Il 17 novembre è stata tenuta all’interno della Cooperativa Rinascita di Abbiategrasso la conferenza stampa gestita dal collettivo Num de Bia’, evento di apertura a una serie di incontri riguardanti la sensibilizzazione su un argomento molto delicato, la violenza sulle donne. L'organizzazione dell'incontro a cui ci è stato possibile partecipare ha avuto come scopo principale evidenziare ancora una volta l'importanza del 25 novembre. La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne nel mondo, ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che in questa data invita governi, organizzazioni internazionali e ONG a organizzare attività, ha la funzione di sensibilizzare l'opinione pubblica su una delle più devastanti violazioni dei diritti umani. Celebriamo questa data in memoria di tutte quelle donne e ragazze il cui spazio personale e la cui privacy sono stati violati da qualcuno che si suppone le ami e si prenda cura di loro.
Num de Bia’ nasce come gruppo social, in cui i membri possono condividere foto inerenti alla città, alle festività o anche, come in questo caso, incentrate su un tema in particolare. La mostra fotografica infatti raccoglie tutte le testimonianze fotografiche dei partecipanti e permette di cogliere tanti aspetti molto differenti di un argomento che purtroppo non è ancora facile da raccontare.
Gli organizzatori hanno evidenziato quanto sia importante tenere sempre i riflettori accesi su questo tipo di iniziative, mirate a coinvolgere il maggior numero di persone possibili, soprattutto giovani. Durante la mostra fotografica sono state esposte più di novanta foto raccolte all’interno del gruppo Facebook, in parte scattate dai membri, altre ideate da degli artisti. Il fine unico è stato sicuramente quello di celebrare la donna in ogni sua sfaccettatura, ma anche permettere al pubblico di comprendere quanto la violenza di genere sia un argomento molto vicino alla nostra vita di tutti i giorni. È tangibile la necessità di Num de Bia’ di concretizzare ciò che da anni portano avanti attraverso i social in un evento concreto, che riesca a mescolare arte e attivismo.
Infatti, ciò che riesce a far percepire in modo ancora più diretto il messaggio sono le didascalie sotto ogni foto, alcune di diverse righe, altre di poche parole, che fanno trasparire il vero e proprio intento degli autori di tali fotografie, che a volte, all'apparenza, può risultare scontato. Esposte nel piccolo dehor anche le opere di tre studentesse del Bachelet: Giulia Balice, Desirè Piazza ed Asma Salouh.
Al di là della mostra fotografica, numerose sono state le iniziative realizzate nei quattro giorni di apertura: una mostra di quadri dell’Associazione Fridarte; diversi reading ad opera di Agnese Coppola e il gruppo Lilith dell’Istituto Alessandrini/Lombardini, Alessandro De Vecchi, Luis Balocchi e Terry Gatti, senza dimenticare la lettura a più voci patrocinata proprio da B-Log, con la prof.ssa Quaglia e tre alunne del nostro istituto, “Voci di ragazzǝ contro la violenza di genere”; la presentazione delle opere personali di Elisa Chinello; un corner fotografico di Uno sguardo sul mondo dedicato all’evento-danza “Lenzuolo sospeso” di Silvia Capiluppi a cura di Valentina Fasani e Chiara Semeraro (lettura di Donatella Soldano); un laboratorio di manga a cura di Samuele Montaldi. Iniziative accompagnate da aperitivi e cene per creare non solo conoscenza e consapevolezza, ma anche relazione al di fuori delle “bolle” dei social network, a partire dal coinvolgimento delle scuole.
Rebecca Urso, foto di Giulia Balice
Abbiamo avuto la possibilità di intervistare (sia con una video intervista, sia solo a voce) gli organizzatori dell’evento #orabasta, il 28 novembre presso la Cooperativa Rinascita, prodotto dall’associazione Num de Bia' per la giornata contro la violenza sulle donne. Queste sono le loro risposte (andate a spulciare anche la video intervista sul nostro sito preceduta dal reading promosso dall’evento):
Perché avete scelto di trattare un argomento così discusso come la violenza contro le donne attraverso una mostra di immagini? Che cosa volete trasmettere attraverso esse?
