Il sentiero del Centenario

L'idea

Nel maggio del 2007, quando stavamo preparandoci per andare sul M. Prena, appena scesi dalle macchine, vedevo la nostra prossima vetta che stava alla fine di tutta una cresta rocciosa. Pensavo che un giorno sarebbe stato bello raggiungere il Prena passando per quella cresta.

Non sapevo ancora che proprio da lì passava il sentiero del centenario.

Fino ad allora per me il Gran Sasso era associato solo al Corno Grande e al Corno Piccolo, che frequentavo nel primo fine settimana di settembre di molti anni fa.

Con i miei amici e compagni di escursione si stava parlando da un po' di questo itinerario. Ma poi sentivo che l'entusiasmo iniziale del gruppo si andava affievolendo sempre più, tanto da farmi balenare l'idea di andarci lo stesso anche se da solo. Ad un certo punto, l'argomento tornò fuori con più vigore, così precettammo per questa gita la data del 03 Agosto 2008.

Il mio entusiasmo era alle stelle.

Questo sentiero è molto chiacchierato e rispettato dai montanari del centro Italia. Il suo nome è dovuto al fatto che è stato inaugurato all'anniversario dei cento anni del C.A.I., che lo ha curato e attrezzato. E' molto lungo,

richiede più di dieci ore di cammino. Tocca 5 cime distinte più una di passaggio che è Pizzo S. Gabriele. L'inizio canonico è da Vado di Corno. Da qui, con una piccola deviazione di circa 15 minuti si va su a Pizzo S. Gabriele, quindi si prosegue a M. Brancastello, alle Torri di Casanova, a M. Infornace a M. Prena, per terminare sul M. Camicia e quindi giù a Fonte Vetica. Il tutto rimanendo sempre in cresta.

Dopo il Camicia c'è anche il M. Tremoggia che non fa parte, così come Pizzo S. Gabriele, del sentiero, ma se si riuscisse a salirlo allora si potrebbe dire di aver completato tutta la cresta orientale del Gran Sasso in una volta sola (ammesso che si possa trascurare il M. Siella). Beh, questa idea inizialmente ce l'avevo, ma dopo aver percorso tutto il sentiero mi sentivo abbastanza sazio da desiderare solo il riposo.

Durante il percorso si incontrano passaggi su roccia da arrampicare quindi è molto importante avere le condizioni meteorologiche favorevoli. Per evitare di farsi più di 15 km a piedi al ritorno da Fonte Vetica è importante avere a disposizione almeno due auto per gli spostamenti: una a Vado di Corno e una a Fonte Vetica.

Secondo me il miglior periodo per la gita è quello primaverile-estivo in cui le giornate sono più lunghe e il tempo più promettente.

La preparazione

Quando si compiono azioni impegnative e si devono contrastare ostacoli di un certo rilievo, è importante essere preparati per affrontarli, fisicamente, ma soprattutto spiritualmente. E direi che lo spirito è quello che più di tutti deve essere pronto, perché, alla fine, è lui che muove il corpo e comanda l'azione. Occorre la mente lucida e sgombra, occorre concentrazione e la determinazione in quello che si sta facendo.

Quel giorno qualcosa mi turbava anche se non mi era ben chiaro cosa. Forse era un insieme di cose.

Ultimamente avevo avuto degli attriti all'interno del gruppo con cui stavo uscendo. Degli attriti nascosti erano sorti anche in famiglia per il fatto che per la seconda domenica consecutiva mi lasciavo alle spalle i miei doveri di papà e di marito: la settimana precedente infatti ero andato, in una delle mie solitarie, su Pizzo Intermesoli, altra cima del Gran Sasso. Poi c'era il pensiero di questo Sentiero del Centenario che conoscevo solo da qualche racconto letto qua e là su internet. Si diceva che c'erano parecchi punti in cui si dovevano fare delle arrampicate su vie attrezzate e l'attrezzatura da ferrata era vivamente consigliata.

Io sono sempre stato un semplice escursionista che vive la montagna in modo grezzo, restio all'utilizzo dell'attrezzatura tecnica.

