Lezione 4

La detergenza

La detergenza è un’attività che ognuno di noi compie quotidianamente, senza spesso domandarsi quali siano i principi chimico-fisici alla sua base. Il paragrafo affronta i principi alla base di questa attività routinaria al fine di permetterne una maggiore comprensione.

Secondo il dizionario Treccani, la detergenza è “la proprietà che hanno certe sostanze di asportare incrostazioni e sudiciume”. I tensioattivi possiedono proprio questa proprietà, in virtù delle caratteristiche esaminate nelle lezioni precedenti (non a caso, sono componenti essenziali di tutti i prodotti detergenti commerciali, come si vedrà in seguito).

Nel processo di pulizia e detersione, tre sono i principali attori:

  1. la superficie da pulire S

  2. lo sporco da rimuovere D

  3. il bagno, che è il liquido aggiunto per mantenere lo sporco lontano dalla superficie B

La superficie può essere di diversa natura chimica, così come lo sporco, che può avere differenti caratteristiche chimiche (idrofilo o idrofobo) e/o fisiche (liquido o solido). Il bagno è generalmente rappresentato da acqua quando sia la superficie che lo sporco hanno proprietà idrofobe; ciò rappresenta la situazione più diffusa e quella che, per semplicità, verrà trattata nel nostro caso.

Il processo di detersione non fa altro che cercare di vincere le interazioni esistenti tra sporco e superficie, che sono generalmente interazioni di adsorbimento deboli (Van der Waals ed elettrostatiche). È necessario quindi applicare del lavoro per separare i due, che può essere descritto matematicamente dalla seguente equazione (Equazione di Dupré):

W = γBD + γBS - γDS

dove γ è la tensione interfacciale che si crea tra le varie interfacce. Nel momento in cui si deposita il solvente di interesse su di un substrato si genera un sistema trifasico. Le tre fasi in questione sono solido, liquido e vapore. Si possono, dunque, individuare diverse tensioni superficiali per ogni interazione possibile nel sistema (nel nostro caso superficie-sporco γDS, superficie-bagno γBS e bagno- sporco γBD). Dalla equazione di Dupré è quindi facile comprendere che i tensioattivi, disponendosi alle interfacce BD e BS, ne abbassano il valore di γ, determinando una diminuzione del lavoro necessario per allontanare lo sporco dalla superficie. In realtà, la situazione è complicata leggermente dal fatto che le tensioni superficiali sono grandezze vettoriali, con il vettore forza applicato in maniera tangenziale rispetto all’interfase, come mostrato dall’immagine sottostante.

Le tre forze sono all’equilibrio, secondo l’Equazione di Young

γBS - γDS = γBDcosθ

dove l’angolo θ è definito angolo di contatto. L'angolo di contatto è una grandezza termodinamica descritta dall'angolo formato generalmente dall'incontro di un'interfaccia liquido-vapore con un'interfaccia liquido-solido o, meno tipicamente, un'interfaccia liquido-liquido. L’ angolo di contatto sarà minore o maggiore di 90° a seconda che le forze prevalenti siano di tipo adesivo o coesivo. Convenzionalmente si definiscono idrofiliche quelle superfici che presentano angoli di contatto minori di 90°, vicevarsa idrofobiche le superfici che presentano angoli di contatto maggiori di 90° (nel caso specifico in cui la fase liquida sia acqua).

È possibile quindi combinare le due equazioni, ottenendo l’Equazione di Young-Dupré, che descrive il lavoro necessario a separare sporco e superficie in funzione dell’angolo di contatto.

W = γBD(1 + cosθ)

Questa equazione risulta essere alla base di tutti i modelli matematici di cui è necessario servirsi per il calcolo della tensione superficiale di un composto incognito partendo dalle misurazioni dell’angolo di contatto, rilevate mediante immagine fotografica e successivo processing delle immagini con il software ImageJ (NIH) o tramite apposito strumento (KRÜSS GmbH).

