Omicidio di Giuseppe Di Matteo

«Ho pagato con la mia coscienza una scelta sbagliata. E quando ho cercato di porre rimedio, scegliendo la collaborazione con lo Stato, ho dovuto subire la più vigliacca delle vendette, perdendo un figlio bambino»

Santino Di Matteo

L'omicidio di Giuseppe Di Matteo è stato commesso a San Giuseppe Jato, l'11 gennaio 1996. L’ordine venne dato ad un gruppo di mafiosi da Giovanni Brusca, allora latitante, nel tentativo di impedire che il padre, Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia ed ex-mafioso, cooperasse con gli investigatori.

Giuseppe Di Matteo nacque a Palermo nel 1981. Fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva solamente dodici anni. I sequestratori si travestirono da poliziotti della DIA ingannando facilmente la loro vittima, che credeva di poter rivedere il padre, in quel periodo sotto protezione lontano da casa. Il 1º dicembre 1993 giunse alla famiglia un biglietto con il messaggio "Tappaci la bocca", insieme a due foto del ragazzo con in mano un quotidiano del 29 novembre 1993. Divenne evidente che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue deposizioni su precedenti casi.

Nonostante le minacce la madre di Giuseppe, Francesca Castellese, denunciò la scomparsa del figlio il 14 dicembre 1993. Il giorno stesso fu recapitato un nuovo messaggio a casa del nonno con scritto “Il bambino ce l'abbiamo noi, non andare ai carabinieri se tieni alla pelle di tuo nipote”. Per tutto il 1994 il ragazzo fu spostato nel palermitano, nel trapanese e nell'agrigentino. Nell'estate 1995 fu infine rinchiuso in un vano sotto il pavimento di un casolare-bunker costruito nelle campagne di San Giuseppe Jato, al quale si accedeva azionando un meccanismo elettromeccanico. Qui rimase per 180 giorni, fino alla sua uccisione.

Santino Di Matteo, dopo aver tentato inutilmente di cercare il figlio, nel mese di ottobre, insieme a Gioacchino La Barbera e Balduccio Di Maggio (pure loro collaboratori di giustizia), decise di proseguire la sua cooperazione con la giustizia. Quando Brusca venne condannato all'ergastolo per l'omicidio di Ignazio Salvo, questi ordinò a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo di uccidere il ragazzo, che venne quindi strangolato e poi disciolto nell'acido l'11 gennaio 1996, dopo 779 giorni di prigionia.

Giovanni Brusca

Nel 1997 si aprì il primo processo nei confronti di 32 persone accusate a diversi gradi di aver partecipato al sequestro, alla prigionia e all'uccisione del piccolo. Il pubblico ministero fu il magistrato Alfonso Sabella, che si era occupato in prima persona delle indagini, mentre si costituirono come parti civili (ovvero come soggetto danneggiato) il padre Santino Di Matteo, la madre Francesca Castellese e l'altro figlio. Fu la prima volta nella storia processuale che un collaboratore di giustizia si costituiva parte civile in un processo. Nel 1999 la Corte d'Assise di Palermo condannò Giovanni Brusca a trent'anni di carcere, il fratello Enzo a ventotto anni, Vincenzo Chiodo ebbe ventisette anni e a Giuseppe Monticciolo e a Salvatore Grigoli vennero inflitti 20 anni di carcere: ad alcuni vennero concesse le attenuanti e lo sconto di pena per la collaborazione con la giustizia, mentre altri imputati vennero condannati a trenta ergastoli (per questo delitto e per altri commessi).

Per l'omicidio furono condannati all'ergastolo circa 100 mafiosi tra cui, oltre a quelli già citati, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone.

Influenza culturale

Alla vicenda di Giuseppe Di Matteo sono stati ispirati vari film: "Tu ridi", "Sicilian Ghost Story" (frutto di una coproduzione tra Italia, Francia e Svizzera) e "Lo scambio". Intorno al sequestro del piccolo Di Matteo, si dipana inoltre la serie televisiva "Il cacciatore", con Francesco Montanari, trasmessa da Rai 2 nel 2018, e il seguito "Il cacciatore 2", del 2020.