La Torà è per tutti?

Capitolo 3

La Torà è per tutti?

La Torà è per tutti?

Cosa dicono sul sacerdozio di Israele e i figli di Noè il Midrash, il Talmud e lo Zohar?

La direttiva divina che impartisce agli ebrei il compito di diffondere fra i gentili le Sette leggi si deduce, per il Midrash Vayikrà Rabbà, dal versetto 5, 1 di Levitico: E se qualcuno peccherà in quanto, avendo sentito una voce di scongiuro ed essendo testimone ha visto o ha saputo e non lo riferisce… porti il peso del suo peccato. Il Midrash lo interpreta nel seguente modo:

testimone - è il popolo ebraico, poiché è detto: e voi siete miei testimoni (Isaia 43, 12);

ha visto - è scritto in Deuteronomio 4, 35: A te questo fu mostrato affinché tu sappia;

ha saputo - è scritto inoltre: Sappi dunque oggi (ibid, 39);

e non lo riferisce... porti il peso del suo peccato - significa che gli ebrei saranno ritenuti responsabili se non renderanno nota al mondo la Divinità del Signore.

... ed essi si accamparono nel deserto (Esodo 15, 22).

La Torà fu data in terra di nessuno, poiché se fosse stata data in Terra di Israele le altre nazioni del mondo avrebbero detto che non le riguardava. Perciò venne data nel deserto, e chiunque desideri riceverla a sua volta potrà riceverla (Midrash Mechiltà 20).

Questo passaggio merita di essere approfondito. Infatti, sembra in contraddizione con la determinazione con cui i rabbini hanno tenuto lontana la Torà dai non ebrei, sostenuti peraltro da alcuni passi delle Scritture stesse come si legge, per esempio, nel Salmo 147, 19-20: Annunzia la sua parola a Giacobbe, le sue norme e le sue leggi a Israele. Non ha fatto lo stesso ad altre genti che non conoscono quelle leggi. Inoltre, in Talmud Sanhedrin 59a si trova il seguente passo di rabbi Yochanan: Un non ebreo che studia la Torà merita la morte per mano del Cielo. Anche lo Zohar, il libro su cui poggia il sapere della Cabala, considera una trasgressione trasmettere la Torà ai non ebrei:

... chiunque non si astenga dal rivelare anche la più insignificante lettera della Torà è come se distruggesse il mondo e dicesse falsità in Nome del Santo, Benedetto Egli sia, poiché ogni cosa dipende dalla Torà, come è detto: Se non esistesse il mio patto con il giorno e la notte, se non avessi stabilito leggi che regolano il cielo e la terra (Geremia 33, 20) e: Questa è la Torà che Mosè pose davanti ai figli di Israele (Deuteronomio 4, 44) e non davanti alle altre nazioni.

Qui lo Zohar esprime l’idea secondo cui sarebbe inaccettabile insegnare ai gentili le parole della Torà in quanto tutte sono Nomi di D-o e farlo vorrebbe dire distruggere il mondo. Questa inaccettabilità dell’insegnamento si estenderebbe sia alla Legge scritta che a quella orale e persino ai Dieci comandamenti, poiché è detto a Israele furono dati e non alle nazioni (Midrash Rabbà su Numeri ).

Abbiamo invece appena citato all’inizio del paragrafo un punto di vista che sembra in totale contraddizione con quanto appena esposto. Eppure anche altri enunciati confermano il passo del Midrash Mechiltà: Ogni parola che proveniva dalla bocca di D-o si divise in settanta lingue (Talmud Shabbat 88b). Rabbi Yochanan osserva che il testo non dice “tutto il popolo sentiva la voce” ma Tutto il popolo sentiva le voci poiché: ... il suono della Voce si divise in settanta voci per formare i settanta linguaggi, in modo che ogni nazione udisse la Voce nel proprio idioma (Midrash Rabbà su Esodo).