L’accumulo di tensioattivi nelle interfacce determina un cambiamento dell’angolo θ, con tre scenari possibili:

1. l’angolo raggiunge un valore di 180°, conseguentemente W = 0 e lo sporco si separa spontaneamente dalla superficie

NB. cos(180) = -1 à W = γBD(1 - 1) = 0

2. l’angolo raggiunge un valore compreso tra 90° e 180°; il lavoro diminuisce ma la separazione non avviene spontaneamente, è necessario fornire energia al sistema. Questo rappresenta il caso più frequente, dove l’energia viene fornita sottoforma di lavoro meccanico (es. lavare le mani o i denti)

3. l’aggiunta di surfattanti non è stata sufficiente a portare il valore di θ a 90°; il lavoro W è quindi ancora alto ed è necessario fornire maggiore energia al sistema per separare lo sporco dalla superficie. Lo sporco potrebbe anche non staccarsi completamente, e rimanere in parte adeso alla superficie.

Il lavoro meccanico necessario negli ultimi due casi sarebbe poco utile nella detersione se, dopo essersi staccato dalla superficie, lo sporco vi si depositasse di nuovo. È qui che i tensioattivi entrano di nuovo in gioco: creando una emulsione, evitano proprio che questo succeda. Una emulsione non è altro che una dispersione di particelle liquide (di diametro compreso tra 1 e 100 μm) in un secondo liquido, nel quale sono immiscibili. Le emulsioni sono sistemi metastabili: non sono stabili da un punto di vista termodinamico ma hanno un’emivita sufficientemente lunga per poter assolvere il loro compito. La loro instabilità termodinamica è dovuta al fatto che, essendo composte da tante particelle liquide immerse in un liquido, le emulsioni presentano moltissime interfacce e, conseguentemente, una vastissima area interfacciale (che è l’area geometrica in corrispondenza della quale due fasi diverse sono in contatto). Per motivi di stabilità termodinamica, i sistemi tendono spontaneamente a ridurre la loro area interfacciale (motivo per cui le gocce sono sferiche NB); ciò succede anche nelle emulsioni, dove le particelle disperse tendono a coalescere, cioè a riunirsi, in modo da formare due sole fasi immiscibili visivamente distinguibili, come evidenziato nell’immagine sottostante.

Nel processo di detersione, quindi, i tensioattivi agiscono anche da agenti emulsionanti: disponendosi all’interfaccia sporco-bagno, ne abbassano la tensione interfacciale, rallentando la coalescenza e quindi fungendo da supporto termodinamico all’emulsione. Inoltre, i tensioattivi svolgono anche un altro ruolo nel rallentamento della coalescenza: disponendosi in maniera orientata e regolare a livello delle interfasi, creano delle barriere steriche (per i tensioattivi non ionici) e/o elettrostatiche (per i tensioattivi anionici) che forniscono resistenza meccanica alla coalescenza e alla rideposizione dello sporco.

Come già discusso nella Lezione 3, il tensioattivo all’interfaccia è in equilibrio con quello non adsorbito in soluzione. Quando la concentrazione di tensioattivo in soluzione supera il valore critico della CMC, questo tende a formare le micelle. Da un punto di vista della detersione, l’incremento della concentrazione di tensioattivo determina una diminuzione della tensione superficiale ed interfacciale, con aumento della stabilità dell’emulsione BD ed aumento del valore dell’angolo di contatto, che si traduce in un aumento del poter detergente del tensioattivo. Tale aumento però non è infinito: infatti, al raggiungimento della CMC, la formazione delle micelle genera un equilibrio tra i monomeri in soluzione e quelli nell’aggregato. Al raggiungimento di questo equilibrio, anche aumentando la quantità di tensioattivo aggiunta, la concentrazione del monomero in soluzione resta invariata; conseguentemente, la tensione superficiale raggiunge il valore minimo e non varia più, mentre la detergenza raggiunge il suo valore massimo.