Ciò andava bene fino a qualche anno fa, quando erano poche le occasioni in cui mi trovavo ad affrontare situazioni in cui avrei dovuto procedere con maggior sicurezza: generalmente andavo in montagna nei periodi in cui la neve, se c'era, non dava alcun pericolo, e in un paio di volte ho avuto l'occasione di fare il Corno Piccolo per la Danesi, altra via ferrata del Gran Sasso. L'avevo percorsa così come ero sempre stato abituato, cioè senza alcuna attrezzatura specifica.

Questo mi fece assumere l'opinione che per salire sulla Danesi era sufficiente non avere le vertigini. E' stata proprio l'esperienza del Corno Piccolo che ho usato come riferimento per decidere se era o no il caso di procurarmi tutto l'occorrente da ferrata: decisi che non serviva, perché pensai che i passaggi che avrei dovuto affrontare lungo il Sentiero del Centenario non sarebbero stati più ardui di quelli già affrontati sul Corno Piccolo. Ma a questa decisione non aderivo proprio al cento per cento: una vocina mi diceva che stavo sbagliando, ma non l'ascoltai. Ormai la decisione l'avevo presa.


La partenza

Alle 05,30 del 03 agosto 2008 avevamo appuntamento all'imbocco per Vado di Corno. Per vari motivi, fra cui anche come su accennato, io mi organizzai la partenza da Roma da solo, visto che gli altri avevano deciso di andare a pernottare all'ostello di Campo Imperatore. Erano le 20,00 del venerdì precedente quando mi misi a letto a dormire. Per me generalmente la sera è sufficiente allungarmi per una decina di minuti scarsi per addormentarmi. Quella sera non presi sonno neanche per cinque minuti, però cercai di stare sempre giù disteso, senza muovermi ed evitando di affollare la mente. Verso l'una di notte ancora non prendevo sonno, così decisi di partire e andare a dormire in macchina nel luogo dell'appuntamento, che fra l'altro non avevo neanche indovinato.

Nonostante non avessi mai dormito fino al sabato sera di ritorno dalla gita, non ho mai accusato, per tutto il giorno, segni di sonnolenza o stanchezza per insonnia. Chissà, forse perché sono riuscito comunque a riposarmi.

Devo dire che è stato bello partire da solo la notte ed andare a dormire fra quelle montagne. Peccato che c'era quel qualcosa, quell'insieme di cose di cui prima ho parlato, che mi turbava.

Arrivai fin su a Campo Imperatore, ma non riconobbi nessuna auto dei miei amici: non sapevo ancora che la macchina di Max era già stata posizionata a Fonte Vetica per il nostro trasporto di ritorno, e che l'altra macchina utilizzata era quella di Patrick che non avrei saputo riconoscere. Da Campo Imperatore scesi giù per 2 Km circa; mi fermai in una piazzola che mi sembrava quella più plausibile per l'appuntamento, anche se non rispettava molto delle indicazioni che il giorno prima mi aveva dato Doriano. Nonostante era notte fonda vedevo un certo numero di macchine sia che saliva sia che scendeva, e fra queste stavo attento che non fossero quelle dei miei amici. Erano meno delle 05,30 quando si fermò una macchina dalla quale scese Doriano.

Finalmente! Ci salutammo e andammo poco più giù, dove era più evidente che c'era l'inizio di un sentiero, con le classiche tabelle con le cartine della zona. Lì c'era ad aspettarci anche “Speleotrek”, un ragazzo conosciuto sul forum del sito web di Giorgio, che si chiama Marco. Stava smontando la tenda in cui aveva passato la notte.

Con lui c’era anche la sua fidanzata, Livia.

Dopo aver calzato gli affezionati calzettoni opportunamente cucitimi molti anni fa da mia moglie, e gli scarponi, Max mi presenta una boccetta riempita di caffè caldo. La bevvi tutta di un fiato e devo dire che l'apprezzai molto anche se zuccherata. Quindi mi infilai lo zaino, chiusi la macchina e ci mettemmo in cammino.