Attraverso questa mostra vogliamo rappresentare non solo la violenza fisica contro le donne, ma anche la violenza psicologica, che può portare una donna a non ammettere di essere una vittima. Queste fotografie, che potremmo definire leggere rispetto a quelle alle quali siamo abituati, vogliono arrivare a tutte le persone, grandi e piccoli, trasmettendo anche una visione di solidarietà, di forza e coraggio nel denunciare e, anche, di celebrazione della donna.
Perché non avete aggiunto foto più "pesanti", che forse avrebbero trasmesso di più a primo impatto, così da rappresentare oltre che la violenza psicologica, anche quella fisica?
Nella nostra società, in televisione, nei telegiornali, vediamo sempre l'immagine di una donna violentata o picchiata, viene mostrata la foto nuda e cruda dell'atto, senza però davvero soffermarsi su quello che c'è dietro a un evento di questo tipo. Si parla solo in modo oggettivo dell'avvenimento e la foto "pesante" è un modo per attrarre l'ascoltatore e fare notizia, annullando quasi tutto quello che c'è dietro a una immagine così potente. Noi, invece, abbiamo voluto raffigurare come anche l'immagine più semplice può possedere un significato immenso.
Infine, oltre al video che troverete su B-Log, abbiamo intervistato degli spettatori (dai 30 ai 65 anni) sia uomini che donne, alla mostra.
Agli intervistati viene chiesta la loro prospettiva sull'iniziativa: la loro risposta è positiva, infatti sono felici che si stia facendo divulgazione su un fatto attuale che deve essere ancora risolto, in più a loro opinione è bene che queste informazioni di denuncia passino a più persone, specialmente a quelle ignoranti in materia.
Riguardo all'allestimento, secondo loro sono state raffigurate più immagini liberatorie e meno di sofferenza, che invece dimostrano la violenza.
D'altronde sperano che una propaganda di questo tipo non smetta, ma continui a svolgersi negli anni, per cercare di abolire queste ingiustizie del popolo femminile.
di Kulsoom Haider e Mara Ranzani
Mi ha detto che non aveva un colore preferito, così ho deciso che l’avrei aiutato a trovarne uno.
Ho provato a mostrargli il cielo sia di giorno che di notte, ma non gli piaceva nè l’azzurro nè il nero; così gli ho mostrato il sole, ma non gli piaceva il giallo; gli ho colto un fiore, ma non gli piaceva il rosa o l’arancione o il viola.
Mentre stavamo guardando la foresta per vedere se gli piaceva il verde, sono caduta su una roccia e mi sono tagliata il ginocchio. In quel momento si è reso conto che gli piaceva il rosso.
Gli piaceva così tanto che, un giorno, mi ha lasciata sul pavimento, in una pozza… perché amava il rosso… e amava me.
Elena Ranzani
Mi chiamo Amélie, ho 17 anni e oggi voglio raccontare una storia, ma non una qualunque, la storia della mia vita.
Sono nata il 14 Agosto 2004, vivo in un piccolo paesino del nord Italia, sono la quarta figlia e – a differenza dei miei fratelli – io sono l’unica cresciuta esclusivamente con mia mamma. I miei genitori si separarono quando ero molto piccola: uno dei motivi principali di questa separazione era mio padre, era un uomo un po’ violento, un traditore, e dato che non voleva far mancare nulla nel suo curriculum era, ed è tuttora, un criminale.
Non ho mai sentito tanto il peso di avere un genitore in carcere, ero piccola e non capivo ancora bene, fino a quando non sono arrivata alle elementari. Come ho detto all’inizio abito in un piccolo paese e come ben si sa nei piccoli paesi tutti sanno tutto di tutti, infatti tutti sapevano tutto di me, chi fossi, ma soprattutto di chi ero figlia. Proprio lì, in quel posto in cui i bambini vivono in spensieratezza con i loro amichetti, per me iniziò l’inferno, iniziarono le domande imperterrite a cui io non sapevo dare risposte, iniziarono gli isolamenti e iniziò a presentarsi sempre più la rabbia per mio papà, quella persona che avrebbe dovuto proteggermi sempre e che invece non solo non lo fece mai, ma fu la causa iniziale del mio malessere.
