L’omicidio

Capitolo 12

L’omicidio

L’omicidio

Fra le Sette leggi, quella che viene meglio definita nel Tanakh è la legge sull’omicidio. Il comandamento che vieta l’omicidio viene esplicitamente dichiarato da D-o a Noè e ai suoi figli in Genesi 9, 5-6:

Così pure chiederò conto del vostro sangue, della vostra vita; a qualsiasi animale ne chiederò conto; agli umani, della vita dell’uomo, all’uomo di suo fratello chiederò conto. Chi versa il sangue dell’uomo, avrà il proprio sangue versato dall’uomo poiché D-o fece l’uomo ad immagine propria.

È parere dei maestri che in questo passaggio si esprima molto più che non i semplici aspetti legislativi connessi all’omicidio; ovvero che vi si affermi anche la natura trascendentale dell’essere umano e la santità della vita umana. Tale affermazione, a sua volta, trova articolazione in ulteriori formulazioni legislative. Troviamo un esempio di questa complessa legislazione nel commento di Nachmanide ai succitati versetti:

A qualsiasi animale ne chiederò conto: mi domando se il chiedere conto ad ogni animale possa essere inteso in senso letterale, considerando che gli animali non hanno alcun senso morale che giustifichi punizioni o riconoscimenti. Forse, però, poiché qui si tratta della perdita della vita umana, è come per decreto di Re che qualsiasi animale che uccida un uomo sarà ucciso. Questa, quindi, sarebbe la logica alla base dell’ingiunzione: Il bue [omicida] dovrà essere lapidato e le sue carni non dovranno essere consumate. Certo, non si intende qui applicare una penalizzazione ai danni del proprietario, perché anche un bue selvatico deve essere ucciso; e la regola è valida sia per i noachidi che per gli ebrei (Nachmanide, op cit, p. 62).

Anche se molti commentatori non sono d’accordo con Nachmanide in merito a quest’ultima affermazione, il passo ci mostra come la legge sull’omicidio abbia carattere talmemte eccezionale da rendere punibili perfino gli animali.

Nella legge ebraica tuttavia, vi è un’eccezione al divieto di togliere la vita, ed è la legittimità di uccidere per autodifesa o per difendere qualcun altro che si trovi in pericolo di vita. Anche la legge noachica la prevede, come risulta da un’osservazione di Abaié nell’ultima riga di Talmud Sanhedrin 57a. In tale eccezione rientrano tre precetti:

1. Mettere in salvo una persona perseguitata anche a costo [se necessario] di togliere la vita al persecutore; precetto positivo 247.

2. Non restare impassibili davanti al sangue di colui che si potrebbe salvare da pericolo mortale; precetto negativo 297.

3. Non avere pietà dei persecutori, cui va tolta [se necessario] la vita; precetto negativo 293.

Questi tre precetti impongono ad ognuno il dovere morale di levarsi in difesa del suo prossimo; ciò non vuol dire che la legge noachica prescriva tale obbligo ad ogni cittadino o che i succitati precetti rientrino nella legge noachica. Sembra che Abaié voglia piuttosto affermare che non debba essere sottoposto a processo il noachide che intervenga a favore di un perseguitato, non che sia necessariamente vincolato ad agire in tal modo. Maimonide ritiene anch’egli che al noachide possa essere consentito di uccidere l’aggressore ma non imposto e nel caso di eccesso di difesa, qualora sia realizzabile l’opera di salvataggio semplicemente rendendo innocuo il persecutore e invece venga ucciso, che il noachide sia imputabile di omicidio; non l’ebreo. Maimonide opera una distinzione in questo caso fra legge noachica e legge mosaica per il seguente motivo: per gli ebrei esiste l’obbligo di intervenire in aiuto del prossimo e quindi l’eccesso di zelo è scusabile; i noachidi, al contrario, non hanno un simile obbligo per cui l’eccesso di zelo non è giustificabile65. Questa è la ragione per cui i tre precetti sopracitati non si possono far rientrare nell’ambito delle leggi noachiche.

Ci sono due ulteriori precetti che riguardano l’omicidio e si riferiscono in modo particolare all’omicidio involontario:

1. Esiliare in una città-rifugio chiunque uccida il prossimo per errore; precetto positivo 225.

2. Provvedere alla creazione di sei città-rifugio; precetto positivo 182.

Sembra però che neanche questi due precetti possano rientrare nella legge noachica. Secondo Aaron Halevi, l’esilio nelle città-rifugio non si applicava nei confronti del non ebreo che avesse ucciso involontariamente; la Mishnà (Makhot 8b) sostiene che le città rifugio erano previste nei casi di omicidio involontario di uno straniero residente da parte di un altro straniero residente, ma appunto ciò era attuabile soltanto nell’ambito legislativo ebraico e costituisce un esempio di estensione della giurisprudenza ebraica in modo da farvi rientrare anche lo straniero residente. I due precetti non sono quindi pertinenti alla legge noachica.

Inoltre bisogna osservare che, per il Talmud66, il non ebreo è colpevole di omicidio anche quando paga un intermediario per compierlo e un solo testimone, un solo giudice e la prova del mandato conferito per eseguire l’omicidio sono sufficienti alla condanna. I rabbini fanno risalire questa normativa alle parole del versetto di Genesi già citato: Chi versa il sangue dell’uomo, avrà il proprio sangue versato dall’uomo. Invece di riferire dall’uomo al diritto conferito ai tribunali di pronunciare la pena capitale, interpretano l’espressione alla lettera e quindi come relativa al singolo giudice. Bisogna a questo proposito notare che la legislazione ebraica considera omicida unicamente colui che compie il delitto; nell’antichità, infatti, fra i gentili erano diffuse pratiche crudeli come lasciar morire di fame un uomo o legare un prigioniero in modo che venisse divorato dalle belve e probabilmente questo in parte spiega la differenza delle due legislazioni anche se, come vedremo nell’ultima parte di questo libro, non è l’unica e più importante ragione.

Alcuni maestri contemporanei aggiungono dei precetti, tra l’altro, che riguardano la punibilità o meno dell’aborto:

1. Si è colpevoli di omicidio se l’aborto avviene dopo quaranta giorni dal concepimento; qualora avesse luogo prima, il reato si fa rientrare nella categoria di distruzione del seme umano e non è quindi giuridicamente perseguibile67.

I maestri non hanno trovato un accordo in merito alla liceità di far morire il feto pur di salvare la madre, mentre concordano comunque sul divieto di far morire la madre per salvare il feto68.

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