Eravamo io, Doriano, Giorgio, Massimiliano, Patrick, Marco e la ragazza, Livia. Questi ultimi a causa di una infiammazione ai muscoli delle gambe di Livia, dopo meno di un'oretta di cammino si sono trovati costretti a ritirarsi dalla gita. In seguito Alessandro, che il venerdì sera era stato impegnato in una cerimonia di matrimonio, ci avrebbe raggiunto sul Monte Prena

Quello di quel giorno era un gruppo i cui componenti avevano già solcato molti altri sentieri di montagna, ognuno con il proprio carattere montanaro ben costituito e maturato da esperienze diverse. Ci univa la passione per la montagna e il sito web di Giorgio - nostro primo luogo di incontro – che sono state anche le cose che per alcuni di noi hanno gettato i primi germi dell'amicizia.

Ci avviammo, quindi, mentre l’alba stava preparandosi per entrare in scena.

L'avvicinamento

Siccome il sentiero si svolge tutto in cresta già dopo poche centinaia di metri dall’inizio, mentre camminavamo avevamo davanti e sulla sinistra il sole che sorgeva dal Mare Adriatico e alle nostre spalle lo spettacolo del “paretone” del Corno Grande illuminato dall’albeggio. Il tutto era molto suggestivo.

Dopo circa un’ora, io Doriano e Giorgio deviammo di una quindicina di minuti per passare a far visita a Pizzo S. Gabriele dove c’è una bella visuale verso il mare. Quindi tornammo sul sentiero verso il M. Brancastello.

Sul Brancastello ci si arriva molto facilmente, rimanendo sempre in cresta. Da qui lo sviluppo del sentiero fin sotto le Torri di Casanova è ben evidente come fosse la stradina bianca che si mette nei presepi di Natale.

Il percorso da Vado di Corno fino all’attacco delle Torri di Casanova può essere utilizzato come preparazione per scaldare i muscoli e per trovare la concentrazione necessaria per affrontare il resto del cammino. Essendo per me la prima volta che visitavo quelle zone, sentivo che il meglio doveva ancora venire e con l’ansia di arrivare sotto le Torri percorsi il tragitto fin lì senza dargli importanza e quasi senza accorgermene.

Arrivammo quindi all’attacco della torre. Qui ci fermammo per raggrupparci e prendere le energie per cominciare il vero inizio. Ora quella vocina che giorni addietro più volte aveva provato ad ammonirmi senza successo, si fece più violenta. Stavo cominciando infatti a rendermi conto di cosa mi aspettava. In quella nostra attesa prima dell’”arrembaggio”, io stavo appoggiato ad una roccia contemplando la parete di roccia che avevo davanti: c’era una scala metallica iniziale e fin sopra tutta la via era in verticale e in più parti molto esposta. Sì, c’erano le scalette e le corde d’acciaio, ma cosa sarebbe successo se mettevo un piede nel punto sbagliato o la mia mano non faceva bene la presa? Non c’era niente che avrebbe potuto reggermi. No, non era affatto come pensavo: la via Danesi non reggeva il confronto con questa (o forse sono io che ho cambiato il metro di giudizio?).

Vedevo poi che ci precedeva un gruppo di ragazzi e ragazze guidate da un uomo più anziano forse il papà di qualcuno di essi, così potei rendermi conto dei movimenti che servivano: “non mi sembra difficile”- pensavo -“però loro hanno l’imbragatura”.

Già, l'imbragatura. Lì io ero il solo a non possederla e mi sorprese vedere che tre dei miei amici ce l’avevano anche personalizzata come fosse una divisa di gruppo. Molte volte sono andato in montagna da solo, e più volte in quella solitudine nella natura ho potuto avvertire la gioia di non essere solo e la carica che questo ti dà. In quel momento invece mi sentii così solo come mai forse mi era capitato in montagna.

Improvvisamente Max, come spinto dalla foga di iniziare l’arrampicata, partì in avanscoperta a tastare il terreno.