Proprio in quel periodo mia mamma conobbe un uomo, Guglielmo: sembrava un brav’uomo, la rendeva felice e io non potevo voler nient’altro se non la sua felicità; incominciavo a crescere e a capire sempre di più quanto male avesse fatto mio papà alla nostra famiglia, a me, a mia mamma, e mi convincevo sempre più che lei, la donna che mi stava crescendo, la donna che faceva più di un lavoro per non farmi mancare nulla, si meritasse questa felicità.
Passavano gli anni, mia mamma sembrava sempre più felice con Guglielmo, iniziarono a fare progetti per un futuro insieme e io iniziai a credere proprio che finalmente fosse arrivata quella persona che trattasse mia mamma come una regina, come nessuno aveva mai fatto prima. I progetti pensati piano piano iniziavano a prendere forma, iniziarono a costruire una casa e a pensare di andare a vivere insieme lì. Io iniziai la scuola media, uno dei primi grandi cambiamenti per i bambini, credevo che questo cambiamento mi avrebbe portata ad avere un po’ più di serenità rispetto alle elementari, purtroppo però non fu proprio come mi immaginavo. Iniziai questo percorso da sola, mettendo subito in atto il mio “amato” meccanismo di difesa contro tutti: allontanarmi, stare sola così da non rischiare di rimanere ferita o bullizzata.
Iniziate le medie, però, non iniziò solo un inferno a livello scolastico, ma quell’inferno si trasferì anche a casa: Guglielmo, l’uomo che credevo potesse finalmente portare della serenità a mia mamma, iniziò a bere a dismisura, iniziò a tornare a casa ubriaco sempre più spesso e iniziò a urlare contro mia mamma ogni volta alzando il tono. Proprio in quell’esatto momento in cui lui incominciò a comportarsi così, io cominciai a odiare casa mia, mi rinchiudevo più tempo possibile nella mia cameretta per isolarmi e lasciare fuori tutte quelle urla, tutti quegli insulti.
Non potevo più invitare nessuno a casa perchè avevo paura che lui tornasse prima dal lavoro e fosse già ubriaco e la vergogna che avrei provato sarebbe stata troppa, mi sarei sentita a disagio, e così non riuscivo mai a sentirmi uguale a tutte le mie compagne di classe che potevano invitare a casa le loro amiche o i gruppi di studio che si formavano in classe e tutta questa situazione mi feriva, mi faceva sentire fuori posto.
Disegno di Helena Bertolotti
Tecnica: matita e penna a sferaPassò il tempo e la situazione a casa cominciò a essere sempre più insostenibile per me, le urla diventano sempre più forti, e la paura che potesse succedere qualcosa di brutto mi portò a mantenere sempre l’orecchio teso per ascoltare ogni discussione. Un giorno quel qualcosa successe, quella paura si avverò, mia mamma e Guglielmo stavano litigando come sempre: il tono di voce molto alto e le parole usate molto forti, io e mio fratello maggiore eravamo entrambi in cucina con loro due, finchè Guglielmo iniziò a insultare mia mamma e mio fratello decise di prendere le sue difese. Questo fece nascere in Guglielmo una certa rabbia contro mio fratello, fino a quando pensò che le parole non fossero abbastanza, così cominciò a picchiarlo; io ero terrorizzata, avevo paura che Guglielmo potesse fare troppo male a mio fratello, mi tremavano le gambe, il cuore batteva all'impazzata, non ero mai stata così spaventata e, dopo che mio fratello venne preso a pugni diverse volte, io per la paura decisi di mettermi in mezzo tra i due, credevo che la mia presenza come ostacolo potesse fermare Guglielmo, ma non fu così. Guglielmo era disposto a venire addosso a me, per picchiare ancora mio fratello; quest’ultimo, dopo aver sbattuto la testa contro il muro, decise di andarsene di casa e andò a vivere per un po’ a casa di mia sorella. Mia mamma inizialmente non trovò il modo di reagire perché divisa dall’amore che provava per queste due persone così importanti per lei; con gli occhi bendati dall’amore decise poi di continuare la sua relazione, pensava che si potesse sistemare tutto. Andammo in montagna per un paio di giorni, ma le liti non cessarono. Un giorno, quando la situazione stava davvero degenerando, però mia mamma decise di chiudere, di lasciarlo, ma lui non accettò questa decisione e impazzì: uscì da casa nostra, andò al bar e tornò a casa con quattro birre da sessantasei centilitri, continuò a insultare mia mamma, continuavano a litigare, io mi spaventavo sempre di più, iniziai a tremare, e ogni minuto che passavamo con lui in casa il mio cuore batteva sempre più velocemente, lui non voleva andarsene.
