CORRUZIONE

La corruzione indica, in senso generico fisico-biologico, un processo di degenerazione e decomposizione.

In ambito sociale è riferito più specificamente alla condotta di un soggetto che induce qualcuno, in cambio di denaro oppure di altre utilità e/o vantaggi, ad agire contro i propri doveri ed obblighi. Il fenomeno ha molte implicazioni, soprattutto dal punto di vista sociale e giuridico.

Corruzione ambientale

Si parla di corruzione ambientale quando la corruzione non è un atto isolato, ma comune e quasi consuetudinario. Avviene quando i partecipanti col tempo si abituano alla corruzione fino al punto di considerarla come una prassi normale. L'effetto che si produce è una dannosa distorsione del sistema economico, oltre che un degrado morale della società. Un simile sistema tende ad isolare ed estromettere gli onesti, perché questi, non avendo niente da rischiare da eventuali indagini, potrebbero danneggiare tutti gli altri coinvolgendo la magistratura.

Corruzione e appalti

Fenomeni di corruzione vengono scoperti nelle gare di appalti pubblici e privati, ad esempio infrastrutture pubbliche, soggette per legge a bandi d'asta volti a migliorare la qualità e a ridurre i costi per effetto della libera concorrenza tra i partecipanti. In questo senso la corruzione mira a modificare indebitamente il risultato della gara, violando le norme e creando un danno economico alla collettività (o al privato), inoltre si assiste alla violazione del principio liberista della libera concorrenza.

Corruzione e concussione

Nella corruzione in senso generico il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio percepiscono l'utilità in seguito ad un accordo con il privato. Viceversa, nella concussione, il pubblico ufficiale sfrutta la propria posizione di supremazia o potere per costringere o comunque indurre il privato a corrispondere o promettere denaro o altre utilità.

Planisfero della percezione di corruzione nel 2017, a cura di Transparency International, che rileva il "grado in cui è percepita la corruzione esistente tra pubblici ufficiali e politici".

Negli ultimi tempi si è osservato un interesse crescente nel dibattito sia accademico sia politico-istituzionale sul fenomeno della corruzione, considerato a ragione un grave ostacolo allo sviluppo economico e sociale di un Paese o di un’area geografica. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che il costo annuale delle tangenti nel mondo è pari al circa il 2 % del PIL globale.

La corruzione indebolisce i fondamenti della democrazia, i principi di legalità e di uguaglianza, svilisce i principi di buon governo e di etica pubblica, scoraggiando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, e in particolare nella classe politica. Economicamente parlando, la corruzione rappresenta un enorme problema in quanto, penalizzando le imprese sane, altera la competitività del mercato; disincentiva nuove iniziative imprenditoriali e riduce gli investimenti interni ed esteri; aumenta il prezzo dei servizi pubblici e ne riduce la qualità generando effetti redistributivi negativi. Tutto questo si riflette in una riduzione del tasso di crescita, che viene stimato pari a 0.5-1 punto percentuale all’anno. É evidente come la corruzione rappresenti un costo insostenibile per un paese come l'Italia che fatica a trovare le risorse per favorire la crescita e l’occupazione, perciò contrastare la corruzione deve essere un obiettivo prioritario.

La corruzione è un fenomeno molto antico, presente sin dai tempi degli antichi greci e romani. Nel mondo antico la corruzione assume la connotazione di malgoverno, volto a far prevalere l’interesse particolare su quello generale e al non rispetto delle leggi.

La Grecia antica secondo Plutarco e Aristofane, anche se un Paese democratico e avanzato, era in parte corrotta anche sotto il governo di Pericle, che cercava di guadagnarsi il consenso del popolo organizzando banchetti e feste e impiegando il denaro dello Stato per creare monumenti ornamentali. Gli elementi ricorrenti sono i soldi e il potere. Pericle attribuì un’indennità giornaliera a quanti ricoprivano le cariche pubbliche e pertanto la visione dello spendersi gratuitamente a favore dell’interesse pubblico venne meno.

Aristotele riteneva ciò positivo, visto che il pagamento di una retribuzione avrebbe consentito anche ai poveri di occuparsi della vita politica e così fu. Tuttavia i vantaggi concessi vennero sfruttati per vendere il loro voto per denaro: come membri dell’Ecclesia o come magistrati a seconda delle funzioni che esercitavano.

A Roma, qualche tempo dopo, le dinamiche sono le medesime e il fenomeno assume magnitudo maggiore. La corruzione della tarda repubblica, quando il dominio romano giunge nel ricco Oriente ellenistico, penetra in profondità nella politica, nelle aule di giustizia e nell’amministrazione della cosa pubblica. Come spesso accade, dei gruppi di potenti erano in faida tra loro per garantirsi il mantenimento del potere attraverso clientele con le quali “aggiustare” i processi e si truccare le elezioni.

Allora come oggi, anche il mondo degli appalti attizzava i corruttori, soprattutto quando si trattava dell’amministrazione delle province e di riscuotere le tasse. Attualmente le mazzette sono diminuite rispetto al passato; anche se il denaro continua a rappresentare il principale strumento dell’accordo illecito (48%). Ma ci sono anche altre merci di scambio: il posto di lavoro si configura come una delle monete di scambio più gradite (13%), soprattutto al Sud: si “vendono” l’assunzione di coniugi, congiunti o soggetti comunque legati al corrotto. Vengono effettuate nel 7% dei casi anche delle regalie a chi conviene avere come amico. Nel triennio 2016-2019 Il 74% dei casi di corruzioni registrati hanno riguardato appalti pubblici; per il resto principalmente concorsi, procedimenti amministrativi e concessioni edilizie. Va tuttavia osservato che i motivi principalmente responsabili nell’alimentare irregolarità amministrative, sanzionate e percepite come fenomeni corruttivi, sono la confusione normativa e le disfunzioni amministrative.

