L'OSPITE
Una sezione dedicata ai nostri docenti, che potranno qui pubblicare i loro contributi sia creativi che scientifici... curiosi di scoprire il loro "lato oscuro"?
NUMERO 19
OTTOBRE 2023Fra informatica e musica
Il Tecnico Informatico e bassista Adriano Raspo si presenta
Mi chiamo Adriano Raspo e qui al Bachelet svolgo l'incarico di Assistente Tecnico Informatico.
Una delle mie grandi passioni è sempre stato il computer, passione nata in un epoca di frontiera: intorno ai miei 8 anni, infatti, i primi home computer sono approdati nelle case insieme al loro carico di entusiasmante novità, coinvolgendo noi bambini in un inedito, elettrizzante e colorato mondo di divertimento rappresentato da primi videogiochi come Pac Man, Donkey Kong, Super Mario e molti altri che sarebbero poi venuti.
Sailko, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons
Ma, oltre a giocare, a me piaceva anche programmare – in quello che allora era il linguaggio più in voga e cioè il BASIC: così potevo far fare al computer quello che volevo (o almeno di questo mi convincevo, nei limiti delle mie conoscenze e delle sue possibilità…), inventandomi degli algoritmi e scrivendo centinaia di righe di codice in maniera solo testuale.
…Ora sembra preistoria, ma l'impronta di quel mondo “spartano” mi è rimasta dentro indelebile e ancora mi spinge, col suo fascino, a districarmi con curiosità nella continua evoluzione della comunicazione digitale.
L'altra mia grande passione, però, è sempre stata, fin da quando ero piccolo, la musica, e, qui al Bachelet, ho l'opportunità di coltivarla sotto due aspetti, l’uno tecnico e l’altro didattico.
Mi occupo molto spesso, infatti, di curare la gestione del mixer e dell'impianto audio della nostra Aula Magna durante eventi musicali, conferenze ed incontri divulgativi, avendo avuto esperienze in passato come tecnico del suono sia in studio di registrazione che dal vivo.
Inoltre, da 2 anni mi occupo di scrivere arrangiamenti e seguire il progetto musicale della Band studentesca insieme al prof. Pietro Toffoletto, coordinandoci con le altre realtà artistiche dell'istituto, quali il Teatro, il Coro e il progetto Cinema/Audio-Video.
La volontà è quella di alimentare sempre più gli stimoli e l'interrelazione tra le varie discipline, creando una realtà dinamica di scambio e sinergia per la realizzazione di spettacoli sempre più coinvolgenti e inclusivi.
A proposito: si è appena conclusa la nostra partecipazione con successo al Festival LAIVin di Treviglio (BG) in cui il 24 Maggio, sul palco del Teatro Nuovo, si sono esibiti quasi cinquanta artisti dei nostri laboratori di Teatro, Coro e Band in uno spettacolo originale sulla figura dell’eroina greca Antigone (intitolata Antigone – Il coraggio di battersi per amore), che verrà rappresentato anche a scuola nelle giornate del 6 e del 7 giugno.
Naturalmente sono attivo anche come musicista in qualità di bassista e contrabbassista in formazioni Rock, R&R, Pop e Jazz.
Ecco alcune mie clip musicali:
Le tre verità - Battisti Tribute
ELVIS FOREVER NIKO Promo Concert 08.01.2020 Palaoltrepò Voghera (PV)
Se volete sapere qualcosa in più di me ed approfondire anche il mondo del basso elettrico, potete visitare il mio sito www.adrianoraspo.com.
Ci vediamo a scuola e vi aspetto nella band!
Adriano Raspo
NUMERO 16
DICEMBRE 2022Aforismi di Vittorio Bachelet
"È necessario formare i giovani alla responsabilità, alla saggezza, al coraggio e, naturalmente alla giustizia.” Così scriveva Vittorio Bachelet. Alcune frasi del magistrato, politico e docente universitario che non smise mai di credere nelle nuove generazioni possono ispirarci ancor oggi, a più di quarant’anni dal suo assassinio, per riflettere sullo spessore civile e intellettuale dell’uomo a cui la nostra scuola è initolata.
1. “Fai bene quello che sei chiamato a fare”
2. “E' necessario formare i giovani alla responsabilità, alla saggezza, al coraggio e, naturalmente alla giustizia. In particolare dovrà coltivarsi nei giovani la virtù della prudenza”
3. “È la prudenza che aiuta a evitare di confondere l'essenziale e il rinunciabile, il desiderabile e il possibile, che aiuta a valutare i dati di fatto in cui l'azione deve svolgersi, e consente il realismo più efficace nella coerenza dei valori ideali. La fortezza, contro le tentazioni tipiche della vita e della comunità politica e in connessione con la responsabilità delle scelte, della costanza e della pazienza che sono richieste a chi in tale comunità voglia vivere non da turista ma da costruttore”.
4. “L'impegno politico non è altro che una dimensione del più generale e essenziale impegno a servizio dell'uomo”
5. “Nonostante tutte le difficoltà c'è la possibilità di un futuro migliore per la vita del nostro Paese e per la vita delle nostre Istituzioni”
6. “[La politica è] Corresponsabile costruzione della città, in cui ognuno deve portare il contributo delle sue capacità in vista della costruzione di quel bene comune che rappresenta il fine relativamente ultimo della politica”
7. “Vi è un modo diffuso di fare politica che non si limita alla partecipazione nei partiti e nelle istituzioni, ma che riguarda ad esempio il competente esercizio di un mestiere e di una professione, che rappresenta in sé un alto valore politico”
8. “Noi dobbiamo essere, in questa società inquieta e incerta, una forza di speranza e perciò una forza positiva capace di costruire nel presente per l'avvenire”
prof. Alessio Rossodivita
NUMERO 14
APRILE 2022شكراً S H U K R A N !
GRAZIE ! GRACIAS ! THANKS ! MERCI !
GRAZIE ! GRACIAS ! THANKS ! MERCI !
“…Appena sono nata , mia madre mi ha guardato dal letto dell’ospedale e, senza volerlo, ha influenzato in modo permanente lo sviluppo del mio cervello , migliorando le mie capacità di apprendimento, di gestire più cose contemporaneamente e di risolvere i problemi. Un domani la mia mente sarà anche meno esposta ai problemi dell’età. Che cosa ha fatto? Mi ha parlato in francese . All’epoca mia madre non sapeva di darmi un vantaggio cognitivo. Era francese e mio padre inglese…”
Catherine de Lange, New Scientist Gran Bretagna “Bilingui e contenti”, in Internazionale n°957 13-19 luglio 2012
L’Unione Europea ha 27 stati membri, 500 milioni di cittadini, 23 lingue Ufficiali, 60 lingue minoritarie e regionali.
In Italia il 8,2% della popolazione totale è d’origine straniera e appartiene a 140 nazionalità diverse, che comprendendo tutti i continenti del mondo e dove i 20 primi paesi per la quantità di persone sono: Albania, Marocco, Romania, Cina, Ucraina, Filippine, Tunisia, Macedonia, Polonia, India, Ecuador, Perù, Egitto, Serbia e Montenegro, Senegal, Sri Lanka, Moldavia, Bangladesh, Pakistan.
Questi dati ci fanno capire che oggi viviamo in macrocosmi e in microcosmi culturali e sociali dove esiste la compresenza di più lingue parlate all’interno di un “spazio geografico fisico e/o culturale “ e la scuola non è esente da questa realtà.
In merito a queste premesse credo sia rivoluzionario e coperchiano il Corso di Arabo organizzato a scuola e portato avanti con lungimiranza accortezza, avvedutezza, oculatezza, previdenza e profonda sensibilità dai docenti: Margherita Quaglia e Paolo Maltagliati, per le seguenti considerazioni.
Penso sia coraggioso puntare al recupero sociale delle lingue parlate dagli studenti, dando a esse visibilità e prestigio sociale, per poter garantire una buona autostima nella generazione dei nuovi cittadini italiani.
Credo fortemente che questa iniziativa culturale costruirà nuovi ponti fra tutti gli studenti formandoli a una cittadinanza planetaria, che contribuirà a sviluppare una capacità relazionale e empatica circolare. Sviluppando così una cultura all’incontro con l’altro, soprattutto negli ambienti internazionali.
Questo corso coinvolge tutto il nostro stile di comunicare ed è una occasione in più per diventare dei mediatori culturali, contribuendo a sviluppare una competenza comunicativa circolare in cui le lingue possano stabilire rapporti reciproci e interattive.
E vorrei concludere dicendo che, essendo la scuola un luogo di coesione sociale e di riconoscimento reciproco di tutte le ricchezze e le risorse includendo quelle culturali e linguistiche, questo corso a mio avviso è un’iniziativa di pace, di confronto e di condivisione.
Grazie per la forza di portarlo avanti.
Vorrei finire con un pensiero di Erich From che diceva: "Non avere paura del nuovo che diventa interessante la vita…” E aggiungerei: sia questo: persone o le lingue che esse parlino.
prof.ssa Francisca Abregú López
Insegnante di Sostegno, Ex-Presidente della Consulta Stranieri di Abbiategrasso, Mediatrice CulturaleNUMERO 13
FEBBRAIO 2022I pesci non esistono
Miller Lulu, ADD Editore, Edizione Kindle
Per girare la chiave, basta diffidare delle parole. Se i pesci non esistono, che cos’altro non abbiamo capito? (p.158)
Credevo
Di essere soltanto
Svanita
E distratta
Ma dicono tutti che son diventata
Un po' matta.
Un titolo che fa sembrare l’autrice un “po’ matta”, come la canzone di Mina… Ma come “i pesci non esistono”? E cosa mangiamo all’all you can eat? Non solo il titolo è fuori dalla logica, ma anche il genere di questo libro, che finisce per configurarsi come un perfetto ibrido tra un romanzo autobiografico, la biografia del tassonomista Starr Jordan e un vero e proprio saggio sul senso della vita. Il frutto di una nobile battaglia che l’autrice ingaggia con il Caos sin da bambina, e che combatterà tutta la sua esistenza, cercando di emanciparsi dalla strada che il padre le ha indicato, alla continua ricerca di una nuova guida: sarà forse il determinatissimo Starr Jordan? O un innamorato dai folti riccioli?
Durante il cammino, la vita di Lulu si intreccia con quella di Jordan, mentre sullo sfondo si dipana il metodo scientifico, con le sue esaltanti scoperte e i suoi tragici fallimenti, rendendo evidente quanto delle “scienze esatte” sia costituito in realtà da inesatte convenzioni linguistiche, terribili errori, arroganti autoinganni – senza i quali, però, l’umanità non avrebbe mai fatto un solo passo.