E continuavo a guardare la parete. Mi veniva di pensare che la situazione era la stessa che già avevo vissuto una settimana prima quando, dalla Sella dei Grilli, sdraiato a terra con la schiena su una roccia, osservavo entusiasta l’imponente pendio del Pizzo Intermesoli che presto sarebbe stato mio.

Come erano diverse invece le emozioni che provavo in quel momento: ad un certo punto cominciai a sentire un tremolio al ginocchio e cominciai a valutare la possibilità di tornare indietro rinunciando alla gita.

Giorgio si accorse di qualcosa del genere e si offrì per accompagnarmi nel caso avessi così deciso. Il percorso fino lì era talmente banale che non pensavo minimamente a un accompagno, ma notai il gesto.

Poi Doriano tirò fuori la corda che portava con sé per ridondanza di risorse e Patrick mise a disposizione una sua fettuccia di ancoraggio alle ferrate, con moschettone. Al vedere ciò, in meno di un lampo tutti i brutti pensieri scomparvero e il ginocchio tornò sereno: mi tornò la carica per continuare.

In poco tempo Doriano, Patrick e Giorgio improvvisarono su di me una imbragatura abbastanza sicura e così iniziammo l’arrampicata.


La dimensione delle cose

Una volta che stavamo lì a percorrere la via ferrata, quei passaggi che da lontano mi sembravano molto ardui si rivelarono invece molto facili per non dire banali. Infatti, dopo essermi assicurato con l’imbrago, lo spirito di andare avanti poteva ben contrastare la paura di cadere nel vuoto; e, oltre questa paura già neutralizzata, non avvertii nessun altro impedimento a continuare.

In breve raggiungemmo la cima delle Torri di Casanova, e qui, fermandoci un po’ e dando un’occhiata intorno, mi sentii finalmente penetrato nel vivo di tutta l’avventura: ora sì che il gioco si fa molto divertente.

Patrick e Massimiliano andavano avanti rimanendo sempre in cresta. A qualche centinaia di metri di distanza seguivamo noi: prima Doriano, poi io poi Giorgio.

Lì il sentiero che si snodava decisamente in cresta era molto facile da percorrere e nello stesso tempo nascondeva mille insidie perché era molto stretto e i suoi lati molto scoscesi. La gita si stava facendo abbastanza suggestiva.

L'evento

Ad un certo punto vidi Doriano tornare sui suoi passi mentre diceva che secondo lui il sentiero non passava di lì perché lì era molto sdrucciolevole e ripido. In particolare ne parlò con Giorgio che ci seguiva più indietro, ma mentre loro si misero a cercare un’altra via più plausibile, io andai a sincerarmi del perché cercare il sentiero altrove: in effetti Max e Patrick erano passati proprio là. C’era da fare una breve discesa su terra libera di due o tre metri, senza rocce di sorta, fino ad arrivare su una corta e stretta stradina in piano che ai lati aveva quasi solo il vuoto, e non mi sembrava poi così difficile.

Misi il primo piede su quel terreno ma scivolò subito, quindi con il secondo cercai di riprendermi, ma anche questo scivolò e, come falciato alle gambe, mi ritrovai corpo e muso a terra in scivolata. Cercai di piantare le dita delle mani, le ginocchia e le punte dei piedi in terra, ma non valse a nulla, e andai giù tanto da stare di poco al di sotto e sulla sinistra di quella stradina che avrei dovuto raggiungere tranquillamente. Quindi mi resi conto che la cosa migliore da fare era spalmarmi il più possibile sul terreno. Così feci e riuscii a stare fermo, immobile, tenendo bene in considerazione la respirazione per trovare quella calma di contrasto al panico che mi si stava generando. Provai a spostare un braccio più in su con l’intenzione di strisciare in alto verso quella stradina piana, ma spostare il braccio senza che questo potesse far presa su qualche punto fermo provocò lo scivolare ancora un po’ più giù del mio corpo.

