Le leggi e la Presenza Divina

Capitolo 2

Le leggi e la Presenza Divina

Le leggi e la Presenza Divina

Dopo averlo creato, D-o aveva posto Adamo nel Giardino dell’Eden che avrebbe dovuto essere il primo luogo di abitazione della Presenza Divina. Ma quando il primo uomo trasgredì al comandamento di D-o, la Presenza Divina si ritirò e lasciò la terra per salire al primo cielo14; poi, quando Caino uccise Abele, la Presenza Divina si ritirò dal primo al secondo cielo. Quando Enoch – figlio di Caino – evocò gli dei idolatri, la Divina Presenza si spostò dal secondo al terzo cielo, e dal terzo cielo si innalzò fino al quarto a causa della generazione del Diluvio.

Sebbene Noè fosse giusto abbastanza da risparmiarsi la distruzione, e fosse designato a diventare il secondo padre dell’umanità, fallì nel tentativo di effettuare una vera e propria rettificazione del peccato di Adamo come sarebbe stato necessario per far ritornare la Presenza Divina alla sua residenza sulla terra. Uno dei primi atti nel quale si impegnò appena lasciata l’Arca, fu la piantagione di una vigna (Genesi 9, 20-21). La maggior parte dei commentari biblici sono altamente critici nei riguardi di questa azione; l’umanità era stata appena distrutta: piantare una vigna per coltivare l’uva e produrre il vino sembra assolutamente inappropriato, date le circostanze. Ma secondo alcuni maestri Noè, così facendo, aveva tentato di riparare il peccato di Adamo; nel Talmud sostengono che il frutto dell’albero della conoscenza fosse l’uva15 e che la trasgressione di Adamo consistesse nell’aver bevuto il vino in maniera profana. Volontà di D-o era che Adamo aspettasse fino allo Shabbat, che sarebbe arrivato dopo poche ore, perché il frutto dell’albero, l’uva, fosse consumato per santificare questo giorno a testimonianza che D-o ne aveva impiegati sei per creare il mondo e si era riposato nel settimo16. Questi maestri ritengono che Noè fosse a conoscenza di tale significato più profondo della trasgressione di Adamo e sapesse che piantare una vigna per berne il vino a fini sacri lo avrebbe portato a rettificare completamente il peccato del primo uomo. Però egli fallì: si ubriacò e fu scoperto nudo dal figlio più giovane, Cam, che lo svergognò chiamando gli altri due fratelli, Sem e Yafet, per mostrare loro la nudità del padre. A questo proposito (Genesi 9, 22), Rashi interpreta l’episodio ipotizzando che Cam avesse castrato il padre o avuto relazioni omosessuali con lui o tutte e due le cose. Sem e Yafet, rispettosamente, coprirono il padre con un mantello ma il danno era già stato fatto. Quando Noè si svegliò, maledisse Cam e la sua discendenza (Genesi 9, 23-27).

I Sette comandamenti dei figli di Noè rimasero così anche allora, come prima del Diluvio, trascurati da tutti tranne pochi, fra cui in particolare Sem e suo figlio Ever, che fondarono case di studio con il proposito di comprenderli e di adempiere ai loro comandamenti17.

Venne poi la generazione della Torre di Babele. Nello stadio successivo al Diluvio l’umanità costituiva ancora un corpo unitario, viveva nell’area – irrigata dal Tigri e dall’Eufrate – conosciuta oggi come l’antica Mesopotamia e attuale Iraq e parlava l’ebraico. Era una generazione di brillanti scienziati; non solo avevano imparato a dominare molte delle forze naturali del mondo come il tempo atmosferico, ma nel loro grande sapere pensarono che la terra non dovesse avere alcun Padrone o, se proprio aveva un Padrone, che erano suoi pari. Gli uomini di questa generazione non si macchiarono delle colpe di quella che li aveva preceduti; anzi, si amavano l’un l’altro ma videro in tale unione lo strumento per affermare la propria supremazia sul Divino. Così costruirono una torre alta fino al cielo per sfidare l’autorità di D-o. Essi erano arrivati alla conclusione scientifica secondo cui, essendo il Diluvio di Noè avvenuto nell’anno 1656 dopo la creazione, questo significava che ogni 1656 anni i cieli si sarebbero spalancati, le profondità della terra si sarebbero aperte e le piogge venute a distruggere il mondo18: la torre li avrebbe dunque difesi da questa calamità. Era però una forma di idolatria: D-o discese per guardare la città e la torre che i figli dell’uomo avevano costruito (Genesi 11, 5) e si ritirò al quinto cielo. Prese allora delle misure per fermare i suoi figli peccatori: confuse le loro lingue e li sparpagliò in terre lontane (Genesi 11, 7-8). Come accennato sopra, all’origine tutta l’umanità parlava unicamente l’ebraico poiché le 22 lettere dell’alef-bet sono lo strumento della creazione19; ma ora aveva perduto questo privilegio. Il linguaggio si divise e furono creati i settanta (numero delle nazioni non ebraiche secondo la Torà) idiomi base del mondo attraverso cui l’umanità, da allora in poi, dovette cercare di comunicare20.