La mafia

Con mafia viene definito un complesso di organizzazioni criminali sorte in Sicilia nel XIX secolo, strutturate gerarchicamente. È un fenomeno criminale caratterizzato da profonde connessioni con il potere politico ed economico. Il termine “mafia” venne inizialmente utilizzato per identificare l’organizzazione criminale “Cosa Nostra”, che rivestì un ruolo importante nelle vicende politiche dell’Italia.

La Mafia si affermò nel periodo che va dal 1860 al 1876 e nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle rivendicazioni dei contadini. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi invase la Sicilia per annetterla al regno d’Italia, sconfiggendo l’esercito borbonico. La spedizione ebbe un rapido successo poiché lo sbarco innescò una rivolta interna che non lasciò scampo ai Borboni. I siciliani appoggiarono Garibaldi perché il Parlamento siciliano aveva formalmente abolito il sistema feudale, che continuò ancora per oltre un secolo ad essere la struttura socio-economica portante della Sicilia. I baroni continuarono lo stesso a spadroneggiare nei loro territori in quanto proprietari. Questo modello aveva favorito la miseria della popolazione e la debolezza delle classi sociali diverse da quella possidente, unitamente alla diffusione di una tendenza a curarsi solo dei propri interessi, spesso a danno di quelli altrui, e una concezione che assolutizza i legami familiari arrivando all'estraniamento dalle responsabilità sociali e al clientelismo. Il popolo siciliano, che sperava in un cambiamento sociale con l’annessione al regno d’Italia, rimase quindi deluso. Il risultato fu un peggioramento socio-economico dell’intero Meridione. Il fenomeno mafioso viene considerato frutto di strutture economico-sociali particolarmente arretrate, di un universo sociale composto da poveri contadini, grandi latifondisti e grandi affittuari, detti gabellotti, dai cui ranghi provenivano molti capimafia. Ottenuti gli ex feudi dei baroni, che erano poco interessati a operarvi trasformazioni produttive, i primi mafiosi li divisero in piccoli lotti, subaffittandoli ai poveri contadini e ricavando consistenti guadagni. I gabellotti divennero potenti e in assenza dello Stato crearono proprie forze armate, i cosiddetti "campieri".

stemma dei Borboni

briganti

Allo stesso tempo si sviluppò anche il fenomeno del brigantaggio, che però si distingueva dalla mafia perché puntava al cambiamento sociale e di conseguenza attentavano alla proprietà privata e alla sicurezza dei baroni, mentre i mafiosi offrivano loro “protezione”. Brigantaggio e mafia erano fenomeni antagonisti che finirono per entrare in un rapporto simbiotico: i briganti concorrevano a creare tra le vittime una forte domanda di protezione sul territorio e i mafiosi approfittavano di questa circostanza per offrire la loro “sicurezza”. La violenza del mafioso non era assolutamente paragonabile a quella del brigante. Il brigantaggio era un fenomeno delle classi subalterne, è stato tollerato per poi essere represso quando la borghesia mafiosa andò al potere nel 1876. La mafia, invece, espressione delle classi dirigenti, seppe costruire e mantenere un rapporto organico e di convivenza con il potere politico. In principio adottò una strategia di boicottaggio nei confronti dello Stato, ma ben presto i mafiosi capirono che la politica cercava di usarli come strumento di governo locale. Da allora la mafia cominciò ad affondare le mani nel mercato romano dei favori elettorali, quindi si passò da una strategia di boicottaggio ad una forma di sfruttamento dello Stato.

La vicenda del chirurgo Gaspare Galati fu il primo caso di mafia. Dopo aver ereditato nel 1872 il fondo Riella, un limoneto, dovette fare i conti con il guardiano della tenuta, Benedetto Carollo. Costui rubava limoni affinché le rendite del terreno si abbassassero, così l’avrebbe potuto comprare a basso costo. Susseguivano poi una serie di intimidazioni nei confronti dell'ex-proprietario, che per paura gli concedeva circa il 30% della rendita. Galati decise di licenziare il guardiano che, per vendetta, uccise il suo sostituto. Il chirurgo non cedette alle intimidazioni anche quando gli arrivarono lettere minatorie. La polizia non voleva catturare Carollo e i suoi scagnozzi. La mafia all'epoca agiva sotto la copertura di un’organizzazione religiosa comandata da Antonino Giammona, boss di Uditore, un piccolo villaggio dove era situato il fondo Riella. Egli basava la sua economia sul racket della protezione dei limoneti, poteva costringere i proprietari ad assumere i suoi uomini come guardiani e la sua rete di contatti con carrettieri, grossisti e portuali, era in grado di minacciare la produzione di un’azienda agricola o di assicurarne l’arrivo sul mercato. Una volta assunto il controllo di un fondo, veniva assunta un’economia parassitaria o lo si acquistava ad un prezzo più basso del suo reale valore. Alla fine Galati fuggì a Napoli incapace di ottenere giustizia a causa dell’omertà degli abitanti e della collusione di parte delle istituzioni. La mafia acquisì i caratteri tipici dell’associazione segreta, così divenne la mafia che oggi noi conosciamo, con le sue regole e i suoi cerimoniali, scoperti dall’opinione pubblica grazie al maxi processo di Borsellino e Falcone contro la mafia e a tutti i pentiti che hanno collaborato a questo processo, raccontandoci le modalità e le procedure di questa associazione criminale.

Falcone e Borsellino