scandalo mose

In alcuni paesi del mondo la corruzione è punita con l’ergastolo o anche con la pena di morte. Questi casi estremi risultano lontani dalla civiltà giuridica italiana. Ma forse non tutti sanno che anche il nostro codice penale punisce più o meno severamente la corruzione: basti pensare che nei casi più gravi (per esempio la corruzione in atti giudiziari aggravata) la pena massima può arrivare a 20 anni.

Eppure tutti i grandi scandali dove i soldi pubblici sono stati utilizzati per finanziare campagne elettorali o dove i “colletti bianchi” ubbidivano a logiche da criminalità organizzata, si sono dissolti in pene che raramente superano i 3 anni e in carcere, corrotti e corruttori, nella maggior parte dei casi ci sono finiti soltanto prima di essere giudicati: in regime di custodia cautelare.

Scandalo Mose

Corruzione, frode fiscale e finanziamento illecito dei partiti: con queste accuse formulate dai pubblici ministeri, il 4 giugno 2014, si apre una delle inchieste giudiziarie più scioccanti, definita da alcuni “la nuova Tangentopoli d’Italia”: quella sul Mose, il progetto architettonico per separare la laguna di Venezia dalle acque del mar Adriatico in vista di possibili allagamenti.

La procura di Venezia quella mattina di giugno dispone 35 arresti e annuncia che ci sono almeno un centinaio di persone indagate per corruzione e tangenti legate ai cantieri del Mose. Nell’elenco compare l’ex presidente della regione Veneto Giancarlo Galan. Le figure coinvolte nell’inchiesta sono state imprenditori, magistrati, un ex generale della Guardia di Finanza, un assessore regionale e un’eurodeputata. I magistrati di Venezia hanno stimato in diversi milioni di euro le attività di corruzione.

Giovanni Mazzacurati

Giancarlo Galan

Per capire come l’inchiesta sia nata è utile fare un passo indietro a quando i magistrati della procura di Venezia cominciarono a indagare sui giri di denaro – ritenuti anomali – che riguardavano la costruzione del Mose. Era il 2009 quando, da verifiche fiscali su una delle aziende coinvolte nei lavori di costruzione del Mose, emersero delle anomalie. Il sospetto dei magistrati è stato che l’impresa emettesse false fatture e che destinasse il corrispettivo denaro ad alcuni conti esteri. Secondo l’ipotesi degli inquirenti con quei soldi venivano corrotti rappresentanti politici e funzionari.

I primi arresti avvennero nel febbraio del 2013 e coinvolsero, tra gli altri, l’ex segretaria personale di Giancarlo Galan, Claudia Minutillo, e Piergiorgio Baita, presidente di una delle società costruttrici, la Mantovani. Dopo pochi mesi finì in manette anche Giovanni Mazzacurati, già presidente del Consorzio Venezia Nuova, a capo di grandi aziende e attività locali coinvolte nei lavori di costruzione del Mose e negli interventi di prevenzione dell’acqua alta in laguna. Mazzacurati, diventato con l’inchiesta il principale accusatore del sistema di tangenti del Mose, nel 2019 è morto a 87 anni nella sua casa in California.

I pubblici ministeri titolari dell’inchiesta sono Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Quello del Mose è stato definito un sistema di corruzione ben congegnato e diffuso, tanto da integrare in un’unica società corrotti e corruttori. L’organizzazione si basa su scale gerarchiche: più cresce il potere del destinatario della mazzetta (fino a coinvolgere figure politiche), più ne cresce l’importo. In molti casi, scrivono i magistrati, «la mazzetta viene pagata anche quando il pubblico ufficiale corrotto ha cessato l’incarico o quando il politico ha cessato il suo ruolo a livello locale», mantenendo un rapporto di continuità. E la «rendita di posizione», secondo i pubblici ministeri, «prescindeva dal singolo atto illecito».

Tra i principali coinvolti nello scandalo del Mose c’è Giancarlo Galan, ex politico e dirigente d'azienda italiano, Presidente della Regione Veneto dal 1995 al 2010, nonché Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (2010-2011) e Ministro dei beni e delle attività culturali (2011) nel Governo Berlusconi IV. Galan è stato accusato di corruzione, concussione e riciclaggio di denaro, ma l'interessato si è fin da subito dichiarato estraneo. Secondo la procura del capoluogo veneto, l'ex ministro della Cultura ha percepito “uno stipendio di un milione di euro l'anno più altri due milioni per le autorizzazioni” necessarie all'opera. Il diretto interessato si è difeso, dichiarandosi innocente e accusando la Guardia di Finanza, il cui lavoro scadente avrebbe indotto in errore i magistrati inquirenti. Questi ultimi, però, hanno risposto alla presa di posizione dell'ex governatore con un documento in cui si legge di “cospicue operazioni commerciali nel Sud Est asiatico” nell'ordine di 50 milioni di dollari, trovate in documenti in possesso del "prestanome" Paolo Venuti, per le quali emergerebbe “la riconducibilità alla famiglia Galan”.

Giancarlo Galan

Giorgio Baita

Il 4 giugno 2014 venne trasmessa alla Camera dei deputati una richiesta di autorizzazione a procedere per l'arresto di Galan in relazione all'inchiesta condotta dalla Procura di Venezia, nell'ambito delle indagini sull'ex Amministratore delegato della Mantovani S.p.A., Giorgio Baita, e sugli appalti per il Mose.

