che ha diviso e lacerato più di tutti, è indubbiamente quello di Berlino. Costruito nel 1961 e abbattuto nel 1989, per ventotto lunghissimi anni divise genitori da figli, fratelli da sorelle, famiglie da famiglie. Il muro di Berlino, però, non spaccava in due soltanto la Germania, ma l’Europa intera. Un muro concreto e ideologico, che quando fu demolito parve riunire ciò che aveva diviso, riportando una speranza ormai perduta da tempo.
Eppure ciò non è bastato. Quella del muro di Berlino è stata una storia tragica che dovrebbe ricordarci tutti i giorni quanto distruttivi i muri possano essere. Malgrado ciò, noi non abbiamo ancora imparato e invece di costruire ponti, alziamo barriere.
Barriere che ormai sono ovunque, di mattoni veri o soltanto nella testa della gente, ma che non potrebbero essere più reali e pericolosi. Una minaccia grave e di cui nemmeno ci accorgiamo; perché se per alcuni i muri dividono, per la maggior parte delle persone essi proteggono. Per quanti muri concreti ci siano, i più reali sono quelli che non si vedono, costruiti di mattoni di pregiudizi, stereotipi e odio. Come scritto nel libro, il più grande che c’è è quello del Mediterraneo, che gli immigrati sono costretti ad affrontare per trovare la salvezza. Come gli altri, non è soltanto geografico, ma è un muro alimentato dalla paura, difficilissimo da buttare giù.
C’è però un modo per contrastarli: i ponti. Unire ciò che è separato è forse l’unico modo che abbiamo per combattere questo fenomeno, ma sicuramente anche il più complesso. Perché se i muri, nella loro imponenza e nella loro altezza garantiscono protezione, i ponti possono sembrare quasi minacciosi. I muri, però, prima ancora di proteggere, fanno qualcosa di molto peggio: dividono, allontano, diffondono paura e diffidenza. I ponti sono dunque fondamentali, seppur molto più difficili da costruire.
I ponti, come i muri, possono essere di mille nature diverse, e se non tutti possono mettersi a costruirne uno mattone dopo mattone, c’è una cosa che chiunque può fare: usare le parole. Un’arma incredibilmente potente, che spesso viene sottovalutata. Le cose che diciamo possono avere un potere immenso, una forza unica. Spetta a noi, però, scegliere le parole giuste. Scegliere parole-ponte e non parole-muro. Parole che uniscano, non che dividano. Parola di amore e di coraggio, non di odio e di paura.
Ed è proprio così che conclude l’incontro Marco Magnone: parlando dell’importanza delle parole, delle storie che noi raccontiamo.
Storie come questa, che possono aprire gli occhi a chi ce li aveva sempre avuti chiusi, che possono mostrare ponti a chi prima aveva solo visto muri
Francesca Stelitano ed Elisa Fiandro
Sabato 11 e domenica 12 gennaio dalle 10.00 alle 18.00,presso i sotterranei del castello visconteo di Abbiategrasso si è tenuta la mostra “Ponte delle idee”,esposizione dei progetti PON e altre esperienze significativi dell’istituto.Il termine “PON” significa programma operativo nazionale,esso è rivolto alla scuola e allo sviluppo del sistema di istruzione, è finanziato da fondi europei e regionali ed è diretto dal ministero dell’istruzione.
Dal nome della mostra “Ponte delle idee” si capisce il tentativo di legare le esperienze della scuola al territorio.
La mostra documenta il lavoro degli studenti e degli insegnanti nell’ultimo anno e ha testimoniato la ricchezza di idee e di iniziativa.
I progetti più apprezzati sono stati: l’iperboloide, la rappresentazione della strada ciclabile nord e sud della chiappana e il carretto dei prodotti BIO delle cascine contenenti anche delle zucche trombetta coltivate a scuola.