Ci saranno tuffi nella genetica di Darwin e nell’eugenetica statunitense (troppo pochi sanno delle sterilizzazioni forzate perpetrate negli Stati Uniti fino a – praticamente – oggi), nella psicologia cognitiva (chi ha abbastanza “grinta” – come recitano i libri di auto-aiuto – può davvero plasmare il proprio fato?), nella neurolinguistica (e se avessimo un deficit semantico selettivo come dotazione mentale?), nelle tematiche affettive (dalle relazioni familiari a quelle amorose, non senza passare anche attraverso lo spettro LGBTQ+), nella pura tassonomia (per capire però “che il mondo della natura non è organizzato secondo le categorie che gli abbiamo assegnato noi” p.143).
Lulu dovrà infine arrendersi all’ironica evidenza che, in effetti, i pesci non esistono; ma si tratterà di una sconfitta o una vittoria? Il dominio del caos sarà una catastrofe? Ai lettori il compito di scoprirlo… e, se una volta girata l’ultima pagina, sentirete la mancanza dello spirito tenace, della fragile umanità e dell’acuta ironia dell’autrice, potrete sempre ascoltare il suo podcast: Invisibilia!
Riflettiamo sulla parola «ordine». Deriva dal latino ordo, che descrive una successione regolare di fili nel telaio. Con il passare del tempo diventò una metafora, a indicare l’obbedienza delle persone a un re, un generale o un presidente. Lo si applicò alla natura soltanto a partire dal Settecento, partendo dal presupposto – una congettura degli esseri umani – che si potesse individuare una serie gerarchica di classi. Sono giunta alla conclusione che la missione della nostra vita sia rimuovere questo ordine, continuare a scuoterlo finché non si rompe per liberare le creature rimaste intrappolate. Dobbiamo diffidare delle misure che noi stessi abbiamo preso, in particolare se riguardano la morale o le capacità mentali. Ricordare che dietro ogni regola c’è un re. Ricordare che una categoria è nella migliore delle ipotesi un surrogato, e nella peggiore un giogo (p.158).
prof.ssa Margherita Quaglia
NUMERO 12
DICEMBRE 2021Certe mattine
Hope si svegliò di malavoglia.
Era giorno di... Scuola? In effetti si poteva chiamare scuola la didattica a distanza? Rotolarsi giù dal letto, accendere il pc, tenere la telecamera spenta e farsi i propri dannatissimi affari mentre dei (più o meno) vecchi cercavano di spiegarle cose per loro vagamente importanti e per lei vagamente inutili. Per l'amor del cielo, ogni tanto ammirava quanto tenacemente ci provassero, ma se una cosa era una merda, restava una merda. Cosa c'entravano le bucoliche di Virgilio con la realtà di tutti i giorni? O la rivoluzione francese? Non venissero a raccontarle frottole.
L'unica cosa che le impediva di addormentarsi totalmente davanti ad uno schermo era il suo anomalo senso del dovere. Per quanto ritenesse la scuola un rito di passaggio inutile e stupido, per qualche strana ed inconscia ragione, odiava prendere brutti voti. Pressione sociale? familiare? Boh. Solo che sopportava molto meno di quanto volesse dare a vedere l'idea di andare male.
Forse odiava solo deludere gli adulti che aveva intorno o, forse, non aveva ancora imparato dei modi più astuti per assecondarli.
Per certi aspetti, una bolla di apparente bravura scolastica, le risparmiava tutta una serie di inutili e tediosi tentativi da parte dei summenzionati adulti di darle dei moraleggianti consigli di vita, di fornirle qualche consiglio esistenziale dall'alto della loro presunta maggiore esperienza. Andava bene? Il resto non fregava a nessuno. Invece, se andavi male, tutti si affrettavano a volerti cambiare in qualche modo. Tipo quel saccente borioso del suo prof di filosofia.
Ah, se si fosse trovata per magia in un altro universo... Uno in cui nessuno le avrebbe rotto le palle e l'avrebbe lasciata nella sua bolla...
***
Faith si svegliò di malavoglia.
Il lockdown per lei era un autentico incubo. Odiava stare chiusa in casa, odiava quella vita non vita. Lei voleva VIVERE! Tutta quella situazione era una sorta di tragicommedia. Per una programmatrice come lei, il fatto che tutti i suoi progetti continuassero ad andare in fumo per colpa del dannato Covid era intollerabile. si sentiva un pappagallo in gabbia, costretta a ripetere frasi di circostanza, costretta a non vedere amici e fidanzato. Era una lottatrice, lei. Aveva suo malgrado imparato a sgomitare nella vita; aveva imparato che quella favoletta in cui le avevano fatto credere da bambini, Dio, se esisteva, se ne fregava degli uomini. Dovevano essere gli uomini a farsi strada nel fango, a stringere i denti per passare di obiettivo in obiettivo, affamati e implacabili. E ora? Quello non era un nemico che si potesse sconfiggere. Ogni mattina le sembrava di agitare i propri pugni in aria, di dover affrontare un rivale imbattibile, su cui nessuno dei suoi pugni potesse andare a segno. L'unica cosa che restava da fare era fuggire.
Studiare era un po' scappare, ma non bastava. La scuola era e restava una corsa ad ostacoli che impegnava tempo e fatica (e no, non voleva preoccuparsi del senso che potesse avere. Quel pensiero lo lasciava agli altri. Poteva ragionare in un secondo momento su quanto effettivamente inutile fosse. Era una montagna. Era lì. La doveva scalare per arrivare al livello successivo. Punto), ma non avere altro che quello da fare le corrodeva letteralmente la mente.
Ah... Se si fosse trovata per magia in un altro universo... Un mondo in cui essere libera, qualsiasi cosa questa parola volesse davvero dire...
***
Grace si svegliò di malavoglia.
Probabilmente era uno di 'quei giorni', ma il suo scudo di cinismo per affrontare la giornata aveva bisogno di una messa a punto. Del resto, però, non era neanche poi così necessario... Non doveva recarsi fisicamente a scuola, ergo, non doveva partire all'attacco del mondo e soprattutto, degli altri esseri umani, alternando in dosi molto poco equilibrate la sua naturale ritrosia al manifestare i propri reali pensieri e, appunto, loro, i suoi reali pensieri, SPESSO di insofferenza verso quel branco di bambini blateranti che stando all'anagrafe erano inaspettatamente suoi coetanei. Non aveva voglia di assaltare il mondo per rivendicare di esistere e non essere una stampa floreale sul muro. C'erano delle volte in cui uno voleva semplicemente che l'onda passasse e non la investisse, scorrere placidamente senza scossoni fino al giorno successivo, senza dover lottare per forza contro qualcosa. Non che le dispiacesse seguire le lezioni a distanza, il suo lato ossessivamente perfezionista le impediva di prendere alla leggera una qualsiasi delle cose che faceva (e solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto essere una di quelle persone che 'se ne fregano', anche perché a quanto pare era lei ad essere perseguitata dalla legge di Murphy, e mai soggetti di quella particolare tipologia)... Però avrebbe voluto anche trovare un senso, qualcosa di totalizzante per cui vivere... Qualcosa che le riempisse quello strano senso di noia, vuoto e frustrazione che sempre più spesso la attanagliava.
Ah, se si fosse trovata per magia in un altro universo... Uno in cui la sua vita avrebbe avuto chiaramente un peso, un significato chiaro, una missione...
***
Benvenute viaggiatrici! Benvenute nell'isola magica di *****!
Eh? (X3)
prof. Paolo Maltagliati
NUMERO 11
GIUGNO 2021Negotium vade retro
A dar retta ai libri, non ci sarebbe cosa più bella, più deliziosa, più consentanea alla natura umana del lavoro; interrogata invece la realtà, nulla è più aspro, più ripugnante di esso. Invero, certi tomi pietosamente ci ammoniscono del carattere diabolico e perverso dell'umano industriarsi: anche esulando da umori confessionali, la cacciata dall'Eden nel Genesi è sublimata dalla tonitruante voce divina che sottolinea l'eterno dovere del procacciarsi il pane con il sudore della fronte, dimentichi della rigettata neghittosità primeva. Non occorre inoltre improvvisarsi lessicografi se si memora che etimologicamente il vocabolo lavoro rivela nell'amato idioma latino tutto il suo riposto fiele: labor, fatica, affanno (da cui l'ambiguissimo e ferale: laboriosità) comunica il lessema, contro gli stolti e riempibocca adulatori d'un progresso che l'uomo presume essere meccanismo inerte di produzione!
Evito di tracimare in invettiva, dacchè vado teorizzando e dunque annoiando il mio lodevole (certo occasionale) lettore, desìoso di esempi che laudabilmente giustifichino il polemico mio assunto; vita! vita! mi sembra di sentir propalare dal mio sodale Tranquillo Cremona, per il secolo finissimo imbrattator di tele ma in vece demiurgo delle mie infondate ambizioni letterarie, d'uno stile lambiccato che invano anela trascendere il subìto rovello del pensiero.
Adunque novellando concretizziamo, mentre Corbetta imbrunisce e i cari ricordi schiarano al leggier crepolìo dei roventi carboni alimentanti il fuoco entro cui, nella calda sala, affiso lo sguardo rimembrante; il primo mio incarico, imberbe reduce dai giovenili studj, mi vide maestro alle prese con scalmanati e urlanti cittelli; d'essi alla mente atterrita si ripresenta Pierino (in omaggio alla minuta corporatura del fantolino treenne), imprevedibile erinni pei corridoi semibui dell'istituto materno 'Torquato Tasso'. Era lui a bloccarsi improvviso, in minaccioso silenzio, mentre la fila dei mimmi suoi pari docilmente recavasi al desinar di mezzodì; indi, mi guatava fissamente ed ecco l'ormai noto sorrisetto albeggiava ad increspare le malandrine e sapute gote di codesta Monnalisa declinata al maschile. In quei secondi periclitanti il cuore mio presago risolver non sapea il dilemma: la beffarda creaturina era sul punto di fuggire ai miei occhi inoltrandosi nei didascalici meandri, così rischiando ognor la propria incolumità (il gigantesco cipiglio del manesco suo padre Attanasio ottenebrava allor la mia mente) o con la scusa plausibile d'inesistente bibi si accingeva ad approssimarsi per poi balzare sul mio viso e rigarlo ancora una volta con le care sue unghiette? Innumeri giorni così involati non compensavansi colla febbrile torchiatura in proprio dei miei primi pondi (L'altrieri, Vita di Alberto Pisani), immeritevoli omaggi al solo maestro Rovani; il teratologico cozzo tra gli inani sforzi diurni e le faci sapienziali che avverso il mondo baluginavo la notte tormentavan anzi il mio orgoglio, posto a martìro nella pugna tra l'agognato elitarismo dei sodali scapigliati e il meccanico perdersi nella volgare ripetizione di irriflessi atti.