Il 22 luglio, dopo due rinvii concordati in conferenza dei capigruppo, la Camera dei Deputati decise l'arresto del deputato Galan.

Dopo il dibattito la Camera, con scrutinio segreto richiesto dal gruppo di Forza Italia, approva l'arresto con 395 sì, 138 no e 2 astenuti (535 presenti su 630). Dopo poche ore, Galan viene dimesso dall'Ospedale di Este (Padova) e dalla sua casa di Cinto Euganeo viene condotto nel carcere di Opera (Milano), un carcere di massima sicurezza, nel quale sono detenuti anche molti presunti boss di mafia e 'ndrangheta.

Il 9 ottobre 2014, dopo 78 giorni di carcere il GIP (Giudice per le indagini preliminari) firma i domiciliari per Galan che patteggia una pena di 2 anni e 10 mesi restituendo 2,5 milioni di euro (a fronte di un maltolto di oltre 15 milioni) accolta dai Pubblico Ministero e confermata dal GIP insieme con 19 dei 35 indagati, estinguendo definitivamente il procedimento a suo carico.

Il 27 aprile 2016 l'aula della Camera dei Deputati ha approvato la relazione della Giunta delle Elezioni di Montecitorio che decideva la decadenza di Giancarlo Galan dal seggio di Montecitorio sulla base della legge Severino. La decadenza di Galan, a cui subentra come deputato Dino Secco, è stata approvata con 388 voti a favore, 40 contrari e 7 astenuti.

Dopo aver scontato due anni di arresti domiciliari, a gennaio 2017 torna libero e il 28 febbraio 2017 viene condannato in primo grado dalla Corte dei Conti a un risarcimento dei danni pari a 5,8 milioni di euro (5 milioni 200mila euro per danno all’immagine e 608 mila euro per danno da disservizio).

Nell'ottobre 2021 la Corte dei Conti ha affermato di essere riuscita a recuperare solo circa 1.800 euro rispetto ad una cifra di 5,2 milioni di euro presentata a Galan per il coinvolgimento sulle tangenti legate al Mose.

Giancarlo Galan ha posto fine agli arresti domiciliari, due anni e mezzo dopo essere finito nel carcere di Opera, più o meno con le stesse parole di allora. Arriva nella caserma dei carabinieri verso mezzogiorno per firmare l’atto che gli deve essere notificato per sancire il “fine pena” e per un attimo risponde ai giornalisti, continuando a dichiararsi innocente: “Certo che ho qualcosa da dire… Lo dichiaro per i veneti: in 15 anni di presidenza del sottoscritto, non c’è mai stato un atto, una delibera, una dichiarazione, una azione fatta in cambio di qualcosa”. Affermò lo stesso nel giugno 2014, quando ricevette l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per corruzione. Nel suo caso, a differenza degli altri 34 coinvolti nello scandalo Mose, l’esecuzione era stata sospesa, dato che serviva l’autorizzazione della Camera dei Deputati per privare della libertà uno dei suoi membri. Aveva ripetuto il concetto nelle memorie presentate a Montecitorio, nel tentativo disperato di convincere i suoi colleghi a non votare il via libera all’arresto. E nemmeno quando dopo qualche mese aveva patteggiato due anni e 10 mesi, ottenendo di andare ai domiciliari, aveva modificato la sua versione. Accettava la pena per convenienza, ma non affermò mai la sua colpevolezza.

carcere di Opera

Claudia Minutillo

Nel periodo di transizione tra il patteggiamento e il suggello finale della Cassazione, Galan aveva avuto modo di rilasciare qualche intervista, sempre sullo stesso tenore. “Sono innocente, non ho preso un euro. Ho patteggiato solo per la mia famiglia. In carcere ho pensato al suicidio, mi ha salvato il pensiero dei miei cari. Rifarei tutto, anche il patteggiamento: in carcere non c’erano alternative.

Durante gli arresti domiciliari Galan ha dovuto lasciare la sfarzosa Villa Rodella, dal valore di 3 milioni e mezzo di euro a Cinto Euganeo e si è spostato di pochi chilometri, sempre sui Colli Euganei, a Rovolon, in affitto nella villetta di un amico. È lì che si è concluso il periodo di detenzione, accorciato di circa quattro mesi e mezzo in base alle norme premiali. Ma la novità non è la dichiarazione d’innocenza, bensì il proposito di ottenere la revisione del patteggiamento. Ai suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, ha chiesto di cercare prove per sostenere la richiesta. Accusato di corruzione, è intenzionato ad attaccare i due capisaldi dell’accusa, ovvero le dichiarazioni di Mazzacurati e della sua ex segretaria Claudia Minutillo. Entrambi arrestati, nell’inchiesta che anticipò il filone principale del Mose, riempirono verbali in cui accusavano Galan di aver ricevuto tangenti.

Dunque, finiti gli arresti domiciliari, l'ex presidente del Veneto ha provato in tutti i modi a confutare le accuse nei suoi confronti. Ma la strada è in salita per Galan, visto che in tutte le sedi giudiziarie le accuse di corruzione contro di lui hanno trovato conferme.