Proprio in quest’epoca, a Gerusalemme Sem ed Eber diffondevano, attraverso un’accademia creata appositamente e aperta a tutti, le Sette leggi noachiche. Malgrado i loro sforzi però, la distanza che si era creata fra gli uomini dopo la torre di Babele andava crescendo. Ben presto le varie nazioni del mondo cominciarono a sviluppare culti idolatrici diversi: dall’osservazione degli astri che splendevano in cielo sulle meraviglie del creato, dedussero erroneamente che dovevano adorarli al posto del Creatore.

Durante questi anni, e in tali circostanze, pervenì al potere Nimrod di Ur, il primo re depravato e malvagio: si proclamò dio di tutta la terra e comandò ai suoi sudditi di adorarlo come una vera e propria divinità. Coloro che si rifiutavano, venivano uccisi21. Fu la prima forma di tirannide che apparve sulla terra. Nimrod è chiamato un cacciatore forte davanti al Signore (Genesi 10, 9). Secondo Rashi, l’espressione “un cacciatore forte” significa che egli catturava le menti degli uomini con le sue parole e li conduceva a ribellarsi contro D-o; “davanti al Signore” indica che Nimrod intenzionalmente provocava D-o in sua Presenza e, diversamente da qualsiasi altro uomo vissuto prima di lui, agiva con malvagità allo scopo di sfidare D-o: conosceva il suo Padrone e gli si ribellava per disprezzarlo.

D-o ritirò quindi la sua Presenza al sesto cielo in risposta ai peccati di Sodoma e Gomorra, soprattutto a causa del furto e delle perversioni sessuali. In queste società, la crudeltà veniva ammirata e la gentilezza duramente punita, spesso anche con la morte22.

Gli antichi egizi, più sprofondati nella perversione sessuale degli stessi sodomiti, costrinsero la Presenza Divina ad allontanarsi fino al settimo e più alto cielo con la loro assoluta devozione a molti idoli e sviluppando un’altra estrema forma di male: la stregoneria23. Così la Presenza rivelata di D-o si ritirò definitivamente e l’umanità abitò in un mondo di oscurità spirituale e morale.

La soluzione a questo stato di cose arrivò attraverso Abramo, nato ad Ur da una famiglia di idolatri. Egli comprese da solo come l’unico a dover essere adorato e servito fosse il Creatore, e le sue opere cominciarono a far ritornare sulla terra la Presenza rivelata.

Abramo sfidò l’idolatria di Nimrod con la sua fede nel D-o unico e il re cercò di ucciderlo. Sfuggito miracolosamente alla morte e vinto completamente Nimrod24, Abramo ricevette da D-o l’ordine di lasciare la terra di Haran, dove era emigrato insieme alla famiglia, e di andare verso quella che gli avrebbe indicato.

Per merito di Abramo, la Divina Presenza scese dal settimo al sesto cielo; per merito del figlio di Abramo, Isacco, dal sesto al quinto cielo; poi dal quinto al quarto con il figlio di Isacco, Giacobbe.

La potenza spirituale di Giacobbe era formidabile; fu in grado di lottare con un angelo di D-o e di sconfiggerlo (Genesi 32, 25-30). Con Giacobbe e i suoi figli, dodici maschi e una femmina, un nuovo popolo emerse sulla terra. I figli di Israele presero il nome dal padre; Giacobbe, infatti, era stato benedetto da D-o che gli aveva dato un nuovo nome. “Tu ti chiami Giacobbe; non si continuerà a chiamarti ancora Giacobbe; il tuo nome sarà Israel”.. E gli impose il nome Israel (Genesi 35, 10). Nel commento di Rashi leggiamo che il nome Giacobbe indica un uomo che tende agguati per imbrogliare il prossimo, mentre il nome Israel denota un principe e un capo.

Con i figli di Israel, era venuto nel mondo un popolo devoto a D-o. Abramo, Isacco e Israel furono grandi profeti e sapevano che i loro discendenti sarebbero andati in esilio in Egitto e poi liberati da D-o.

I patriarchi rispettavano i Sette comandamenti dei figli di Noè e, vista la loro facoltà di profezia, previdero la rivelazione del Sinay obbediedendo quindi anche alle leggi mosaiche pur non avendo avuto l’ordine di seguirle. Quando D-o benedisse Isacco, lo fece perché Abramo mi ha obbedito, ha osservato le mie istruzioni, i miei precetti, i miei statuti e le mie leggi (Genesi 26, 5). Nel suo commento Rashi interpreta la parola “istruzioni” come riferimento alle ammonizioni della Torà, che tuttavia non era stata ancora data, comprese le proibizioni rabbiniche che riguardano lo Shabbat, mentre i “precetti” riguardano materie come la rapina e l’assassinio (due dei Sette precetti noachici) che si sarebbero imposti da sé anche se non fossero stati scritti nella Torà 25.