Alfine l'accumulata spossatezza m'indusse a raffrenar gli istinti pedagogici, limitando alle belle lettere il pascolo del mio ingegno ma, ahimè, non di stampate (sebbene ridondanti estetiche gemme) lettere è anelante il volgo sicchè l'atro frangente economico a breve sospinse, sull'ali spiegate e oscure della Necessità, il vostro umile estensore a riverberare la temperanda perizia giornalistica (l'ardore sedicenne traspira sin dall'esergo dell'effimero periodico che fondai: Palestra letteraria, artistica e scientifica) con l'entusiastica adesione al foglio pavese Il corriggitore.
Imperava in redazione il vetusto direttore, Anziani, un omone burbero che lo sguardo piegava a indefesso, febbrile strumento d'indagine scandagliante l'animo dei 'sudditi gazzettari' (tal egli nomava a dispregio i tapini che sottoponeva a minuziose angherie); il perenne aggrottìo delle sue folte, candide sopracciglia registrava e quasi assorbiva il servile moto delle nostre schiene, chine nella famigerata fase di correttura delle bozze (abietto certamine fra colleghi dimentichi degli errori insiti negli articoli altrui per lumeggiar la propria figura innanzi al tiranno). Vana fola, melanconico miraggio rivelavasi allor l'avventura fra i torchi quotidiani, espunta la spontanea mia propensione allo sberleffo letterario da elzevirista o la predilezione per la fabulosa cronaca a ingigantir la ferialità degli eventi; supini con l'adamantino carceriere, i miei colleghi (tutti vetusti avverso me) non peritavansi di sgambettarsi a vicenda: Guerrozzi e Cardacci emergevano in cattiverie mirate al sistematico sabotaggio redazionale con la congiura di calamai rovesciati, inquinamento di fonti, distorsione di fatti, addirittura occultata corruzione di testimoni attraverso istrumenti i più bizzarri.
Nell'improvvisata giungla rivelatasi il giornale m'attendeva un oscuro susseguirsi di azioni prive di scopo e gratificazione per quindi declinare la vecchiaia in mediocrità nutrita dal modesto assegno che il canuto dittatore, con frequenti e deprecabili dilazioni, concedeva ai servizievoli suoi lemuri; la tenzone priva di fondamento alcuno nauseò la proiezione eroica che di me andavo erigendo in guazzabugli pragmatici, sicchè un dì (ricordo la data e il freddo ad essa afferente, i ghiacci a orlare l'angusto ma lussuoso ufficio del direttore: 2 dicembre 1872) rassegnai le dimissioni, in tutta risposta avendomi uno schifiltoso sbuffo di disprezzo a sommuover appena gli odiati e lanuginosi lineamenti.
La ruìna del tempo attenua i fenomeni ed io, più per un sopore ch'ora mi assale alla vista del pallido e freddo raggio di luna che traluce dai piombi delle finestre che per riguardo alla noja dei temerari che s'inoltrarono sin qui a intravvedere i ghiribizzi del mio cuore, pongo or fine ai queruli lai atti a dimostrare in re come il lavoro, nobile attività secondo vulgata teoresi, ammorba le menti vagheggiando guadagni miserrimi che rivelansi (con tragico differimento di consapevolezza) perdita distillata di quanto più caro accarezza qual chimera i precordi d'ogni uomo.
Dinnanzi alle estetiche, voluttuose volute della nostra ragione sempre esclamar dovrebbesi, onde evitar infamanti scivoli prassici: ubi maior minor cessat!
prof. Gianluca Comincini
Lo sguardo
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Compito: descrivere come si fa a bere un bicchiere pieno d'acqua a chi non sa cosa sia né il bicchiere né l'acqua.
Senti qua.
Noi, sulla terra, dobbiamo assolutamente bere.
Il più possibile.
Lo raccomandano nelle migliori diete (poi ti spiegherò anche questo termine).
Dunque, benissimo: bere.
Nonostante le apparenze, noi umani siamo fatti di acqua, questo liquido trasparente che vedi e che può essere, come ora, freddo oppure caldo o ancora una via di mezzo, cioè tiepido ('a temperatura ambiente'). È appunto l'acqua - testone mio – che noi uomini dobbiamo il più possibile assumere, mettere in circolo, appunto bere.
Perché?
Semplice: noi, soprattutto d'estate quando fa caldo, sudiamo, cioè buttiamo fuori l'acqua che abbiamo dentro e così dobbiamo berla nuovamente solo per ritrovare l'equilibrio idrico (di liquidi) nel nostro corpo. Non sorridere, so che può sembrare una cosa stupida, uno spreco di tempo o una fatica assurda ma è così! Mi fai divagare, stupidotto.... E non ci stai capendo niente, dì la verità.
Va bene, torno dritto al punto.
Noi beviamo l'acqua con appositi contenitori, detti bicchieri. Eccolo, vedi? Questo è un bicchiere e dentro c'è – ma guarda un po' - l'acqua.
Ok?
Capisci bene che il bicchiere serve a tenere dentro l'acqua, sennò questa cadrebbe e allora addio equilibrio! Zuccone caro, il bicchiere può anche non essere trasparente come quello che stai osservando ma opaco (non ci vedi attraverso) o lucido (e allora ti fa male quel tuo unico, prezioso occhio se lo guardi – non il tuo occhio ma il bicchiere – alla luce del sole) oppure di vari colori e forme ma, ricordati, serve solo ed esclusivamente a bere.
Forma più ricorrente? Di solito – osserva bene – si tratta di un cilindro quasi perfetto, spesso più largo alla base perché non cada se appoggiato e, in alto, cavo mentre in fondo chiuso. In caso contrario dall'alto non potremmo bere e in basso, se fosse aperto, il bicchiere non terrebbe l'acqua: pluf! Così il bicchiere non servirebbe – scusa – a un cazzo e, soprattutto, niente bevuta e tanta, troppissima sete. Altezza variabile, ma non più di trenta centimetri, sennò – testa di rapanello – non potresti bere neanche alzandoti sulle punte (e già l'altezza non è il tuo forte, credimi); diametro, cioè larghezza, massimo dieci centimetri per poterlo maneggiare (hai sei dita ma non è questo il punto... eccolo che sorride ancora come un cretino).
Attenzione: il bordo in alto deve essere liscio per non tagliarsi... come quella volta – ricordi? - quando hai visto che mi usciva il sangue dal dito: ahia, male! Quindi attento, soprattutto se il bicchiere è di vetro. Potresti ferirti.
Certo, profugo spaziale, ti feriresti solo se lo fai cadere, ovvio, ma nel tuo caso anche se lo stringi troppo forte. Però – consolati - almeno sapresti con certezza che l'oggetto ormai distrutto è stato comprato all'Ikea. Ecco, arriva il momento clou.
Afferri il bicchiere con calma – così – e lo avvicini al viso, sempre lentamente.
Poi – ah, che belle bollicine dal rumorino frizzante di fresco – appoggi le labbra al bordo, liscio come una gelida carezza, inclini leggermente il bicchiere – piano piano – e fai sgorgare dentro di te l'acqua, la vita. Se la vuoi assaporare ad occhi chiusi, meglio. Ti sembrerà lo stesso di vedere la sua magica lucentezza perché le tue papille si immergeranno sino in fondo nel dolce pizzicore che inonda il tuo corpicino, la tua animuccia.
Un sollievo breve ma immenso.
Fino al bisogno urgente di un altro sorso.
E ancora, e ancora.
Senza fine.
prof. Gianluca Comincini
NUMERO 10
APRILE 2021El difrasismo gráfico en la pintura de Frida Kahlo
Una de las características que más sobresalen en las pinturas de Frida Kahlo es la herencia mesoamericana que la pintora recoge en sincretismos nuevos y personales. Podemos encontrar esa herencia en los temas, como, por ejemplo, en las citas de las piezas arqueológicas o en la representación sincrética típicamente mesoamericana de la muerte. Sin embargo, además de las imágenes concretamente pintadas, Frida Kahlo elije una formalidad peculiar, porque los temas nunca aparecen individualmente, sino que se reduplican en las figuras y en los espacios de las pinturas. Este proceso formal ahonda sus raíces en dos tradiciones distintas.
La primera tradición es la de las vanguardias europeas de los primeros años del siglo XX. Como muchos de los vanguardistas, Frida ya no puede asumir la realidad como monolito, como verdad dada, sino que tiene que inquirirla, en sus contradicciones, rompiéndola en distintas facetas, no sólo temática sino también formalmente (como, aunque en modo distinto, hace Picasso). Además, las vanguardias confirieron nuevo valor a las artes primitivas. Eso, junto a la Revolución Mexicana (con su búsqueda de raíces americanas), profundizó el arraigamiento de la pintora a las culturas indígenas.
De hecho la otra tradición es la de la cosmovisión indígena mesoamericana. Como en otras culturas no europeas, las civilizaciones mesoamericanas teorizan un mundo dual en que la realidad siempre aparece con su opuesto. Esa visión embarga a todas las sociedades mesoamericanas, sobre todo en sus formas de representación. Sea en el arte visual, que nos ha llegado bajo la categoría de la arqueología y en los códigos pictóricos (o sea en la escritura maya y náhuatl), sea en el arte verbal de la tradición poética oral. Esta visión, junto al carácter oral de la sociedad indígena (con sus recursos típicos como los paralelismos, la repetición, el patrón semántico, el acercamiento progresivo al referente), implica también una elección formal. Así los glifos aparecen en parejas en los códices y en las estelas y las palabras se fraccionan en difasismos.
En particular, el recurso del difrasismo ha sido estudiado en el arte verbal y también en el arte visual indígena. Enfoqué entonces mi trabajo en la búsqueda del posible uso de difrasismos gráficos en el arte pictórico de Frida Kalho y de su conexión con los difrasismos verbales.
1. El difrasismo
Primero cabe aclarar que es un difrasismo. Su etimología (di-frase) se refiere a la ruptura de la frase en dos significados que matizan un mismo concepto (ese proceso en algún caso puede constituir también largas cadenas de significados entrelazados entre sí). Según la definición de Ángel María Garibay un difrasismo es:
“un procedimiento que consiste en expresar una misma idea por medio de dos vocablos que se completan en el sentido, ya sea por ser sinónimos ya por ser adyacentes” [El difrasismo se distingue del paralelismo como “repetición de un elemento lingüístico o de una estructura en un punto subsecuente del texto”].
