La società dei Giusti

La società dei giusti

Introduzione

Negli ultimi duemila anni cristiani e musulmani hanno cercato di fare proseliti fra gli ebrei; essi per contro, tranne nel caso eccezionale di Abramo e Sara, non hanno mai cercato di convertire nessuno alla loro fede, neanche ai tempi del Regno di Israele. Forse è questa una delle cause per cui pochi sanno che anche l’ebraismo ha qualcosa da dire su quale dovrebbe essere il dovere religioso dei popoli non ebrei del mondo.

Il libro qui introdotto riassume gli insegnamenti ebraici in merito a questa problematica che si svolge a partire dall’enunciazione dei cosiddetti Sette precetti di Noè, emblematici dell’idea ebraica di unità del mondo”1. Quando si parla di unità, si intende riferirsi sia all’unità di D-o sia a quella dell’umanità intera: l’unità di D-o significa unicità e quindi monoteismo; l’unità dell’umanità significa un mondo in cui tutte le persone vanno a D-o in pace ed armonia.

Molte religioni si avvicinano all’idea di unità con il motto: “Credi in quello in cui noi crediamo e il mondo sarà uno. L’ebraismo si avvicina all’unità da un punto di vista completamente diverso, insegnando che ci sono due vie e non una sola2: la tua e la mia. Tu vai per la tua strada e io andrò per la mia; sia nell’una sia nell’altra si potrà trovare la vera unità: l’unico D-o si trova su entrambe le strade, perché Egli le ha create.


Le leggi di Noè definiscono la strada che, secondo il pensiero ebraico, D-o ha dato alle genti non ebree del mondo attraverso Adamo, il primo uomo, il giorno della sua creazione3. Miracolosamente, i Sette precetti di Noè rimangono i più moderni e nello stesso tempo i meno conosciuti tra tutti gli insegnamenti religiosi. La parola “precetto” è la traduzione della parola ebraica mitzvà che significa anche connessione, unione; si vuole così significare che, osservando tali precetti, ci si unisce con l’infinita volontà e l’infinita saggezza di D-o risvegliando in se stessi una luce che si diffonde per tutta l’anima. Secondo la Torà4 quindi, osservando i Sette precetti di Noè il non ebreo adempie allo scopo della sua creazione e riceve una parte del Mondo a venire, il mondo benedetto spirituale dei giusti.

Tale aspetto dell’ebraismo, ovvero la sua vocazione universale, è oggi sottovalutato se non addirittura dimenticato anche in ambito ebraico, mentre al contrario è stato esaltato in modo univoco in un passato non molto lontano. Queste ultime due posizioni antitetiche sono certamente il frutto delle vicende – soprattutto negli ultimi due secoli – del popolo ebraico nella diaspora, preso fra ansia di emancipazione sociale e persecuzioni ricorrenti che lo costringevano su posizioni tutte difensive.

Esaminando le origini e lo sviluppo storico – il significato mistico e le implicazioni giuridiche e pratiche – delle Sette leggi dei figli di Noè, mostreremo tra l’altro come il fondamento nazionale e particolaristico dell’ebraismo non sia incompatibile con il suo fondamento universale e come le Sette leggi noachiche siano basilari per qualsiasi società che voglia chiamarsi civile; del resto i loro principi sono, almeno in parte, stati accolti da molto tempo nel sistema legislativo delle moderne società democratiche.

In un momento in cui le questioni di diritto internazionale si impongono con forza all’ordine del giorno – e non soltanto in situazioni estreme – e si intravede, se non a breve, sul medio periodo la creazione di un ordinamento giuridico e di tribunali internazionali, la riesamina delle leggi noachiche può illuminare tali problematiche di una luce del tutto inedita.

Già all’inizio del secolo scorso il rabbino Elia Benamozegh, nel suo Israele e l’umanità, aveva dato un contributo essenziale alla comprensione del loro significato etico e giuridico proponendone l’adozione a chi, non credendo più nella propria religione d’origine, non potesse o non volesse intraprendere la strada della conversione all’ebraismo, considerata anzi dal rabbino e dall’ebraismo in genere l’alternativa meno opportuna.