Oltre ad assicurare il raggiungimento ed il mantenimento del potere detergente massimo, la formazione delle micelle è fondamentale anche per la loro capacità di solubilizzare lo sporco solido immiscibile all’interno del loro core idrofobico, mediante l’istaurazione di interazioni deboli. Anche questo fenomeno è dipendente dalla concentrazione: a basse concentrazioni micellari, la solubilizzazione è molto limitata, quindi la detergenza è basata principalmente sui fenomeni di stabilizzazione dell’emulsione e legati all’angolo di contatto; al contrario, quando la concentrazione micellare è alta (10-100 volte maggiore della CMC), le micelle possono solubilizzare l’intero materiale immiscibile.

Come si nota dal grafico sovrastante, comunque, visto che la massima efficienza detersiva può essere ottenuta quando il tensioattivo raggiunge la CMC e che si mantiene più o meno costante dopo il raggiungimento di quest’ultima, è inutile aggiungere grandi quantità di tensioattivo, perché ciò non migliora la detergenza della soluzione e rappresenta solamente un ingente dispendio economico.

Anche il Bagno svolge un ruolo non indifferente nella detersione, specialmente nel caso in cui lo sporco sia solido. Normalmente, nelle comuni pratiche di lavaggio, è l’acqua ad essere usata come bagno, in particolar modo l’acqua del rubinetto. Questa contiene una certa quantità di ioni in soluzione che svolgono un ruolo fondamentale, in quanto vanno ad interagire con le particelle di sporco. Mentre i cationi, che risultano essere più solvatati, tendono a restare in soluzione, gli anioni sono meno solvatati e quindi tendono ad adsorbirsi sulla superficie dello sporco. Conseguentemente, le particelle di sporco risultano cariche negativamente. Siccome lo sporco e la superficie da pulire tendono ad avere cariche dello stesso segno, si generano intense forze repulsive che facilitano la rimozione dello sporco ed evitano l’aggregazione delle particelle. Naturalmente, affinché la pulizia possa avvenire efficacemente, il bagno deve poter raggiungere ogni punto della superficie su cui lo sporco è adeso. Questo è legato al concetto di bagnabilità delle superfici, che a sua volta è collegato al coefficiente di spandimento. La bagnabilità è definita come la capacità di un liquido di mantenere il contatto con una superficie solida; essa viene determinata dall’equilibrio tra forze di adesione e forze di coesione.

  • Le forze di adesione liquido-solido: ovvero la forza di tipo attrattivo che si crea tra molecole di diverso tipo;

  • Le forze di coesione liquido-liquido, solido-solido: ovvero la forza di tipo attrattivo che si crea tra le particelle elementari di una sostanza, tenendole unite e opponendosi alle eventuali forze esterne che tendono a separarle.

Quanto detto è mostrato nella figura che segue.

Una modalità di analisi molto importante che ci permette la determinazione quali-quantitativa della bagnabilità sfrutta il coefficiente di spandimento (spreading). Esso dà un’indicazione di quanto bene il liquido si spande sulla superficie solida. Consideriamo la seguente equazione generica da cui ricavare il sopracitato coefficiente:

𝑆𝑆𝐿 = 𝛾𝑆𝐺 + 𝛾𝑆𝐿 – 𝛾𝐿

  • Se il coefficiente di spreading assume valori positivi allora la goccia di solvente aderirà perfettamente al solido, spandendosi su di esso.

  • Se il coefficiente di spreading assume valori negativi o pari a zero allora la goccia, perfettamente sferica, minimizzerà le interazioni con la fase solida, riducendo al minimo la superficie interfacciale.

Nel caso della detergenza, sono ben due i coefficienti di spandimento da tenere in considerazione: quello del bagno sulla superficie (SBS) e quello del bagno sullo sporco (SBD) che si calcoleranno con delle equazioni analoghe a quelle viste immediatamente prima.