Para que eso se realice, las dos palabras asociadas tienen que tener el mismo valor gramatical en la frase, o sea pertenecer al eje sintagmático, así que se cree una asimilación de los referentes. Sin embargo, la relación entre ellas puede ser de oposición, sinonimia o complementariedad. Los dos términos sugieren así otro (un tercero) significado metafórico, formando una unidad, crean una imagen triangular, “como para lograr que de su unión salte la chispa que permita comprender” (Miguel León Portilla).
Este recurso es característico de la lengua náhuatl pero también de otras lenguas americanas (como kuna, mixteco, mazateco, zapoteco, otomí y las mayenses) y no (por ejemplo hebreo y mongol). Por supuesto es una de las características retóricas más importantes en los textos indígenas americanos. Eso porque expresa la dualidad fundamental de la cosmovisión mesoamericana. Siempre según Miguel León-Portilla, esa dualidad se origina en el principio creador, y dios dual, “Ometéotl” y se desarrolla en todos los aspectos del mundo precolombino en una “omeyotización dinámica del universo”. Todo está compuesto por dos sustancias opuestas y complementarias, cada una de ellas tiene múltiples facetas (el calor, la luz, la vida, la sequedad, lo masculino por un lado y el frío, la oscuridad, la muerte, la humedad, lo femenino por el otro). Este sistema de “opuestos duales” se debe al hecho de que no exista una jerarquía entre los elementos del mundo: todo comparte la misma fuerza vital [Por ejemplo la concepción de lo negativo, lo malo, lo material no pueden pertenecer al mundo de lo sagrado, ya que lo bueno (Dios y el Cristo) es superior. Eso no ocurre en los sincretismos religiosos americanos ya que también el culto de Judas (el negativo de Jesús) y de la muerte son normalmente aceptados]. Además ningún ser es homogéneo, ni “puro”, en cada ser hay una combinación de los opuestos en distintas proporciones.
Algunos ejemplos sencillos se pueden encontrar en los textos mayas precolombinos. Por ejemplo: “Yo estoy aquí frente al cielo, frente a la tierra” (del Rabinal Achí). La frase se rompe en dos elementos que tienen el mismo valor gramatical. Cielo y tierra conforman el mundo, entonces esa construcción significa “estoy aquí frente al universo”. Esta frase sugiere el mundo como algo vivo que tiene partes complementares que interactúan; la palabra “universo” es algo hecho, ya acabado, fijo mientras que “cielo y tierra” es algo dinámico, implica un equilibrio entre elementos opuestos.
Otro ejemplo se encuentra en la llamada “biblia maya”, el Popol Vuh, en donde el progenitor y la progenitora son llamados “Alom Qaholom, Tzacolo, Bitol, Tepeu, Cucumatz”. “Alom Qaholom” representan el principio masculino y el femenino, los dioses creadores en el principio de la creación, “Tzacolo, Bitol, Tepeu, Cucumatz” son todas manifestaciones del mismo principio vital. Esta estructura se mueve alrededor de un único referente (como una espiral), al que se acerca progresivamente. Repite con matices distintos la misma idea sin decir nunca exactamente lo mismo: añade cada vez nuevos aspectos metafóricos.
El difrasismo quizás más conocido e “in xóchitl in cuícatl”, que significa literalmente “flor y canto” y es la expresión máxima de la filosofía dual que constituye lo que se utiliza para llamar la poesía náhuatl, o seae las raíces de la palabra náhuatl. Puede conectarsetambién al concepto de música, y tiene un difrasismo visual donde aparece la flor alucinogena de sinicuichi (Códex Borbonicus).
Hablando del arte pictórico hay que tener en cuenta que los náhuatl tenían un sistema de escritura mixto que contaba con glifos ideográficos, logográficos y algunos fonéticos; pero era fundamentalmente un sistema ideográfico. Precisamente por ser ideográfico, pues, tiene un alto grado de comprensión incluso sin que el intérprete sepa la lengua del autor (cosa que no sucede con los sistemas logográficos y fonéticos que están vinculados a la lengua específica desde la cual se lee). El sistema ideográfico conlleva también la posibilidad de interpretación progresiva de la imagen y de abarcar un significado mayor a lo transmitido por las palabras. De hecho la frase está regida por el principio de no contradicción, mientras que la imagen puede incluir también elementos opuestos. Eso nos dice cuanto la escritura ideográfica fuera moderna ya que permitía a los náhuatl hablar de la realidad en modo más complejo de lo que se puede hacer con los caracteres alfabéticos.
Parejas semejantes a los difrasismos verbales aparecen entonces en contextos también no lingüísticos como el sistema calendárico. No sólo, a menudo los nombres de los días que aparecen contiguos corresponden a dos pares difrásticos (como «jaguar» y «águila», que juntos significan «militar»), sino que también en la representación plástica y pictórica los glifos aparecen en parejas difrásicas. Como en el caso de “in xóchitl, in cuícatl” se identifican en distintos códices imágenes que podemos leer como difrasismos y que llamamos “difrasismos visuales” o “gráficos.” Los dibujos articulan así el discurso como si fuera una red, de una manera más semejante a la organización que las ideas toman en el cerebro humano (como mapas y no como discurso linear).
Un ejemplo muy sencillo de difrasismo gráfico aparece en el códice Mendoza para representar la fundación de Tenochtitlan. Eso es un águila sobre un higo chumbo (o nopal) que crece sobre una cueva, punto de contacto con el inframundo (símbolo femenino) de donde salen dos corrientes de agua (otro símbolo de la maternidad) azul-verde (cian) y amarilla. Este dibujo apunta al difrasismo verbal “in matlalac in tozpalac”, literalmente “el agua cian, el agua amarilla” y significa “principio”, “centro”, “fundación”, porque hace referencia a la mezcla de los dos elementos fundamentales: lo húmedo y lo seco. Eso significa que en la creación del mundo se unieron las dos corrientes de los opuestos. Cuando los mexicas llegaron a la región lacustre que había que ser Ciudad de México, tuvieron la visión prodigiosa de este manantial. En la misma imagen aparece otro difrasismo, o sea el escudo y las flechas, que significa “guerra”, entonces la ciudad de Tenochtitlan se construye sobre la conquista territorial.
"In xóchitl in cuícatl”, que significa literalmente “flor y canto”, difrasismo para "música", Códice borbónico, pag. 4
Logograma del Instituto Nacional mexicano de Antropología e Historia (INAH)
Fundación de México-Tenochtitlan, Códice Mendocino
2. Difrasismos gráficos en la pintura de Frida Kahlo
2.1 Primer caso: el árbol y la creación
Buscando ejemplos de difrasismos verbales encontré el conjunto “pitza, mamali” y su conexión con la imagen del árbol florido. En mi opinión ambos pueden conectarse muy bien a Raíces de Frida Kahlo.
“Pitza, mamali” es la unión del verbo “soplar/fundir” (fuego) y del verbo “perforar” (agua) y su sentido metafórico es “crear”. Normalmente se refiere a las criaturas divinas y al niño que todavía está en el vientre materno y equipara la creación a la fabricación de una joya. El verbo “pitza” (soplar) debe ser traducido como “fundir” porque en la metalurgia mesoamericana el fuego era avivado a pulmón, soplando. Por otra parte, el verbo “perforar” apunta al uso del barreno (herramienta formada por una barra metálica con la punta en espiral y que sirve para hacer agujeros) y a la manufactura de una cuenta de piedra. Estas dos acciones (el fundir y el perforar) complementan la idea de la elaboración de una pieza preciosa, sin embargo sugieren algo más. El difrasismo remite a las dos joyas por excelencia: la pieza de oro (metal prototípico) y la cuenta de piedra verde, cuyos colores son simbólicamente opuestos complementarios: el color de la sustancia caliente que es el amarillo, y el de la sustancia fría, el agua, que es el cian (los mismos que vimos en el caso de la cueva de Tenochtitlan) juntados con el color rojo de la sangre, elemento vital por excelencia.
Los estudiosos conectan este difrasismo con la imagen, muy común en la iconografía, del árbol florido (o columna de Tamoanchan) del que proceden todos los bienes, eje cósmico, tronchado para que la sangre derramada haga existir el mundo. El corte del tronco provoca una hemorragia que arrastra cuentas de piedra verde y de oro. Estas imágenes resumen la idea de la divinidad: su origen está en el cielo (dorado), y en el inframundo (muerte, frío, humedad). También en este caso el significado metafórico es lo de la “creación” y la triangulación metafórica es precisamente la misma de “pitza, mamali”.
Sobresale entonces la semejanza con Raíces. La imagen es la misma, pero no en posición fálica, vertical, sino en posición horizontal, ya que la pintora se presenta a sí misma como la tierra madre. De ahí que de las ramas de sus venas abiertas salga la sangre para regar y fertilizar la superficie árida, al igual que los dos chorros que fluyen del cuello de la Coatlicue Mayor en forma de serpientes (podemos comparar esta imagen también a la de Cristo que con su sangre dona la vida eterna a la humanidad). Como en el árbol florido aparecen el rojo, el cian y el amarillo y también los brotes. Quizás no es forzoso decir que la misma pintora parece una joya en exposición, y, por supuesto, fecunda la tierra mexicana, realizando así su sueno de pro-crear (negado biológicamente por sus abortos), gracias a la unión con la tierra y con las tradiciones indígenas. Como “pizta, mamali” era utilizado también para los niños en el vientre materno, el difrasismo se conecta muy bien al drama personal de los abortos de la pintora. Una creación que, como en el caso de la diosa madre y del árbol florido, necesita el derramamiento de la sangre, principio vital.
El mismo procedimiento representativo de la sangre aparece en Retrato de Luther Burbank, y vuelve a revelar la persistencia de la propia manera de representar la sangre codificada según el arte precortesiano. El cuadro está dividilo en dos registros, como el universo mesoamericano nuevamente conectados en el centro por el árbol sagrado. Vuelven a aparecer las cuentas de oro en los limones, pero esta “creación” agrícola no es positiva como en Raíces. El horticultor no derrama su sangre para donar nueva vida a la tierra ya muerta, sino que se nutre de la muerte de México (representado por el esqueleto) para dar vida a los Estados Unidos. En este sentido el Retrato de Luther Burbank (1931) cuadro representa una denuncia de la explotación de los campesinos mexicanos por las haciendas estadounidenses.
El árbol cósmico con el tronco cortado derrama sangre que arrastra cuentas de piedra verde y tejos de oro
Códice Borgia, lám. 66.