Avvertii che la cosa non era così banale e si stava mettendo abbastanza male. Mentre stavo scivolando mi venne di pronunciare il nome di mio figlio, poi pensai a mia moglie, ma subito cercai di scacciare questi pensieri per rimanere tranquillo. Infatti a questi pensieri sentii nuovamente la gamba tremare per il nervosismo, che mi provocò lo spostamento più in basso di qualche altro centimetro. Respirai più profondamente e mi rilassai.

Nel frattempo Giorgio, che aveva sentito il rumore provocato dalla mia scivolata, mi chiamò e mi chiese se avevo bisogno di aiuto. Così come dovevo evitare di pensare a mia moglie e mio figlio per rimanere calmo, allo stesso modo non mi sentivo di rispondere positivamente a Giorgio: sarebbe stato come confermare a me stesso che la situazione era grave; quindi gli risposi con un blando no.

Giorgio però si sentì che non poteva dar retta a quella risposta e decise di scendere verso di me. Non credo abbia fatto molta difficoltà a raggiungere quella stradina che precedentemente anche io volevo raggiungere tranquillamente, quindi mi allungò la sua bacchetta da passeggiata, l’afferrai e bastò un piccolissimo sforzo per tirarmi su. Fiuuhh… che smaltita! Tornammo su, indietro, facilmente, passando leggermente più a sinistra da dove ero scivolato io.

Cosa sarebbe successo se fossi continuato a scivolare non lo so, probabilmente mi sarei fermato più sotto…ma molto più sotto, forse solo con molte escoriazioni, ma sta di fatto che quella scivolata mi segnò per tutta la giornata. Per quasi tutto il tragitto, stetti che dovevo cercare di rimuovere il pensiero di quello che avevo vissuto in quei pochi minuti, sia fisicamente ma soprattutto psicologicamente, per concentrarmi sul percorso che ancora mi attendeva, evitando altre sciocchezze. Così cercai di parlarne il meno possibile. Incomprensioni e contrasti o piccole antipatie è normale che ci siano fra le persone proprio perché nessuno è uguale a un altro, e in genere si tende a vedere negli altri le cose negative che ci fanno star male, e quelle positive passano in secondo piano. Invece spesso accade che le cose positive degli altri possono darmi molti più benefici rispetto al male che i difetti di questi possono procurarmi, quindi devo ribaltare questa tendenza: vedere di più le cose positive e dare meno importanza a quelle negative. Infatti è proprio con Giorgio che avevo avuto degli attriti per contrasti di opinione, che ad oggi sono ancora presenti, e proprio lui, in quella giornata, si era offerto di aiutarmi in tre occasioni.

E ancora: mi sentivo solo? Come si sarebbe sviluppata quella giornata se realmente ero solo?

Questi pensieri mi venivano come dei piccoli flash nei primi istanti dopo che avevo messo alle spalle quella scivolata.

Si va avanti

Nel frattempo Doriano aveva trovato il vero sentiero. Passava sulla destra, più sotto. Il sentiero era evidente al di sotto di un dirupo che si scendeva con una corda d’acciaio che però aveva l’estremo basso staccato dal suo iniziale ancoraggio. Il supporto morale dell'imbragatura mi fu così utile che io mi ci agganciai lo stesso a quella corda con il moschettone, nonostante non avesse alcun senso. Passando per il sentiero raggiungemmo quindi Max e Patrick che invece erano passati da sopra.

La strada che ci si presentava man mano che continuavamo a camminare si mostrava sempre più spaventosa e suggestiva ed entusiasmante nello stesso tempo. In realtà mi accorgevo che quei passaggi che da lontano sembravano quasi impraticabili si ridimensionavano alla nostra portata una volta che arrivavamo sotto il loro attacco.

Avevamo il Monte Infornace davanti a noi e sembrava proprio dietro l’angolo, invece, scaletta dopo scaletta, cordata dopo cordata, la sensazione era di non raggiungerlo mai.

Di scalette e corde d'acciaio ce ne erano davvero tante, così tante che si aveva anche il tempo di correggere la propria progressione cercando di migliorarla.