Insomma,noi studiamo,ma nel caso non ce la facessimo abbiamo l’alternativa perfetta: diventare agricoltori. Come possono notare in molti, ci stiamo già esercitando e le nostre zucche sono talmente belle da illuderci di avere un futuro da contadini.
Fra i PON ricordiamo:
”Cibo e salute”, rivolto alla prevenzione delle malattie degenerative del cervello (qui il link al sito "Ciclo e riciclo");
”Sport events”, il quale consisteva nella progettazione di manifestazioni sportive scolastiche aperte alle famiglie;
”Arbitro Scolastico”, progetto che dallo sport ha esteso il concetto di regole alla vita civile
Rilievo del territorio grazie a un drone, il quale ha permesso la mappatura 2D e 3D di alcune zone significative del territorio abbiatense;
”Abbia3grasso” il quale consisteva nell’ideazione e realizzazione di una brochure che raccoglie 3 progetti di riqualificazione di 3 siti del territorio, la quale offre una visione alternativa della cementificazione di zone verdi.
L’ambiente in cui si è stato realizzato l’evento è molto antico e il contrasto tra il vecchio e il nuovo rappresentato dai progetti ha attirato molte persone.
Ed è stato verso le 15.30 della domenica pomeriggio che un’orda di arzilli vecchietti ha iniziato con domande e frasi in dialetto che i nostri valletti, longobardi doc, hanno accontentato, oltre al personale scolastico e i ragazzi hanno partecipato alla mostra molte famiglie.
Il preside è sembrato molto soddisfatto e anche il nostra sindaco e i consiglieri comunali, i quali hanno apprezzato molto l’iperboloide, chi non apprezzerebbe una struttura dal nome strano con le lumache che si illuminano poggiate su di esso?
Bice Tarantola
Non conosco i loro nomi.
Non conosco le loro vite, le loro storie, le loro insicurezze, le loro paure.
Conosco le loro voci.
Voci senza nome,
voci senza tempo.
Il Coro degli Alpini è questo: memoria attiva.
Uomini delle età più diverse – da ragazzi di vent’anni fino a persone più anziane – uniti da un senso di appartenenza fuori dal comune, disposti in un semicerchio aperto, cosí che chiunque li ascolti si senta di poter in qualche modo riempire quello spazio, chiudere l'anello. Cantano in grande armonia, eppure ogni singola voce è distinta e particolare, ha il suo senso e il suo momento.
Il Coro degli Alpini di Abbiategrasso nasce nel 2007 e, negli anni, coristi provenienti da altre associazioni della zona si aggiungono entusiasti.
Tre classi quinte, due dello scientifico e una del linguistico, hanno avuto l'occasione di partecipare a una vera e propria lezione-concerto, condotta dal prof. Toffoletto, sulla realtà di questo corpo militare che ha fatto la storia del nostro Paese.
Dopo una breve introduzione, seguita dalla contestualizzazione storica riguardante la Grande Guerra, sono state lette diverse lettere originali provenienti dal fronte italiano, in particolare dalle gelide vette del Nord Italia. Lettere a dir poco sgrammaticate eppure intrise di storia, emozione e struggimento, che raccontano con straziante sincerità la sofferenza e gli stenti della vita in trincea.
Soldati In guerra stanno molto bene dice il Giornale I nostri soldati non ci manca niente, Invece di dire che ci manca tutto.
(da una lettera del 3 dicembre 1915)
Le testimonianze erano intervallate da canzoni narranti le vite dei soldati stessi, eseguite per noi dal coro. Il repertorio alpino è incredibilmente vasto: vi sono testi ironici, divertenti, a volte quasi parodistici sulla vita e sui personaggi protagonisti dell'esercito, come ad esempio La bomba imbriaga, e vi sono lamenti dolorosi come Il testamento del Capitano, che ricordano i luoghi e le persone amate che ogni soldato ha dovuto lasciare per servire il nostro Paese.
