STORIA

Le leggi sono norme di comportamento imposte da un’autorità a un’intera collettività, stabiliscono anche quali sanzioni debbano essere applicate in caso di violazione.

Le prime forme di legislazione risalgono a migliaia di anni fa, la più comunemente nota è sicuramente il codice di Hammurabi, risalente al XVIII secolo a.C. e appartenente alla civiltà babilonese. Il testo è considerato una delle opere letterarie più conosciute della Mesopotamia e un'importante fonte riguardante i sistemi legali dell'antichità. Il codice fa un larghissimo uso della "Legge del taglione", la pena per i vari reati è infatti spesso identica al torto o al danno provocato: occhio per occhio, dente per dente (citazione biblica). Le varie classi hanno diritti e doveri diversi. Diverse sono anche le pene, che possono essere corporali o pecuniarie; queste ultime sono commisurate alle possibilità economiche del reo, nonché allo status sociale della vittima.

In realtà il codice babilonese, al contrario di come molti pensano, non è la più antica forma di leggi scritte, la quale invece prende il nome di codice di Ur-Nammu, redatto in lingua sumera verso il 2100-2050 a.C. Caratteristica di questo codice, oltre al fatto che prevede le pene per diversi reati, è che stabilisce le misure standard di capacità e di peso, elemento che ha permesso agli storici di ottenere un quadro completo di questa civiltà.

Nonostante questi esempi, per molto tempo le leggi sono state tramandate per via orale, prima di arrivare alle più complesse forme giuridiche del mondo ellenistico. La Grecia è inoltre la patria della democrazia ed è chiaro come il sistema giuridico sia strettamente collegato a quello politico. Da questo mondo nasce, in seguito, l’articolato sistema legislativo romano.

Il diritto è una delle più importanti eredità che il mondo romano ha lasciato all’Europa medievale e moderna. La prima raccolta di leggi della storia romana sono le Dodici tavole, scritte da magistrati appositamente eletti intorno al 450 a.C. Le tavole furono un primo passo in direzione di una più equa e meno arbitraria applicazione del diritto, anche se non impedirono che la conoscenza giuridica rimanesse perlopiù riservata ai magistrati. Nel mondo romano avevano valore giuridico sia le norme emanate dall’autorità pubblica, sia le teorie dei giuristi. Finché l’impero mantenne la sua unità, non ci fu bisogno di raccogliere le numerose norme in un unico testo. Solo quando il potere centrale iniziò a vacillare, l’imperatore d’oriente Giustiniano decise di riunire tutte le norme del diritto romano in un unico testo, il "Corpus Iuris Civilis", redatto intorno al 530.

Il processo romano si svolgeva in prevalenza nel foro all’aperto con la presenza del pubblico. Elemento essenziale era la “spettacolarizzazione” del giudizio. La figura principale era quella del pretore, spesso accompagnato da altri giudici, mentre i cittadini potevano sedersi in sedili appositi .

La prima parte era l’accusa, che durava fino a due ore (senza poter essere interrotta), ed era necessaria per presentare e motivare l’elenco dei reati di cui il convenuto era accusato. Una volta concluso l’intervento si lasciava spazio alla difesa, che durava fino a 3 ore.

In seguito vi era la fase del “ltercatio”, dove si susseguivano domande e risposte da parte dell’accusa nei confronti della difesa e viceversa. Subito dopo avveniva la ”probatio”, durante la quale era possibile presentare le prove e i testimoni, chi testimoniava a favore di qualcuno era definito “patrono”.

Dopo questa fase, arrivava la sentenza: il pretore e gli altri giudici si riunivano per discutere il caso e prendere una decisione. Il giudizio poteva essere: A- Absolvo (assolvo) o C- Condemno (condanno).

