FILOSOFIA

La giustizia, per quanto concerne la filosofia, è quel tipo di virtù universalmente riconosciuta come il senso di dovere nel rispetto dei diritti altrui, anche attraverso i mezzi delle leggi o per quanto possiamo, nel riconoscimento della ragione altrui in determinate circostanze. Si è evoluta negli anni sotto diversi aspetti, ed è stata argomento principale di numerose correnti di pensiero. È stato cercato il significato di giustizia nel sistema governativo, con numerose ipotesi, affiancate ad esempio dalla formulazione di leggi corrette e dalla creazione dei tribunali, che partono quindi da una società tribale, limitata dalla stessa evoluzione, per passare dalla legge del più forte alla legge di giustizia. Ovvio, con il testo analizzato abbiamo trovato numerose corrispondenze opposte, con l’evoluzione di un sistema giudiziario seppur separato dallo stesso Stato, in modo quindi da non esserne influenzato, si sono sviluppati comunque meccanismi di corruzione. E la corruzione è stata a lungo ed è continuamente oggetto di discussione.

Possiamo individuare una storia filosofica della giustizia, a partire dalle opinioni dei filosofi greci per arrivare alla storia contemporanea e alle opinioni più recenti. Per descrivere al meglio l’argomento preferiamo partire con uno dei filosofi più conosciuti e con un’opinione tra le più conosciute, Platone. La giustizia è per Platone virtù dell’anima, innata e indipendente dal rapporto con gli altri uomini. La giustizia deve essere oggetto di educazione, e da qui ne viene il testo della Repubblica, dove, per evitare la corruzione dello Stato, i bambini vengono affidati direttamente alla comunità, in modo da non riconoscere la posizione del genitore ma riferire la propria famiglia e il proprio tutto alla comunità stessa. L’unico interesse risulterebbe così essere il bene e dunque la giustizia dello Stato.

Di altro parere era Aristotele, il quale decide di riprendere il pensiero platonico per modificarlo, rappresentando la giustizia contrapposta all’ingiustizia nell’Etica Nicomachea e, in secondo luogo, come una via di mezzo, un giusto mezzo tra un difetto e un eccesso. L’uomo giusto è colui che capisce che la giustizia è di tipo distributivo, e non cerca di eccedere nella sua funzione o di stare in difetto, perché deve in primo luogo essere rappresentazione dell’uguaglianza di specie. Un esempio lo possiamo trovare nel furto, chi ha rubato compie un eccesso, chi è derubato un difetto, ma se la giustizia corregge questo errore ristabilisce l’ordine iniziale.

La giustizia filosofica fu ripresa nel XVIII secolo, con la rivoluzione francese e lo sviluppo dell’illuminismo. Ci addentriamo quindi nel concetto di legge con Hobbes e Locke, che parlano del sistema di leggi naturali e del loro funzionamento nel mondo. Si stabiliscono posizioni anche qua controverse tra loro. Hobbes ipotizza uno stato di natura dove la guerra è alla base del funzionamento della vita, quindi la legge del più forte, in un sistema dalla mentalità chiusa, senza un organizzazione funzionale alla comunità. Da questo stato di guerra (uomo contro uomo) la nozione di giustizia non ha esistenza. La condizione che se ne crea è un insieme di pro e contro discussi, ad esempio l’assenza della proprietà privata (e dunque dello stesso furto o di altri crimini), ma anche la violenza aperta e una costante minaccia dovuta a un mancato senso di protezione. Non è presente un sistema di leggi o un governo, dunque a Hobbes questo stato di natura appare di per se oggetto di uguaglianza e libertà, ma è lo stesso stato che se non riesce a gestire la comunità può eventualmente sviluppare l’ingiustizia e la corruzione.