Storici, filosofi e persino preti e parroci scrivono del Corpo degli alpini durante la guerra, descrivendolo come un luogo dove l'eroismo è il quotidiano, dove nessuno si lamenta e i soldati lavorano senza sosta, uomini provenienti da tutto l’arco alpino pronti ad affrontare le intemperie ed il nemico senza proferire parola che non sia d'obbedienza e d’incoraggiamento verso il proprio compagno.
Gli alpini non dicono nulla. Marciano, lavorano e tacciono. Quasi ostinatamente. Non chiedono nulla. Anche l’eroico è per loro normale. Lo straordinario è ordinario.
(Don Carlo Gnocchi)
Al termine delle due ore, il pubblico era visibilmente entusiasta, e così il coro.
Oltre all'importanza di ricordare il passato, l'Associazione Alpini di Abbiategrasso svolge una serie di attività rivolte al sociale e all'aiuto delle famiglie bisognose della zona, tra cui una colletta alimentare. Proprio questo dicembre mi è capitato di scambiare due parole con un volontario al supermercato della mia zona. Indossava con fierezza il cappello piumato. Non ho resistito, e gli ho raccontato della lezione tenutasi al Bachelet. Ne era al corrente, e abbiamo chiacchierato a lungo del Coro, dell’Associazione, di noi ragazzi. Non erano parole dette per convenzione: erano vere, erano sorrisi sinceri, di quelli che soltanto una persona davvero buona può donare.
Ci siamo congedati affettuosamente, prima di quanto avessi voluto: c'era molto da dirsi, ma anche molto da fare per entrambi.
Rosa Migliorini
#attivitàdidattiche #scuola #alpini #incontri #coro #news #Bachelet
Giorno 1 dicembre: l’istituto apre le porte ai futuri alunni. Numerose le attività mostrate tra le quali progetti scolastici, laboratori, scambi culturali e le molteplici attività, in un caleidoscopio di colori e suoni, in particolare, nelle aule in cui si presentavano il laboratorio teatrale, il blog scolastico ed il progetto musica d’insieme.
Ad accogliere i ragazzi si trovavano professori dei vari indirizzi per spiegare il piano di studi, oltre a qualche 'saggio' studente che si buttava nella mischia per raccontare la sua esperienza (nella speranza che ci facesse fare bella figura...)
Le future vitt... Ahem, i futuri studenti si raccoglievano incuriositi (ma anche un po’ intimoriti) intorno ai punti informativi, pronti per vedere la loro futura scuola. In seguito alle spiegazioni da parte dei prof, i numerosi ragazzi sono stati divisi in gruppi in base all’indirizzo scelto.
Ad accompagnare ogni gruppo erano le guide, studenti del Bachelet delle classi seconde e del triennio. Li si poteva riconoscere per via della 'divisa': Che gusto c'è, infatti, a d acquistare le felpe e le magliette della scuola se non le si può sfoggiare in momenti come questo?
I ragazzi hanno guidato i gruppi attraverso laboratori e classi da visitare dove si veniva a conoscenza delle attività pomeridiane che la scuola offre (Tra cui, OVVIAMENTE, anche il nostro fantastico giornale!). I visitatori potevano mettersi alla prova in attività che l’ anno successivo sarebbero stati loro a fare o laboratori per stimolare la loro creatività. Anche se, naturalmente, non sanno che il meglio li aspetta solo dopo aver varcato le nostre porte da studenti delle superiori...
Da 'inviata speciale' che bazzicava qua e là (anche se il mio cuore era con le mie compagne alla presentazione del B-Log), posso azzardarmi a dirlo: l’attenzione non è mai calata; la timidezza – fortunatamente – andava via via diminuendo mano a mano che le candide, pure e innocenti menti dei ragazzi delle medie proseguivano il tour. A dirla tutta, in un primo momento i ragazzi parevano disorientati dal nuovo ambiente.