Di norma la sentenza era definitiva e irrevocabile. In determinate condizioni però, se il processo non produceva esiti schiaccianti, in caso di condanna si potevano avere possibilità di appello. Nello specifico si poteva fare una “provocatio ad populum”, una provocazione al popolo: in questo caso il giudizio dei giudici veniva sospeso e rimandato alle assemblee.

Nel V e VI secolo, con la fine dell’impero romano, in Europa si forma una molteplicità di regni, cosiddetti romano-barbarici, in cui vivono e condividono tradizioni politiche, istituzionali, religiose e giuridiche romane, insieme a quelle dei nuovi popoli barbari, che hanno conquistato il potere.

Nei regni romano-barbarici si producono alcune raccolte di leggi, che ben rappresentano i risultati dell’incontro fra le due tradizioni diverse. Un importante esempio è l’Editto di Rotari, emanato nel 643 nel regno dei Longobardi e scritto in latino.

Un’altra tappa importante nella storia della legislazione scritta è la Magna Charta Libertatum, un documento concesso dal re d’Inghilterra ai baroni nel 1215. La Magna Charta riconosceva alcuni diritti e alcune libertà ai nobili, alle città e alla Chiesa. Nella Magna Charta, inoltre, si stabiliva che l’operato del re fosse sottoposto al controllo di un’assemblea di baroni e che il sovrano non potesse imporre tasse senza il consenso del Consiglio comune del Regno, composto da arcivescovi, abati, conti e baroni. Si tratta di limiti importanti all’esercizio del potere da parte del re. La Magna Charta infatti è ricordata come uno dei primi documenti in difesa dei diritti e della libertà individuale.

Le prime costituzioni europee risalgono alle rivoluzioni dell’età moderna (inglese, americana e francese) e stabilivano l’esistenza di diritti naturali, inalienabili e universali, che lo Stato aveva il compito di riconoscere e garantire.

I diritti costituzionali possono essere distinti in diritti civili, politici e sociali. I diritti civili sono stati i primi ad essere affermati dalle Costituzioni moderne e sono il diritto di proprietà, di espressione, di professione religiosa, di difesa ecc. I diritti civili garantiscono la libertà dei cittadini dall’ingerenza dello Stato. I diritti politici garantiscono la partecipazione alla vita pubblica e politica. I diritti sociali, invece, sono il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro; riguardano quindi l’ambito di intervento attivo dello Stato nella vita dei cittadini.

L’obiettivo del costituzionalismo europeo è limitare il potere politico garantendo i diritti. Un principio fondamentale del costituzionalismo è la suddivisione dei poteri. Uno dei primi teorici della suddivisione dei poteri è stato Montesquieu, il quale a metà del Settecento scriveva che, per garantire la libertà dei cittadini, i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario devono essere separati e limitarsi a vicenda.

Dopo la Rivoluzione Francese del 1789 il diritto assunse una forma più articolata, i singoli Stati iniziarono a raccogliere le proprie leggi nei Codici, come nel Codice Napoleonico del 1804 o nel primo Codice Civile italiano del 1865, sostituito da quello attualmente vigente emanato nel 1942. Tra il 1820 e il 1848 i moti rivoluzionari spinsero i sovrani a concedere le costituzioni liberali, atti che riconoscono al popolo pochi diritti lasciando la politica e il potere in mano ai nobili e ai sovrani. Lo Statuto Albertino fu emanato da Carlo Alberto di Savoia, re di Piemonte e di Sardegna, nel 1848 e poi esteso a tutta l'Italia dopo l'unificazione, nel 1861.

Le costituzioni democratiche arrivarono dopo, in Italia un secolo dopo (1948), e sono atti ben diversi dalle concessioni marginali delle costituzioni liberali. Le costituzioni democratiche sono atti popolari, redatti da assemblee costituenti elette dal popolo. Sono rigide, ossia non si possono modificare se non seguendo lunghi e complessi iter legali. Sono atti lunghi, che dettagliano in modo ampio l'ambito dei diritti dei cittadini.