Salendo una scaletta avevo davanti a me Patrick che ad un certo punto notai abbandonare la presa sulla scala e proseguire sulla roccia, pur rimanendo ancorato alla scala con l’imbragatura. L’ho solo osservato con un certo entusiasmo ma non avevo il minimo desiderio di seguire il suo esempio.

Ad un certo punto, poco prima della vetta, sentii dei passi abbastanza decisi dietro di noi. Erano due ragazzi che stavano facendo il nostro stesso percorso e che ci avevano raggiunto. Stavano con una semplice maglietta, calzoncini, scarponi e zainetto che poteva contenere al più un panino e un po’ d’acqua, senza un minimo di imbragatura. Un po’ per indole, un po’ perché non vedevo l’ora di camminare su terreno sicuro, non scambiai con loro altro che il saluto, ma mi chiedevo se anche loro avevano fatto la nostra stessa strada. Supposi di si, da dove altro potevano venire se non da Vado di Corno? Erano anche apparentemente freschi e camminavano spediti. Feci così esperienza, da spettatore, di un'altro modo di percorrere il Centenario, che in quel momento non mi riguardava affatto ma che forse avrei assunto una quindicina di anni fa quando andavo in montagna senza badare troppo ai rischi che nascondeva.

Arrivammo finalmente sul M. Infornace e qui ci prendemmo una meritata pausa rigenerante e consumammo il nostro pranzo. Pur con il turbamento di quella scivolata, mi sentii abbastanza appagato di stare lì a rifocillarmi con i miei amici. Chi stava seduto in pieno relax, chi in piedi a godersi il panorama tutt'intorno, chi intento a consumarsi l'n-esima risorsa alimentare. Il sole era alto, la giornata che ci si offrì fu molto bella contrariamente alle previsioni di qualche giorno prima che ci aveva messo dei dubbi sulla fattibilità della gita. Stetti per tutto il tempo con la maglietta a maniche lunghe traspirante, e non mi fece soffrire né il caldo né i raggi solari che picchiavano: è stato un buon acquisto. Avevamo mangiato, avevamo bevuto per compensare i liquidi e i sali minerali persi. Stavamo bene. Ogni tanto ci scambiavamo qualche parola, ogni tanto morsicavo la mia carota di dessert, nel pieno relax. Ogni tanto respiravo un po' più profondamente e godevo di quel venticello che aleggiava in vetta. Era bello stare lì con i miei amici.

Non è ancora finita

Ora però bisognava ripartire perchè il Monte Prena ci stava aspettando. Si vedeva, era difronte a noi, bisognava semplicemente scendere e risalire facendo una U. La via che ci si proponeva sembrava abbastanza facile, senza alcun passaggio di ferrata. E così era; presentava un terreno con del terriccio e un po' di ghiaia, un percorso ripido ma non esposto, con qualche spuntone di roccia qua e là. La pettata a salire su la trovai abbastanza faticosa.

Arrivammo quindi sul Monte Prena, uno dopo l'altro, e qui trovammo ad aspettarci Alessandro. Ora eravamo al completo.

Fino ad allora, a parte quel gruppo di persone avanti a noi sulla parete delle Torri di Casanova, che poi non vedemmo più, e quei due ragazzi che andavano come gazzelle e che si fermarono con noi su Monte Infornace, un po' più distaccati, non avevamo incontrato nessun'altra persona. Sul Monte Prena invece c'era più di un gruppo di persone oltre noi, probabilmente perchè era più facilmente raggiungibile.

Il Prena non lo stavo riconoscendo, sembrava che quella era la prima volta che lo visitavo. Infatti quando ci andammo un anno prima trovammo abbastanza nebbia in cima e c'era la neve che camuffava la conformazione del terreno. Mi fece una strana sensazione il non ricordare quasi niente di familiare di quella montagna. Di fronte al Prena si vedeva il Monte Camicia, che ci invitava ad andare da lui.

Già nello scendere dal Prena aleggiava fra noi un'ombra di dubbio se completare o meno il sentiero. Si decise che il dubbio sarebbe stato risolto a Vado di Ferruccio.