Nella concezione lockiana invece il sistema legislativo varia da luogo a luogo, dunque i diritti secondari possono cambiare ed essere giusti, seppur differenti di stato in stato. I diritti naturali dell’individuo, invece, sono e devono rimanere giusti, perché sono diritti fondamentali come quelli alla vita o all’acqua, sono diritti che ciascun individuo deve avere come abitante del mondo di fronte alla specie umana. Esistono secondo Locke delle situazioni dove la giustizia può essere screditata, messa da parte, per uno stato di guerra giustificato dalla minaccia. La minaccia infatti mette a repentaglio la giustizia, i diritti naturali, e sentendosi minacciati si è giustificati ad attaccare i diritti altrui come forma di difesa.

Ci sono dunque diverse idee di giustizia. Marx e Engels, all’origine del movimento politico comunista, aprono le porte alla lotta di classe, divulgando un pensiero ad azione proletaria, che si oppone direttamente alle classi dirigenti. Non bastano i movimenti sindacali, la giustizia è oppressa dalla ricchezza, dai contatti, dalla posizione nello stato, e dunque il potere pubblico. Deve essere giusto nella sua natura il prodotto di una forza di indipendenza rivoluzionaria del popolo stesso, un rovesciamento della condizione ingiusta di uno stato corrotto. Sparita così la lotta tra gli stati sociali, sparirà la stratificazione che differenzia un uomo dall'altro, e dunque la diversità.

Una delle ultime opinioni più coincise per quanto concerne la giustizia è l’opinione di Kant. Il filosofo intende con giustizia una limitazione della libertà altrui e del singolo. Io mi limito di parte dei miei diritti ( ad esempio proviamo a pensare al diritto di uccidere) e così facendo se ne limitano anche gli altri individui, rendendo partecipe lo Stato di una costituzione fondata di un insieme dei diritti e doveri. Siamo lontani sicuramente dalla completa costituzione italiana questo è vero, però è un primo passo verso il riconoscimento che se vogliamo vivere nella libertà di una comunità dobbiamo per forza essere consapevoli delle nostre limitatezze ma anche dei vantaggi che ne derivano. Non posso più uccidere un mio simile, ma ho la protezione di un lavoro, di una casa e di un organismo di forze dell’ordine alle quali mi posso riferire. Ogni individuo dunque per Kant deve fondare la sua libertà, il suo libero arbitrio, nel libero arbitrio dell’altro, per potersi riferire in una comunità. Ognuno si conforma e si obbliga alle leggi generali. La forma di governo ideale per rappresentare al meglio la giustizia di una comunità di individui, è per Kant la repubblica. La repubblica descrive al meglio la libertà di tutti i singoli della società nel tentativo ultimo di realizzare la felicità dell’uomo. Ognuno ricerca così la propria felicità, che differisce da soggetto a soggetto.

Allo stesso modo nel 900 Bertrand Russell parla di un liberalismo in grado di ristabilire l’ordine, di garantire un ordine sociale stabilizzato, almeno per quanto concerne il sistema di leggi, diritti e doveri. Il liberalismo non si basa su un insieme di dogmi irrazionali (che porterebbero appunto alla tirannia) ma ribadiscono un insieme di restrizioni giustificate che preservano dai danni la comunità. Tuttavia Russell va contro le decisioni di massa, ritenute infatti troppo incerte. Le opinioni dell’uomo medio sono infatti sicure e obiettive, ma non sempre si muovono con la coscienza propria e con l’intelligenza o il senno di poi. Solitamente la sicurezza diretta implica la stupidità, mentre chi ha dubbi se li pone nel merito dell’intelligenza stessa. Se l’uomo pensasse coscientemente e razionalmente, con la sua testa, senza farsi influenzare, sarebbe anche probabile una decisione di massa, ma in questo modo ci sarebbe solo incertezza e contrasto interno.

Sono solo alcuni esempi di come la filosofia interviene nella giustizia e in ciò che ne concerne. Nel “Legno storto della giustizia” troviamo alcuni tra questi pensieri, ma allo stesso modo anche quelli di altri filosofi come ad esempio di Montesquieu e le sue leggi.