Se queste sono a grandi linee le premesse generali, meno scontato appare però il discorso quando ci si inoltra più addentro alla materia; allora ci si accorge che è più complessa e sfaccettata di quanto appaia a prima vista. Innanzitutto ci viene detto che quelle che credevamo sette semplici leggi rappresentano in realtà altrettanti gruppi di norme che per taluni, in definitiva, ammontano a 66 e per altri a molte di più; inoltre, possiamo constatare che la validità di alcune di esse è stata rimessa profondamente in discussione (o così sembra) dalla nostra sensibilità e che certe trasgressioni sono magari moralmente condannabili, ma non giuridicamente perseguibili forse proprio a causa della conformazione stessa di tale tipo di trasgressioni, difficilmente comprovabili e circostanziabili: la loro punibilità quindi, ove avvenga, si rivela soprattutto un formidabile strumento di controllo sociale in regimi che sono purtroppo liberticidi o a carattere teocratico. Tali norme però, se considerate esclusivamente dal punto di vista simbolico, hanno la funzione di additare ciò che è il giusto comportamento di fronte a D-o.

Ma è presumibile che una difficoltà più grande, per i non ebrei, di accettare l’osservanza dei Sette precetti di Noè consista in quella che anche gli ebrei incontrarono nel deserto del Sinai e che è ancora di attualità: la riluttanza ad accogliere l’idea che la strada dell’umanità verso D-o si svolga attraverso la guida dei rabbini, i maestri. La ribellione contro l’autorità del rabbinato e la tradizione ci ha seguito sin da allora, quando i seguaci di Korach provocarono una rivolta contro l’autorità rabbinica rappresentata da Mosè e Aronne, come impariamo dalla Torà: Ed essi si raccolsero insieme contro Mosè e contro Aronne, e dissero loro: “Voi pretendete troppo; poiché nella nostra congregazione, tutti noi siamo santi, e il Signore è tra di noi; perché allora voi pretendete di essere al di sopra della congregazione del Signore?” (Numeri 16, 3).

Si racconta che quando D-o diede la Torà al popolo ebraico sul monte Sinay, tutti adottarono di buon grado la Torà scritta, ma D-o dovette sollevare la montagna sopra le loro teste e minacciare di fargliela precipitare addosso per persuaderli ad accogliere la Torà orale5, cioè l’interpretazione rabbinica delle Scritture ebraiche. Se gli ebrei ebbero tante difficoltà ad accettare la Torà orale come altrettanto divina della Scrittura stessa, quanto più difficile sarà per i non ebrei! La sorgente della comprensione dei Sette precetti di Noè, però, si trova nel Talmud e negli insegnamenti rabbinici più tardi, e da nessun’altra parte.

Di fronte a simili problematiche, tenteremo di trovare qualche risposta suddividendo il testo in tre parti. Nella prima rintracceremo a grandi linee le origini e la storia delle sette leggi e ne esploreremo i significati secondo il Talmud, il Midrash6 e la Cabala; nella seconda, daremo una lettura giuridica dei sette gruppi di leggi e li metteremo a confronto con le 613 mitzvot assegnate agli ebrei dalla legge mosaica; nella terza, riprenderemo il discorso sulla vocazione universale di Israele con riferimento ad alcuni personaggi biblici, Abramo in primo luogo, e a grandi maestri e tenteremo di analizzare l’attualità o inattualità delle leggi noachiche.

I trattati precedenti su questo argomento erano scritti da studiosi ebrei per altri studiosi ebrei e si intendeva che rimanessero teorici e accademici. La Società dei Giusti è un richiamo all’azione sia per gli ebrei che per i non ebrei. Come diceva il grande saggio rabbi Tarfon: il giorno è breve, il lavoro è molto, i lavoratori sono pigri, la ricompensa è grande e il Padrone ci chiama7.

1 Dalla Torà agli Stati moderni ›