Prima che i figli di Israel si trasferissero in terra d’Egitto, il loro fratello Giuda li aveva preceduti e aveva istituito una scuola a Goshen per lo studio della Legge di D-o26. In Egitto, i Sette precetti non erano diffusi né tantomeno rispettati, ma perfino durante il lungo ed amaro periodo della schiavitù egiziana la tribù di Levi rimase nella casa di studio, esentata dalla dura servitù, in modo che la Legge Divina sarebbe stata ricordata, compresa e osservata27. La rettitudine del figlio di Levi, Kehat – i cui figli sarebbero stati destinati a portare l’Arca dell’Alleanza attraverso il deserto –, indusse la Divina Presenza a discendere dal terzo al secondo cielo.

Allorché Faraone decretò la morte dei neonati maschi dei figli di Israel, Amram, il capo della generazione e discendente di Levi, divorziò dalla moglie Yochevet per impedire in tal modo l’assassinio di bambini ebrei. Amram, come capo, sapeva che la sua azione sarebbe stata emulata dal popolo, e fu precisamente ciò che avvenne. Ma la figlia, Miriam, gli fece notare che mentre Faraone aveva decretato la morte dei soli figli maschi, Amram aveva decretato la fine di tutti i bambini, maschi e femmine, perché nessuno sarebbe più stato messo al mondo. Accogliendo le parole della figlia, Amram e Yochevet si risposarono e così nacque Mosè28. Per merito di Amram, la Divina Presenza discese dal secondo al primo cielo.

Mosè era l’uomo più umile che fosse mai vissuto (Numeri 12, 3). La sua umiltà era così completa che si considerava assolutamente un nulla; qualunque cosa riuscisse a fare, la considerava sempre unicamente come opera di D-o. Era convinto che se D-o avesse benedetto un altro uomo con altrettante grazie, sicuramente questi sarebbe stato molto più capace di lui29. La sua profonda remissività lo metteva in diretto contrasto con la superbia vanagloriosa di Faraone che, come Nimrod, proclamava di essere una divinità30. D-o così liberò i figli di Israel per rivelarsi sul monte Sinay e donare loro la Torà. Cinquanta giorni dopo che i figli di Israel avevano lasciato l’Egitto Mosè salì sul Sinay e, davanti a 600.000 uomini e ad almeno 1.400.000 donne e bambini31, il Signore Iddio discese sulla terra dalla sua dimora celeste (Esodo 20, 15) e disse: Io sono il Signore tuo D-o che ti trasse dalla terra d’Egitto, fuori dalla casa della schiavitù (Esodo 20, 2).

D-o era sceso dal Giardino dell’Eden ed ora era ritornato sul monte Sinay con il dono della Torà. Era una rivelazione di proporzioni tali che i ciechi, gli zoppi e i sordi vennero miracolosamente guariti 32. Tutte le anime dei giusti che fossero da allora in poi venute al mondo, sarebbero state chiamate dal Signore Iddio ad essere testimoni della sua Divina Presenza33: era il sigillo di D-o, la sua verità.

Il D-o di Israele aveva scelto i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, come suo popolo eletto comandandogli di osservare i 613 precetti racchiusi nella Torà e, contemporaneamente, aveva ripristinato i Sette comandamenti dei figli di Noè ordinando ai giusti delle altre nazioni del mondo di osservarli e a Mosè e al suo popolo di insegnare loro come34. L’evento aveva quindi un significato duplice: era sia l’istituzione di un nuovo patto che il rafforzamento di quello vecchio.

Le leggi di Mosè e di Noè erano inestricabilmente legate. Da allora in poi i figli di Noè, i giusti gentili, avrebbero dovuto adempiere ai Sette precetti per via della rivelazione sul monte Sinay e non perché erano stati dati a Noè; e i figli di Israele avevano avuto l’ordine di insegnare i Sette precetti ai giusti gentili.

Quando Mosè salì sul monte Sinay per incontrare D-o, la terra e il cielo si unirono insieme a formare un’unica strada: D-o aveva portato la sua santità sulla terra e, per la prima volta, il creato poté essere compenetrato dalla santità. Il rotolo della Torà e gli altri scritti, i sacrifici, gli oggetti in uso nel Tabernacolo e nel servizio del Tempio e i figli di Israele stessi diventarono santi per il Signore e quindi separati, distinti dal resto della creazione, investiti della santità con cui unicamente si può servire D-o (Esodo 19, 6)35. Aveva così inizio la religione universale secondo la quale Israel è il sacerdote e i gentili giusti, i figli di Noè, i suoi fedeli36. Era l’anno 2448 della creazione37.

3 La Torà è per tutti? ›