Ci arrivammo quindi, al Vado di Ferruccio, e ci interrogammo l'un l'altro su cosa preferivamo fare: proseguire sul Camicia oppure scendere giù per la Via Normale del Prena. Giorgio fu abbastanza risoluto a chiudere là la sua gita, tornando giù per la Normale. Capivo che sentiva tutta la fatica del percorso fino ad allora effettuato gravare in modo rilevante su una sua gamba con i muscoli infiammati, e che continuare avrebbe causato sicuramente conseguenze indesiderate.

Noi altri invece avevamo tutti un evidente desiderio di continuare e raggiungere l'ultima montagna del sentiero come sognato da tempo. Sentivamo però il contrasto del desiderio con quello che sarebbe dovuto essere il nostro dovere.

Posso dire con certezza che io vivevo questo contrasto. Mi offrii quindi per scendere con Giorgio, come anche altri del gruppo, ma lui ci rassicurò che non serviva, che era giusto che la nostra gita continuasse fino alla fine che era vicina. Lui la strada a scendere la conosceva, avrebbe poi preso la macchina di Alessandro in fondo al sentiero e si sarebbe diretto con quella a Fonte Vetica ad aspettarci.

Dunque la soluzione al nostro problema sembrava esserci e molto semplice.

Con la scusa di quelle parole lasciai che Giorgio scendesse da solo, contento di avere ancora una meta da raggiungere ma con il dubbio se quello che stavo facendo era la cosa giusta o meno.

Dopo un po' di tempo, quando ormai sulla scelta presa non potevo tornare indietro, mi venne un po' di rimorso: lui mi era stato di molto aiuto in quel giorno, e io non ho saputo trovare la fermezza per rinunciare a continuare così da accompagnarlo. Provai a telefonargli, chissà a che punto stava, se era arrivato o meno. Ma il cellulare non riusciva neanche a fare lo squillo perchè c'era poco segnale.

Ripensandoci adesso, a mente fredda e distaccata da quel desiderio, posso dire che mi comportai correttamente, a prescindere anche dai miei rapporti con Giorgio in quella giornata? Esiste una regola generale da seguire in queti casi? Non successe niente di dispiacevole quindi la cosa è andata bene così, ma come sarebbero cambiati i miei criteri di valutazione se invece il compagno lasciato solo avesse fatto per esempio una banale storta e avesse avuto bisogno di un'altra persona che non c'era? Quando si va in gruppo ognuno è responsabile anche del proprio compagno. Nella storia delle mie avventure in montagna c'era già stata almeno un'altra occasione in cui mi comportai allo stesso modo, dando credito all'apparenza in cui tutto sembrava dire che non era sbagliato lasciare che il mio amico tornasse indietro solo e io continuare a raggiungere la mia meta. Di quante altre occasioni avrò bisogno ancora prima di riuscire ad abbracciare la scelta della rinuncia per un bene maggiore ovvero per un male minore? Dopo quel tentativo di telefonata, ci misi una pietra sopra e mi protesi a completare il percorso prefissato.

Da Vado di Ferruccio e anche camminando ancora più avanti, il Monte Camicia mi si presentava come un grosso massiccio di rocce. A vederlo di lontano sembrava che ancora non avevmo finito con i passaggi di arrampicata. La vetta si vedeva raggiungibile solo attraverso un imponente camino infessurato fra le rocce. Ma dove si passava per raggiungere quel camino? Infatti da lontano era difficile intravedere passaggi facilmente praticabili.

Forte dell'esperienza passata per arrivare a Monte Infornace, non detti molto credito a quelle apparenze, confidando nel fatto che senz'altro la strada si sarebbe ridimensionata al mio passaggio.

Infatti fu così.

Trovammo dei passaggi un po' più impegnativi, ma solo un po' più rispetto al tranquillo camminare in montagna come sono abituato. Ormai non c'erano più passaggi su via ferrata. Su tutto il percorso c'era solo un passaggino che aveva delle prese ferrate; era uno degli ultimi prima dell'attacco al camino. In particolare aveva un chiodo fissato nella roccia dove poggiare un piede per compiere il passo. Lo trovai divertente.

