Il 23 luglio 2025, il Senato ha approvato all’unanimità il disegno di legge che introduce nel nostro ordinamento il reato autonomo di femminicidio.
Secondo la norma, chiunque uccida una donna “in quanto donna” — cioè per motivi di odio o discriminazione di genere, per limitarne la libertà o perché rifiuta una relazione — viene punito con l’ergastolo (Art. 577-bis).
È senza dubbio un passo importante: riconoscere che certe violenze non sono “solo” omicidi, ma atti che nascono da una cultura ancora segnata da disuguaglianze, stereotipi e rapporti di potere sbilanciati. È il tentativo di dare un nome preciso a una tragedia che troppo spesso colpisce nel silenzio. Tuttavia, è anche giusto interrogarsi. Alcuni temono che distinguere tra omicidio e femminicidio possa creare una sorta di divisione tra “omicidi di serie A e di serie B”, come se il valore della vita dipendesse dal genere della vittima. Forse la sfida vera non è solo definire nuove categorie penali, ma arrivare a un punto in cui ogni vita abbia lo stesso peso, e ogni violenza venga condannata con la stessa forza morale e civile. La legge, da sola, non basta. Come ricordano gli esperti, serve prevenzione, educazione e soprattutto un cambiamento culturale profondo.
E noi, a scuola, che cosa possiamo fare?
Nel nostro istituto tutte le classi seconde parteciperanno a un incontro di educazione affettiva e sessuale che si terrà a dicembre. Sarà un’occasione per riflettere insieme su temi come il rispetto, il consenso, la parità, le differenze di genere e su come costruire relazioni sane, libere e basate sulla fiducia reciproca, non sul controllo o sulla paura. Vogliamo che la scuola diventi non solo il luogo dove si imparano le materie, ma anche dove si cresce come persone: dove si impara a riconoscere e rispettare l’altro, a comunicare, a chiedere aiuto, e a capire che nessuna vita vale meno di un’altra.
Scritto da Alessia Vettorato