Il testo è interamente costruito in prima persona, come è evidente dalla seguenti occorrenze:
forme del pronome di prima persona ἐγώ
nove forme verbali di modo finito alla prima persona singolare (indicativo e ottativo)
quattro participi e un infinito riferibili alla prima persona
Di fronte a questa prima persona non compare mai una seconda persona, né come un «tu» all’interno del discorso del soggetto parlante né come un interlocutore che prenda, a sua volta, la parola. Il testo, quindi, si presenta come una riflessione personale dell’autore Platone.
C’è un solo periodo nel testo, all’interno del quale non compare mai la prima persona. Si tratta di un periodo narrativo, tutto in terza persona:
῾Υπὸ πολλῶν γὰρ τῆς τότε πολιτείας λοιδορουμένης μεταβολὴ γίγνεται, καὶ τῆς μεταβολῆς εἷς καὶ πεντήκοντά τινες ἄνδρες προύστησαν ἄρχοντες, ἕνδεκα μὲν ἐν ἄστει, δέκα δ' ἐν Πειραεῖ, τριάκοντα δὲ πάντων ἄρχοντες κατέστησαν αὐτοκράτορες.
Il soggetto del primo predicato γίγνεται è μεταβολὴ: “mutamento”/ “cambiamento”/“rivolgimento”/ “rivoluzione”, un sostantivo che, ripreso nella seconda parte al genitivo: μεταβολῆς, si rivela, quindi, come una parola-chiave nel breve racconto di Platone.
Nel periodo ci sono altre parole-chiave, una ripetuta due volte ἄρχοντες (“capi”) e un’altra che appartiene alla stessa area sematica del potere αὐτοκράτορες (“chi ha potere assoluto”). Si può ricavare l’idea che nel testo si parli di una rivoluzione che ha per protagonisti un determinato numero di persone e che questa rivoluzione riguarda, come tutte le rivoluzioni, il potere, anzi, il potere assoluto.
Sulla base dello stile di scrittura di Platone, una prosa fortemente inspirata al modello poetico per la ricchezza delle figure retoriche e per la ricercatezza e la cura del lessico, si potrebbe concludere che non sia casuale o senza significato che proprio in questa parte narrativa sia stata esclusa la presenza della prima persona.
L’area semantica che presenta il maggior numero di occorrenze (otto) è quella della città,
come tale: πόλις (“città”) e nelle due componenti, urbana (ἄστυ) e portuale (Πειραιεύς)
come πολῖται (“cittadini”)
come πολιτεία (“costituzione”/“governo”).
Si può supporre, con buona attendibilità, che la città e i suoi cittadini e il suo ordinamento siano al centro dell’attenzione dell’autore.
Nel testo c’è un’attenzione particolare ai sentimento e alle emozioni; un campo dove si allude a una imitatio/aemulatio tra il giovane Platone e il maestro Socrate.
C’è un verbo ripreso tre volte:
due volte con soggetto ἐγώ: ἔπαθον
una volta con un soggetto il deittico, ὁ δέ: ὁ δ' οὐκ ἐπείθετο, … παθεῖν; in un periodo dove il deittico ὁ δέ si riferisce a Socrate, citato poco prima.
Trattandosi di una lettera che racconta le prime esperienze di Platone, il verbo πάσχω fa riferimento al sentimento, al provare emozioni di un giovane. La giovane età, ricordata nel titolo, viene confermata dall’aggettivo νέος ε dal sostantivo derivato νεότης presenti nelle stesse due proposizioni. La riproposizione dello stesso verbo πάσχω sia per l’autore, sia per Socrate, accomuna, oggettivamente, i due soggetti: Platone e Socrate. In effetti, il comportamento Socrate è stato per Platone un esempio nella vita e nelle opere
C’è un’altra area semantica significativa, espressa nel sostantivo τύχη e nel verbo che ne deriva τυγχάνω: la sorte, il caso.
Il racconto di Platone dà un forte senso di casualità alla sua esperienza politica:
sia agli accadimenti della città (il colpo di Stato): καί μοι τύχαι τινὲς τῶν τῆς πόλεως πραγμάτων τοιαίδε παρέπεσον.
sia alla familiarità e parentela con alcuni dei protagonisti di quei fatti: τούτων δή τινες οἰκεῖοί τε ὄντες καὶ γνώριμοι ἐτύγχανον ἐμοί.
(da G.Sega, La traduzione dal greco come prova d’esame, Progetto Nazionale)
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