SBS = γAS - γBS – γAB

SBD = γAD - γBD – γAB

Un modo semplice e chiaro per avere informazioni sulla bagnabilità di una superficie consiste nel considerare l’angolo di contatto θ, come è esposto schematicamente nella figura che segue.

NB. Affinchè un liquido riesca a spandersi su un solido (spreading), la sua tensione superficiale deve essere minore rispetto a quella della superficie solida.

In molti casi, purtroppo, lo spandimento spontaneo del bagno sulla superficie da lavare è praticamente impossibile; da qui la necessità di fornire energia sotto forma di lavoro meccanico.

Una questione spinosa riguarda la necessità o meno di avere schiuma per ottenere una buona detergenza. La schiuma, come visto nella lezione 2, origina dalla diminuzione della tensione dell’interfaccia aria-acqua che provoca un conseguente allargamento dell’area interfacciale stessa. Come però si evince facilmente dall’equazione di Dupré, la tensione dell’interfaccia aria-acqua non compare nel calcolo del lavoro necessario per rimuovere lo sporco; quindi, la presenza di schiuma non ha nessuna influenza sulla richiesta energetica del processo di detersione. Al tempo stesso però γAB (tensione interfacciale aria-bagno) compare nelle equazioni della bagnabilità; la diminuzione di γAB, e quindi la formazione di schiuma, contribuisce positivamente alla spandibilità del bagno sulla superficie da detergere e quindi, in definitiva, anche alla detersione. La situazione è complicata però ulteriormente dal fatto che una eccessiva produzione di schiuma può portare alla perdita del volume minimo di solvente necessario per raggiungere la detergenza. La situazione è quindi molto complessa e la formazione di schiuma dovrebbe sempre essere tenuta sotto controllo e minimizzata. È questo il motivo per cui la formazione di schiuma eccessiva è evitata nei saponi per i piatti e per le lavatrici, mentre è solo parzialmente controllata nei detergenti per le mani (ciò è dovuto al fatto che la stragrande maggioranza della popolazione è fermamente convinta della necessità della schiuma per ottenere una buona pulizia e ciò ha portato i produttori di saponi a creare dei prodotti che soddisfino tale richiesta).

La saponificazione

Tutti i prodotti usati per la pulizia e la detersione contengono tensioattivi, a partire dal classico sapone che in passato veniva prodotto in casa a partire da materie grasse di scarto. Il processo di saponificazione consiste infatti proprio nell’idrolisi, condotta in ambiente basico, dei trigliceridi contenuti nei grassi. Da un punto di vista chimico, la reazione che avviene è quella descritta nello schema sottostante, e non è nient’altro che l’idrolisi basica di un estere (che storicamente viene proprio chiamata saponificazione).

Come si evince dalle immagini sovrastanti, per ogni molecola di triglideride si generano ben tre molecole del sale sodico dell’acido grasso presente, le quali (come visto precedentemente) sono molecole anfifile e quindi tensioattivi. Tutto ciò che contiene trigliceridi può essere impiegato per la produzione di sapone, a partire dai grassi solidi animali (che sono stati i primi ad essere stati utilizzati storicamente nella produzione di sapone), agli oli vegetali, fino ad arrivare a fonti più esotiche (si trovano in letteratura esempi di sapone realizzati anche a partire da un avocado).