Chi lo sa se possono già immaginarsi tra un anno ad essere loro 'in vetrina' a giocarsi con un'infornata di nuove leve...
Senza nemmeno accorgersi, girando per i corridoi con la merenda in mano e scherzando con qualche compagno di classe, di essere ormai diventati parte integrante del Bachelet.
Ora li lasciamo così, un po’ curiosi e un po’ timidi… Pronti per riaccoglierli tra qualche mese.
Sofia Cantù e Francesca Stelitano
#openday #scuola #curricoloverticale #news #bachelet
Lo sport va a cercare la paura per dominarla,
la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.
Pierre de Coubertein
Venerdì 15 novembre si è svolto, nella nostra scuola, un incontro (rivolto solamente agli studenti di Scienze Umane) con dei responsabili, volontari ed atleti dell’associazione Special Olympics; l’incontro è durato circa 2 ore e ci ha permesso di confrontarci con questa, per molti nuova, realtà sportiva.
Special Olympics è un movimento che è nato nel 1968 e si occupa di coinvolgere, far scoprire nuovi punti di forza, ma sopratutto dare delle opportunità, tramite lo sport, a tutti coloro che hanno una disabilità intellettiva.
Questo movimento, partendo dagli USA, si è espanso in tutto il mondo, comprendendo anche la nostra penisola, che si presenta come una delle nazioni con maggiore partecipazione.
Gli eventi di Special Olympics coinvolgono centinaia di nazioni e si svolgono in tutto il mondo, tutti gli atleti si sfidano in varie discipline olimpiche suddivisi in “batterie”, create per cercare di far competere atleti con pari possibilità e difficoltà, in maniera tale da consentire al maggior numero di persone di vincere una medaglia.
Tra le varie iniziative riguardanti Special Olympics, si sono soffermati sul progetto Young Athletes che riguarda il coinvolgimento sportivo dei ragazzi giovanissimi, sui programmi salute che consistono in una collaborazione tra sport e medicina per garantire un’assistenza sanitaria adeguata e sullo sport unificato, che consente ai volontari e ai responsabili di giocare insieme agli atleti in una squadra unificata.
Concludendo, cosa ci ha lasciato questo incontro?
A molti di noi ha trasmesso una voglia di lottare e di non arrendersi inimmaginabile, ci ha fatto capire come lo sport unisca e aiuti a superare delle difficoltà che apparentemente sembrano insuperabili.
Matteo De Angelis
Lunedì 11 novembre alcune classi del liceo delle scienze umane, nell’aula magna dell’istituto, hanno partecipato all’incontro con gli esperti dell’associazione “I Quadrifogli” a proposito delle Special Olympics.
Si tratta di un movimento globale fondato da Eunice Kennedy negli USA nel 1968 e consiste nell’organizzazione di eventi sportivi per persone con disabilità intellettive. È un evento di grandi dimensioni, per persone dagli 8 anni in su, infatti vi partecipano più di 4 milioni di atleti e 1 milione di volontari circa.
L’obiettivo di Special Olympics è quello di coinvolgere atleti con disabilità intellettive in eventi sportivi, in modo che tali disabilità si trasformino in abilità, usando lo sport come mezzo per affrontare i propri limiti e superarli. Quest’organizzazione mira anche ad essere strumento di inclusione, sia sportiva che sociale, unificando e parificando le persone, con o senza disabilità.
Particolarmente significativo è il loro motto, che è l’emblema della loro filosofia:
Che io possa vincere, ma, se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze.
Questo incontro può essere considerato come un importante momento di riflessione: infatti, ognuno quotidianamente affronta difficoltà che devono essere superate con determinazione e impegno, anche noi. Gli atleti delle Special Olympics sono un esempio della forza con cui dobbiamo affrontare le sfide che si presentano ogni giorno.
Alessandra Zagaria
#sport #inclusione #diversabilità #news #bachelet