Raíces (1946), Frida Kahlo
Retrato de Luther Burbank (1931), Frida Kahlo
2.2 Segundo caso: “El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego, y el señor Xólotl”
En esta famosa pintura aparecen muchos símbolos de la cultura indígena y muchos símbolos personales de la pintora también. Vuelven los colores amarillo, cian y rojo, que simbolizan todo lo que hemos dicho (entonces el principio creador está en todo el universo), está aquí también el árbol y las raíces, aparecen además Diego Rivera y el perro mexicano. En mí opinión este cuadro es una grande alegoría de la cosmovisión de la pintora y, por supuesto, su mayor difrasismo. Eso porque la imagen sigue matizándose en cada elemento y cada elemento es imprescindible para abarcar el todo, el universo donde late el corazón de Frida (el rojo del traje). Esta pintura es un juego visual en donde nuestra mirada está forzada a saltar desde un elemento a otro. La supuesta imagen triangular se concretiza en una verdadera pirámide de sentido “tridimensional” que apunta a un significado más alto, que abarca todo sin absorberlo. Existen conexiones también con la representación ideográfica de Xólotl: el perro, los tres colores y la cruz (representada en la pintura de Frida por los brazos horizontales y el eje recto de la diosa madre sentada), o sea la intersección en donde se queda el centro, el corazón de la vida.
Xolotl (Códice Borgia)
El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego, y el señor Xólotl (1949), Frida Kahlo
3. Para concluir: el difrasismo (también) en Octavio Paz
Para concluir quisiera introducir un enlace que conecta el discurso del difrasismo también a Octavio Paz (poeta, ensayista y diplomático mexicano, premio Nobel de literatura en 1990). En el texto “La higuera” de ¿Águila o sol? (colección Libertad bajo palabra), el poeta utiliza para evocar el “destino” el conjunto “la espiga y el canto”. Impresiona la semejanza que existe entre tal expresión y el difrasismo clásico “in xóchitl in cuícatl”. Es esta una fórmula menos exclusivamente estética de “la flor y el canto” y expresa también (a la luz del empeño político del poeta) el arraigamiento a la realidad vital del hombre mexicano: la espiga evoca la alimentación, el maíz, el trabajo del campo, la hoz (y quizás el martillo). Muchos otros ejemplos se pueden encontrar en la obra de Paz, elemento que contribuye a crear una conexión estilística (además de temática) entre su trabajo y el de Frida Kahlo.
Bibliografía
CACERES, Abraham D., In Xochitl, In Cuicatl: Hallucinogens and Music in Mesoamerican Amerindian Thought, unpublished doctoral dissertation, http://www.csp.org/chrestomathy/in_xochitl.html
CARDENAL, Ernesto, “In Xochitl, In Cuicatl”, en La Palabra y el Hombre, año 1967, número 4, https://cdigital.uv.mx/bitstream/handle/123456789/2667/196744P665.pdf?sequence=1&isAllowed=y
CARDENAL, Ernesto, “In Xochitl, In Cuicatl”, en Los ovnis de oro, Siglo XXI Editores, 1988, http://members.tripod.com/~Mictlantecuhtli/Cardenal/cuicatl.html
FAMSI, Fundación para el avance de los estudios mesoamericanos http://www.famsi.org/ , para los códices: http://www.famsi.org/mayawriting/codices/index.html
GONZÁLEZ GARCÍA, Daniel, Con trepidantes flores sólo. Flor y Canto como expresión de lo Divino, http://www.academia.50megs.com/main.htm
LÓPEZ AUSTIN, Alfredo, “Difrasismos, cosmovisión e iconografía. Diphrasisms, worldview and iconography”, en Revista Española de Antropología Americana, Nº 2003, pp. 143-160, https://docplayer.es/8596044-Difrasismos-cosmovision-e-iconografia-diphrasisms-worldview-and-iconography.html
NÉRÉE, Marcel, “Los difrasismos como recurso poético en la obra de Octavio Paz”, en Estudios de cultura Náhuatl, Vol. 33, 2002, www.ejournal.unam.mx/ecn/ecnahuatl33/ECN03313.pdf
WRIGHT CARR, David Charles, “La tinta negra, la pintura de colores. Los difrasismos metafóricos translingüísticos y sus implicaciones para la interpretación de los manuscritos centromexicanos de tradición indígena”, en Estudios de Cultura Náhuatl, Vol. 42, 2011, http://www.scielo.org.mx/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0071-16752011000100015
Última consultación: 18 de abril de 2021
prof.ssa Margherita Quaglia
NOTA DE LA AUTORA: Este artículo fue escrito originariamente para el exámen de Lengua española 1 LM de la Università degli Studi di Milano en el año 2009, la autora no tiene ningún derecho sobre las imágenes que son aquí utilizadas con fin didáctico.
NUMERO 9
2021Scaglie di mare
Un estratto dal romanzo breve di recente pubblicazione della prof.ssa Antonella Lotesto, pubblicato da PAV Edizioni.
Avevano in comune la passione per il mare, in particolare per il mare della Gallura, per le spiagge selvagge del nord della Sardegna, dove permangono ancora inalterati paesaggi naturali e incontaminati, un mare dalle sfumature spettacolari, con una trasparenza davvero unica.
La natura riesce sempre a trasmettere bellissime sensazioni.
Sperava che il mare riuscisse a fare il miracolo.
Sperava, immergendosi in quell'azzurro, di poter annullare almeno per un po’ quei pensieri, lasciandosi cullare dalle onde, per ritrovare quella pacatezza, nitidezza interiore che aveva perso ormai da tempo.
Paracelso, uno scienziato, medico, filosofo, alchimista, del Quattrocento, spiega perché adoriamo così tanto stare in riva al mare.
Si tratta del luogo dove vi è più energia al mondo.
In riva al mare, infatti, l'elemento acqua si unisce all'elemento terra.
Il mare rigenera, trasmette energia pura, rimette in comunicazione con la vita.
Il mare si rinnova continuamente, mai identico a se stesso, come la vita.
La prima estate trascorsa completamente sola, Chiara si ritrova spesso a passeggiare lungo la spiaggia, in quella località della Sardegna dove c'è spesso vento.
La maggior parte delle persone è infastidita dal vento.
Lei lo amava.
A chiara piaceva sentirlo sulla pelle, sul viso, sui capelli.
Amava quella sensazione, sentirsi controvento.
Respirava profondamente, mentre saliva attraverso un sentiero verso una torre, una antica torre del Seicento, imponente e massiccia.
La torre di Longosardo è forse una delle più belle e grandi della Sardegna.
Dalla sua terrazza, grazie alla sua forma circolare e alla sua particolare posizione strategica, posizionata sopra uno sperone di roccia a strapiombo sul mare, si può ammirare tutto il promontorio.
Chiara riusciva, per pochi minuti, a provare quella tanto desiderata sensazione di pace che solo la bellezza della natura sa trasmettere.
Da lì la vista è davvero meravigliosa e il mare assume colori e trasparenze uniche.
Momenti unici in cui le sembrava di rinascere.
Osservava quel paesaggio, unico e bellissimo che si perdeva fino all’infinito, a quell’ultima striscia turchese del mare, dove si immerge l'azzurro del cielo, fondendosi in un tutt'uno meraviglioso.
Sulla sabbia, come in un quadro impressionista, si mischiavano i colori delle barche dei pescatori, ormai corrose dal sole.
Antonella Lotesto
NUMERO 7
OTTOBRE 2020Illustrazione dI Silvano Brugnerotto
Antigone nel 3000
"Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia. Egli dimostrava mirabilmente che non c’è effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili… è provato, diceva, che le cose non potrebbero andare altrimenti: essendo tutto quanto creato in vista di un fine, tutto è necessariamente inteso al fine migliore. I nasi, notate, son fatti per reggere gli occhiali: e noi infatti abbiamo gli occhiali…"
(Voltaire, Candide ou L'optimisme, 1759)
"Un gatto è rinchiuso in una scatola d'acciaio, insieme al seguente dispositivo: in un contatore Geiger c'è una minuscola quantità di sostanza radioattiva, così piccola che forse nel giro di un'ora uno degli atomi decade, ma forse, con uguale probabilità, non ne decade nessuno; se ciò avviene, il tubo contatore si scarica e mediante un relè libera un martello che spezza una fialetta di acido cianidrico. Se si lascia indisturbato l'intero sistema per un'ora, si può dire che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo è decaduto. La funzione psi dell'intero sistema esprimerebbe ciò comprendendo in sé il gatto vivo e il gatto morto (mi si perdoni l'espressione) mescolati o confusi insieme".
(Erwin Schrödinger, 1935)
Parte I
Ariadne Dover era piuttosto inquieta.
Devo Calmarmi. Devo Calmarmi. DEVO CALMARMI!
Niente. il suo battito cardiaco non accennava a diminuire. Il suo corpo non voleva obbedire all'imperativo della mente.
"AVANTI, RECLUTA 2971883!"
Una voce perentoria, proveniente dall'altro lato dell'ufficio, la riscosse dai suoi pensieri. O, piuttosto, le diede un ulteriore motivo per agitarsi.
Ariadne aprì circospetta la porta, prendendo prima una gran boccata d'aria. Dopotutto era la prima volta che si trovava faccia a faccia con il 'direttore'.
"Prego, signorina Dover, si sieda." Dall'altro capo di una scrivania di mogano, c'era un uomo piuttosto bruttino, basso, grasso e che iniziava a perdere i capelli. Non un grande effetto visivo. Anche la sua voce era in aperto contrasto con l'idea che si era fatta del 'direttore'. Niente di gelido o di imperioso, il tono di un mitologico dio, o di un re che manda a morte i suoi sudditi. Piuttosto, una vocina nasale e fin troppo amichevole.
Cioè, dai, il mio capo sarebbe questo qua? Una specie di impiegato di banca che passa il tempo a spiegare alle vecchiette come compilare un assegno? Ero tutta nervosa per niente, uff.
Con un lieve sorriso, l'uomo iniziò la sua noiosa cantilena di spiegazioni.
"Presumo che lei non abbia un'idea molto chiara del perché è qui. Non molto corretto da parte nostra, ma deve capire che dobbiamo preservare un certo grado di riservatezza."
"No, in effetti no - fece di rimando lei - L'unica ipotesi che mi era saltata in mente è che ci dovesse essere qualche problema grave con la macchina."
Che peraltro non ho la più pallida idea di come funziona, quindi se mi chiedete di ripararla, non è nel mio mansionario, attaccatevi.