Mosè iniziò a spiegare la Torà (Deuteronomio 1, 5): per i primi commentatori, il versetto significa che Mosè la espose nei settanta linguaggi e poiché al popolo ebraico non servivano settanta lingue, se ne deduce che il profeta lo fece per farsi intendere da ogni nazione.

Come scrisse Israele la Torà? Entrando nella Terra promessa, al popolo fu comandato di scrivere la Torà sulle pietre dell’altare costruito sul monte Eval. Rabbi Yehudà affermò: “La incisero sulle pietre poiché è detto che essi scrissero le parole della Torà sulle pietre (Giosuè 8, 32) e poi le ricoprirono con la calce”. Rabbi Shimon gli chiese: “Secondo te, in che modo allora le nazioni appresero a quel tempo la Torà (dato che era stata nascosta)?”. Rabbi Yehudà replicò: “D-o glielo fece sapere, e loro inviarono gli scribi che tolsero la calce (dalle pietre) e la portarono via. Da allora il loro destino fu segnato, poiché avevano avuto la possibilità di imparare ma non lo fecero. Rabbi Shimon allora disse: “La Torà era scritta sulla calce, e sotto vi erano queste parole: ‘Affinché non vi insegnino a compiere tutti i loro abomini’. Queste parole ci fanno capire che se si fossero pentiti, sarebbero stati accolti” (cit da dove?).

Dunque secondo il passo appena citato, perché le nazioni ritornino sulla via della verità devono apprendere la Torà. A proposito della questione, rabbi Meir dice:

Dove apprendiamo che anche un non ebreo che studia la Torà è paragonabile a un grande sacerdote? È scritto (Levitico 18, 5) che l’uomo farà e vivrà con essa; qui non ci si riferisce a sacerdoti, né a leviti né a ebrei, ma soltanto all’ “uomo”, e quindi anche al non ebreo.

La conclusione cui giunge la Ghemarà rispetto a tali affermazioni contrastanti consiste nel ritenere che il non ebreo è meritevole se studia le parti della Torà che gli sono proprie: quelle che riguardano le Sette leggi noachiche.

Anche un pagano che studi la Torà è paragonabile a un grande sacerdote! I rabbini ritengono che D-o abbia dato a Noè sette comandamenti comprensivi di tutti i principi della religione naturale: contro l’idolatria, la blasfemia, l’omicidio, i rapporti sessuali illeciti, il furto e la rapina, per l’istituzione di tribunali di giustizia e contro la crudeltà verso gli animali che consiste nel mangiarne le carni o le membra mentre sono ancora in vita (Toseftà Avodà Zarà o Sanhedrin 382 o Baba Kama 532 ?).

Con “lo studio della Torà da parte del pagano” si intende riferirsi alle Sette leggi di Noè, il cui studio è meritorio (Talmud Sanhedrin 400 ?).

Spiega Meiri:

Se [il non ebreo] volesse studiare la Torà senza intenderne le leggi fondamentali, ma soltanto per il desiderio di conoscere la nostra Torà, allora merita di essere punito poiché gli altri, vedendone il sapere, lo crederebbero ebreo e ne sarebbero così fuorviati. Tuttavia, se impara le Sette leggi in ogni dettaglio e con tutte le conseguenze che se ne possono trarre, anche se in esse è contenuto il corpus principale della nostra Torà è giusto onorarlo come un grande sacerdote.

In questo caso non c’è, infatti, da temere che induca altri in errore poiché impara ciò che è adatto a lui, e tanto più è permesso insegnargli se si verifica che intende studiare l’intera Torà per convertirsi all’ebraismo (Rav Yoel Schwarz, A Light unto the Nations. The Jerusalem Academy of Jewish Studies/Yeshivat D’var Yerushalayim, Jerusalem).

Bisogna infine notare che rabbi Yochanan, in riferimento a chi studia la Torà in modo errato, usa le parole “merita la morte per mano del Cielo” e non “è passibile di morte”, formula usata in riferimento a chi trasgredisce le Sette leggi.

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