Naturalmente oggi i prodotti detergenti industriali non vengono preparati più utilizzando la strategia della saponificazione ma a partire da tensioattivi sintetici, scelti in base alle loro proprietà e caratteristiche. La maggior parte dei prodotti per la pulizia contiene tensioattivi anionici che risultano particolarmente efficaci contro lo sporco solido; i più diffusi sono il sodio dodecil solfato (SDS) o il sodio dodecil benzene solfato (SDBS). Anche i tensioattivi non ionici sono presenti in diversi prodotti, ma il loro impiego è meno diffuso visto che questi posseggono valori più bassi di CMC. Inoltre, i tensioattivi non ionici si mostrano particolarmente efficienti nel rimuovere lo sporco dalle superfici idrofobe ma molto meno in presenza di superfici abbastanza idrofile (es. cotone). Ciò è probabilmente dovuto alla formazione di interazioni via legame idrogeno tra le teste polari di questi tensioattivi e la superficie idrofilica, che determina una rideposizione dello sporco. Un esempio di tensioattivo non ionico frequentemente usato sono gli alcoli poliossietilenici (POE). I tensioattivi cationici, invece, sono scarsamente utilizzati per la detersione perché hanno un potere detergente molto basso. Come visto in precedenza, infatti, sia lo sporco che il substrato assumono cariche superficiali negative quando immersi nel bagno per l’adsorbimento superficiale degli anioni in soluzione. Se quindi si aggiungesse un tensioattivo cationico, questo non si orienterebbe con le teste polari verso il bagno e le code idrofobiche verso lo sporco (orientazione che, come abbiamo visto, è importante per la detergenza) ma con un’orientazione diametralmente opposta, rendendo difficile la rimozione dello sporco dalla superficie e addirittura favorendone la rideposizione. Per questo i tensioattivi cationici (come, per esempio, i sali di ammonio quaternari) non si aggiungono mai nei prodotti per la pulizia; sono invece molto diffusi in prodotti come l’ammorbidente ed il balsamo per capelli, prodotti cioè che vengono aggiunti dopo che la detersione è avvenuta. In questo caso, infatti, la disposizione invertita del tensioattivo cationico (coda verso il bagno e testa verso la superficie) è sfruttata per creare un sottile strato di “grasso” che conferisce alla superficie una sensazione di sofficità al tatto ed una protezione alla frizione.

Infine, è frequente trovare nei prodotti per la detersione del corpo tensioattivi anfoteri, che hanno la caratteristica di variare la propria carica a seconda del pH della soluzione. La loro proprietà principale è quella di ridurre l’aggressività dei tensioattivi anionici in quanto in un range di pH compreso tra 5 e 7 tende a formare con questi complessi poco solubili. Si trovano quindi in tutti quei prodotti indicati per pelli sensibili.

Oltre alla componente tensioattiva, i prodotti per la pulizia commerciali contengono anche altri componenti che svolgono molte funzioni differenti, naturalmente legate al tipo di utilizzo per cui il detergente è impiegato. Per esempio, i prodotti che si usano per la pulizia dei vestiti in lavatrice contengono spesso sostante anticorrosive per proteggere le componenti metalliche delle lavatrici mentre i dentifrici contengono sostanze abrasive che facilitano la pulizia dei denti. Quasi tutti i prodotti per la pulizia contengono poi sostanze chimiche chiamate builders che sono in grado di sequestrare gli ioni Ca2+ e Mg2+ presenti in soluzione che potrebbero interferire con il processo di detersione. Questi ioni sono particolarmente abbondanti nelle acque definite “dure” e sono quindi immessi nel processo di pulizia proprio dal tipo di acqua che viene utilizzata; se presenti, possono provocare la precipitazione dei tensioattivi anionici e la rideposizione dello sporco. L’aggiunta dei builders, comunque, ha effetti benefici che vanno al di là della semplice rimozione di questi ioni, come è dimostrato dal fatto che questi composti possono indurre un miglioramento delle proprietà detersive anche in presenza di tensioattivi non ionici o acqua distillata. Questi effetti benefici sono principalmente legati alla creazione di un ambiente alcalino che favorisce la stabilizzazione dell’emulsione bagno-sporco e quindi ne aiuta la rimozione. Il primo builder ad essere stato utilizzato è il sodio tripolifosfato (STPP) che però è stato recentemente sostituito da nuove e più sicure alternative come il sale sodico dell’acido nitrilacetico (NTA) e la zeolite A (una forma cristallina del sodio alluminiosilicato). Tutti i prodotti detergenti contengono poi altre sostanze che ne alterano odore, colore e consistenza al fine di renderle più appetibili per il pubblico