"Ahahahah! Scherza, vero? Si rompe il pullman che porta la scolaresca in gita e noi chiediamo di ripararlo alla guida turistica? Suvvia, signorina Dover, siamo seri."
Ariadne per mezzo secondo fu indecisa se dare ragione al suo capo o sentirsi punta nell'orgoglio per essere stata paragonata a una semplice 'guida turistica'.
Poi, ovviamente, il secondo sentimento prevalse.
Laurea in storia, in archeologia e master in antropologia delle religioni... Tutto per farmi chiamare 'guida turistica' da 'sto nanetto con il maglione blu stinto? Ma vaff-
Un appena percepibile sogghigno diede alla ragazza l'atroce sospetto che il suo interlocutore avesse interpretato correttamente i suoi pensieri. E ne fosse sommamente divertito.
Quasi per il sadico piacere di dare corpo alle supposizioni di Ariadne, il 'direttore' rincarò la dose:
"Lei E' una guida turistica, signorina Dover. Accompagna ricconi invece di bambini delle elementari con il moccio al naso o annoiati adolescenti attaccati al loro smartphone, ma guida turistica resta."
"Mi scusi - interloquì lei, con il tono più acido che potesse sfoderare - ma la qui presente 'guida turistica' è stata selezionata tra migliaia di candidati per stare qui. Sarò anche giovane, ma non mi faccio prendere in giro. Sono una qualificata operatrice della Piattaforma CTDO!"
"Wow, quanto veleno! La dovevo chiamare cobra, anziché 'guida turistica', altroché! Comunque ha ragione, scortesia mia. Mi rendo perfettamente conto che per spiegare a una manciata di multimiliardari che si sono voluti fare un giro con la macchina del temp- ok, ok, piattaforma CTDO - cosa di preciso stanno guardando, lei abbia dovuto leggere un mucchio di libri complicati, con un sacco di pagine e scritti in piccolo. Sono anche convinto che sia felicissima di spiegare storia a gente che fa fatica a capire la differenza tra 'Avanti Cristo' e 'Dopo Cristo' e che è lì con lei solo per scattare quattro selphies con la piramide di Cheope in costruzione sullo sfondo."
È un infame, ma, dannazione, colpisce proprio dove fa più male...
Prendendo il silenzio rancoroso di Ariadne come un invito a proseguire, il 'direttore' aggiunse:
"Davvero, signorina Dover, non mi fraintenda, non volevo denigrare i suoi studi. Ma sicura che è soddisfatta così? Se le proponessi un'attività più... Specializzata?"
Hook, line and sinker*! Prima mi deride, poi solletica il mio ego ferito con una proposta. Lo odio!
A maggior ragione perché funziona! Va beh, stiamolo a sentire.
"Cosa avrebbe in mente, signor direttore?" Chiese semplicemente lei, con un sospiro di rassegnazione. Presentiva che non le sarebbe piaciuta la risposta.
Ma che, allo stesso tempo, qualcosa l'avrebbe spinta ad accettare. Sperava solo che non fosse il proverbiale patto con il diavolo.
"Non scuota la sua bionda criniera come un cavallo che stanno per abbattere, signorina Dover - esordì lui, con un obliquo sorriso - Non le sto offrendo nient'altro che ciò che già, in cuor suo, desidera.
Veniamo al punto: ieri la nostra nuova presidentessa, Ivanka II, non ha solo prestato giuramento per il suo sesto mandato. Ha anche segretamente incontrato i primi ministri dei principali paesi del mondo per annunciare loro che gli Stati Uniti sarebbero usciti con effetto immediato dal Non Interference Treaty."
"COSA ?!? Mi sta dicendo che il nostro governo ha in mente di mandare gente nel passato per INTERAGIRCI?!?"
Che il buon Dio li fulmini! Anzi, che mandi direttamente un meteorite a schiantarsi sulla Casa Bianca!
Non mostrando di dare troppo peso all'escandescenza di Ariadne, il direttore continuò:
"La notizia non è ancora diventata di dominio ufficiale e forse nemmeno lo sarà mai, ma una cosa è certa: tra poco questo posto si riempirà di militari con i capelli a spazzola, che masticano tabacco, sputano per terra e indossano occhiali aviator da sole. Gente che non solo non ha una laurea in storia come lei, ma che molto probabilmente è convinta che la terra sia un enorme disco piatto al centro del sistema solare e che è stata fatta da Dio in sei giorni qualcosa come seimila e spiccioli anni fa."
"God Bless Amerika e il suo fantastico sistema scolastico." Commentò acida la ragazza.
"Beh - fece l'uomo di rimando - non tutti hanno i soldi per andare in un'università Europea come lei."
"Guardi che i miei genitori non erano così ricchi... Hanno risparmiato ogni dollaro per potermi permettere di vivere e studiare a Milano dopo i diciotto anni." Replicò prontamente Ariadne, sbuffando.
"Comunque, signorina Dover, per evitare che i federali prendano il completo controllo della CTDO e prevedibilmente combinino un casino, dobbiamo dimostrare al governo che siamo professionisti e che portiamo risultati anche senza la loro supervisione diretta. E qui entra in gioco lei."
"In altre parole, visto che la nostra presidentessa vuole cambiare un po' la storia e che lo farebbe comunque anche se noi rifiutassimo di collaborare, meglio eseguire da subito gli ordini per evitare che elefanti molto più grossi ed inesperti di noi entrino nella cristalleria e facciano molti più danni. Ho capito bene?"
"Alla perfezione, signorina Dover. Dunque?"
"Ci sto, signor direttore." Rispose la ragazza, a denti stretti.
Uno stramaledetto patto con il demonio, di quelli che in confronto il Faust è roba da dilettanti...
***
Parte II
I primi tempi non ci furono troppi scossoni. Anzi, a dire il vero molti meno di quanti Ariadne avesse preventivato. Le 'missioni' nel passato non erano particolarmente invasive. Perlopiù si trattava di recuperare testi storici andati perduti. Ebbe un gran daffare soprattutto tra Grecia, Asia Minore e Italia Meridionale dal VI al IV secolo avanti Cristo, per la somma gioia di molte facoltà di filosofia antica, che si ritrovarono, finalmente, a poter leggere e commentare l'opera completa di Platone e di Aristotele, per non parlare di molti altri filosofi minori. In barba ai fiumi di inchiostro che erano stati scritti in merito al suo rifiuto per la parola scritta, Ariadne riuscì a mettere le mani persino su testi di Socrate.
In fondo, questa caccia ai libri antichi era talmente divertente da farle dimenticare che lavorava sempre e comunque per il governo degli Stati Uniti d'America.
E il governo non stava finanziando il progetto CTDO solo per arricchire le biblioteche del paese.
Oltretutto non se l'erano ancora sentita di correre il rischio e cambiare veramente la storia. Tecnicamente, si erano limitati a portare oggetti antichi nel presente per studiarli.
Una domanda attanagliava soprattutto Ariadne:
Se modificassi la timeline, mi ricorderei di averla cambiata, una volta tornata nel presente?
Secondo quanto diceva il suo 'direttore', molto probabilmente no. Nella peggiore delle ipotesi, ovverosia la sua scomparsa per la prematura estinzione del suo albero genealogico, della sua esistenza non ci sarebbe stata più né traccia, né ricordo. Prospettiva particolarmente spaventosa, cui cercava di pensare il meno possibile, per non correre il rischio di impazzire.
Il momento in cui la Casa Bianca si decise ad un utilizzo più significativo (usarono questa parola, i federali, nel loro rapporto) della piattaforma CTDO arrivò fin troppo presto.
In un apparentemente calmo e tipicamente torrido e afoso pomeriggio di metà novembre, l'ormai vecchissimo Barron riuscì a sconfiggere e assassinare Ivanka II, giurando per il suo ottavo mandato da presidente non consecutivo.
Il nuovo presidente moriva dalla voglia di testare il giocattolo, invece di lasciarlo a marcire al servizio degli accademici del paese.
"Signorina Dover, ecco la busta con i dettagli della missione 4-645-XII." Il tono dell'uomo era insolitamente privo di quella beffarda ironia che Ariadne aveva imparato a conoscere.
"Ahem... Direttore? Mi sembra meno str- cioé, volevo dire, meno pungente del solito... Qualcosa non va?" Chiese lei, sospettosa.
"Questa volta è tosta, Ariadne."
Wow, se mi chiama per nome, la situazione dev'essere davvero brutta.
"Non faccia l'emodepresso, direttore. Se non altro, credo di averle dimostrato di essere quanto di più lontano esista dallo stereotipo maschilista di bionda scema che lei, in qualità di orribile e disgustoso misogino, sicuramente si immaginava. Ah, poi mi deve ancora spiegare cosa diavolo significa la sigla CTDO."
"Ahahah. Divertente signorina Dover. Ora si muova! Al suo ritorno glielo dirò."
Aprì la busta e diede una letta veloce. Poi deglutì. Doveva uccidere una persona.
***
Parte III
"ROSAAA! DOV'E' QUEL DISGRAZIATO DI NOSTRO FIGLIO?" il povero trentacinquenne fabbro Alessandro urlò alla moglie, appena rientrata dal lavoro a scuola. Avrebbe voluto dedicare quella giornata fiacca e senza clienti ad insegnare al ragazzino un mestiere. Ma di quello scapestrato, neanche l'ombra. Sospettava che fosse andato a giocare con gli altri bambini. Fu preso dalla tentazione di andare a cercarlo, ma poi, sbuffando e mugugnando improperi, decise di occuparsi d'altro.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi che passava per caso di lì, decise proprio in quel momento di dirigersi verso la piazza del paese. Dopo qualche minuto a piedi, ci arrivò e poté vedere una torma di ragazzini che ridevano, correvano, saltavano. Tra di loro, anche il figlio del fabbro Alessandro.
La ragazza bionda si appostò quietamente dietro a un cespuglio ed estrasse, dal tabarro che ne oscurava le fattezze, una pistola.
Mirò al bambino.
La mano le tremava. La abbassò per un istante, poi la puntò di nuovo contro al suo bersaglio.
Il piccolo intanto era tutto preso da una gara di corsa con gli amici. Rideva, felice.
DANNAZIONE!!! COME FACCIO A FAR SALTARE LA TESTA A UN BAMBINO!
Per farsi forza, la ragazza bionda cercò di pensare a tutte le cose orribili che quella pulce di quattro anni avrebbe fatto da adulto.
Abbassò e mirò di nuovo, per la terza volta. Il sudore le imperlava la fronte.
Si concentrò, cercando di vedere nel ragazzino il volto del feroce dittatore che mandava milioni di uomini a morire in guerra.
Non ci riuscì.