Arrivammo così sotto il camino. Chiudevamo la fila io e Massimiliano, gli altri stavano abbastanza avanti, o meglio, abbastanza in alto, dato che il camino era quasi perfettamente verticale.

Qui scoprii l'importanza del caschetto, che io non avevo.

In quel camino si incanalavano tutti i ciottoli piccoli o grandi lasciati cadere dai compagni che stavano più sopra, e per evitarli io e Max fummo costretti a proseguire con molta cautela cercando riparo da qualche roccia sporgente ed aspettando il momento opportuno per proseguire.

“Accidenti, ma cosa stanno facendo lì sopra?” ci chiedavamo.

Il cammino in quel camino era molto scivoloso e bastava poco per generare un fiume di pietre in cascata, però ci sembrava troppo esagerata la frequenza con cui ciò accadeva anche perhè noi riuscimmo a non far cadere neanche un sassolino, e lì sotto il timore di qualche pietruzza bizzarra ce l'avevo.

Arrivammo quindi in cima, sulla croce del Camicia, dove per la sesta ed ultima volta in quella giornta ci gustammo il piacere della vetta. Anche qui condividemmo lo spazio con un altro gruppo che arrivò dopo di noi. A giudicare dall'apparenza i componenti erano molto più anziani di noi e avevano fatto il nostro stesso percorso per salire il Camicia.

Ultimo tratto in defaticamento

La gita si era ora conclusa, rimaneva solo di scendere giù a Fonte Vetica, per un sentiero ben evidente da lì sopra. Quel sentiero sembrava proprio fatto apposta a conclusione di tutto. Era un po' lungo ma tranquillo, da scendere in scioltezza.

Il gruppo di “attempati” che stava con noi lo fece fin troppo in scioltezza: andavano giù di corsa. E ancora una volta mi venivano in mente quelle domande: saranno partiti anche loro da Vado di Corno? Se sì, da dove venivano tutte quelle energie che io mi sentivo mancare?

Appena poco scesi sotto la vetta, ammirammo la spettacolare parete a strapiombo che dava sui paesini sotto la montagna, caratteristica del Monte Camicia.

A un certo punto Doriano mi chiese qualcosa a proposito di quella mia scivolata.

Questo mi provocò un riemergere violento di quelle emozioni che fino ad allora avevo cercato di soffocare. Cercando di non dare troppo nell'occhio, ma non so se ci riuscii, mi allontanai dal gruppo uscendo dal sentiero e andai verso l'orlo della cresta dove sfogai definitivamente quei miei sentimenti con una breve crisi di pianto.

Camminando, Doriano, Patrick e Alessandro andarono molto avanti e io feci quasi tutto il tragitto con Massimiliano, parlando con lui del più e del meno e rivivendo quel clima di amicizia che c'era fra noi.

A Fonte Vetica Giorgio era lì che ci aspettava da un bel pezzo, e una volta che arrivammo tutti Doriano ci sorprese ancora una volta tirando fuori dal suo zaino, come fosse il cappello del mago Silvan, dei bicchieri di plastica e una bottiglia di spumante con cui brindammo alla grandiosa giornata trascorsa insieme.

Bevvi con soddisfazione e ci feci anche il bis, anche se lo spumante era abbastanza caldo.

Tornammo alle macchine, da Fonte Vetica fino a Vado di Corno.

Alessandro aveva fretta di andare, quindi, dopo averci accompagnato a Vado di Corno ci lasciò subito. Io aspettai gli altri che andavano a regolare i conti con l'albergatore a Campo Imperatore, quindi insieme andammo giù a Fonte Cerreto dove ci saremmo salutati.

Al bar offrii a tutti un bicchiere di coca-cola e tutti bevemmo con soddisfazione. Quel momento mi compensò dell'altro momento di quella giornata in cui mi sentii estraneo al gruppo. E con quell'armonia ritrovata mi avviai a casa a concludere la lunga giornata trascorsa che aveva ben oltrepassato le 24 ore.

Roma, 27/12/2008

Roma, 06/06/2010