Omicidio di Lea Garofalo

L'omicidio di Lea Garofalo avviene la sera del 24 novembre 2009 a Milano, organizzato dal suo ex compagno Carlo Cosco, il quale la portò in un appartamento che si fece prestare proprio per questo scopo. Al suo interno si trovava Vito Cosco, detto "Sergio". Lea venne uccisa e il suo cadavere trasportato da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino presso un quartiere di Monza, San Fruttoso. Lì il suo corpo viene dato alle fiamme per tre giorni consecutivi, fino alla sua completa degradazione.

Lea Garofalo, testimone di giustizia, è nata e cresciuta nella frazione Pagliarelle del paesino di Petilia Policastro (Calabria, KR), all'interno di una famiglia di 'ndrangheta, diventando fin dall'infanzia testimone di attività criminali. Anche il compagno, Carlo Cosco, appartiene all'ambiente mafioso ed è con lui che Lea ha la sua unica figlia, Denise, nata nel 1992. È proprio per amore di questa figlia, per offrirle una vita diversa dalla propria, che Lea Garofalo decide di diventare testimone di giustizia. Entra così (nel 2002) nel programma di protezione, lasciando la Calabria insieme alla figlia per Campobasso. Nel 2006, tuttavia, lo statuto di testimone di giustizia le viene revocato, in quanto le informazioni da lei fornite non hanno condotto a nessun esito investigativo-giudiziario, ma, in seguito al proprio ricorso al TAR, nel 2007 viene riammessa all'interno del programma di protezione. Nel 2009, tuttavia, è Lea stessa a rinunciarvi, andando a trascorrere l'estate a Petilia con Denise e riavvicinandosi all'ex compagno. In seguito madre e figlia tornano ancora una volta a vivere a Campobasso, in una casa che Carlo Cosco stesso ha trovato loro. Qui avrà luogo un tentativo di sequestro ai danni di Lea Garofalo, da parte di Massimo Sabatino, con mandante Carlo Cosco (maggio 2009: nello stesso mese Lea deve testimoniare in un processo a Firenze). Lea intuisce come dietro l'aggressione ci sia l'ex-compagno e si reca a denunciare il fatto ai Carabinieri. Cosco e i suoi uomini nel frattempo vivono a Milano, in via Montello 6, dove dettano legge. Quando Lea Garofalo scompare, vengono subito sospettati Carlo Cosco e Massimo Sabatino, visti i precedenti di Campobasso, e i due vengono posti in custodia cautelare. Il corpo della donna, tuttavia, non si trova, tanto da far pensare che esso sia stato fatto sparire sciogliendolo nell'acido, mentre gli avvocati della difesa talvolta insinuano che Lea possa essere fuggita all'estero, abbandonando la figlia.

Gli imputati al processo sono Carlo Cosco, Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco, Vito Cosco, Carmine Venturino e Rosario Curcio. A costituirsi parte civile, oltre a Denise, la madre e la sorella di Lea, anche il Comune di Milano. In aula presenziano con costanza alle varie udienze i ragazzi di Libera e di Stampo Antimafioso, per sostenere Denise, che si offre come testimone. Nel 2013, Carmine Venturino, fidanzato con Denise, per amore della ragazza decide di collaborare con la Giustizia e svela la reale dinamica dell'omicidio di Lea Garofalo e la collocazione del suo corpo: la donna è stata percossa a più riprese e poi strangolata; in seguito il suo cadavere è stato bruciato e i resti gettati in un tombino nel quartiere San Fruttuoso di Monza. Queste informazioni permettono in primo luogo a Lea Garofalo di avere una degna sepoltura ed un funerale pubblico e, inoltre, a porre la parola fine al processo, con una sentenza definitiva che vede confermato l'ergastolo a Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, attribuita una pena a 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assolto Giuseppe Cosco (già condannato nel 2012) per non aver commesso i fatti. Non viene tuttavia riconosciuto il delitto mafioso. Per la società civile non v'è dubbio che Lea Garofalo sia stata uccisa per aver preso le distanze da un'organizzazione come la 'ndrangheta, fondata sui legami familiari, per aver spezzato la legge dell'omertà, testimoniando contro di essa, a maggior ragione in quanto donna, e per avere leso all'”onore” di Carlo Cosco, anche questa legge di mafia, non certo vittima di un “raptus”, come sostiene invece l'ex-compagno.

Influenza culturale

Alla vicenda è stato ispirato il film "Lea", diretto da Marco Tullio Giordana e trasmesso in prima visione su Rai 1 il 18 novembre 2015.