Non poteva. Non poteva uccidere quel bambino. Cosa aveva fatto? Ancora niente. Era innocente. Avrebbe davvero ucciso un innocente?
La sua ragione le diceva che stava compiendo un sacrificio per un bene superiore. Che la sua morte avrebbe cambiato - in meglio - il futuro dell'umanità.
Ma...
Era veramente così?
Si ricordò ad un tratto del paradosso del gatto di Schrödinger, che le aveva raccontato il direttore. Fino a che non si apriva la scatola la realtà in cui il gatto era vivo e quella in cui il gatto era morto esistevano. Contemporaneamente.
Dal tempo in cui veniva lei, tutto si era verificato, ma lì, in quel preciso momento, in quel preciso istante, tutto poteva ancora essere.
Sospirò e abbassò definitivamente l'arma.
***
Epilogo
"Mi spiace direttore, ma ho fallito la missione." Disse Ariadne.
"Brava ragazza." Rispose il direttore. Sorridendo.
NUMERO 6
MAGGIO 2020Psicocronache dai giorni del coronavirus
La pandemia ci ha investiti in modo inaspettato, come un’onda che prima appare lontana e poi cresce fino ad assumere i contorni di uno tsunami che si abbatte sulla nostra spiaggia. Apparso come una malattia lontana che in fondo non ci riguardava, il Covid 19 si è imposto come nostro convivente, istituendo un cambiamento radicale delle nostre vite e delle nostre abitudini. Abbiamo avuto, nei confronti del Coronavirus, atteggiamenti e sensazioni sempre diverse e contrastanti: ci siamo scoperti spaesati ed increduli, prigionieri nelle “bolle” delle nostre case, stranieri nelle strade deserte delle nostre città. Abbiamo guardato con sospetto chi incrociava il nostro marciapiede, immaginato di essere infetti o infettati, creduto di essere pedine di un gioco che la morte aveva organizzato contro gli addetti alla nostra salute. Alcuni di noi hanno infine deciso che si potesse sfidare la sorte, tornando agli aperitivi di una pretesa normalità.
Il periodo che stiamo vivendo sta producendo modificazioni profonde e se questo si tradurrà in un miglioramento o in un peggioramento delle nostre coscienze, sarà il futuro prossimo a dirlo. Intanto continuiamo a convivere con l’ospite inatteso che sta inesorabilmente agendo sulla nostra psiche, svelando via via le parti migliori e peggiori di un “noi” al quale, forse, non sapevamo nemmeno di appartenere.
Questi disegni rappresentano una testimonianza dei “giorni del Coronavirus”, una mia personale percezione della fase di convivenza col nemico invisibile che sta mutando antropologicamente il nostro rapporto con gli altri e con noi stessi.
prof. Silvano Brugnerotto
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 01
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 02
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 03
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 04
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 05
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 06
(si muore soli e lontani).
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 07
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 08
(Italia, domenica delle Palme 2020).
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 09
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 10
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 11
(29 aprile 2020 - "Andrà tutto bene").
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 12
(4 maggio 2020 - "E quindi uscimmo a rivedere il sole").
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 13
(Didattica a distanza).
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 14
(La maschera della movida rossa).
Psicocronache dai giorni del coronavirus > 15
http://www.brugnerotto.com/psicocronache/psicocronache.html
Menelao ed Elena
illustrazione di Camilla Scuri
Ti dichiaro guerra, moglie mia.
Cosa ti aspettavi, da tuo marito? Che fosse felice? Che gli bastasse sentirsi dire 'Questa è la volontà degli dei', per mettersi l'animo in pace?
No, affatto. E anche a costo di maledire il padre celeste con il suo fulmine tonante, non lascerò che il mio cuore rimanga senza vendetta.
Lascerò che le armate di Sparta divengano lo strumento per soddisfare le brame di potere di Agamennone, se questo mi permetterà di arrivare al tuo petto e strapparti il cuore con le mie stesse mani.
Mi crede stupido, il re di Micene, crede di solleticare il mio animo blandendomi con parole di fuoco sull'onta subita. Ebbene, che lo creda pure. Non mi interessa. Vuole usarmi? Mi usi. Sarò docile spada nella sua mano.
E no, non è per perduta dignità, che non voglio che il tuo peccato ricada su di me. Non mi interesso delle parole di scherno che mi vengono rivolte ai quattro angoli della Grecia. Non mi interessa d'aver perso l'onore.
Sarei stato volentieri povero e mendicante alla porta dei potenti, se avessi avuto te al mio fianco. Non ti reputavo mia proprietà, ma mia compagna!
Sortilegio degli dei? Puah! Sputo su questa fandonia. Ti sei concessa a Paride senza esitare.
Cos'era per te? Il miraggio di glorie maggiori rispetto alla cenciosa Sparta? Il suo bell'aspetto? L'aver un bel giovinetto da poter controllare a tuo piacimento, e che con dolci moine ti venerasse e obbedisse ad ogni tuo schiocco di dita? O la semplice voglia di prenderti gioco di uno stupido?
Sapevo di non meritarti. Sapevo di essere meno che polvere al tuo cospetto. Eppure credevo che tu avessi visto in me oltre al re, oltre signore acheo. Che avessi visto l'uomo.
Evidentemente mi sbagliavo. Sei un serpente avido di piacere.
Godi di questa tua condizione, fino a che puoi. Ti bei a buon diritto della bellezza che gli dei ti hanno concesso in dono. Ma presto scoprirai, come ho scoperto io, che i signori dell'Olimpo son gente capricciosa. Fanno in fretta a togliere poi con una mano quello che hanno concesso prima con l'altra.
Sfiorirai come un qualunque papavero di campo. E il tuo cuore gelido non potrà succhiare più la linfa di nessuno per scaldarsi.
Ammesso che non te lo cavi io prima e lo getti in pasto ai cani, beninteso.
Ma ahimé, sai qual è la cosa orrenda, dolce moglie? Che sono un debole. E temo già che appena ti vedrò, i miei propositi si scioglieranno come le nevi del Pindo d'estate. Che non riuscirò a dimenticare di averti amato così intensamente...
Tanto più ti odio, perché tieni ancor adesso avvinto il mio cuore, e perciò ti maledico.
Ricordati per sempre di queste parole, comunque andrà a finire: IO TI MALEDICO.
prof. Paolo Maltagliati
NUMERO 5
APRILE 2020Dharma
La legge che sostiene l'universo
Gli irrigatori incanalano l'acqua,
i fabbri piegano la punta delle frecce,
i carpentieri piegano il legno,
i saggi domano se stessi.
Sono parole tratte dal Dhammapada, il libro più amato del canone buddista, che ci riconducono al momento che stiamo vivendo, in cui ognuno di noi è chiamato a domare se stesso, la propria impazienza, l'inquietudine... ma chi è il saggio che riesce a fare questo? Il saggio è colui che è fondato nel Dharma.
Ma che cos'è il Dharma? La parola deriva da una radice linguistica che significa "sostenere" e indica qualcosa di saldo e di stabile. Il termine si specializzò per indicare la legge che sostiene l'universo, tanto la legge fisica quanto la legge morale (vedi la prefazione al Dhammapada di Genevienne Pecunia).
Questo concetto viene, mutatis mutandis, rielaborato dal genio di Ian Anderson che, nella canzone Dharma for one, si esprime con queste parole:
Truth is like freedom […]
Being true to yourself […]
Dharma will come eventually.
La verità è come la libertà.
Se sei fedele a te stesso...
Il Dharma prima o poi verrà.
L' attesa di quel “poi” è, soprattutto quando si è giovani, motivo di inquietudine, impazienza... Vorreste il futuro adesso... come, adesso, tutti noi.
Questo sentimento è espresso nella canzone The Future Now dal genio (bis, genio-bis! Ma è davvero bis...) di Peter Hammill che, con parole che sembrano descrivere il momento che stiamo vivendo, scrive (e, soprattutto, canta!):
Here we are static in the latter half
Of the twentieth century
But it might as well be the Middle Ages.
There'll have to be some changes
But how they'll come about foxes me.
Eccoci, statici nella seconda metà
del ventesimo secolo,
ma potrebbe anche essere il Medioevo.
Ci sarà bisogno di alcuni cambiamenti,
ma, come saranno, mi sfugge.
I want the future now
I'm young, and it's my right.
I want a reason to be proud.
I want to see the light.
Voglio il futuro, ora.
Sono giovane, è mio diritto.
Voglio una ragione per essere orgoglioso.
Voglio vedere la luce.
Non fatevelo rubare, questo futuro! – mi verrebbe da dire, se non suonasse troppo retorico; ma non per questo meno urgente...
…e speriamo, come canta Cat Stevens nel brano seguente – I Think I See The Light –, anche noi, tutti noi, di vedere una luce.
I think I see the light coming to me,
Coming through me giving me a second sight.
So shine, shine, shine…
Credo di vedere una luce che viene verso di me,
che mi attraversa e mi dà una seconda vista.
E allora splendi, splendi, splendi…
prof. Nicola Vitiello
Il pettirosso
Tanti senza saluto sono andati,
Tutti pugniamo contro l’invisibile
Come Don Chisciotte contro i suoi fantasmi.
Indaghiamo perplessi cause e rimedi,
E qualche dubbio tra i lutti affiora
Se sia bella e buona l’opera nostra
Su questa nave che vaga tra le stelle.
Ma tu, rossa macchiolina pennuta,
Che ti dondoli nell’aria silenziosa
Piroettando tra le verdi gemme,
Non sai di questi tristi rovelli,
Non hai il peso delle nostre ossa,
Non il fardello di questa inquieta mente,
Non la civiltà l’astrazione la tecnologia.
Tu non sai il faustiano dominio della natura,
Ma t’accompagni a lei libando essenze
E leggero te ne voli incurante del morire.
Sulle tue ali pongo questo pensiero,
Unica leggerezza che ci è data.
Portalo sopra i tetti e per i monti
Nel cielo di questa inusitata primavera.
prof. Leonardo F. Barbatano
Immagine di Camilla Scuri
Olimpiadi di Tokio: appuntamento al 2021
È il 24 marzo 2020 quando il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) emana il seguente comunicato: «Nelle attuali circostanze e sulla base delle informa- zioni fornite oggi dall’Oms, il Presidente del CIO e il Primo Ministro del Giappone hanno concluso che i Giochi della XXXII Olimpiade di Tokyo devono essere riprogrammafi in una data successiva al 2020 ma non oltre l’estate 2021, per salvaguardare la salute degli atlefi, di tutti coloro che sono coinvolfi nei Gio- chi Olimpici e della comunità internazionale».