A un certo punto della litigata tirò un calcio al vetro di una porta di casa e lo ruppe in migliaia di pezzi che si sparsero per tutto il salotto; io urlai dallo spavento, nessun vicino venne in nostro soccorso. Lo so, fa quasi ridere. Quegli stessi vicini che ascoltano sempre tutto, e che non vedono l’ora di condividere con il paese tutto quello che succede nella vita delle altre persone, quella sera, dopo un urlo terrorizzato di una bambina, avevano i tappi nelle orecchie.
Torniamo però alla litigata... I vetri erano ovunque e mia mamma stava cercando di ripulire, quando Guglielmo prese due pezzi di vetro e li nascose sotto il cuscino del divano. Sia io che mia mamma ce ne accorgemmo e cercammo di farglieli buttare, con scarsi risultati; a un certo punto però il troppo alcool che aveva in corpo fece effetto e gli fece venire sonnolenza, così andò a dormire e io e mia mamma ce ne andammo dai genitori di lui, e dormimmo lì.
La notte passò in quiete , fino a quando, la mattina seguente, il telefono di mia mamma iniziò a squillare. Era lui, sapeva dove eravamo, ed era lì fuori che aspettava mia mamma. Lei uscì ma per fortuna non da sola, al seguito c’era il papà di Guglielmo e io rimasi in casa.
Guglielmo, non contento di aver rotto la sera prima il vetro della porta, decise di rompere con una mazza i finestrini, il parabrezza e il lunotto della nostra macchina. Io dall’interno della casa riuscivo a sentire solo il rumore dei vetri che cadevano per terra e le urla di Guglielmo contro mia mamma; poi iniziai a sentire lei gridare, Guglielmo la stava prendendo a calci, ma fortunatamente il papà di Guglielmo si mise in mezzo tra i due così da salvare la vita a mia mamma.
Dopo quel giorno si susseguirono minacce e persecuzioni e io continuavo a vivere con l’ansia. Un giorno si presentò a casa nostra senza avvisare, ubriaco; non voleva andarsene, allora uno dei miei fratelli chiamò i carabinieri. È inutile dire che arrivarono dopo tantissimo tempo e il loro intervento non servì a molto, Guglielmo divenne aggressivo, e iniziò a minacciarci di morte davanti a loro, ma loro non fecero nulla, lo lasciarono andare, gli diedero in mano le chiavi del suo furgone e non si fecero problemi a farlo andare via, nonostante tutto. Dopo questa scena, e dopo diverse denunce, mia mamma perse le speranze di avere giustizia e io iniziai ad avere attacchi di panico ogni volta che vedevo un furgone bianco, e ogni volta che vedevo qualsiasi tipo di aggressività.
Purtroppo alcuni di questi traumi li porto ancora con me ogni giorno. Però ho deciso di raccontare questa storia per mostrare il punto di vista di una figlia che ha vissuto anch’essa le violenze subite dalla sua mamma e per far sentire meno sole tutte le persone che hanno passato quello che ho passato io.
N.N.