È la quarta volta nella storia dei Giochi Olimpici in cui si assiste all’annullamento di un’edizione dei Giochi stessi, seppur con una grande differenza di base: Berlino 1916, Tokyo 1940 e Londra 1944 sono state so- spese in occasione della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, mentre la sospensione di Tokyo 2020 è avvenuta, per la prima volta nella storia, in tempo di pace. È evidente inoltre una seconda grande distinzione rispetto alle sopracitate edizioni: più che di sospensio- ne definitiva dei Giochi, è bene parlare di rinvio, in quanto, come si evince dal comunicato del CIO, con ogni probabilità assisteremo all’edizione di Tokyo 2021, avendo quindi uno slittamento di 12 mesi. Tale decisione non è stata presa a cuor leggero, ma è ormai inevitabile, visto il drammatico bilancio della pandemia di Coronavirus.
In ogni caso, a conferma della volontà di tenere i Giochi a Tokyo nel 2021, il CIO, unitamente al Pre- mier Giapponese, ha deciso di stanziare la fiamma olimpica proprio nella capitale del Giappone: «I leader hanno convenuto che i Giochi Olimpici di Tokyo potrebbero essere un faro di speranza per il mondo in quesfi tempi difficili e che la fiamma olim- pica potrebbe diventare la luce alla fine del tunnel in cui il mondo si trova attualmente. Pertanto, si è convenuto che la fiamma olimpica rimarrà in Giap- pone.»
Un faro di speranza è proprio ciò di cui c’è più necessità in questo periodo, soprattutto dal momento che secondo le autorità nipponiche il rinvio costerà tra i 4,5 e i 6 miliardi di dollari: si tratta infatti di rimbor- sare prenotazioni, aerei e biglietti, e finanziare le federazioni sportive minori, che vivono dei finanzia- menti del Comitato Olimpico Internazionale. Queste cifre possono essere considerate a tutto tondo come “debito di guerra”, nonostante, come detto, di fatto siamo in tempo di pace. In realtà si può a questo punto parlare veramente di una sorta di “guerra invisibile”, contro un nemico silenzioso e non manifesto, che si sta insinuando nelle nostre vite lasciando dietro di sé innumerevoli vittime, e che noi come popolazione stiamo cercando di fronteggiare in ogni modo possibile, arrivando a mettere in crisi le nostre economie.
Davanti a ciò, tutto il resto passa in secondo piano, come afferma il presidente del CIO Thomas Bach: «Lo sport in questo momento non è la cosa più importante. La vita umana lo è. Questa fiamma olimpica rappresenterà la luce alla fine del tunnel».
Quindi appuntamento a Tokyo 2021, perché ora c’è una prova più grande da affrontare e da vincere, tutti insieme!
a cura del dipartimento di Scienze Motorie
Tokio 2021: la parola agli atleti
Lo slittamento delle Olimpiadi di Tokyo 2020 di 12 mesi ormai è ufficiale. Ma quali sono le reazioni a caldo degli atleti, dei veri protagonisti dei Giochi Olimpici?
Senza ombra di dubbio la rassegnazione e la tristezza sono enormi, come sottolinea uno dei più importanti rappresentanti azzurri dell’atletica leggera, Gianmarco Tamberi. "Ho sacrificato interamente la mia vita privata in quesfi ulfimi quattro anni. Ho messo da parte qualsiasi pensiero di fare una famiglia, di vivere le mie amicizie come un ragazzo normale, di ricambiare il tempo che mi viene regalato da tutte le persone che mi vogliono bene. Ho messo da parte tutto quanto, mettendo davanfi un solo pensiero.
Il rammarico è evidente e comprensibile. Ma Gianmarco sa bene che per non rendere vani tutti gli anni di fatica e di sacrifici, è necessario ora più che mai che ci sia una reazione, ancor più per gli atleti olimpici che sono d’esempio per tutti gli altri atleti, agonisti e non. Gli azzurri che hanno lanciato questo messaggio di speranza e perseveranza sono innumerevoli e provengono da tutti i tipi di sport.
Vincenzo Nibali: “Il CIO ha fatto la scelta giusta. Il mondo deve combattere l’emergenza, lo sport può aspettare. Tokyo 2020 era forse il più importante obiettivo della mia stagione, ma lo slittamento non cambierà le mie aspirazioni. Lavorerò duro per arrivare pronfissimo al nuovo appuntamento”.
Ayomide Folorunso: “Non rinviare i Giochi sarebbe stato un atto di grande insensibilità, e sarebbe andato contro tutti i valori che lo sport e lo spirito olimpico rappresentano. Dov’è la pace? Che festa è? Spero invece che nel 2021 sarà una grande celebrazione dello spirito umano capace di superare questa avversità e di restare unifi. Mai come ora questa pandemia ci sta facendo riflettere su quanto siamo vulnerabili e in questo momento le priorità sono altre: è meglio dedicare le nostre energie a quello che è realmente importante. I Giochi del prossimo anno saranno la festa dell’umanità”.
Gabriele Detti: “Penso che la decisione del CIO sia stata quella giusta, in questo momento difficile la salute viene prima di tutto. L'obiettivo rimane sempre lo stesso e da oggi si pensa al prossimo anno! Confinuerò ad allenarmi con il sorriso! Forza ragazzi!!”
Beatrice Vio: “Sono triste, certo, ma è giusto così. Non lamenfiamoci del tempo perduto e non dimenfichiamo chi, ora e nei prossimi giorni, lotterà per non perdere qualcosa di più grande. Ce la faremo!”
Alessandro Fabian: “Se non faccio le Olimpiadi non vuol dire che la mia esistenza non confinuerà, non sono mica morto! Anzi, mi preparerò ancora meglio al prossimo anno per viverla ancora con più intensità. Dateci dentro, Ragazzi, e non fatevi sommergere dalle preoccupazioni... Ognuno con il PROPRIO impegno e insieme ce la faremo!”
E questo sentimento comune non si ferma agli azzurri, ma si estende anche tra gli sportivi delle altre nazioni. È il caso ad esempio di Adam Peaty, nuotatore britannico: “Come atleta, sono ovviamente estremamente deluso, ma questa situazione è più importante e più grande di me o di tutti gli atlefi che vi avrebbero preso parte. Questa è una quesfione di vita o di morte e tutti dobbiamo fare la cosa giusta”.
Testimonianze forti che aiutano tutti a tenere alto il morale in questi momenti difficili e che ci fanno guardare, nonostante tutto, con fiducia al futuro.
a cura del dipartimento di Scienze Motorie
NUMERO 4
MARZO 2020Sigla a tre chitarre (GOT)
In questi giorni di tempo sospeso, il nostro prof. Toffoletto ha pensato, con altri prof. amici e musicisti, di regalarci in esclusiva una versione “casalinga” di questo tema che riconoscerete molto facilmente...
Forse non altrettanto facilmente, potrete riconoscervi anche alcuni elementi interessanti dal punto di vista compositivo e dell’effetto: un ottimo punto di partenza per una lezione di musica!
Esecutori: Paolo Forlani, Francesco Aquino, Pietro Francesco Toffoletto
Arrangiamento: Paolo Forlani
Editing video e sonoro: Pietro Francesco Toffoletto
La scuola ai tempi del Coronavirus
Ogni volta, in qualunque situazione, la scuola riesce a sorprendermi, forse perché la amo, e tutte le vere amanti hanno la capacità di sorprenderci, con un gesto inatteso, uno scherzo o, perché no, con un sacrificio fatto per noi. Anche in questi tempi così strani, in cui una minaccia invisibile ci costringe ad isolarci, ad allentare i contatti sociali, che sono il fondamento stesso della vita, la scuola, pur sospesa, riesce a mostrare ciò che forse nessun’altra cosa riesce, cioè il permanere di un legame che va al di là delle strutture fisiche, al di là dei muri, legando le persone con un cemento ideale che è la natura stessa di Eros. Sì, le fondamenta della scuola sono ideali, non fisiche, sono una relazione spirituale, oserei proprio dire “erotica”, nel senso platonico del termine, come amore per la bellezza, come rapporto educativo fondato sull’attrazione empatica tra le anime.
Questo sta succedendo in questi giorni: il permanere di un rapporto, di una relazione di simpatia, al di là di tutti gli ostacoli, di tutti i muri, visibili e invisibili. Ho imparato, come gli altri colleghi, a fare videoconferenze e posso incontrare, sentire e vedere i miei studenti, che così continuano a rifornirmi di energia come solo loro sanno fare.
Continuo ad insegnare, a scherzare con loro, e così mi mancano meno. Sento una forza magnetica nelle loro voci attraverso l’etere, una corrente di simpatia che attrae, e mi commuove la serietà di questi ragazzi, che potrebbero approfittare della situazione, facilmente eludere gli impegni, e invece sono lì, puntuali, a dire “presente”, “ci sono, prof!”. Questa è pura bellezza di cui la vita gronda generosa!
Aristotele diceva che l’uomo è un animale naturalmente socievole. Diceva che da soli possono vivere solo gli Dei (perché perfetti ed autosufficienti) o gli animali (perché bruti), ma l’uomo no, l’uomo ha bisogno della società, delle relazioni anche spirituali con gli altri.
E la scuola è il luogo principe di queste relazioni. Luogo di relazioni disinteressate e libere. Libere! Come non pensare all’etimologia della parola “scuola”? Dal greco “skholé”, che indicava il tempo libero da trascorrere piacevolmente, allenando la mente. Attività che, nel mondo antico, era riservata agli uomini liberi, che non dovevano lavorare; ma che, col tempo, è diventata attività libera di studio, in cui i giovani maturano liberi da ogni catena.
La scuola, con i suoi liberi legami, vincerà contro il coronavirus, perché è portatrice di un virus molto più potente, che si chiama Eros.
prof. Leonardo Barbatano
Video messaggio del nostro Dirigente Scolastico, Andrea Boselli
pubblicato il 9 marzo 2020
NUMERO 2
GENNAIO 2020Poesie
Siamo contenti di poter iniziare con il primo ospite di questa nuova sezione del B-Log: il prof. Gianluca Comincini!
Nato nel 1970, attualmente insegnante di Lettere nel Liceo delle Scienze Umane, è uno dei pochi docenti del Bachelet a poter vantare un’esperienza di insegnamento in tutti gli indirizzi della scuola.
Amante dei libri (...ma anche del calcio), ha da sempre una grande passione per la scrittura; in particolare abbiamo l’onore e il piacere di poterne pubblicare alcune, scritte una ventina di anni fa, all’inizio della sua carriera lavorativa.
Buona lettura!